Categoria: Approfondimenti

EY Italia alla ricerca di studenti-ambasciatori nelle università, candidature aperte fino al 31 luglio

Diventare “ambassador”, ovvero voce e volto di una delle più note società di consulenza del mondo in università, e ottenere un accesso privilegiato a network, eventi e formazione. È l’opportunità offerta per il secondo anno da EY Italia attraverso il Campus Ambassador Program. «Il programma è stato pensato per avvicinarci sempre di più al mondo degli studenti» spiega alla Repubblica degli Stagisti Riccardo Quaglia, Employer branding manager di EY Italia e responsabile del progetto «che ancora non sono prettamente in target di assunzione». La selezione è rivolta agli studenti della triennale e del primo anno della specialistica iscritti alle università coinvolte nel progetto, tra cui i Politecnici di Milano, Torino e Bari e poi Bocconi, Bicocca, Cattolica, Luiss, Sapienza, Federico II e molte altre. Sono ammessi gli studenti di tutti i corsi di laurea, con una preferenza per materie Stem, economia e giurisprudenza. Per candidarsi basta registrarsi sul portale dedicato e compilare l'apposita domanda. Le candidature resteranno aperte fino a fine luglio.«Per diventare B.EY non sono richieste competenze specifiche, ma solo il mettersi in gioco con la propria persona e avere una buona capacità relazionale, perché... si parla tanto!» spiega Domenico Marra, Ambassador e studente al primo anno di magistrale in ingegneria gestionale al Politecnico di Torino: «Lo consiglio, soprattutto tra il terzo anno di triennale e il primo di magistrale, per fare network e aprirsi nuove opportunità post laurea. Anche perché è un’attività che non toglie troppo tempo, in azienda a Milano siamo andati non più di due-tre volte». Il compito di un B.EY è quello di promuovere EY e il suo brand, farne conoscere i valori e la cultura, partecipare al campus insieme ai recruiters e ai consulenti EY. Tra le opportunità offerte dal programma ci sono eventi dedicati, networking con consulenti EY e i clienti (People of EY, SL Events, Stairway To Your Future), fast track per tesi e stage, sessioni di training dedicate, company visit. Attraverso queste attività, gli studenti hanno modo di capire cosa significa vivere e lavorare in EY.  «Il mio ruolo è stato quello di fare promozione all’azienda a livello di network» spiega Tony Angellotti, Ambassador e studente al secondo anno del corso di laurea in International economics and finance alla Bocconi «attraverso le associazioni universitarie e di organizzare company visit e presentazioni durante conferenze universitarie». La durata è di circa un anno, compreso lo stage finale di due mesi. In più, un gruppo di studenti verrà selezionato per partecipare alla International Internship Leadership Conference di Orlando, occasione di confronto con il mondo EY a livello globale. I nuovi ambassador cominceranno invece la loro esperienza a settembre. «La prima edizione del Campus Ambassador Program ha coinvolto 112 ambassador» spiega Quaglia «di cui il 70 per cento proveniva dall’università Bocconi, che ha saputo veicolare il progetto con un sistema di comunicazione particolarmente efficace». C'è ancora un po' di squilibrio tra uomini e donne: 65 per cento contro 35 per cento. «Stiamo cercando di avere il giusto balance, già finora tra le nuove candidature idonee il 53 per cento sono uomini e il 47 per cento donne».I ragazzi sono stati divisi in sette gruppi, bilanciati per gender e appartenenza universitaria e sono stati sottoposti a una serie di task per individuare il gruppo migliore. Tra questi, attività di promozione online attraverso i social media, e in particolare una pagina Instagram dedicata per ogni gruppo, e attività di promozione offline come iniziative EY dentro l’ateneo o individuazione di target di persone da invitare agli eventi. Il gruppo vincitore sarà premiato nel mese di settembre e avrà la possibilità di essere affiancato ai consulenti EY per una giornata. Una decina di ambassador, tra i 45 che hanno dato la propria disponibilità, sono stati selezionati mediante assessment per un periodo di stage di due mesi presso l’azienda, che è iniziato a maggio e terminerà ai primi di agosto, con un rimborso spese di 500 euro più buoni pasto. Tra le aree in cui sono impiegati, citiamo transaction advisory services, advisory, business development, studio legale tributario. Il messaggio che EY vuole lanciare è che le opportunità in azienda oggi sono sempre più ampie. «Oggi ci sono linee che prima non erano nel core business» sottolinea il responsabile del progetto «che vogliamo far conoscere come innovazione, intelligenza artificiale e blockchain».«L’obiettivo del programma è di non perdere gli ambassador» conclude Quaglia «ma di coinvolgerli in iniziative presenti e future ed eventualmente di ricontattarli una volta che avranno concluso il percorso universitario. In tal caso avranno l’opportunità di un accesso privilegiato, soprattutto se hanno svolto un’esperienza di stage». Insomma, per chi è interessato a questo sbocco diventare ambassador può essere una preziosa occasione per il futuro. Rossella Nocca

Navigator, oggi la firma della convenzione. Ma c'è chi teme che verranno “lanciati nella mischia senza preparazione”

