Categoria: Approfondimenti

La Garanzia Giovani nelle regioni più svantaggiate, un bilancio

La disoccupazione giovanile morde ai polpacci, in Italia: ma in alcuni posti più che in altri. Per questo non tutte le Regioni sono uguali: ve ne sono alcune che sono state raggruppate in un segmento specifico, il cosiddetto Asse I bis. Si tratta delle regioni meno sviluppate – Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia – e di quelle in transizione, Abruzzo, Molise e Sardegna.E allora, adesso che l’iniziativa Garanzia Giovani sta andando a chiudersi, è importante focalizzare come sia andata in particolare in queste Regioni in cui i giovani sono particolarmente bisognosi di supporto nel trovare lavoro. Giovani in senso lato, in questo caso, si potrebbe aggiungere: perché in queste regioni dell’Asse I bis il target di età nella fase due della Garanzia Giovani era innalzato fino ai 35 anni, a fronte del limite di 29 nelle altre Regioni (e di 25 nella maggior parte degli altri Paesi europei). Over 29 che al pari della platea più giovane potevano aderire a tutte le misure attive, ovvero accoglienza, presa in carico e orientamento, anche specialistico o di secondo livello, formazione mirata all’inserimento lavorativo, assunzione e formazione, accompagnamento al lavoro e tirocini extracurriculari. Un’altra particolarità rispetto alle altre Regioni è che in quelle dell’Asse I bis la Garanzia Giovani si “spegne” più lentamente. In Basilicata al momento il programma Garanzia Giovani è ancora attivo ed è quindi possibile per i giovani partecipare registrandosi sul portale cliclavoro Basilicata. Nell’anno in corso l’iniziativa ha attirato un numero molto più basso di iscritti, nel 2022, infatti, i giovani lucani registrati al programma sono stati 1.063 di cui due terzi, 707 persone, hanno poi cominciato una delle misure attive. Ad oggi, invece, i registrati sono appena 175, di cui più della metà, 95 giovani, hanno poi cominciato un percorso.«Nell’anno in corso hanno aderito e sono stati presi in carico 42 giovani tra i 29 e i 34 anni, mentre nel 2022 sono stati 213» spiega Maria Leone, dalla Direzione generale per lo sviluppo economico della Regione Basilicata. Per quanto riguarda invece le risorse a disposizione, la Basilicata in questa fase due della Garanzia ha avuto oltre 11 milioni 559mila euro, di cui più della metà, quasi 7 milioni, dedicati all’asse I bis quindi ai giovani tra i 29 e i 34 anni. In questo settore la quota maggiore di risorse – circa 4 milioni – è stata destinata ai tirocini extracurriculari, seguiti dal servizio civile nazionale con un milione circa di investimenti. Molto lontani l’apprendistato per questa categoria “over”, sia di primo che di terzo livello, con appena 50mila e 150mila euro.Anche in Puglia la fase due della Garanzia giovani è ancora in «piena attuazione» come conferma l’assessore al lavoro Sebastiano Leo. «Come da proroga di recente concessione, il termine di conclusione delle attività previste dalle singole misure è fissato al 30 settembre 2023. Per cui è opportuno che i giovani si registrino il prima possibile per poter avere il tempo utile di beneficiare delle politiche attive previste dal Programma». Al momento non è possibile avere il dato disagreggato del solo 2022 sul numero di giovani registrati alla Garanzia, che ammonta comunque a partire dal 2014 a circa 160mila di cui l’ottantacinque per cento è stato preso in carico. «Nel 2023 secondo dati del Sistema Puglia si sono registrati in oltre 9mila giovani, di questi quasi 6mila 300 alla formazione, più di 1.500 ai tirocini e 286 all’accompagnamento al lavoro. Alla fine del 2022 circa l’85 per cento dei giovani era stato preso in carico e per la prima fase della Garanzia l’inserimento occupazionale è stato di poco più della metà del totale giovani coinvolti in un intervento di politica attiva».«Solo per  formazione e tirocinio si stima di poter coinvolgere circa 17mila giovani pugliesi». A metà aprile le attività del programma sono state prorogate fino a fine settembre e aperte ai giovani che non studiano e non lavorano fino a 35 anni, mentre prima era solo per gli under 30. Gli oltre 100 milioni di euro avuti in dotazione nella Fase I sono stati spesi interamente, mentre non si hanno per ora aggiornamenti sulla percentuale  di spesa dei 147milioni avuti per la Fase 2.Garanzia giovani è ancora attiva anche in Calabria: per partecipare è necessario «iscriversi al centro per l’impiego e solo successivamente aderire al Programma attraverso il portale MyAnpal», spiega l’assessore al lavoro Giovanni Calabrese. Le politiche potranno essere erogate fino al 31 ottobre, con il vincolo che «per quegli avvisi che prevedono una durata relativamente lunga, potranno essere erogati a patto che la conclusione non vada oltre il termine di fine  ottobre». Anche qui non c’è differenziazione anagrafica rispetto alle misure a cui poter aderire, perché «seppur con requisiti differenti, i soggetti iscritti  al programma hanno, nel complesso, le medesime necessità di inserirsi o reinserirsi nel mondo del lavoro». Dall’inizio della Garanzia Giovani gli iscritti al programma sono circa 89mila, di cui nel 2022 poco meno di 8mila mentre per quest’anno le adesioni sono ad oggi circa 3mila 500. Il dato interessante è che tutti i giovani iscritti hanno ricevuto almeno una misura e più della metà, circa 56mila, hanno potuto usufruire di due (o più) misure.Ma salta all’occhio un dato: la stragrande maggioranza degli aderenti appartiene alla fascia medio alta di età. L’anno scorso «i calabresi tra i 29 e i 34 anni che hanno aderito al Programma sono stati 5mila 637, mentre nei primi quattro mesi di quest’anno circa 3mila». Questo significa la quasi totalità delle adesioni nell’anno scorso e più di due terzi per l’anno precedente. Le risorse ricevute per l’intero programma, quindi sia l’asse I che l’asse I bis, sono di quasi 125 milioni di euro di cui 88 milioni a gestione diretta e ad oggi la spesa complessiva è quasi totale, di circa 80 milioni.Anche in Sicilia la Garanzia Giovani è ancora attiva e si può partecipare registrandosi nel portale dedicato. Al momento, però, «risulta ancora possibile registrarsi per partecipare al programma  esclusivamente per essere avviati alla misura formativa dell’Avviso 2/2020, ovvero per le competenze informatiche o linguistiche» spiega l’assessora al lavoro Nuccia Albano: «Tutte le altre misure sono state attivate e ultimate entro il 31 dicembre 2022, ad eccezione della misura dei tirocini extracurriculari che poteva essere avviata entro la stessa data e quindi alcuni tirocini sono ancora in corso con scadenza entro fine giugno, ma non ne possono essere più attivati di nuovi», precisa l’assessore.Nel corso del 2022 si sono registrati 20mila 115 giovani e di questi hanno aderito alle misure del programma in 17mila 940, di cui però solo 10mila e mezzo sono stati effettivamente avviati alle varie misure del programma. Nell’anno in corso, invece, le  registrazioni sono state quasi nulle, poche decine. Gli over 29 precisa l’assessore, «Erano target esclusivo per l’avviso 5/2020 relativo al sostegno all’autoimpiego e autoimprenditorialità». Non è possibile al momento avere il dato disaggregato dei partecipanti over 29. Per attuare il piano sono stati stanziati complessivamente 174 milioni e 300mila euro, ma si è ancora in fase di verifica delle somme spese.La Sardegna si trova in una posizione leggermente diversa rispetto alla Sicilia, visto che fa parte dell’Asse 1 bis, ma non come regione meno sviluppata bensì in quanto “in transizione”. Al momento sono attivi i servizi di accoglienza, presa in carico e orientamento specialistico e le attività formative e i tirocini, ma gli avvisi per questi ultimi sono chiusi quindi non è più possibile iscriversi. Per partecipare si può procedere o sul sito nazionale dell’Anpal o sul sito dedicato della Regione Sardegna. «L’adesione al programma è ancora attiva e sono sempre attivi i servizi presso i centri per l’impiego per le fasi di accoglienza, presa in carico e orientamento specialistico. Per le altre schede al momento gli avvisi sono tutti chiusi» spiega Cristiana Paolotti, per la segreteria tecnica del Programma Garanzia giovani in Sardegna. Per quanto riguarda il caso specifico dell’Asse 1 bis, ovvero gli over 29, «è in fase di definizione la contrattazione per  la pubblicazione dell’avviso dedicato». Il totale risorse assegnate in prima e seconda fase è pari a 81 milioni e 760mila euro e di queste sono state rendicontati quasi 37 milioni, ovvero circa il quaranticinque per cento. In questa seconda fase della Garanzia Giovani sono state più di 18mila le adesioni alla misura di accompagnamento al lavoro  e sono stati sottoscritti 10mila patti di attivazione per i giovani fino a 29 anni, mentre i destinatari dell’orientamento specialistico sono stati circa 1.500. Quando invece si parla di soggetti coinvolti negli avvisi, gli ammessi ai corsi sono stati circa 800 per la formazione mirata e 347 per il reinserimento dei giovani tra i 15 e i 18 anni in percorsi formativi, mentre i destinatari dei tirocini sono stati 1.358. Prendendo invece in considerazione i dati di realizzazione dell’Asse 1 bis sempre nel 2022, sono stati sottoscritti circa 3mila patti di attivazione, quindi meno della metà delle adesioni, mentre gli ammessi ai corsi sempre tra i 29 e i 34 anni sono stati circa 1.800 per la formazione mirata all’inserimento lavorativo. Invece per l’anno in corso sono stati presi in carico 171 giovani fino a  29 anni e 155 tra i 29 e i 34. Mentre, per quanto riguarda solo gli under 30, quelli che hanno cominciato un tirocinio sono 425. Fin qui le risposte ottenute. Non sono giunte invece conferme ufficiali da Campania, Abruzzo e Molise.In Campania il sito dedicato alla Garanzia Giovani presenta aggiornamenti fermi a inizio 2022. Sul sistema informativo istruzione lavoro e formazione, invece, l’ultima notizia  riguarda la chiusura delle adesioni alla Misura di “accompagnamento al lavoro” lo scorso 15 maggio. Per quanto riguarda le risorse ottenute per la fase due, in Campania ammontano a 181 milioni 450mila euro, di cui la quota in assoluto più alta, 55 milioni, per tirocini extracurriculari, e di questi più della metà – 33 milioni – per gli over 29. La seconda misura con più risorse era proprio l’accompagnamento al lavoro; ora è terminata. Sul portale Cliclavoro regionale sono ancora presenti molte offerte all’interno del programma Garanzia Giovani per percorsi di apprendistato e per lavoro a tempo determinato.Anche l’Abruzzo rientra nell’asse 1 bis per l’attuazione della Garanzia giovani come regione in transizione. Le risorse ricevute per l’attuazione del piano in questa seconda fase ammontano a 26 milioni 800mila euro di cui 12 milioni sull’asse 1 e circa 15milioni sull’asse 1 bis. Nella programmazione regionale la cifra più alta di spesa, 13 milioni, è per l’attuazione dei tirocini extracurriculari solo per l’asse 1 bis, quindi per gli over 29.  Circa un mese fa, il 30 maggio, sono stati modificati i termini per la misura della presa in carico, stabilendo la conclusione al 31 dicembre 2023. Ultima regione di questa carrellata tra quelle rientranti nell’asse 1 bis come regione in transizione è il Molise. Le risorse totali avute per l’attuazione della fase II ammontano a circa 2milioni 400mila euro. La misura dedicata ai giovani fino ai 34 anni era la formazione mirata all’inserimento lavorativo per cui sono stati stanziati un milione di euro.Anche in questo caso, come per le regioni "normali" bisognerà vedere a fine anno il bilancio totale tra finanziamenti ricevuti e spese sostenute per capire quanto la Garanzia Giovani abbia, nella sua seconda fase, inciso nell'accesso al mondo del lavoro. E, soprattutto, verificare quanto questa misura europea sia stata in grado di facilitare un'occupazione stabile nel medio e lungo periodo. Marianna LeporeFoto di apertura di StartupStockPhotos da Pixabay