Il momento è arrivato. Dal 19 al 24 luglio saranno contrattualizzati i 2.980 navigator che hanno superato la selezione indetta da Anpal servizi. Un ruolo, il loro, giudicato fondamentale per non ridurre la misura del reddito di cittadinanza a mero assistenzialismo. Ma cosa faranno? Sono state quasi 80mila le domande presentate, e 54mila gli ammessi a sostenere i test scritti – a cui però si sono presentati solo 19.584 candidati. I quasi tremila vincitori sono per il 54% donne e per il restante 46% uomini; sono tutti laureati (requisito obbligatorio), in un caso su tre in giurisprudenza; nel 76% dei casi hanno meno di trent'anni.A poco meno di un mese dall’avvio delle attività, previsto per metà agosto, la convenzione con le Regioni non è stata ancora formalizzata. Sul tavolo, da definire, ci sono le mansioni dei neoassunti. Che potrebbero variare a seconda della latitudine: a lato del testo comune per tutti sarà inserito un addendum che recepirà le esigenze locali. Proprio per oggi pomeriggio è annunciata la firma ufficiale: «alle ore 17.30», si legge in una nota stampa, «presso il Salone degli Arazzi del Ministero dello Sviluppo Economico, alla presenza del Sottosegretario al lavoro, Claudio Cominardi, del presidente di Anpal, Domenico Parisi e degli assessori regionali al lavoro, ci sarà la firma delle convenzioni tra Anpal Servizi Spa e le Regioni per la definizione delle azioni di assistenza tecnica che Anpal Servizi fornirà attraverso i Navigator».  Nei centri per l’impiego, le strutture dove i navigator saranno chiamati a operare, per il momento si resta in attesa. E sopratutto il tema della preparazione a preoccupare gli addetti ai lavori. «Normalmente un percorso di formazione per chi opera nei Cpi si protrae per anni, nel corso dei quali si insiste molto sulla formazione psicologica, fondamentale per accompagnare i disoccupati verso nuove opportunità» ha sostenuto Massimo Temussi, managing director di Aspal, l’agenzia sarda delle Politiche Attive per il Lavoro, durante il Festival del Lavoro a Milano. «Qualcosa che i navigator, destinatari solo di un corso di poche settimane, probabilmente non conoscono a sufficienza». I dottori in psicologia, in effetti, sono solo il 19% del totale dei selezionati, quelli in servizi sociali addirittura solo il 2%. «Buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza sono persone a bassa scolarità, attorno ai cinquant'anni e che provengono da una lunga storia di disoccupazione. Quando il navigator è molto giovane e senza esperienza è possibile che sorgano dei problemi di relazione. Insomma, in qualche caso mi viene da dire che il ragazzo di turno rischia persino di prendersi un ceffone». L’Ordine degli Assistenti Sociali aveva denunciato il timore di aggressioni legate alla misura già a febbraio in una nota.«Sono estremamente preparati, non certo dei parvenu» ribatte Alessandro Vaccari, capo ufficio stampa di Anpal Servizi, l’Agenzia nazionale che fornisce agli enti locali le figure, alla Repubblica degli Stagisti. «Non a caso, la laurea magistrale era uno dei requisiti per candidarsi. Si tratta sicuramente di una figura nuova nel panorama italiano, che sarà formata anche on the job, ma le previsioni di oggi non si basano su fatti reali. Lasciamo che comincino a lavorare, prima di fare valutazioni. Il navigator è una sorta di coordinatore, un accompagnatore: non deve essere psicologo, esperto di mercato del lavoro e di aziende. Deve possedere, piuttosto, una preparazione ad ampio spettro, e una mentalità aperta all’apprendimento. Eviterei di paragonarlo a un tutor, a un orientatore o a un esperto di politiche attive».Resta però il fatto che questi quasi 3mila neoassunti andranno a interfacciarsi con persone generalmente frustrate dalla condizione di disoccupazione: il rischio invidia sociale esiste. il navigator stesso, anche se vincitore di concorso, rischia insomma di essere percepito come un privilegiato, paracadutato dietro una scrivania. Una situazione paradossale che, per essere gestita, richiede esperienza, non puramente accademica.I navigator saranno infatti – e per fortuna! – ben pagati. Il contratto, che avrà validità da luglio 2019 a fine aprile 2021, prevede una retribuzione lorda annuale di 27.338,76 euro. Il lordo mensile per tredici mensilità risulterebbe, quindi, essere di circa 2.100 euro, cui vanno detratte le tasse, dall’Irpef alle addizionali regionali e comunali. Secondo il calcolo del sito Money.it, lo stipendio (che varierà, seppure di poco, da provincia a provincia) dovrebbe aggirarsi attorno ai 1500 euro netti.A questi, sottolinea però il magazine, vanno aggiunti 300 euro lordi mensili percepiti come rimborso forfettario delle spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute per l’espletamento dell’incarico. Si arriva quindi a un netto di circa 1.700 euro. Un’entrata di tutto rispetto, soprattutto fuori dalle grandi città.Certo, però, si tratta di un incarico temporaneo: il contratto ha una durata di poco meno di due anni. Dopo, il futuro è incerto anche per chi dovrebbe aiutare gli altri a trovare un lavoro. L’orientamento del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, si dice, sarebbe quello di mantenere gli assunti all’interno del sistema pubblico tramite un nuovo concorso da effettuarsi al termine dell’incarico. Un intendimento che trova conferma a livello locale: l'idea sarebbe quella di trasformare l'esperienza in opportunità. «So per certo che alcune regioni prevedono per i navigator una sorta di corsia preferenziale» riprende Vaccari: «Tra gli altri, ne ha parlato recentemente l’assessore Cristina Grieco della Regione Toscana. Ad esempio, potrebbero andare a lavorare direttamente nei cpi, o in Anpal». Una nuova infornata di disoccupati a orologeria?  «La politica va valutata nella sua globalità. Dal nostro punto di vista, il dato importante è un altro: nel giro di tre anni, grazie alla del reddito di cittadinanza sarà stanziato quasi un miliardo di euro ai Centri per l’impiego». Per le strutture, conclude il portavoce, ciò significherà un raddoppio degli operatori che, se tutto andrà come previsto, «passeranno da 8.300 circa a quasi 20mila». Antonio Piemontese

La ricerca sugli stage del Comune di Milano, finalmente “possiamo sapere chi sono e cosa fanno gli stagisti” dice Maurizio Del Conte

Come va lo stage a Milano? A distanza della prima mappatura fatta sette anni fa «il quadro oggi è fatto di molti aspetti di luce, oltre alle ombre» dice Cristina Tajani [nella foto], assessore alle politiche del Lavoro del capoluogo lombardo alla tavola rotonda Best stage 2019, moderata da Rita Querzè del Corriere della Sera, in cui sono stati presentati i dati della nuova mappatura commissionata dal Comune alla giornalista fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina: «Questa ricerca ha uno scopo conoscitivo» continua Tajani «ma anche di determinazione degli indirizzi di policy da prendere per far sì che le aziende utilizzino correttamente lo strumento dello stage e si dimostri l'utilità del meccanismo di incontro tra formazione e lavoro, che solo se ben congegnato può avere successo». È in questo modo che può partire «un dialogo con sindacati e imprese per l'avvio di buone pratiche».Le leggi approvate nel corso degli anni (l'ultimo in ordine di tempo l'aggiornamento, nel maggio 2017, delle Linee guida sui tirocini, cui ha fatto seguito l'emanazione di nuove norme regionali sul tema), hanno creato un diverso quadro normativo che deve aver in qualche modo funzionato «se per esempio il dato sull'inclusione dei tirocinanti in azienda dopo la fine del percorso si rivela positivo in base ai dati, pur dovendosi insistere ancora sulle trasformazioni degli stage in rapporti di lavoro».Sono ben 73mila i tirocini attivati nel 2017 censiti dalla ricerca [in questo articolo i risultati principali], che si rivela «un mezzo per la costruzione di politiche pubbliche e per l'osservazione della realtà» secondo Tajani. «Una scelta utilissima» conferma Maurizio Del Conte, giuslavorista e già presidente dell'Anpal, «perché così si riesce a seguire passo passo e a conoscere un mondo su cui si chiacchiera ma su cui si hanno pochi elementi». Con questo studio «possiamo sapere chi sono e cosa fanno gli stagisti» dice ancora. E se il passaggio fondamentale su cui indagare dovrebbe essere quello «della trasformazione e il passaggio dalla parte formativa al lavoro» – dai risultati della mappatura purtroppo emerge che la maggior parte dei soggetti promotori di stage non monitora l'esito occupazionale – l'obiettivo per una prossima edizione «potrebbe essere quello di seguire la persona nel tempo, cioè la carriera dello stagista» una volta chiuso lo stage. Scoprire insomma a cosa porti un percorso di questo tipo, e quali vantaggi occupazionali possa apportare.Uno degli aspetti meno brillanti emersi dall'indagine è poi che non sempre le piccole aziende, ovvero la gran parte del tessuto imprenditoriale italiano, sono consapevoli del valore del tirocinio, «che spesso non è facile da far comprendere» sottolinea Wally Sinigaglia, Employability People Advisor di Adecco. «Per questo siamo molto attenti su questo punto e cerchiamo di far sì che il tirocinante sia seguito». Il gruppo dedicato al recruiting fornisce alle aziende «tutta una serie di reminder mentre svolgono la formazione, e una volta terminato il percorso chiediamo allo stagista che tipo di esperienza ha vissuto e quali competenze sente di aver acquisito».C'è anche da segnalare una differenza di approccio da parte delle imprese rispetto al passato, sottolinea Luca Paone, vicepresidente della Fondazione Lavoro: «Fino a qualche tempo fa, quando le aziende trovavano un candidato e chiedevano un suggerimento sullo strumento da usare per inserirlo in azienda» spiega, «avevano come unico fine quello di spendere il meno possibile». Adesso «invece vogliono il mezzo più adeguato a raggiungere l'obiettivo, che è quello di avere risorse efficienti in azienda».Si rileva insomma un miglioramento: «Dieci o quindici anni fa un monitoraggio analogo avrebbe dato esiti differenti, questo vuol dire che gli interventi normativi hanno contato e migliorato lo stumento» prosegue Tajani. A guardare i dati si direbbe che lo stage «è oggi incanalato in una direzione molto più prossima alla sua finalità». E benché l'uso dello stagista come sostituzione di personale regolarmente assunto ancora esista, «si tratta per lo più eccezioni». Se in qualcosa sono insomma riuscite le nuove norme «è infatti forse nell'aver innalzato il livello di attenzione verso il suo uso». Di sicuro su più un aspetto si dovrebbe ancora lavorare. L'emolumento da versare mensilmente allo stagista, per esempio: i risultati della mappatura hanno fatto emergere una situazione critica, con indennità rare nel caso dei tirocini curricolari, e mediamente molto basse nel caso di quelli extracurricolari. A livello di normativa per la Regione Lombardia l minimo è fissato in 500 euro (300 per la pubblica amministrazione), «un importo con cui a Milano non si può sopravvivere, e che consente solo a chi ha una famiglia alle spalle che può aiutarlo a trasferirsi in questa città per un'opportunità» obietta uno stagista fuorisede dal pubblico. «Non si può fare nulla in merito?». Sì, anche se la questione «non è nelle mani del Comune, che non ha competenza su questi temi che sono invece demandati a regione e città metropolitana» fa presente Tajani. «Pur comprendendo e sposando nello spirito l'istanza» dice, «quello che possiamo fare è solo sollevarla presso chi di dovere». Ilaria Mariotti   