Garanzia Giovani in fase di chiusura: com’è andata Regione per Regione

Per capire come la Garanzia Giovani sia andata nel corso degli ultimi anni, la cosa migliore è analizzare i numeri nelle singole Regioni. Anche perché ognuna aveva la facoltà di attivare percorsi e modalità diverse sul territorio. Per questo motivo la Repubblica degli Stagisti le ha contattate tutte per avere i dati ufficiali e capire se ci sono percorsi ancora attivi e con quali esiti.Poiché il programma europeo, nella sua rimodulazione per contrastare la disoccupazione, prevedeva un ulteriore asse di intervento destinato esclusivamente alle Regioni meno sviluppate, come Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e a quelle in transizione, Abruzzo, Molise e Sardegna, per cui sono previsti margini più ampi per l’applicazione della Garanzia, in questo primo focus l’attenzione sarà solo per le altre. Ovvero per le regioni che non rientrano nell’Asse 1 bis e per cui il target di riferimento è quello dei giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in programmi di formazione: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Lazio.Innanzitutto ecco chi ha risposto alle richieste della Repubblica degli Stagisti.In Lombardia la Garanzia Giovani, finanziata dal Programma Nazionale “Iniziativa Occupazione Giovani” 2014-2020, è al suo ultimo anno di attuazione. I percorsi previsti dal Piano lombardo si concludono entro il 31 luglio 2023. «Nelle more dell’avvio del nuovo Programma nazionale “Giovani, Donne e Lavoro” per il periodo 2021-2027 in capo ad Anpal, Regione Lombardia ha garantito continuità nelle politiche rivolte ai giovani ammettendo destinatari di età compresa tra i 16 e i 30 anni nel programma GOL finanziato dal Pnrr», spiega Paola Angela Antonicelli, dirigente dell’unità operativa Mercato del Lavoro della Regione Lombardia: «Dal 21 aprile i giovani interessati a un percorso di politica attiva possono, infatti, aderire al programma Gol a valere sul Pnrr tramite il portale regionale».Le misure attive al momento sono quattro: i percorsi avviati e i progetti ammessi nell’ambito dei quattro bandi finanziati con il Pon Iog 2014-2020 «sono in fase di erogazione e si concluderanno entro il 31 luglio». Le quattro linee attivate per la seconda fase del programma sono: multimisura, formazione rafforzata, recupero dispersione scolastica, servizio civile. La linea multimisura è «un percorso personalizzato che considera le diverse esigenze e caratteristiche dei giovani offrendo un insieme di servizi erogati tra diversi operatori, pubblici e privati, per il miglioramento delle competenze per accedere al mondo del lavoro e con modalità che tendono ad incentivare il risultato occupazionale», spiega Antonicelli. La linea formazione rafforzata consiste invece in «percorsi di formazione e tirocinio in azienda, per qualificare o riconvertire il profilo professionale dei giovani neet. La linea recupero dispersione scolastica è destinata ai ragazzi dai 16 ai 18 anni che hanno abbandonato il percorso di studio e sono privi di un titolo di istruzione e formazione di secondo ciclo e sono disoccupati». La linea servizio civile infine «è un’opportunità per incrementare le conoscenze dei giovani negli ambiti dell’assistenza alle persone, alla protezione civile, dell’ambiente, dei beni culturali, dell’educazione e della promozione culturale, anche per potenziare competenze ed integrarne di nuove utili per l’inserimento nel mondo del lavoro». Dall’elenco resta fuori Selfiemployment che è una misura gestita a livello nazionale dal soggetto Invitalia.Che il programma sia agli sgoccioli lo confermano anche i numeri: nel 2022 oltre 19mila giovani hanno aderito alla Garanzia in Lombardia, quest’anno solo circa 3.600. Lo scorso anno quelli che, confermati i requisiti di ammissibilità dei bandi, «hanno potuto avviare un percorso di politica attiva sono stati oltre 15mila, nel 2023 sono invece circa 3mila». Durante la Fase 2 del programma, quindi nel periodo 2019-2023, «Regione Lombardia ha raggiunto oltre 74mila giovani Neet che hanno avviato percorsi per un valore totale di circa 202 milioni di euro».In Friuli Venezia Giulia non è attivo un portale regionale né ci sono più misure regionali attive, quindi i giovani interessati possono continuare a registrarsi solo sul sito nazionale. Anche qui, spiegano dalla Segreteria dell’assessorato al lavoro, fino a pochi giorni fa risultava «ancora attivo il Fondo Selfiemployment» che ha chiuso l’ultimo sportello agevolativo “microcredito” proprio il 15 giugno 2023. Per quanto riguarda i numeri, «nel 2022 si sono iscritte alla Garanzia Giovani 2.945 persone e di queste hanno aderito o cominciato azioni di politica attiva erogate dai centri per l’impiego regionali in 2.666. Quest’anno, invece, si sono iscritti 52 giovani, nei mesi di gennaio e febbraio, e 25 hanno cominciato una politica attiva». Anche in Veneto non ci sono più attività in corso in Garanzia Giovani, e l’unica per cui sarebbe ancora possibile registrarsi, selfiemployment, è arrivata ad esaurimento delle risorse per questa regione. «L’ultima iniziativa avviata è stata il bando “Il Veneto Giovane” del dicembre 2020 che ha visto l’approvazione di oltre venti progetti che nel biennio 2021 – 2022 hanno coinvolto circa 1.500 giovani Neet in percorsi multimisura» spiega Barbara Battistella dell’ufficio stampa della Regione. I percorsi attivati includevano «le misure di orientamento specialistico, formazione mirata all’inserimento lavorativo, tirocinio extracurriculare e accompagnamento al lavoro oppure sostegno all’autoimpiego all’autoimprenditorialità, a seconda che il giovane fosse più orientato verso l’inserimento lavorativo come dipendente o verso l’avvio di una propria attività. Le attività progettuali si sono concluse definitivamente a marzo 2023».Anche in questo caso i numeri raccontano che non tutti i registrati al Programma hanno poi stipulato il patto di servizio presso il centro per l’impiego. «I giovani che hanno aderito sono stati 2.728, di questi circa 2mila hanno stipulato il patto. Si nota una diminuzione delle adesioni al programma e a dei Patti di servizio nel corso dell’anno: gli ultimi progetti del bando “Il Veneto Giovane” sono stati avviati verso la metà del 2022». Lo scorso anno «512 giovani  hanno iniziato una misura» e al momento sono stati spesi circa i due terzi del totale risorse assegnate. Nella provincia di Trento «sono ancora in corso di realizzazione tre percorsi della Garanzia Giovani e proseguiranno fino a fine 2023: sono i percorsi di formazione, tirocinio extracurriculare, accompagnamento al lavoro, orientamento specialistico e servizio civile. Era possibile aderire sul portale nazionale  o attraverso il sito di Trentino Lavoro entro il 20 aprile», spiega Gianna Zortea dell’ufficio stampa della Regione.Nel caso di Trento, il numero di adesioni è praticamente il doppio di quello di coloro che poi sono stati presi in carico. «Dall’avvio del programma al 30 dicembre 2022 hanno effettuato l’adesione on line 19.242 giovani provenienti da tutta Italia mentre hanno svolto un colloquio e sottoscritto il Patto di servizio, scegliendo uno dei percorsi proposti dalla Provincia, complessivamente 10.315 giovani. Fino al 31 marzo 2023 sono stati circa 130 a registrarsi online e 65 a sottoscrivere il Patto». Le risorse totali assegnate e non spese «saranno destinate a un incentivo assunzionale per giovani neet gestito da Anpal».Tuttora in fase di realizzazione il programma anche in Liguria, dove dal primo maggio sono chiuse le adesioni in coerenza con i termini indicati da Anpal e le attività proseguiranno fino a fine agosto. Le misure attivate sono state di orientamento specialistico, formazione mirata all’inserimento lavorativo, accompagnamento al lavoro, tirocinio extracurriculare, servizio civile, sostegno all’autoimpiego e autoimprenditorialità. «Al 28 aprile risultano registrate 6.881 adesioni di cui 2.460 riferite al 2022 e 739 al 2023. Dal totale delle adesioni registrate» precisa Andrea Cacciavillani del settore politiche del lavoro del dipartimento agricoltura, turismo, formazione e lavoro della Regione Liguria, «è necessario eliminare 2.839 adesioni annullate, cancellate o chiuse senza presa in carico da parte dei cpi, prevalentemente per dimissioni da parte del giovane o per mancanza di requisiti». Alla data di fine aprile hanno usufruito almeno di un servizio di politica attiva poco più di mille giovani nel 2022 e 307 nel 2023». In Emilia Romagna è l’indagine annuale Benessere Equo e Sostenibile 2022 dell’Istat a raccontare un trend positivo in termini di riduzione del fenomeno Neet in particolare per la componente femminile. «Fino al 30 aprile era possibile accedere ai percorsi per l’inserimento lavorativo, dopo è possibile accedere a quelli formativi. I giovani interessati possono registrarsi sul portale nazionale e sul regionale “Lavoro per Te”», spiega Claudia Gusmani, responsabile PO attuazione e controllo del programma Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori e Garanzia Giovani della direzione generale Lavoro della Regione Emilia Romagna. Da registrati i giovani potevano accedere a una delle sette misure presenti, quindi o a misure di accompagnamento al lavoro, come per esempio i tirocini, l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, o a percorsi formativi. Diversa la situazione, invece per altre misure «quali Selfiemployment o Yes I Start Up, regolate e gestite direttamente dalle istituzioni nazionali, ma i centri per l’impiego  dell’Emilia Romagna effettuano, su richiesta del giovane neet interessato, la presa in carico preventiva se necessario all’accesso a queste misure».Anche qui i giovani registrati non hanno poi tutti continuato nella ricerca di una misura ideale della Garanzia, infatti «nel corso del 2022 hanno aderito 11.339 persone, ma anche a seguito della verifica del requisito neet che effettuano i centri per l’impiego hanno poi sottoscritto il programma in 9.198, di cui 7mila 219 hanno attivato almeno una misura», spiega Gusmani. Più contenuti i numeri per l’anno in corso, di fatto più breve per l’attuazione delle misure. «Nel 2023 hanno aderito 6.267 persone di cui poco più di 5mila hanno realmente sottoscritto il programma e 2.949 hanno cominciato una delle misure attive». Nell’ultimo anno di applicazione «è stata prevista quale ulteriore misura attuativa del programma un’offerta di percorsi di IeFP per il conseguimento di una qualifica professionale per i giovani Neet dai 15 ai 18 anni che  permette il pieno utilizzo delle risorse assegnate».Fin qui le risposte ottenute dalla Repubblica degli Stagisti contattando gli uffici regionali. Per la regione Piemonte è stato possibile ricavare alcuni dati dal report sui Tirocini in Piemonte, annualità 2018-2022, a cura dell’Agenzia Piemonte Lavoro e della Regione stessa. Dal report si evince che i tirocini attivati lo scorso anno in Garanzia Giovani sono stati 735, ovvero un terzo in meno rispetto all’anno precedente. Come in tutti gli altri casi, non è possibile al momento registrarsi sul sito regionale  essendo conclusa la fase di adesione. Dal Report di monitoraggio “Buoni servizi lavoro” a cura del settore Politiche del lavoro della Regione Piemonte pubblicato a gennaio di quest’anno, si evince che anche in questo caso i presi in carico, 26mila giovani, sono superiori agli effettivi avviati al lavoro, circa 23mila. La maggioranza, quasi sei su dieci, uomini e quasi il sessanta per cento del totale nella provincia di Torino. Anche la regione Toscana non ha risposto alle richieste della Repubblica degli Stagisti ma è possibile desumere alcune informazioni dall’ultimo rapporto di monitoraggio al 31 marzo di quest’anno: per esempio che la spesa più alta della regione è stata per il reinserimento dei giovani tra i 15 e i 18 anni a cui segue quella dei tirocini extracurriculari. A fine marzo i tirocini attivati sono stati oltre 4mila e 800.Nessuna risposta ricevuta nemmeno da Valle d’Aosta, Marche e Lazio. Analizzando i siti  regionali si scopre che in Valle d’Aosta i progetti sono terminati a marzo di quest’anno. Secondo il piano di attuazione regionale della fase II, si scopre che una cospicua parte delle risorse è stata destinata ai tirocini extracurriculari, che erano possibili anche in mobilità geografica. Non è possibile reperire dati sul numero di tirocini attivati.Nelle Marche i tirocini andavano attivati entro il 30 giugno e per capire come sia andata si può trarre qualche conclusione dal rapporto di monitoraggio sull’esito dei tirocini extracurriculari pubblicato dalla Regione con le ultime informazioni disponibili a gennaio 2023. I tirocini attivati in Garanzia giovani fase due - dalla pubblicazione del decreto a tutto il 2022 - sono stati 896, di gran lunga meno dei circa 3mila 400 che era l’biettivo prefissato, di cui 162 lo scorso anno. Il dato interessante è quello riguardante lo sbocco occupazionale: a tre mesi dalla conclusione del percorso di stage, quasi il 55 per cento dei tirocini attivati in Garanzia giovani è sfociato in un rapporto di lavoro, nella grande maggioranza all’interno della stessa azienda. Circa la metà con contratti di apprendistato, a cui seguono per numero quelli a tempo determinato. Gli esiti positivi staccano di sei punti percentuali quelli di uno stage “normale”.Infine il Lazio: regione con un alto tasso di tirocini attivati ogni anno e da cui, nonostante le numerose richieste e sollecitazioni, non è stato possibile avere dei dati ufficiali. Le attività si sono chiuse a marzo di quest’anno. Anche qui, dunque, parlano i documenti disponibili in rete, che raccontano come più della metà delle risorse assegnate siano state distribuite per l’attuazione di tirocini extracurriculari.Questa, dunque la situazione delle regioni che non aderivano all’asse I bis della Garanzia Giovani. Per tutte si può concludere che il 2023 non è stato un anno di grandi adesioni. E quasi tutte le Regioni hanno investito le risorse assegnate principalmente per l’attuazione di tirocini extracurriculari, puntando meno su altri percorsi di avviamento al lavoro. Resterà ora da vedere, scaduto questo programma europeo, quali risorse consentiranno alle regioni di continuare nel percorso di avvicinamento dei giovani al mondo del lavoro. Marianna Lepore