Riders, a un anno dall’approvazione la Carta di Bologna resta l’unico testo organico in materia

Lo scorso 31 maggio è stato il primo anniversario della cosiddetta Carta di Bologna (la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”), ossia il primo accordo in Europa tra riders – i fattorini che consegnano pranzi a domicilio in bici o motorino per conto di diverse e popolari app come Deliveroo, Glovo e Just Eat – sindacati, istituzioni e piattaforme digitali. Un documento nato dall’iniziativa del sindaco PD di Bologna Virginio Merola e sottoscritto dai sindacati Riders Union – protagonista della trattativa – Cgil, Cisl e Uil. La Repubblica degli Stagisti aveva nei mesi scorsi dedicato un approfondimento alla Carta di Bologna, così come ad altre iniziative nate sul territorio come lo sportello d’ascolto di Milano. Un anno dopo, è il momento di stilare un bilancio sull’attuale situazione dei riders.I dati della Fondazione Debenedetti parlano di circa 10mila riders in Italia, di cui un 78% di under 30. Le stime dicono che nel 50% dei casi sono studenti; il 33% ha un secondo lavoro mentre per il 17% è l’unica occupazione. Una categoria in realtà poco numerosa – basti pensare che gli stagisti sono mezzo milione all'anno, giusto per fare un confronto di ordini di grandezza! – ma spesso indicata come simbolo del precariato delle nuove generazioni, e al centro dei riflettori mediatici e di annunci politici. Si veda, ad esempio, il caso di qualche settimana fa della lista di vip che non lascerebbero la mancia ai fattorini. Ma qual è la situazione di questo segmento di «gig economy» (letteralmente: economia dei lavoretti) dal punto di vista giuslavoristico? Negli ultimi mesi qualche piccolo progresso è stato fatto. Prima in ordine di tempo è stata l’intesa relativa al trattamento economico e dei riders, raggiunta nel luglio 2018 tra da Confetra, Fedit, Assologistica, Federspedi, Confartigianato trasporti, Cna, Cgil, Cisl e Uiltrasporti  ed è stata inserita all’interno del contratto nazionale di lavoro (il cosiddetto Ccnl) della Logistica. Grazie a questo accordo i riders sono stati inseriti tra i lavoratori dell’area C del Ccnl, dedicata al “personale viaggiante cui non spetta l’indennità di trasferta”. Ciò significa che i rider possono adesso essere qualificati come lavoratori subordinati a tutti gli effetti – è stato stabilito un orario di lavoro di 39 ore a settimana, spalmabili su un massimo sei giorni e conguagliabile in quattro settimane, e un orario massimo di 48 ore, straordinari inclusi – con tutte le tutele previdenziali ed assicurative previste dal Ccnl della Logistica, compresa l’assistenza sanitaria integrativa, la bilateralità contrattuale e l’assicurazione per danni verso terzi. Ma attenzione, non devono essere qualificati così: possono esserlo. A discrezione del datore di lavoro. Pur essendo da salutare con favore, questo riconoscimento dunque non sembra sufficiente. Il Ccnl infatti non ha forza di legge: la sua applicazione è subordinata alla discrezionalità delle piattaforme digitali. Anche la sentenza della Corte d’Appello di Torino dello scorso gennaio a proposito del caso Foodora ha riconosciuto applicabile ai riders l’art. 2 del «Jobs Act». La norma in questione prevede che la disciplina sul rapporto di lavoro subordinato si applichi alle collaborazioni «esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Questo tuttavia non significa un’equiparazione totale dei riders ai lavoratori subordinati, ma soltanto l’applicabilità di alcune delle tutele riconosciute dal Ccnl ai dipendenti della Logistica e soltanto per il periodo in cui i riders sono, effettivamente, al lavoro. In altre parole la sentenza, pur positiva dal punto di vista dei diritti sociali, ha fotografato quella che è la situazione di fatto dei riders: una figura ibrida tra il lavoratore autonomo e il dipendente e che, per questo, si può prestare a diversi abusi.Ciò che occorrerebbe per colmare un oggettivo buco normativo è l’intervento del legislatore – quindi della politica. Da questo punto di vista va segnalata una stasi. Nonostante gli annunci, gli incontri simbolici e l’inizio delle trattative tra sindacati e governo, infatti, poco o niente sembra – ad oggi – essere stato fatto. Le trattative sono ferme allo scorso 7 novembre. Nel frattempo le intenzioni proclamate di inserire maggiori tutele ai riders nel decretone su Quota 100 e Reddito di Cittadinanza sono state disattese. «Non c’è la dignità di questo governo che ha promesso delle cose e che non le ha mantenute, che non ha fatto il suo dovere, ma che ha fatto solamente un miserabile teatrino sulla pelle dei riders» aveva commentato amaramente Riders Union Bologna con un post su Facebook nel giorno del decretone: «Pretendiamo a gran voce che l'estensione delle tutele dei lavoratori subordinati ai riders sia fatta subito per decreto legge» il rilancio del sindacato di base.Attacchi duri, a cui era seguito – in piena campagna elettorale per le europee – un nuovo annuncio del ministro del lavoro Luigi Di Maio. «La norma sui rider è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in discussione in questi giorni al Senato – aveva scritto il vicepremier su Facebook a fine aprile – Se potremo, proveremo a farla diventare legge anche prima, inserendola nella fase di conversione del “decreto crescita”, ma su questo ci sarà bisogno dell'autorizzazione dei presidenti delle Camere». Copertura Inail per gli infortuni, migliore contribuzione Inps che supera la gestione separata e divieto di retribuzione a cottimo i punti cardine che – stando all’annuncio di Di Maio – dovrebbero caratterizzare la riforma. «Potevamo fare prima forse, era anche il nostro obiettivo, ma una norma molto specifica e innovativa va approntata con attenzione. Quindi sebbene non andato a buon fine, il tavolo di concertazione era doveroso per provare a mediare tra le parti in campo» il commento del vicepremier, con una chiara allusione alla stasi delle trattative con i sindacati. Ad oggi, tuttavia, non è ancora stata approvata nessuna legge né decreto e l’unico testo organico – un anno dopo – rimane la Carta di Bologna.Giulio Monga