Alto apprendistato: tanti vantaggi, eppure nessuno lo usa. Tranne rare eccezioni

È l’apprendistato con il minor numero di adesioni: secondo gli ultimi dati di fonte Inps disponibili riferiti al 2020, su circa 531mila rapporti di lavoro in apprendistato in corso quell’anno, solo 1.277 erano di terzo livello, contro i 10.686 di primo livello e i 519.072 professionalizzanti. In pratica una tipologia quasi inesistente, anche se in crescita (del 10%...) rispetto al 2019.Il XX Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato Inapp Inps, mostra come praticamente quasi tutti i rapporti di lavoro di terzo livello siano attivati in due sole regioni: Piemonte e Lombardia, che raccolgono oltre il settanta per cento di questo segmento di apprendisti. I restanti – poche decine di persone – si distribuiscono in otto regioni e in particolare in Lazio, Veneto, Sicilia ed Emilia Romagna.Altri dati: gli apprendisti di terzo livello sono principalmente uomini, sette su dieci nel 2020. Quasi due terzi hanno tra i 25 e i 29 anni e poco più di un quinto tra i 18 e i 24 – abbastanza comprensibile, dato che questo tipo di apprendistato si rivolge a chi sta  compiendo o ha già concluso un percorso universitario. Le principali attività in cui si trovano più rapporti di lavoro in questa tipologia sono la manifatturiera, quelle professionali e servizi di supporto alle imprese e il settore metalmeccanico: in totale raccolgono oltre il 70 per cento degli apprendistati di terzo livello.L’apprendistato di alta formazione e ricerca, come gli altri tipi di apprendistato, è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani. In questo caso l’apprendista ha la possibilità di lavorare e contemporaneamente conseguire un titolo di istruzione terziaria, universitaria o post universitaria, svolgere attività di ricerca oppure il praticantato previsto per l’accesso alle professioni ordinistiche. In pratica mentre lavora il giovane assunto in questo modo può dedicare una parte delle ore previste dal contratto allo studio e al conseguimento di un titolo.La maggioranza degli apprendistati di questo tipo è concentrata in particolare nello svolgimento di un master universitario: più di due terzi del totale. Segue il percorso finalizzato al conseguimento di un diploma di tecnico superiore e poi, con numeri esigui, ci sono gli apprendisti iscritti in percorsi di dottorato, laurea e attività di ricerca. Praticamente nullo l’apporto del contratto di apprendistato che consente di svolgere il periodo di praticantato necessario per l’ammissione all’esame di Stato e l’abilitazione all’esercizio di una professione ordinistica. Probabilmente perché, scrive il rapporto Inapp – Inps, «risente delle difficoltà di raccordo con i regolamenti previsti dagli ordini professionali sul tema». I master sono, quindi, più attrattivi come percorso di alto apprendistato perché sono progettati per rispondere alle esigenze formative professionali delle aziende coinvolte. E poi perché consentono una maggiore flessibilità organizzativa rispetto, ad esempio, ai percorsi di laurea.Per anni accesso privilegiato dei giovani al mondo del lavoro, specialmente nell’artigianato, l’apprendistato assume la forma ad oggi conosciuta nel 2003 con il decreto legislativo numero 276 che introduce la distinzione tra le tre tipologie tutt’ora vigenti. Negli anni seguenti ci sono state diverse modifiche fino all’approvazione, nel 2011, del Testo unico sull’apprendistato. Il percorso di modifica non si è fermato lì, perché già la riforma Fornero del 2012 ha introdotto la durata minima, fissata a sei mesi, e negli anni seguenti altri cambiamenti sono stati apportati fino ad arrivare al decreto legislativo 81 del 2015, ancora valido. Per evitare che un eventuale ritardo negli accordi tra le Regioni e le associazioni datoriali compromettesse il suo utilizzo, in questo testo si prevede la possibilità di attivare percorsi di apprendistato di terzo livello stipulando apposite convenzioni tra singoli datori di lavoro o associazioni e le università, gli istituti tecnici superiori e altre istituzioni formative o di ricerca.Per quanto riguarda la durata si va da un minimo di sei mesi a un massimo che non può essere superiore al tempo totale del percorso di studi, quindi due anni per un master biennale oppure tre per la laurea o per l’apprendistato di ricerca. Mentre per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche è definita in rapporto al conseguimento dell’attestato di compiuta pratica.Caratteristica tipica del contratto di apprendistato – non solo di quello di terzo livello, ma di ogni tipo – è la sua stabilità: se al termine della fase formativa le parti non recedono dal rapporto, questo prosegue in automatico come un tempo indeterminato.Ed è un vero peccato che l’ “alto apprendistato” sia così poco utilizzato, perché esso consente una forte accelerazione delle capacità per gli apprendisti e diventa una «formula vincente per tutti», come assicura Roberta Morici, responsabile dei programmi di formazione di Cefriel che, in partnership con Bip, ha creato il master in Cloud Data Engineer inserendo in azienda i partecipanti – una quindicina per ogni edizione – proprio con la formula dell’Alto apprendistato.«Abbiamo cominciato la sperimentazione di questa formula nel 2006, quando siamo stati chiamati da Assolombarda per ragionare sulla fattibilità di realizzare dei master universitari all’interno del contesto dell’alto apprendistato, che è attuabile solo se c’è un’istituzione che mette in piedi un piano formativo, associato al contratto di lavoro» spiega Morici. Cefriel, come consorzio del Politecnico di Milano, ha l’incarico per la progettazione, erogazione e gestione di master universitari di primo e secondo livello. Approvata la legge sull’apprendistato nel 2006, visti i finanziamenti pubblici offerti dalla regione Lombardia, e l’azione di Assolombarda, «ci sembrava un’ottima occasione proporre percorsi di alto apprendistato per rispondere alla richiesta delle nostre aziende di assumere e formare persone specializzate sui temi IT, così siamo stati l’ente di formazione giusto nel momento giusto. Siamo partiti come sperimentazione e da allora non ci siamo più fermati!».Per Cefriel questo contratto «è lo strumento migliore per avvicinare i giovani laureati al mondo del lavoro. Possono avere un’occupazione a tempo indeterminato, migliorare le proprie conoscenze e competenze nell’ambito specifico per il quale sono stati assunti: insomma la più vantaggiosa esperienza nel mondo del lavoro che un ragazzo fino ai 29 anni, così dice la normativa oggi, possa fare». Visto che Cefriel si occupa di innovazione digitale, lo studente/lavoratore tipo è l’ingegnere informatico o l’informatico - anche se il bacino di utenza si è allargato a laureati in ingegneria elettronica, data science, statistica, matematica. Non solo, negli ultimi tempi ci sono anche master come quello in innovazione digitale in cui il target tipo è il laureato stem, ma anche in lettere, filosofia o lingue.Il master in Cloud Data Engineer in partnership con Bip è uno dei tanti attivato in collaborazione con un’azienda. «Abbiamo già erogato tantissimi master in alto apprendistato: oltre 50 dal 2006 ad oggi. In questo arco di tempo abbiamo formato circa 800 apprendisti, con una media di 16 ragazzi per ogni master» racconta Morici. «Molte altre aziende hanno colto questa opportunità: ricordiamolo, è una misura che incentiva le assunzioni» e quindi c’è anche un diretto «beneficio  per chi assume».Cefriel ha costruito percorsi formativi in alto apprendistato con e per alcune società di consulenza come Bip, PwC e Deloitte, che assumono molti laureati, e tra le aziende industriali ci sono Allianz, Banco BPM, Bosch, Nestlé, Sara Assicurazioni, ST Microelectronics, Unicredit. «Alcuni dei master, come quello con Bip, sono dedicati a una sola azienda che crea la sua classe di apprendisti, personalizzando i contenuti per le proprie figure professionali, mentre altri sono interaziendali e offrono il vantaggio di scambio e networking tra i partecipanti di aziende diverse».Scopo di questo contratto è rilasciare un titolo di terzo livello, per questo i partecipanti devono essere laureati, la procedura è quella dell’assunzione e «non c’è particolare complessità nell’attivare questo contratto e Cefriel garantisce tutto il supporto per le necessarie procedure. Semmai ci sono dei vantaggi», spiega Morici. «L’azienda può inquadrare fino a due livelli  inferiori rispetto a quello di destinazione finale, anche se non tutte lo fanno perché è meno attrattivo per il ragazzo. Poi c’è un’agevolazione contributiva al 10 per cento riconosciuta anche  per i 12 mesi successivi all’acquisizione della qualifica finale, ed è quella che maggiormente attrae le aziende. Il terzo vantaggio è uno sgravio sulla contribuzione». La Regione Lombardia garantisce, poi, da molti anni un finanziamento per questa formula: «l’attuale bando è stato appena prorogato fino a ottobre, quindi ci sono ancora risorse disponibili: un’opportunità da non perdere».  A questi vantaggi si aggiunge per il partecipante «la combinazione di studio e lavoro: entri nel mercato del lavoro, non solo guadagni ma fai esperienza e contemporaneamente ti formi con un master che ti va a specializzare progettato ad hoc sull’esigenza dell’azienda». Ci si specializza sia come studio che come project work. «È una sorta di acceleratore della professione e di carriera».Perché, dunque, nonostante tutti questi aspetti positivi, l’apprendistato di terzo livello è ancora così sottoutilizzato? «C’è un problema di visibilità, bisognerebbe lavorare  maggiormente con le aziende a livello confindustriale». Alcune, quando viene proposto l’apprendistato di terzo livello, dimostrano curiosità. «È un peccato non conoscano questa bellissima opportunità. Per questo motivo hanno inizialmente una barriera di diffidenza, probabilmente legata al fatto che il ragazzo deve anche studiare, quindi l’azienda pur assumendolo full time di fatto ce l’ha a disposizione per meno tempo». Ma le diffidenze poi scompaiono, assicura Morici: «Chi l’ha adottato è entusiasta e infatti facciamo tantissimi master ripetuti negli anni». Per quanto Cefriel si interfacci inizialmente solo con le aziende, che selezionano direttamente in autonomia i candidati, durante il master ha modo di seguire i giovani e ricevere i loro feedback, che sono a loro volta entusiasti: perché oggi poter allo stesso tempo studiare, formarsi, lavorare (e guadagnare!) è, in un certo senso, un privilegio. Di cui ancora troppi pochi giovani in Italia possono purtroppo godere.Marianna Lepore

Le donne vengono pagate di meno? Perché ancora manca una vera condivisione del lavoro di cura