Come si diventa pubblicisti, regole più stringenti e costi lievitati

Ottenere il tesserino da pubblicista in Italia implica una procedura abbastanza simile per tutte le regioni (e relativi ordini territoriali): si apre una collaborazione con una o più testate giornalistiche, si viene – in teoria – retribuiti e si accumula un minimo di guadagno nel corso di un biennio pena il mancato accesso al titolo. Dopodiché si fa domanda e, talvolta, viene richiesto il superamento di un piccolo esame oppure di frequentare un corso di formazione. I dettagli, come numero di articoli, spese di protocollo, retribuzione minima, presenza o meno di un esame, cambiano però lungo lo Stivale. La Repubblica degli Stagisti nel 2010 aveva già analizzato come funzionasse il meccanismo di iscrizione all'elenco pubblicisti regione per regione. Ci torna ora per verificare come sia evoluto nell'ultimo decennio, anche alla luce della forte crescita a livello numerico della categoria. La sensazione, studiando i percorsi approntati dai singoli ordini, è che le maglie di accesso si siano nel tempo per lo più ristrette, con l'obiettivo forse di contenere la richiesta sempre più forte di entrare a far parte della categoria. E che in generale la procedura sia divenuta più complessa (anche se non sempre). Sono tante per esempio le regioni in cui si richiede di maturare compensi più alti rispetto al passato. Il che sarebbe anche normale per via della crescita del costo della vita, se non fosse però che quasi mai ciò si rifletta nei compensi dei collaboratori. Ma tant'è. Spesso poi la retribuzione maggiore è un paletto a cui fa da contraltare anche un numero più alto di articoli necessari per raggiungere il titolo. È il caso per esempio della Toscana, una delle più esigenti e con regole minuziose, che richiede per le collaborazioni con quotidiani almeno 100 articoli e 2mila euro di retribuzione lorda, per i settimanali 60 articoli e 1500 euro, per i mensili 20 articoli e 1000 euro di retribuzione lorda. Tutto in un biennio, con ricevute di pagamento versate ogni trimestre. Anche in Veneto lo stesso: è aumentato il numero minimo di articoli da scrivere nei 24 mesi, 80 per i quotidiani fino a un minimo di 24 per i mensili, con tetto minimo di 2mila euro (un tempo bastavano ad esempio 60 articoli e 1000 euro di compensi). Stessa soglia retributiva anche per le Marche, 2mila euro contro i 750 di prima, e della Lombardia, per cui erano prima sufficienti mille euro. In Piemonte, è oggi necessario dimostrare di aver percepito almeno 1300 euro lordi contro i 1250 di un tempo. E ancora, sale ad almeno 800 euro nel biennio la retribuzione minima del Friuli, e gli articoli dovranno essere 70 invece di 50. La Liguria, dove nel 2010 non si prevedeva un tetto minimo, subordina l'accesso a un compenso di 2000 euro. E anche in Valle d'Aosta e Trentino si richiedono 800 euro di minimo, qui dove anni fa non esisteva, così come in Puglia, che mette un recinto di mille euro nel biennio, al pari della Sardegna per cui un tempo ne bastavano 300. Uno degli ordini più severi è il Lazio, con 5mila euro di retribuzione minima da documentare: un tetto che era uguale anche nel 2010. C'è anche però chi negli anni ha deciso di fare l'operazione contraria e cioè di rendere l'accesso più facile, forse come risposta alla crisi del settore e ai compensi che chi scrive sporadicamente, o da freelance o in situazioni non regolari, fa fatica a incassare. In Abruzzo si passa per esempio da 1500 euro alla metà circa, 800 euro, per 60 articoli pubblicati. In Molise il compenso minimo è sceso a 400 da mille del passato. E in Campania, la retribuzione minima di mille euro è negli anni venuta meno. Quello che invece si riscontra quasi ovunque è un aumento delle tariffe per i diritti di segreteria. Con importi complessivi per chi decide di intraprendere la strada dell'accesso all'elenco pubblicisti che si attestano su diverse centinaia di euro. Il caro prezzi si riscontra di sicuro in Piemonte, i cui diritti di segreteria passano da 60 a 120 euro, addirittura raddoppiando, e dove per diventare pubblicista si spendono circa 300 euro tra marca da bollo e tassa di concessione governativa. In Abruzzo si sfiorano i 400 euro con un aumento delle tasse da 118 a 200 euro. In Basilicata si sale di poco, da 80 a 90 euro, e in Campania si passa da 35 a 50 euro. In Emilia Romagna poi, così come in Campania, o in Veneto il lievitare delle spese è dovuto a un corso di formazione obbligatorio introdotto di recente senza il quale salta l'iscrizione. Senza contare che poi, una volta iscritti all'albo, ci sarà una quota obbligatoria da versare ogni anno e che si aggira sui 100 euro.Ilaria Mariotti

Selezioni aperte per 420 stage al Parlamento Europeo, il rimborso supera i mille euro al mese