Il gender pay gap consiste nel divario retributivo tra uomini e donne a parità di mansioni. Un fenomeno che si verifica in tutto il mondo. Ma quando si parla di gender pay gap in Italia bisogna fare attenzione a come si leggono i dati. Perché se a prima vista sembrerebbe che il nostro Paese sia tra quelli che meno risentono del problema, la realtà – andando a scavare – è invece all'opposto. Ed è fatta di donne «che guadagnano meno degli uomini e hanno un minore tasso di occupazione» sintetizza con la Repubblica degli Stagisti Paola Bocci [nella foto a destra], consigliera regionale del Pd in Lombardia. Secondo il rapporto People at Work dell'Adp Research Institute, tra i 2mila lavoratori italiani analizzati nel 2022 la retribuzione maschile è aumentata del 5,8 per cento, rispetto al 5,2 per cento di quella femminile. Lo stesso si evince dai dati rilasciati da Eurostat in occasione dell'8 marzo e calcolati sul 2020, per cui se si guarda alla sola retribuzione oraria lorda, la differenza tra donne e uomini è di appena il 4,2 per cento, contro la media dei ventisette Paesi Ue del 12,7 per cento. Il gender pay gap sembrerebbe tutto sommato qualcosa di poco conto. L'istituto di ricerca europeo, quando parla del 4 per cento, fa però riferimento all'unadjusted pay gap, ovvero a un dato che non tiene conto di alcuni fattori. Se si guarda infatti al gender overall earnings gap, l'Italia inverte la propria posizione con una percentuale di divario che passa al 43 per cento, sopra la media Ue che è invece del 36,2. Il motivo è che in questo tipo di analisi sono inclusi altri tre fattori, come spiega sul sito Eurostat. E sono la retribuzione media oraria, la media mensile del numero di ore pagate e il tasso di occupazione. Anche la ricerca dell'Adp Research Institute fornisce dati analoghi: nel 2022 solo il 36 per cento delle donne ha avuto un aumento salariale, rispetto invece al 50 per cento degli uomini. Eppure a voler intervenire per uguagliare le paghe di uomini e donne, una normativa apposita in Italia ci sarebbe già. Ed è la legge Gribaudo per la parità salariale, che prevede una serie di obblighi per le aziende sopra i 50 dipendenti, tra cui quello della certificazione della parità di genere. Peccato non sia operativa, «perché mancano i decreti attuativi» spiega Bocci. Che a sua volta è stata prima firmataria di due progetti di legge regionale per il superamento della disparità salariale, «depositati rispettivamente nel 2019 e 2021, in quest'ultimo caso con approvazione bipartisan». Lo scopo è adesso quello di far arrivare in porto l'iniziativa, anche in vista del recepimento della direttiva europea di marzo scorso sulla trasparenza salariale, che tra le altre cose vieta anche i vincoli riservatezza sulle retribuzioni. Una riforma che potrebbe portare a qualche avanzamento sul tema del gender pay gap. Il dato italiano del 4,2 per cento è poi inficiato anche da altri elementi. Il primo è che «c'è tutto un mondo sommerso, che è quello delle libere professioni» commenta Bocci. In questo settore «abbiamo ricerche secondo cui il divario arriverebbe perfino al venti per cento. Quanto poi ai dati Eurostat, l'indagine è parziale perché si basa su imprese con più di dieci dipendenti, quando il tessuto produttivo italiano è composto proprio in larga parte da imprese sotto i dieci dipendenti. In più, il fatto che anche lo stesso unadjusted pay gap del 4 per cento si basa sul lavoro nel comparto pubblico. Lo stesso dato infatti triplica e sale al 15 per il settore privato, sempre guardando ai dati del 2021. «Secondo i nostri dati» segnala alla Repubblica degli Stagisti Lara Ghiglione [nella foto a sinistra], responsabile delle politiche di genere della Cgil, «il divario di genere nell'ambito privato arriva perfino al 27 per cento». La strada per la parità di salario tra uomini e donne è insomma ancora lunga: vanno prima sradicate le cause che la impediscono. In primis c'è «la frammentarietà della carriera delle donne» sottolinea Bocci, «non solo nei periodi che riguardano la maternità, ma anche quando si va verso la pensione e si hanno in carico gli anziani». È la prima penalizzazione per il lavoro femminile, «anche perché il sistema è strutturato in modo da premiare la presenza fisica sul posto di lavoro». Fanno la loro parte «anche i congedi, utilizzati come sappiamo per lo più dalle sole donne». Alla base di tutto «c'è il tema della condivisione del lavoro di cura, che non è ancora risolto per aspetti culturali». Un tema focalizzato anche dal recente saggio Non è un Paese per madri di Alessandra Minello [pubblicato da Laterza, qui la nostra recensione].Affinché le donne «liberino energie da dedicare al lavoro devono esserci servizi, sia per l'infanzia che per gli anziani». E poi per intervenire nel contrasto al gender pay gap «bisogna iniziare già dall'orientamento e dalla formazione» evidenza Bocci. «In modo tale che non siano precluse alle ragazze le materie tecnologiche, che sono quelle con le migliori retribuzioni». Perché una delle ragioni per cui le donne sono meno pagate «non è solo il percorso accidentato delle loro carriere, ma è proprio che i comparti in cui sono occupate sono spesso i più precari e quelli con minori remunerazioni». Dal lato dei sindacati, ragiona Ghiglione, il problema si concentra sulla limitata applicazione della contrattazione nazionale, «che prevede un salario uguale per uomini e donne ma non vale erga omnes», bensì solo per chi aderisce. Ilaria Mariotti

Garanzia Giovani in Italia esiste ancora?

Garanzia Giovani esiste ancora? Sì e no. Il programma, avviato giusto giusto un decennio fa con fondi europei con l’obiettivo di “garantire a tutti i giovani al di sotto dei 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale”, è stato rifinanziato nel 2016. Poi nell’ottobre del 2020, post crisi dovuta alla pandemia Covid, c’è stata una Raccomandazione del Parlamento europeo per sollecitare i Paesi coinvolti nell’attuazione del programma, tra cui l’Italia, ad attuare una Garanzia Giovani rafforzata a partire dal 2021. L’obiettivo è sempre quello di fornire un’opportunità qualitativamente valida di occupazione, formazione permanente, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall’inizio della disoccupazione a tutti i giovani questa volta di età inferiore ai 30 anni. L’età è stata innalzata perché nel frattempo la pandemia ha fatto rialzare le percentuali di neet in Europa.La Garanzia Giovani poteva attuarsi attraverso varie modalità eppure, secondo quanto confermato dalle informazioni che la Repubblica degli Stagisti ha ottenuto dalle singole regioni, quasi ovunque nel corso degli ultimi due anni – e anche nei precedenti otto – ha avuto un unico significato, tirocinio. Tranne in Puglia dove la percentuale di formazione erogata è stata molto alta, in quasi tutte le altre regioni più della metà delle misure è consistita in stage. Eppure la Garanzia prevedeva molte misure: l’orientamento, la formazione, l’accompagnamento al lavoro, ma anche l’apprendistato, declinato nelle sue tre modalità, i tirocini, il servizio civile, e il sostegno all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità.Ora il programma, quantomeno in Italia, è giunto quasi al capolinea: verrà, infatti, inglobato e in pratica sostituito da Gol. Anzi, per esempio in Lombardia questo avvicendamento è già avvenuto. Qui, infatti, i percorsi previsti dal piano di attuazione pon iog si concludono entro il 31 luglio, ma visto l’avvio del nuovo programma nazionale “Giovani, Donne e Lavoro” per il periodo 2021-2027, «Regione Lombardia ha garantito continuità nelle politiche rivolte ai giovani» ammettendo destinatari tra i 16 e i 30 anni nel programma Gol a partire dal 21 aprile, quando i «giovani interessati a un percorso di politica attiva possono aderire al nuovo programma a valere sul Pnrr tramite il portale regionale», come spiega alla Repubblica degli Stagisti Paola Antonicelli, dirigente dell’unità operativa Mercato del Lavoro della Regione Lombardia.In Puglia, invece, regione che pure faceva parte dell’asse della Garanzia dedicato alle regioni meno sviluppate o, come il caso pugliese, in transizione, era possibile per alcune misure innalzare l’età dei destinatari delle misure dai 30 ai 35 anni. Per questo motivo l’assessore al lavoro Sebastiano Leo  ha innalzato ad aprile l’età dei destinatari della Garanzia pugliese fino ai 35 anni e ampliato le modalità applicative della formazione fino al 50 per cento a distanza. Questo per consentire anche il raddoppio della capienza per numero di frequentanti. E ha prorogato la scadenza delle attività al 30 settembre.Sempre in vista del programma Gol, la Campania ha, invece, sospeso da qualche settimana la misura 3 della Garanzia Giovani, in attesa del decreto regionale che ufficializza tutti i servizi previsti all’interno del Programma Gol, arrivato pochi giorni fa.Le motivazioni che hanno consentito l’innalzamento dell’età ai 30 anni per la Garanzia Giovani sono le stesse che per le regioni del Sud Italia hanno consentito un ulteriore allargamento del bacino fino ai 34 anni. È il caso dei residenti in Abruzzo,  Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia che, grazie all’iniziativa Asse 1 bis, rivolta alle persone che risiedono nelle regioni meno sviluppate e in transizione  del Paese, possono accedere al programma anche senza aderire formalmente e se si sta frequentando un corso di formazione o istruzione. Ogni regione poteva organizzare, coordinare e gestire le iniziative sul suo territorio attraverso i centri per l’impiego e gli enti privati accreditati. Come si vede dagli altri due approfondimenti della Repubblica degli Stagisti con i dati ottenuti dalle Regioni sui partecipanti alla Garanzia, il numero totale di percorsi attivati, principalmente tirocini, non corrisponde mai alle adesioni registrate. E soprattutto nel corso del 2023 le attivazioni sono state bassissime, con una fase due che raramente ha visto il volo. Ogni regione, poi, potendo liberamente pianificare le attività, ha avuto modo di attivare alcuni percorsi e chiuderli in tempi diversi. Per alcune, infatti, sono state chiuse le adesioni alle attività già da inizio maggio, mentre altre hanno i percorsi in pieno svolgimento e qualcuna ha prorogato i termini – è il caso non solo della Puglia ma anche dell’Abruzzo, che ha posticipato i termini della presa in carico al 31 dicembre, e della Calabria, che per alcuni avvisi permette la conclusione entro fine ottobre.Secondo i dati pubblicati a fine maggio dall’Agenzia nazionale politiche attive per il lavoro (Anpal) – che pur interpellata più volte dalla Repubblica degli Stagisti non ha mai risposto alle richieste dei numeri – relativi all’attuazione della Garanzia nel periodo 2014-2022, il numero maggiore di registrazioni proviene dal Sud, che praticamente raddoppia nord ovest, nord est e centro. E tranne che nella fascia dai 25 ai 29 anni, le adesioni sono sempre più numerose dei maschi.Sempre Anpal, che gestisce il programma Garanzia Giovani, ha recentemente comunicato l’aumento dell’importo delle indennità di tirocinio extracurriculare per gli stage extracurriculari e per quelli in mobilità nazionale e trasnazionale. A partire dalla mensilità successiva al 25 maggio, l’importo delle indennità per i tirocini in svolgimento è aumentata da 300 a 500 euro. Il documento, a firma del dirigente Pietro Orazio Ferlito, precisa che la rimodulazione vale per tutti i soggetti anche disabili e/o svantaggiati. Questo significa, quindi, che «la soglia massima dell’indennità mensile a carico del Pon Iog è pari a 500 euro».Insomma gli ultimi anni non sono stati felici per la Garanzia che, compiuti i dieci anni, ormai volge al termine. Dopo il calo di registrazioni e avviati a una misura avuto nel 2020 causa pandemia, non c’è mai stata una  vera e propria ripresa visto che già nel 2021 le cifre non hanno mai raggiunto quelle di due anni prima.Ultima questione che potrà essere valutata solo a chiusura completa, sarà la capacità italiana di spendere, e di conseguenza investire sui giovani, tutte le risorse avute dall’Unione europea. Perché i dati precedenti non sono entusiasmanti. Da un’inchiesta del Sole24Ore, infatti, risultava che a inizio anno l’Italia non avesse speso circa 8 miliardi di fondi europei della precedente programmazione europea 2014-20: e se non verranno usati entro quest’anno andranno persi. Di questi 8 miliardi, 2,8 erano dell’Iniziativa occupazione giovani, in cui rientra la Garanzia, e l’Italia al 31 dicembre ne aveva spesi solo 1,8 miliardi. I risultati finali si avranno tra sei mesi, quando si scoprirà se le politiche dell’ultimo anno saranno riuscite a invertire la rotta. Marianna Lepore Foto di apertura di Werner Heiber da Pixabay