Fino al 30 giugno sono aperte le selezioni per i Tirocini Schuman. Si tratta di un progetto che prevede la possibilità di svolgere uno stage di cinque mesi presso il Parlamento Europeo – non solo a Bruxelles e a Strasburgo, ma anche nelle sedi distaccate sparse in tutta Europa. I tirocini si svolgono in due differenti periodi dell’anno: il primo va da marzo a luglio, mentre il secondo – a cui si riferiscono le selezioni al momento aperte – da ottobre a febbraio. Obiettivo del programma, si legge sul sito del Parlamento UE, è quello di «contribuire all’educazione e alla vocazione per l’apprendimento dei cittadini UE e di offrire la possibilità di vedere dall’interno i lavori del Parlamento Europeo».Le selezioni al momento aperte mettono in palio 420 posti da stagista in diverse aree del Parlamento Europeo, tra le quali la Commissione per il Controllo dei bilanci, la Direzione generale per i Servizi di ricerca del Parlamento o la Direzione generale per il Personale. Le posizioni riguardano sia le tre sedi istituzionali di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sia uffici distaccati (a Barcellona, Lubiana, Dublino e Roma). La sede in cui si svolge il tirocinio è importante anche dal punto di vista economico, in quanto sono previste indennità differenziate a seconda dello stato in cui si lavora. In Italia ad esempio il rimborso spese garantito è di 1.289 euro.  Il paese con l’indennità più alta è la Danimarca, dove si arriva a 1.762 euro, mentre la maglia nera spetta alla Bulgaria con 737,50 euro. Per quanto riguarda i tre paesi “istituzionali”, Belgio e Lussemburgo offrono un rimborso spese di 1.336 euro, mentre la Francia ne garantisce 1.559. A determinate condizioni sono inoltre previsti sussidi per disabilità, contributi per l’affitto o rimborsi spese per i viaggi.Le posizioni aperte variano di anno in anno a seconda delle necessità delle aree in cui si svolgono i tirocini. In generale comunque il numero si aggira sulle 800 posizioni all’anno considerando entrambi i periodi di stage. Parlando di candidature, nelle selezioni per i tirocini tra marzo e luglio 2019 sono arrivate  7.621 domande. Nel 2018 le domande erano state 6.349 per il primo periodo e 6.058 per il secondo. E gli italiani? Nel 2018 hanno inoltrato 3.311 candidature, e tra questi vi sono stati 151 stagisti  selezionati. Un dato significativo – tradotto in percentuale, significa che quasi il 27% delle candidature totali del 2018 è giunto dal nostro Paese – e che conferma come i tirocini presso le istituzioni comunitarie siano molto apprezzati dagli italiani che desiderano inserirsi nel mercato del lavoro. Tendenza confermata anche dal fatto che, nel corso delle ultime selezioni per i tirocini iniziati a marzo 2019, gli italiani scelti sono stati 66. Un numero che rende l’Italia il paese più rappresentato tra gli stagisti e che costituisce il doppio esatto della Francia, seconda a 33. Interessante anche il fatto che, nella stessa selezione, siano state scelte 229 stagiste donne e 114 tirocinanti uomini. Si consideri che la policy generale sui Tirocini Schuman non prevede quote di genere né criteri generali per la ripartizione dei diversi posti tra le varie nazionalità. Per candidarsi è necessario possedere (almeno) una laurea – la cui rilevanza dipende dal tipo di posizione per la quale ci si candida – avere un’ottima conoscenza di almeno una lingua ufficiale dell’Unione ed una buona conoscenza di un’altra, avere più di 18 anni, un casellario giudiziale pulito e non aver lavorato per più di due mesi consecutivi presso un’istituzione o un organo UE, né avere effettuato un periodo di collaborazione accademica superiore a sei mesi prima dell’inizio del tirocinio. Stando alla policy pubblicata sul sito, inoltre, i Tirocini Schuman sono, di regola, rivolti soltanto a cittadini UE. Tuttavia, le autorità competenti possono decidere che un numero limitato di posti sia riservato anche a cittadini extracomunitari.La procedura per candidarsi è molto semplice e intuitiva. Basta andare sulla pagina sul sito del Parlamento Europeo dedicata proprio alle offerte per i Tirocini Schuman e selezionare la posizione per cui si intende presentare la propria candidatura. Si apre quindi una schermata in cui sono descritte in breve le mansioni che si andranno a svolgere nonché le caratteristiche della figura professionale ricercata. Cliccando su «Apply Online» inizia l’application vera e propria. Per prima cosa vengono richiesti i dati anagrafici e i dati di contatto del candidato. Andando avanti bisogna inserire informazioni relative alla formazione e alla carriera professionale. Oltre al cv va compilato un form con le informazioni relative alle competenze linguistiche e informatiche, alla formazione accademica e agli anni di esperienza lavorativa maturati. In ultimo, prima di poter inviare ufficialmente la propria candidatura, occorre allegare una lettera di motivazione e rispondere a due quesiti finali relativi alla presenza dei requisiti per poter prendere parte al programma Schuman.Per quanto riguarda l’età, la classe anagrafica più rappresentata tra i selezionati a marzo 2019 è quella dei venticinquenni (nati ne 1994), con 61 tirocinanti, seguiti a ruota dalla classe ‘93 (con 53) e dalla classe ’92 (47). Non esistono limiti di età verso l’alto per potersi candidare e, infatti, tra gli stagisti del 2019 ce n'è uno del... 1969! Insomma, non si è veramente mai troppo grandi per un’esperienza da stagista in Europa.Giulio Monga

Giornalisti pubblicisti, sempre più iscritti: e persiste il fenomeno delle pratiche “taroccate”

L'Italia è un paese con una folta presenza di giornalisti: un piccolo esercito composto da circa 112mila soggetti, stando alla rilevazione dell'Autorità garante per le comunicazioni del 2016, di cui la stragrande maggioranza pubblicisti, cioè persone per le quali il giornalismo non è la primaria occupazione e fonte di reddito: ben 75.459 contro i circa 30mila professionisti, e i restanti suddivisi in altre categorie tra cui praticanti e giornalisti stranieri. A colpire è soprattutto l'ascesa esponenziale dei pubblicisti rispetto ai professionisti, complice la crisi della professione e le difficoltà sempre maggiori di accedere all'iscrizione all'elenco dei professionisti. Dal 1975 a oggi i pubblicisti si sono moltiplicati: inizialmente erano 13mila, contro il gruppo dei professionisti a cui afferivano poco meno di 7mila giornalisti. La crescita dal 2000 al 2016 è stata pari addirittura al 67% per la categoria di chi è iscritto all'Ordine pur non esercitando la professione in via esclusiva.Ci sarebbe da chiedersi quanti siano quelli che oggi riescano a campare di solo giornalismo (i dati parlano di un numero sempre maggiore di freelance, con retribuzioni sempre più risicate) e fino a che punto abbia ancora senso la divisione tra pubblicisti e professionisti. Tuttavia dietro numeri così rilevanti si nascondono motivi non complessi. In primis le iscrizioni 'taroccate' su cui la Repubblica degli Stagisti aveva fatto luce diversi anni fa: persone che pur di accedere all'agognato tesserino sono disposte a pagarsi da soli i contributi necessari a dimostrare la “regolare” (si fa per dire) collaborazione con il giornale di turno e maturare così il diritto. Fingendo così di essere retribuiti pur lavorando gratis. In più gli Ordini regionali, che prevedono percorsi di iscrizione che si somigliano un po' tutti (si scrive per un biennio, si supera un esame, si pagano le tasse e il gioco è fatto), hanno solo da guadagnare sull'arrivo di nuovi iscritti, che equivalgono a una quota annuale in più da percepire. Giocoforza dunque che sia loro interesse che proliferino.Ma cosa sta facendo l'Ordine dei giornalisti su questo fronte? «Abbiamo approvato nei mesi scorsi linee guida per la riforma dell’Ordine dei giornalisti» risponde il presidente dell'Odg nazionale Carlo Verna. Le nuove linee guida «prevedono un periodo di 'valutazione' dell’attualità del pubblicismo durante il quale sarà molto più difficile eludere il corretto meccanismo previsto da una legge entrata in vigore cinquantasei anni fa, quando gli scenari erano completamente diversi».Anche per Verna il fenomeno dell'illegalità delle iscrizioni è innegabile, e per giunta – ammette – «la nostra percezione è a distanza perché per legge esaminiamo solo i ricorsi di coloro che l’iscrizione non l’hanno ottenuta, e oltrettutto mai i procuratori generali impugnano riconoscimenti di status dati dai consigli regionali, che a loro volta operano su carte formalmente in regola presentate dagli istanti». C'è poco da fare in sostanza contro un «sistema basato sullo sfruttamento, che mi rifiuto di avallare ancora», se però «Governo e Parlamento non intervengono, adesso che si sta tentando la via dell’autoriforma da parte dell'Ordine (qui le linee guida sottoscritte dal Consiglio nazionale a ottobre 2018, ndr)». Alle iscrizioni truffaldine alcuni Ordini regionali hanno dichiarato battaglia. «È in corso l'attività di revisione degli elenchi degli iscritti all'Ordine dei giornalisti della Toscana» si legge sul sito dell'ente in un post di febbraio. La revisione degli elenchi è infatti uno dei compiti attribuiti agli ordini regionali. «In particolare sono stati centonove i professionisti sottoposti a revisione, dei quali oltre novanta hanno superato il controllo; per l'elenco pubblicisti, invece, sono stati oltre novecentottanta gli iscritti sottoposti a revisione e di questi oltre seicentotrenta sono coloro che l'hanno superata». Al netto naturalmente delle cancellazioni automatiche, che avvengono per inattività: «I giornalisti che risultano inattivi per oltre due anni consecutivi vengono cancellati dai rispettivi elenchi», mentre «il termine sale a tre anni per i giornalisti con più di dieci anni di attività». Se però si superano i quindici anni di iscrizione, non si è più sottoposti a revisione.Il risultato della revisione toscana è meno irrilevante di quel che potrebbe sembrare: dire che 630 giornalisti pubblicisti su 980 si sono visti confermare il tesserino vuol dire, di converso, che vi erano fino a pochi mesi fa in Toscana ben 350 persone che si fregiavano del titolo di giornalisti pubblicisti senza averne (o quantomeno averne più) diritto. Facendo una proporzione, vuol dire che oltre un terzo – per la precisione il 37% – dei pubblicisti controllati sono risultati essere, in Toscana, privi dei requisiti minimi per continuare ad essere iscritti all'albo.Critica sembra essere la situazione anche in Sicilia, come rivela alla RdS Concetto Mannisi, segretario regionale dell'Odg Sicilia, uno dei pochi a aver risposto alle domande della Repubblica degli Stagisti, rivolte alla totalità degli ordini dei giornalisti italiani (ce n'è uno per ogni regione).«Il Consiglio dell'Ordine di Sicilia è in prima linea da anni nella battaglia contro le pratiche approntate a tavolino» racconta Mannisi. Domande che «rappresentano la stragrande maggioranza delle richieste di iscrizione indirizzate ai nostri uffici e che sulla carta sono tutte ineccepibili». Il trucco è però presto svelato: «Il regolamento del nostro ordine regionale prevede che l'aspirante pubblicista venga retribuito almeno con 500 euro l'anno a biennio e guardacaso il 95% delle pratiche rientra esattamente in questa fattispecie». L'assurdo è che «non ci si sforza più neanche di simulare un pagamento diverso, perché qualunque cifra superiore ai 500 euro (mille complessivi, quindi) determinerebbe il pagamento di ritenute proporzionalmente superiori che, spesso, vengono pagate non dalla società editrice, come dovrebbe essere, ma direttamente dell'aspirante pubblicista». Tentativi di opporsi in Consiglio ce ne sono stati, ma «tutto continua esattamente come prima» assicura Mannisi: «Il fenomeno della documentazione fasulla comincia a interessare anche le revisioni».Il problema principale resta poi soprattutto, per queste figure, la prospettiva effettiva di riuscire a lavorare: un miraggio che potrebbe giustificare la corsa al tesserino. Il cui fascino resta inossidabile, complice forse anche il fatto che è tra titoli richiesti per partecipare a alcuni concorsi per uffici stampa nella pubblica amministrazione. «Tale continua crescita del numero degli iscritti all'Ordine non appare certamente motivata da un aumento della domanda di professionisti dell'informazione da parte del sistema editoriale» è scritto nell'ultimo Osservatorio sul giornalismo dell'Agcom. «Quest'ultimo» proseguono, «non è mai apparso in grado di assorbire completamente tale forza lavoro».L'auspicio è che su questo panorama si agisca presto. La promessa di Verna è di «consentire nei prossimi anni l’emersione delle nuove figure giornalistiche anche attraverso il riconoscimento dell’attività pubblicistica». Dove per “emersione” si spera che Verna intenda non una ulteriore prolificazione dei pubblicisti, ma un meccanismo che permetta di individuare chi veramente svolge lavoro giornalistico. In un momento successivo, aggiunge Verna, «bisognerà scegliere se passare all’albo elenco unico» precisa ancora Verna. Anche perché resterà sempre di fondo una questione: «quella di chi fa l’esame e chi non» sottolinea il presidente. Ma agli Ordini regionali non converrebbe certo il crollo degli iscritti che farebbe seguito a una eventuale soppressione dell'elenco pubblicisti. Una perdita che potrebbe difficilmente essere soppiantata dai professionisti: per arrivare a questo di titolo il percorso è più complesso, date le scarse possibilità di essere assunti nelle redazioni come praticanti e le difficoltà di accesso alle scuole di giornalismo dai costi spesso proibitivi. Ilaria Mariotti 