Apprendistato, contratto giusto per i giovani: perché alcune aziende lo amano (e troppe altre invece no)

Quando si parla di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani si parla quasi sempre di tirocinio, un periodo di orientamento e formazione che consente di muovere i primi passi in contesti lavorativi, ma che di fatto non è un vero contratto di lavoro. Per quanto negli ultimi anni nella regolamentazione degli stage si siano fatti importanti passi avanti anche per quanto riguarda il rimborso spese, esiste un vero contratto fatto apposta per i giovani, ma spesso dimenticato: l’apprendistato. Il governo Meloni sembra voglia rilanciarne l’uso, ma è presto per dire come andrà a finire – e del resto non è la prima volta che la politica annuncia di voler battere questa strada, ma la realtà è che finora nessun governo è riuscito a lanciare veramente questa  tipologia contrattuale. Partiamo dai numeri: poiché l’ultimo rapporto di monitoraggio Inapp – Inps è stato pubblicato nel luglio 2022 e analizza i dati del triennio 2018 – 2020, e il prossimo non sarà reperibile prima di qualche mese, per avere un’idea dell’andamento dell’apprendistato negli ultimi anni si possono analizzare i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps. Nel corso del 2022 ci sono state 350.883 assunzioni in apprendistato in tutta Italia, con un picco di oltre 37mila nel mese di settembre. Le donne che sono riuscite ad accedere a questo contratto sono state meno della metà, solo 140mila. La Regione in cui l'apprendistato viene più utilizzato è la Lombardia – lo scorso anno ne sono stati attivati oltre 68mila – seguita a distanza dal Veneto con quasi 42mila e dal Lazio con poco più di 38mila. Fanalini di coda Valle d’Aosta e Molise, con rispettivamente poco più di 1.100 e 643 nuovi apprendistati.Il dato totale di nuovi apprendisti è in crescita di circa mille unità rispetto al 2019, un incremento pressoché irrisorio (lo zero virgola qualcosa in più) ma quantomeno è stato recuperato il crollo di attivazioni subito  nei due anni pandemici, 2020 e 2021, quando il totale era stato rispettivamente di 241mila e 316mila. Se il numero totale di attivazioni è stato fortemente segnato nel biennio Covid, non è successo altrettanto per quanto riguarda le trasformazioni (ma è più corretto dire “prosecuzioni”) in un contratto a tempo indeterminato: il trend è in crescita dal 2018 e lo scorso anno ha visto quasi 113mila apprendisti firmare per il posto fisso, di cui 22mila in Lombardia, 14mila in Veneto e circa 11mila sia in Emilia Romagna che in Lazio.Quando si parla di apprendistato si fa riferimento a un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato disciplinato dal decreto legislativo numero 81 del giugno 2015 che identifica tre tipologie: apprendistato “per la qualifica e il diploma professionale” (o “di primo livello”), apprendistato “professionalizzante” (o “di secondo livello”), e apprendistato “di alta formazione e ricerca” (o “di terzo livello”). A ognuno di questi corrispondono finalità e, in parte, target differenti. L’apprendistato di primo livello è per i giovani dai 15 ai 25 anni compiuti ed è finalizzato a conseguire un diploma professionale o di istruzione secondaria superiore o il certificato di specializzazione tecnica superiore in ambiente di lavoro. L’apprendistato di secondo livello è diretto, invece, ai giovani dai 18 ai 29 anni compiuti con lo scopo di apprendere un mestiere o conseguire una qualifica professionale. L’apprendistato di terzo livello ha come target anagrafico lo stesso di quello secondo livello, ma la finalità è il conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Ma le tre tipologie esistono solo in teoria. Nei fatti, il 90% dei contratti di apprendistato attivati ogni anno in Italia è di secondo livello (anche detto “di mestiere”). L’apprendistato di primo livello, detto “duale” o anche “per il diritto/dovere di istruzione e formazione” e destinato sopratutto ai minorenni, e quello di terzo livello, detto “alto apprendistato” e destinato a studenti universitari e dottorandi, sono praticamente inesistenti. Poiché l’Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps non ha i numeri disaggregati, per capire il “peso” dei tre differenti tipi bisogna leggere il rapporto Inapp – Inps del luglio 2022, riferito al periodo 2018 – 2020,  segnato dalla pandemia. Con una premessa, questo rapporto non calcola i rapporti attivati in un anno in numeri assoluti, ma fa riferimento sempre e solo al «numero medio annuo di rapporti di lavoro in apprendistato, quindi include anche i rapporti di lavoro attivati negli anni precedenti ma che perdurano» in un dato anno, in questo caso «nel 2020», come precisa alla Repubblica degli Stagisti il coordinamento statistico Inps: «I due aggregati sono stati elaborati in periodi differenti risentendo, quindi, di un diverso aggiornamento degli archivi di riferimento». Questo dovrebbe, quindi, spiegare perché da questo rapporto – prendendo il 2020 – ci siano 531mila apprendistati di cui più della metà, (circa 306mila) nel nord Italia e solo 100mila al Sud. Così come risulta anche dati Istat, anche nel 2020 è la Lombardia la regione con più apprendisti, quasi il 19 per cento a cui seguono Veneto, Emilia Romagna e Lazio. L’età media degli apprendisti è di 25 anni.Il dato più interessante è quello sulla tipologia più utilizzata: praticamente nove attivazioni su dieci sono di apprendistato professionalizzante, che quindi è il più sfruttato in maniera uniforme sul territorio. La principale attività economica in cui viene attivato è quella del commercio all’ingrosso e al dettaglio, cui segue il settore manifatturiero. Quasi inesistente l’apprendistato di terzo livello, per cui il numero di rapporti è di 1.227 nel 2020 – anche se si può specificare che si tratta dell’unica tipologia a mostrare una crescita rispetto all’anno precedente. Il decreto Lavoro del governo Meloni approvato in Consiglio dei ministri lo scorso primo maggio introduce delle novità per l’apprendistato, anche se quella più rilevante – la cancellazione del limite di età dei 29 anni per i contratti di apprendistato di secondo livello nel settore turistico e termale – nella versione definitiva della normativa non ha più trovato spazio. Assumere apprendisti fino a 32 anni è, invece, già una possibilità in Campania dal 2012 per disoccupati di lunga durata.  Le modifiche introdotte dal Decreto Lavoro riguardano gli incentivi a favore delle imprese che decidono di attivare un contratto di questo tipo. L’articolo 10 prevede, infatti, che i datori di lavoro privati che assumono beneficiari dell’assegno di inclusione anche con un contratto di apprendistato abbiano «l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro nel limite massimo di 8mila euro su base annua» e per un periodo massimo di 12 mesi. Non solo, l’articolo 27 comma 3 estende nei limiti delle risorse anche alle assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante un incentivo, a domanda, per i datori di lavoro per un periodo di 12 mesi «nella misura del 60 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per le nuove assunzioni dal primo giugno al 31 dicembre 2023». Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza  prevede misure per rilanciare l’apprendistato, con un cospicuo investimento destinato a rafforzare anche l’apprendistato duale o di primo livello: 600 i milioni di euro previsti dal piano per il periodo 2022 – 2025, per il finanziamento di percorsi formativi per giovani dai 17 ai 25 anni.Dopo i primi 120 milioni di euro distribuiti alle Regioni lo scorso anno, a inizio maggio è stata stanziata una nuova quota di risorse del Pnrr, pari a 240 milioni, per favorire il finanziamento di percorsi formativi nel sistema duale. Quota ripartita tra le Regioni che devono poi attivare percorsi di questo tipo. Per questo motivo l’utilizzo dell'apprendistato di primo livello risulta piuttosto frammentato sul territorio, a causa anche della scarsa uniformità e coerenza delle politiche regionali in materia di promozione di questa tipologia contrattuale, spinta più nel Nord Italia che nel resto del Paese.Alle agevolazioni introdotte dal decreto Meloni e dal Pnrr si aggiungono poi le classiche già in atto da anni. Ovvero, ad esempio, la possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante relativo al contratto collettivo nazionale di riferimento o il fatto che l’apprendista non rientri nei limiti numerici presi in considerazione da alcune leggi per l’applicazione di specifiche normative.Ma perché le aziende attivano contratti di apprendistato e cosa ne pensano? In Marsh Italia questo è il contratto privilegiato e «ideale» per i giovani: «Proponiamo di solito un percorso di stage a cui segue un apprendistato, perché comprende tutta una parte di formazione», spiega Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. «Durante l’iter di selezione tante volte ci troviamo davanti a ragazzi giovanissimi che poco conoscono il nostro settore, quello dell’attività di brokeraggio. Quindi per noi è essenziale che ci sia la formazione, perché dall’università difficilmente riescono ad arrivare già con un’idea chiara, con una preparazione. Così l’apprendistato dà a loro sicurezza, perché è equiparabile a un tempo indeterminato e per noi è importante perché abbiamo al nostro interno quelle competenze che ci consentono di formarli».Punta molto sull’apprendistato anche Bene Assicurazioni, che ha utilizzato sia quello di primo livello che di secondo. «Abbiamo sperimentato quello di primo livello nell’ambito del progetto “Fœrmati in Bene” che vuole creare beneficio sociale e ambientale, contrastando il fenomeno della dispersione scolastica», spiega Stefania Chiarelli, responsabile amministrazione del personale nell’ufficio People Management: «Abbiamo selezionato sette giovani che avevano abbandonato gli studi superiori e realizzato un percorso di alternanza scuola lavoro. Per noi un’esperienza di successo perché al termine sono stati tutti confermati in azienda. La formula che più utilizziamo, però, è l’apprendistato di secondo livello: dal 2021 siamo già a trentatré contratti di apprendistato attivati, dieci nei primi mesi di quest’anno, quindi su un totale di 98 dipendenti oggi 28 sono in apprendistato. E intendiamo sperimentare anche quello di terzo livello». Apprendistato che in Bene «rappresenta la forma contrattuale naturale per chi, al termine di uno stage in azienda, dimostra motivazione e potenzialità per poter proseguire un percorso di crescita professionale». Una forma contrattuale che non ha elementi negativi: «per noi è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti».E tra le aziende dell'RdS network ce ne sono alcune che utilizzano addirittura il rarissimo terzo livello: «La formula dell’Alto apprendistato è sicuramente vincente, con vantaggi per tutti: prima di tutto per i beneficiari, che possono combinare l’ingresso immediato nel mondo del lavoro con una modalità che li accompagna a specializzare ulteriormente la loro preparazione», spiega Roberta Morici, responsabile dei programmi di formazione di Cefriel che in partnership con Bip ha creato il master in Cloud Data Engineer che prevede per i partecipanti l'assunzione in alto apprendistato. Perché, invece tante aziende non amano l’apprendistato? Probabilmente perché non ne conoscono tutti gli aspetti positivi: «È una questione di conoscenza e di cultura. L’apprendistato porta con sé una serie di vantaggi notevoli ed è un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti», osserva Chiarelli, notando come spesso sia mal visto anche dai giovani per i quali è «ritenuto un contratto di “serie B”». Un problema anche culturale che forse ora potrebbe cambiare e attirare le aziende non solo dall’avere sgravi economici ma anche dalla possibilità di veder crescere qualcuno all’interno dei propri uffici. Marianna Lepore   Foto di apertura: di Drazen Zigic da FreepikFoto a sinistra: di pressfoto da Freepik