Tirocini Schuman non solo a Bruxelles, e a seconda della sede l'indennità mensile sale fino a 1800 euro

Ogni anno l'Europarlamento apre le porte a centinaia di stagisti. Ma nell'ambito dei tirocini Schuman, il principale programma di traineeship dell'organo legislativo dell'Unione europea, non tutte le opportunità sono uguali. Delle tantissime domande che arrivano a ogni edizione dai ragazzi di tutta Europa, «circa 21mila» si legge sul sito, ne va a buon fine solo una piccola parte: 900. Ma non tutti saranno diretti verso i quartier generali di Bruxelles o Strasburgo, come potrebbe erroneamente credere chi si candida. Il Parlamento europeo ha infatti numerose altre sedi, denominate tecnicamente “uffici di collegamento”. Ce n'è almeno una per Stato membro ed è anche qui che i tirocini Schuman possono svolgersi. «Il Parlamento europeo dispone di uffici di collegamento nelle capitali dell'Ue» specifica ancora il sito, «nonché di antenne in città importanti sul piano regionale negli Stati membri più popolosi». Perfino a Washington ce n'è una, dove ha sede «un ufficio di collegamento con il Congresso degli Stati Uniti».Non sono pochi i tirocini che ogni anno si svolgono al di fuori di Bruxelles: «Circa 350» conferma l'ufficio stampa del Parlamento europeo. Dunque più di un terzo del totale. E per questi tirocini a cambiare è soprattutto il trattamento economico, proprio una delle principali attrattive di questo bando: non a caso per una borsa da 1.300 euro mensili, e un'esperienza prestigiosa, gli italiani fanno a gara per aggiudicarsi un posto, risultando di solito tra i primi per numeri di candidature. Nelle ultime selezioni ad esempio, i candidati italiani sono stati circa duemila, e per ogni edizione ne sono stati selezionati una cinquantina. Dunque il 'monthly grant' stabilito dall'articolo 25 del regolamento cambia a seconda del paese di destinazione. Medaglia d'oro per il contributo mensile più alto va al Regno Unito con ben 1.800 euro di rimborso mensile e due possibilità di scelta tra Londra e Edimburgo. A cui va aggiunto un sussidio per l'alloggio pari a 288 euro, e un eventuale plus in caso di disabilità che sfiora i 900 euro. Anche per chi è destinato alla Danimarca la borsa sarà più alta che in Belgio, arrivando a oltre 1.760 euro più 282 per la sistemazione. E ancora Svezia (1.600), Francia, Irlanda e Finlandia (sopra i 1.500 euro), Austria e Germania (1.400), per scendere poi ai livelli del Belgio in Spagna e Italia (intorno ai 1.200 euro). Per un ragazzo italiano uno stage Schuman in patria potrebbe quasi convenire dal punto di vista economico, considerando i mancati costi del viaggio e sommando l'eventualità di poter dormire addirittura a casa propria per chi risiede nelle due sedi degli «uffici di collegamento» italiani, a Roma e Milano. Ma perché tanta differenza nei rimborsi? A rispondere alla Repubblica degli Stagisti è l'ufficio stampa dell'Europarlamento che spiega come «la policy degli stipendi (o indennità) differenziati a seconda del Paese sia valida per tutti i dipendenti dell'organizzazione, e più in generale per tutti i funzionari europei», essendo tarata su «un coefficiente di correzione che riparametra i rimborsi o gli stipendi al costo della vita locale». Come chiarisce Eurostat sul suo sito «ci si basa su un punto di riferimento che è Bruxelles, e si ricalcola il valore con un'operazione matematica basata su costo della vita e dei servizi». Funziona così dal 2013. Tornando agli Schuman, va anche ricordato che per chi si allontana di molto da casa la cosiddetta 'travel allowance' – il rimborso del viaggio – aumenta, essendo a sua volta basata sul chilometraggio. E quali sono le mansioni degli stagisti al di fuori della sede principale dell'Europarlamento? «La funzione di questi uffici» spiegano ancora dall'ufficio stampa, «è quella di migliorare la conoscenza e la consapevolezza dell'Europa a livello territoriale, costruendo ponti con i cittadini, gli stakeholders e i media». Questi uffici lavorano infatti «a stretto contatto con studenti e insegnanti, invitandoli a prendere parte ai dibattiti e ai seminari sulle decisioni da prendere in campo europeo, e fornendo loro materiale di supporto sulle tematiche della Ue». Più nello specifico, uno dei compiti degli stagisti di questi uffici è per esempio «partecipare a Euroscola, il programma che consente agli studenti di realizzare visite di studio a Strasburgo e assistere da vicino al lavoro di un membro del Parlamento europeo». Per chi fosse interessato a questa tipologia alternativa di tirocini Schuman c'è ancora da aspettare qualche settimana. Le candidature si apriranno ufficialmente il primo giugno – e si chiuderanno a fine mese – per tirocini in partenza a ottobre. A quel punto – e anche questa è una recente modifica introdotta dal regolamento – ci si potrà candidare direttamente alle offerte di traineeship pubblicate sul portale dedicato alle sole vacancies relative al programma Schuman. Attenzione poi a un'altra novità, perché un altro troncone di stage all'Europarlamento cambierà regolamento: «A partire dal 2019» preannuncia il sito, «anche i tirocini di traduzione saranno accorpati ai tirocini Robert Schuman». Sono in arrivo dunque ulteriori opportunità per chi volesse cimentarsi in un'esperienza europea. A Bruxelles, o in un ufficio di collegamento a pochi passi da casa. Ilaria Mariotti 