Occupazione, il programma Gol è aperto anche ai giovani: come funziona e cosa offre

Il programma Gol è per l'Italia una (ennesima) occasione finanziata con fondi europei per rilanciare il mercato del lavoro: «Un'ottima opportunità» la definisce Francesco Maresca, responsabile del settore Lavoro della Provincia di Varese, «soprattutto per le fasce più deboli della popolazione». I beneficiari del programma da quattro miliardi per la formazione inserito nella missione cinque del Pnrr sono infatti le categorie di lavoratori che rischiano di non riuscire più a immettersi nel mercato del lavoro: tre milioni di disoccupati da profilare, formare e reinserire in una posizione lavorativa.Nello specifico, come spiegato sul sito dell'Anpal, l'agenzia incaricata di monitorare il programma, la platea è composta da sei gruppi. A gestirli «sono centri per l'impiego e soggetti sia pubblici che privati accreditati» spiega Maresca. Non ci si deve iscrivere ad alcunché insomma, bensì rivolgersi ai centri per l'impiego. Ogni regione ha modalità proprie di accesso, a seconda dei piani di attuazione del programma. Possono farlo primi su tutti i beneficiari di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, chi per intenderci sia ad esempio in cassa integrazione. Specifica il sito che «si tratta dei lavoratori per i quali sia prevista una riduzione superiore al cinquanta per cento dell'orario di lavoro, calcolato sui dodici mesi». A seguire chi beneficia di ammortizzatori sociali, ma non ha un rapporto di lavoro attivo. I disoccupati in buona sostanza, che percepiscano Naspi o Dis-Coll. A seguire i destinatari del reddito di cittadinanza. Ci sono poi altri tre gruppi. Quelli definiti lavoratori fragili o vulnerabili, quindi i Neet, le donne in condizione di svantaggio, le persone con disabilità e i lavoratori over 55. E poi i disoccupati senza sostegno al reddito, che siano per esempio disoccupati da almeno sei mesi o autonomi che abbiano cessato la propria attività. Infine i cosiddetti working poor: chi, pur con un impiego, percepisce un reddito inferiore secondo la disciplina fiscale alla soglia di incapienza. Gol non offre solo formazione e «sarebbe riduttivo pensarlo» evidenzia Maresca alla Repubblica degli Stagisti. I percorsi possibili sono infatti «suddivisi in cinque livelli, tutti differenti tra loro». Il primo è per il reinserimento lavorativo, quindi per chi è già pronto al lavoro «e ha semplicemente bisogno di assistenza». In quel caso si offrono servizi di orientamento e intermediazione con le aziende. «Solo questi occupano la metà dei beneficiari». E sono soprattutto «soggetti che hanno perso il lavoro ma sono facili da reinserire». Li si aiuta «a fare un bilancio di competenze e a redigere il curriculum».All'altra metà della platea si rivolgono invece i veri e propri «corsi di formazione» specifica Maresca. A volte «si tratta di riqualificare, oppure di proporre tirocini». Un secondo percorso prevede l'aggiornamento professionale per i lavoratori più lontani dal mercato del lavoro «ma con competenze spendibili» si legge sul sito di Anpal. Ci sono poi la riqualificazione, 'reskilling', «per lavoratori lontani dal mercato e competenze non adeguate ai fabbisogni richiesti». A questi si offre, chiarisce il sito, «una formazione professionalizzante più approfondita». Il percorso quattro, «lavoro e inclusione», si apre per «bisogni complessi, cioè in presenza di ostacoli che vanno oltre la dimensione lavorativa». In questi casi, come già accade per il Reddito di cittadinanza, si attivano i servizi sociali. Infine, il livello cinque, dove c'è la «ricollocazione collettiva» per le crisi aziendali. Qui si avvia «la valutazione delle chances occupazionali basandosi sulla specifica situazione aziendale, per individuare soluzioni idonee». Se sulla carta c'è tutto, ora toccherà attuare il programma. Le criticità ci sono, in particolare riguardo la capacità di far partire la mole di corsi di formazione richiesta: lo ha sottolineato Milena Gabanelli su La7 poche settimane fa e lo ammette anche lo stesso Maresca: «Il problema è reale, ma non bisogna esasperare le cose e soprattutto capirne le ragioni». Il responsabile Lavoro di Varese fornisce lo stato dell'arte attuale sulle scuole di formazione che interverranno in Gol. E anticipa che ci vorrà tempo: «È come buttare acqua in abbondanza su una terra resa arida da anni di siccità». La terra si è indurita «e non assorbe immediatamente».Secondo i dati nell'ambito del programma «ci sono al momento 800mila patti di servizio personalizzati sottoscritti». Ed è stata rilevata «la necessità di formare nell’immediato almeno 160mila persone». Nei prossimi mesi «ci saranno da attivare corsi per altre 320mila persone e per tutti gli ex beneficiari del Reddito di cittadinanza che per mantenere il beneficio dovranno frequentare corsi». Nel frattempo le nuove società accreditate alla formazione sono 1.463 (di cui 207 in Lombardia), su un totale in Italia di oltre 12mila. Il tempo stringe e purtroppo, sottolinea Maresca, «non è detto che la capacità erogativa di corsi di formazione di tutto il territorio nazionale sia adeguata». In Lombardia si è a buon punto «per un programma che è partito ufficialmente solo a giugno 2022 e si estenderà fino al 2025». Nella regione i corsi attivati viaggiano tra il 30 e il 40 per cento del totale. Mentre specificamente nella provincia di Varese «sono stati avviati 152 corsi per 1.082 persone, di cui 383 hanno concluso il percorso».Il secondo problema sarà far combaciare i corsi con le esigenze delle imprese. Varese sta facendo scuola: «Abbiamo svolto un report sul bisogno formativo locale mediante interviste a 250 aziende e 250 lavoratori» spiega Maresca. La direzione intrapresa è infatti quella di attivare corsi tagliati su misura per le aziende. «Delle academy aziendali di ingresso per specifici mismatch» specifica, come per esempio «un corso per addetti alla macelleria richiesto dalla grande distribuzione». Personale «che non riuscivamo a reperire con il servizio di preselezione dei nostri centri per l’impiego». Il corso è adesso attivo «e presumo che i discenti saranno tutti assunti» conclude Maresca. Che poi sarebbe l'esito auspicato per tutti i fruitori di Gol. Ilaria Mariotti 

Riqualificazione professionale, dall'Europa quattro miliardi per Gol: come li userà il governo?