Il percorso a ostacoli dei giovani laureati in medicina tra sfruttamento, incompatibilità e imbuto selettivo

L’imbuto che “blocca” quasi un terzo dei medici aspiranti specializzandi, che devono attendere almeno un anno per accedere a un corso di specializzazione, è un tema molto importante. Ma cosa succede invece nel periodo grigio fra il conseguimento della laurea e l’inizio della specializzazione e che contesto vivono i “fortunati” che si aggiudicano un posto per specializzarsi? La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la testimonianza di due giovani medici che, in attesa di specializzarsi, sono proprio ora alle prese con le prime esperienze nel mondo del lavoro. «Sto per cominciare la scuola di formazione specifica in medicina generale, ma alle prossime selezioni proverò ad accedere a una specialità» racconta Claudia [il nome è di fantasia], laureata in Medicina e Chirurgia all’università di Padova. «Intanto dopo l’abilitazione ho iniziato l’affiancamento all’Avis, l'associazione Volontari italiani del sangue». L' “affiancamento” consiste nel frequentare un corso per acquisire le competenze necessarie su donazioni e idoneità, per poi presidiare i punti di raccolta il sabato e la domenica, con il compito di controllare i questionari, verificare l’idoneità dei pazienti e così via. «La paga è intorno ai 136 euro lordi per tre ore il sabato o la domenica». Tuttavia, una volta iniziata la scuola, per Claudia non sarà possibile proseguire l’esperienza, nonostante l’impegno limitato ai weekend: «Dovrò interrompere l’affiancamento, in quanto è considerato incompatibile con la scuola di formazione per diventare medico di base». L’incompatibilità è uno degli ostacoli con cui devono fare i conti i giovani medici che si avvicinano alla professione e sono in cerca di esperienza. Ad esempio la scuola di formazione in medicina generale è incompatibile con tutte le attività libero professionistiche, come appunto l’affiancamento Avis: le uniche attività compatibili sono le sostituzioni e le guardie mediche e turistiche. Un'ulteriore beffa, considerato che i futuri medici di base ricevono un rimborso mensile medio di 966 euro, ben inferiore ai 1.600 di partenza dei medici specializzandi, a fronte del medesimo impegno full time.  Un altro problema è l’impossibilità di fare esperienza prima dell’abilitazione. «Nei mesi in cui prepariamo l’esame di Stato avremmo il tempo di lavorare e cominciare a guadagnare qualcosa, ma quasi tutti i lavori richiedono l’abilitazione» spiega Claudia «L’unica cosa che possiamo fare sono i corsi di formazione di primo soccorso». E dopo l’abilitazione? Sono tante le possibilità di lavoro per i medici abilitati ma non ancora specializzati: sostituzioni, guardie mediche e pronto soccorso, presidi presso strutture turistiche, sorveglianza sanitaria aziendale etc. Offerte con retribuzioni anche apparentemente allettanti, soprattutto per chi è alle prime armi. «Da neolaureato hai meno pretese, e inoltre con la modifica del regime forfettario nei primi tre anni da libero professionista puoi godere di un regime agevolato» aggiunge Giovanni [anche questo nome è di fantasia], giovane medico neoabilitato a Padova: «Il problema non è tanto la paga quanto le responsabilità. Ad esempio la guardia medica si aggira sui 2mila euro al mese per circa 105 ore. Una retribuzione che non è commisurata al rischio effettivo cui si è esposti: ti dicono che dovresti gestire solo i codici bianchi, ma sei un medico e se gli altri sono impegnati hai il dovere di intervenire nell’urgenza. E ancora, per il presidio di un villaggio turistico, per due settimane ti offrono 1.000 euro, ma con la reperibilità di tutto il giorno e il rischio di dover gestire urgenze a tutte le ore».E poi c’è il problema della specializzazione, che ad oggi permette solo a un terzo dei concorrenti di aggiudicarsi un posto. Nel 2018, a fronte di 16.146 candidati, i posti messi a bando erano solo 6.934. La selezione su base nazionale ha introdotto quantomeno una maggiore trasparenza e meritocrazia, ma gli escamotage restano. «Ad esempio gli studenti di famiglie facoltose che non riescono a superare il test trovano il modo di farsi finanziare una borsa di studio da associazioni o enti, con l’aggiunta di posti di specializzazione ad hoc», racconta Claudia. Di recente in Veneto ha fatto scandalo il caso di un professore ordinario di Chirurgia plastica veneto, per un certo periodo direttore di una scuola di specializzazione, coinvolto in un giro di borse create ad hoc e addirittura finanziate da parenti dei candidati che non avevo superato il test selettivo. Quando, finalmente, si riesce a superare il “collo di bottiglia” dell’ammissione alla specializzazione, la situazione non è comunque tutta rose e fiori. «Lo specializzando in Italia non viene valorizzato né rispettato e ricopre ruoli che certo non puntano alla crescita e che non gli competono» lamenta Claudia: «Spesso si ritrova per tutto il tempo a fare cose che lo strutturato non vuole fare, come compilare le cartelle cliniche, senza mai arrivare a entrare, ad esempio, in una sala operatoria». Oppure c’è l’estremo opposto dell’amplificazione delle responsabilità: «Gli specializzandi dovrebbero essere sempre affiancati, invece ad alcuni viene chiesto di coprire turni notturni da soli e persino di trattenersi per i successivi turni diurni». Tutto questo al culmine di un iter già di per sè lungo e impegnativo. Al superamento del test di ammissione - ben 67mila candidati per 10mila posti nel 2018/19 - si frequentano sei anni di università quindi, una volta conseguita la laurea, si effettua un tirocinio di tre mesi fra chirurgia generale, medicina interna e medicina di base. Il successo step è l'esame di abilitazione professionale per l'iscrizione all'Albo. Infine il medico può scegliere fra il corso di formazione specifica in medicina generale, della durata di tre anni, e uno dei 52 corsi di specializzazione (area medica, area chirurgica e area servizi clinici), della durata variabile in base alla branca. Qualche esempio: cinque anni per chirurgia generale, neurochirurgia, anestesia e rianimazione e medicina d'emergenza e urgenza; quattro per dermatologia, endocrinologia e neurologia.Per quanto riguarda gli stipendi, i medici sono al terzo posto nella classifica dei professionisti più pagati, preceduti solo da notai e farmacisti. Secondo le statistiche del Ministero dell'economia il loro reddito annuale medio ammonta a 66.600 euro, ovvero a 5.550 euro al mese. Ma la panoramica sui giovani medici precari fa intuire un forte scollamento della fascia 30-40 anni rispetto ai "veterani". Scollamento che però è impossibile quantificare in quanto l'Enpam, l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri, alla richiesta della Repubblica degli Stagisti di poter avere i dati (ovviamente aggregati) sulle retribuzioni dei medici under 35 ha risposto di non essere autorizzata a pubblicizzare i redditi degli iscritti. La motivazione, alquanto paradossale: per "tutelarli".Quel che è certo è che il cammino dei giovani medici è ricco di ostacoli e punti interrogativi e la difficile esperienza di ingresso nel Sistema sanitario nazionale li induce sempre più spesso a valutare soluzioni più favorevoli per paghe e turnistiche, come il privato e l’estero. «A luglio tenterò il test di specializzazione» conclude Giovanni: «Avevo superato quello per la scuola di medicina generale, ma ho preferito rinunciare subito e lasciare il posto libero. Continuerò l'esperienza di affiancamento all'Avis. Per il futuro non ho un’idea fissa, quindi sono aperto ad adattarmi. So che in Italia devi fare i conti con ciò che è più spendibile e redditizio, ma spero di non trovarmi a fare un lavoro che sia un peso per tutta la vita».Rossella Nocca

Women of EY, a caccia di donne per contrastare il gender gap nella consulenza

Un calendario di assessment “al femminile” per vincere la sfida della parità di genere in azienda. È “Women of EY”, il progetto lanciato da EY Italia lo scorso novembre: consiste in due appuntamenti mensili con assessment di gruppo riservati a ragazze. «L’obiettivo è quello di aumentare gli inserimenti al femminile» spiega alla Repubblica degli Stagisti Mauro Pozzoli, Recruiter Talent Acquisition Specialist Advisory, responsabile dell'iniziativa insieme alla collega Marta Manti: «e di farci conoscere dalle ragazze che pensano che la consulenza non possa essere il contesto giusto per loro». Ma come funziona un assessment tipo? “Women of EY” non è solo un momento di selezione, ma anche di confronto e di condivisione. Prevede infatti l’incontro con manager donne, prevalentemente interne al gruppo, che si raccontano alle candidate, cercando di sfatare i “falsi miti” sul settore. Segue un business case di gruppo con la supervisione delle manager quindi, dopo la pausa pranzo collettiva, si comincia con i colloqui con le Risorse Umane e, per chi valuta posizioni per la sede di Milano, seguono anche i colloqui direttamente con i manager. Tra le testimonianze più significative quella di Giusy Elena Atterrato, laureata in Ingegneria gestionale e a 29 anni già manager in ambito Enterprise IT Transformation, nella divisione Advisory di EY Italia. «Sono stata assunta due anni e mezzo fa come Senior Consultant e sei mesi fa, dopo soli quattro anni nel settore, sono stata promossa a manager e mi occupo di costumer relationship management digital marketing» racconta: «Voglio far capire alle ragazze che la realtà della consulenza è sì a tratti molto dura e stressante, ma è anche un ambiente dove la crescita è veloce e c’è molta meritocrazia, al di là del genere». Finora agli assessment hanno partecipato circa 130 ragazze, con una media di 27 per ogni evento, provenienti da tutta Italia, con una prevalenza di Nord, Roma, Campania e Sicilia. Per la maggior parte, erano laureate in Economia (50 per cento) e in Ingegneria gestionale (30 per cento). Dopo i primi quattro incontri, sono state assunte già 23 ragazze, mediante stage o apprendistati finalizzati all’inserimento, tra mondo Tecnology, It Enterprise Transformation, Risk Internal Audit & Compliance, Supply Chain Operation, Finance, Customer, Cyber Security e Public. La selezione in EY è diventato molto più ad ampio raggio e non esiste un profilo ideale. «Oggi assumiamo solo il 30-40 per cento nell’area Economia e Management. Se fino a qualche anno fa guardavamo meno all’ambito Stem» precisa Pozzoli: «oggi cerchiamo anche ingegneri informatici, gestionali, matematici, delle telecomunicazioni, energetici, nonché ingegneri meccanici, civili, statistici, fisici». Ma come vengono intercettate le ragazze potenzialmente interessate a entrare nell’azienda? «Il canale principale è Alma Laurea. Attraverso i filtri di ricerca individuiamo dei profili e li contattiamo telefonicamente» spiega il recruiter: «quindi li sottoponiamo a una prima selezione, che si fa da casa attraverso test psico-attitudinali, logico-numerici, verbali e di lingua inglese». Le ragazze che superano la soglia minima fissata vengono convocate per la giornata di assessment.  Quindi, una volta conclusa, in breve tempo ricevono un feedback rispetto alla selezione.I primi risultati del progetto sono già positivi: «Negli ultimi cinque mesi abbiamo raggiunto il 45 per cento di donne» racconta Pozzoli «mentre fino a ottobre la percentuale era circa del 30 per cento». Le percentuali più alte si registrano nelle aree Core Business Services (69%) e Tax (48%), mentre le più basse nelle aree Transaction Advisory Services (34%) e Advisory (40%). «Tendenzialmente la percentuale si abbassa salendo nella piramide, ma d’altronde tutte le società di consulenza sono in difficoltà da questo punto di vista», aggiunge il responsabile. Ci sono poi eccezioni positive. «Io lavoro in un team esteso di un'ottantina persone», racconta Atterrato, «dove c’è parità di genere, anzi sulle posizioni manageriali c’è una prevalenza femminile e di questo sono fiera». Women of EY è anche l’occasione per far conoscere le altre iniziative del gruppo. Fra quelle presentate, c’è “Mamme@EY”, una policy che ha l’obiettivo di bilanciare le esigenze di mamme e professioniste in EY, migliorando l’equilibrio tra vita personale e professionale e fornendo un supporto economico nei primi mesi di vita del bambino. «Le neolaureate in genere si sentono poco toccate, a tratti spaventate da questo argomento, sono concentrate su altro, e in particolare sull’internazionalità dell’azienda, sul percorso di crescita e sulla formazione», spiega Pozzoli: «Tuttavia è importante che sappiano che il loro percorso di carriera non sarà rallentato in funzione della maternità, che essa non rappresenta un ostacolo». Gli appuntamenti con Women of EY proseguiranno, per questa edizione, fino al mese di giugno. Le interessate possono scoprire ulteriori dettagli attraverso la sezione Carees del sito aziendale e le pagine social del Gruppo. Ma qual è la “ricetta” per farsi strada nel settore? «Ci vogliono forte passione, dedizione, competenza assoluta, aggiornamento continuo, carattere determinato e sicuro e intelligenza emotiva» riassume Giusy Atterrato: «Alle ragazze consiglio di non sentirsi mai svalorizzate, perché il riscontro dal mondo è determinato in primis da quello che abbiamo di noi stesse. Oggi stiamo sempre più superando i retaggi culturali e dobbiamo abbandonare noi per prime il presentimento di diversità!».Rossella Nocca