Nelle maglie del Pnrr c'è un progetto passato forse un po' sotto traccia: si tratta di Gol, acronimo di 'Garanzia di occupabilità per i lavoratori', inserito nella Missione 5 del piano. Ideato per essere – almeno nelle intenzioni – un punto di svolta nelle politiche attive per il lavoro. Il finanziamento è infatti di quelli che possono fare la differenza: 4,4 miliardi di euro da spendere tra il 2021 e il 2025. Per intendersi, il triplo rispetto ai fondi di Garanzia Giovani (circa un miliardo e mezzo).Il programma Gol «prevede percorsi di accompagnamento al lavoro, di aggiornamento o riqualificazione professionale» spiega il sito di Anpal, l'agenzia deputata al suo monitoraggio, «nel caso di bisogni complessi, quali quelli di persone con disabilità o con fragilità». Con il meccanismo di sempre in questi casi: presa in carico da parte di centri per l'impiego e stipula di 'patti' per aggiornare le competenze e riqualificarsi. La formazione dovrebbe consentire a chi è fuori dal mercato del lavoro di reinserirsi. E qui sta il punto centrale: non vi è una categoria in particolare di beneficiari. La platea comprende fasce trasversali che vanno da lavoratori con ammortizzatori sociali a persone con disabilità, over 55, madre single, Neet, percettori del reddito di cittadinanza. «Nel momento in cui è stato lanciato (il decreto è del novembre 2021, ndr), si è pensato a una riforma strutturale per le politiche attive» spiega alla Repubblica degli Stagisti Cristina Tajani, già direttrice Anpal e consigliera del ministro del Lavoro all'epoca del governo Draghi, oggi docente al Politecnico di Milano: «Voleva essere una misura onnicomprensiva, che ne tenesse dentro altre come Garanzia Giovani ad esempio». Stessa cosa per il reddito di cittadinanza: Gol poteva diventare una spalla di questo, «inserendo i beneficiari come sottocategoria all'interno del programma per gli aspetti legati alla formazione». Secondo Tajani la direzione intrapresa era quella giusta: «Una misura ombrello per offrire ai più fragili formazione e accompagnamento al lavoro». Una operazione di grande portata da svolgere non solo con le agenzie private («nulla in contrario al loro coinvolgimento, anzi sono favorevole alla complementarietà tra pubblico e privato» sottolinea la docente), ma anche con i centri per l'impiego, nel frattempo a loro volta sottoposti a una riforma per potenziarne le attività. Ai fondi di Gol si abbinano infatti 600 milioni di euro per il rafforzamento dei Centri per l’impiego (di cui 400 già in essere e 200 aggiuntivi). Mentre al governo c'era Mario Draghi «la riforma dei cpi era in corso, al netto delle difficoltà delle varie regioni che non riuscivano a metterla in atto»: in Sicilia per esempio, «dove non si erano ancora attivati per i concorsi». Ma «avevamo un monitoraggio, si era arrivati a reclutare poco più di 4mila addetti rispetto a un obiettivo che era di 11mila» ripercorre Tajani. Il problema è che «di tale avanzamento si sono perse le tracce». Così come «non è chiaro quale sia l'orientamento del governo su Gol. Anche nel decreto Lavoro del primo maggio non si spende una parola sul tema». A mancare secondo Tajani «è un disegno complessivo, restando quindi la grande incognita di come si raccorderanno le riforme intraprese con gli impegni europei già assunti». Perché Gol è di fatto attivo. Anche se con operatività a macchia di leopardo, dovendo essere attuato dalle singole regioni.Stando all'ultimo monitoraggio, che risale al marzo di quest'anno, «l’annualità 2022 si è conclusa con il conseguimento del target Pnrr concordato con la Commissione europea, relativo al raggiungimento di 300mila beneficiari e pari al 10 per cento del totale previsto per il Programma al termine del 2025». Con differenze però sostanziali tra le regioni: nell’ultimo mese di osservazione, si legge ancora, «il tasso di crescita dello stock dei presi in carico varia da valori minimi per le regioni Lazio (5,4 per cento) e Sardegna (9,5 per cento), a valori superiori al 15 per cento nelle regioni Marche, Sicilia e Veneto, fino a raggiungere il valore massimo per la provincia autonoma di Bolzano (17,8 per cento)». Dove più dove meno, il piano avanza. Anche perché, si legge sul sito del governo, «elemento costitutivo della riforma, da cui dipendono i finanziamenti Ue, è la definizione di milestone e target». E i primi due sono stati centrati. Il Milestone 1, spiega il documento, consisteva nell'entrata in vigore dei decreti interministeriali per l’approvazione di Gol entro il 2021. Il secondo invece l'adozione di piani regionali e il raggiungimento di almeno il dieci per cento dei beneficiari complessivi entro il 2022. La sfida saranno i successivi target. Si richiedono almeno tre milioni di beneficiari di Gol entro il 2025, di cui almeno il 75 per cento donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55. Di questi almeno 800mila coinvolti in attività di formazione. Non solo, ma 300mila dovranno essere dentro programmi per il rafforzamento delle competenze digitali. E infine il target 3: almeno l’80 per cento dei cpi in ogni regione che entro il 2025 dovrà rispettare gli standard definiti quali livelli essenziali in Gol. Traguardi ambiziosi, di cui bisognerà mostrarsi all'altezza. Ilaria Mariotti 

Quando le aziende scommettono sul Southworking, così si combatte la disoccupazione al Sud

Lavorare al Sud, anziché dover emigrare al Nord. Ma senza necessariamente cambiare datore di lavoro. Il southworking è una pratica di cui si intravedevano i prodromi già prima della pandemia, e che dopo lo shock del Covid non si è più arrestata. Niente spese di affitto insostenibili in città dove il soggiorno in una stanza si porta via una parte sostanziosa dello stipendio, ma un lavoro da casa, grazie alle tecnologie digitali che lo rendono possibile. E le aziende stanno cominciando a cogliere l'opportunità. La multinazionale della consulenza Bip lo scorso autunno ha aperto una sede a Palermo. Una sfida che non significa isolare chi lavora da sedi lontane, ma anzi sfruttare il potenziale presente in loco. «Non si penalizza chi è operativo da Messina o da Palermo rispetto a chi è a Milano» ragionava Nino Lo Bianco, presidente della multinazionale e siciliano doc, intervenendo a novembre scorso in una trasmissione di Class CNBC: «Perché anche chi è al Sud è connesso con altre squadre che stanno portando avanti progetti internazionali, negli Usa come in Spagna, non limitandosi alla realtà locale». Sono state assunte settanta persone, di cui la maggioranza neolaureati dell'università di Palermo e del dipartimento palermitano della Lumsa. Ma «l'obiettivo è raddoppiare gli assunti entro primavera» fa sapere Lo Bianco. Lo stesso sta accadendo in un'altra big della consulenza, EY, che già prima della pandemia aveva deciso di potenziare la propria sede di Bari, trasformandola in un hub. «Il primo collega della sede di Bari è stato assunto nel 2019 e nel 2020, dopo un anno di pandemia, eravamo a 200» commenta Francesca Giraudo, EY Europe West Business talent leader. La questione meridionale è però ancora tutti lì, da risolvere. L'occupazione italiana è tornata a livelli pre-pandemia, ma non nel Sud. Secondo i dati del rapporto Svimez 2022 dello scorso novembre, nel 2021 il tasso di occupazione giovanile nazionale si è attestato attorno al 41 per cento, sotto di 15 punti rispetto alla media europea. Nel Mezzogiorno lo stesso tasso era del 29,8 per cento. Messina e Palermo, secondo Eurostat, detengono il primato di disoccupazione giovanile, con venti punti in meno di occupati rispetto alle altre zone d'Italia. Guardando ai Neet, su circa tre milioni di under 35 che non lavorano né studiano, oltre la metà (1,6 milioni) sono meridionali. Il Sud resta insomma una terra carente di lavoro e ancora inesplorata per gli investimenti delle aziende. E per cambiare direzione servono nuove opportunità. Per EY «l'obiettivo è arrivare a assumere 1.500 persone nel medio periodo». E un occhio di riguardo dell'azienda – «dove oltre la metà della popolazione aziendale è donna» – sarà per il bilanciamento di genere. Ci saranno iniziative specifiche «come il Talent on tech» racconta Giraudo «volto a promuovere e valorizzare il talento delle colleghe».E l'impatto non si limita a dove lavoreranno le persone, ma si allarga anche al come lavoreranno. La missione di Bip, specifica Lo Bianco, è «aiutare il territorio a crescere e a attrarre investimenti che possano portare innovazione, sostenibilità e sviluppo». L'ufficio non sarà infatti utilizzato dai soli dipendenti di Bip, «ma aperto alla città». Sulla stessa linea è anche il pensiero di Giraudo di EY: «Per noi southworking è un concetto limitato». Si punta a «avere una maggiore variabilità di profili e di background e a creare legami positivi – oltre che investimenti economici – nel territorio». Il Sud va concepito come «hub di talenti» perché finora è stato «poco valorizzato nel contesto socio-economico italiano». Risorse umane che andranno spese non solo nell'economia locale ma «da connettere con il resto d’Europa e del mondo, creando un circolo positivo di competenza e crescita economica». I vantaggi viaggiano su due binari. Da un lato per le persone, «che hanno la possibilità di restare nel proprio territorio di origine senza sostenere i costi di trasferimento e le spese tipiche delle grandi città» sottolinea Giraudo; oppure fare ritorno nella loro Regione natale dopo aver passato anni al Nord. Il vantaggio per le aziende è di «poter attingere al migliore talento, ovunque esso sia». E poi la produttività perché, prosegue la manager, «la capillarità sul territorio permette una più alta attrattività nei confronti dei talenti, una maggiore fidelizzazione e vicinanza con il cliente e con le esigenze locali». Non è una scelta «sentimentale» ragiona Lo Bianco, che date le sue origini ha comunque un pezzo di cuore in Sicilia, ma «strategica: il Sud è un bacino di risorse da arruolare». Serve però un cambio culturale perché a essere carente nel Meridione «è la preparazione al lavoro», in aggiunta al divario digitale. Le aperture di uffici al Sud sono infatti frutto dello smart working, senza il quale, afferma Lo Bianco, «sarebbe impensabile il southworking». Il Pnrr ci dovrà mettere del suo per favorire iniziative analoghe e creare adeguate infrastrutture informatiche. Il piano approvato lo scorso anno per un totale di 222 miliardi «prevede la destinazione del 40 per cento circa delle risorse complessivamente considerate al Mezzogiorno» spiega una nota sul sito della Camera, «in attenzione al principio della coesione sociale e del riequilibrio territoriale». L'importo è di circa 82 miliardi, e le missioni da compiere saranno diverse. Tra queste c'è la digitalizzazione, il fulcro per portare investimenti e posti di lavoro: in modo che altre aziende possano scommettere sul Mezzogiorno, come hanno fatto Bip e EY.

Stage, e dopo? Le voci di tre aziende che fanno un contratto al 90% dei loro tirocinanti

«Tanti saluti e arrivederci»: era più o meno così che terminavano quasi tutti i tirocini extracurriculari fino a non molti anni fa, quando non esisteva ancora alcuna normativa nemmeno sul rimborso spese mensile – oggi obbligatorio – e le aziende non si facevano troppi problemi a sfruttare questa abbondante manodopera (o “cervellodopera”) di stagisti senza offrire nessuna prospettiva.La Repubblica degli Stagisti si è battuta per anni per rendere il tirocinio extracurriculare effettivamente propedeutico all’assunzione e non l’inizio di una serie infinita di stage o contratti atipici. Ma i numeri non sono confortanti, come la nostra inchiesta del 2021 ha raccontato: i dati del ministero del Lavoro dimostrano che nel 2019 solo il 43 per cento dei circa 356mila tirocini attivati è sfociato in un contratto di lavoro, e a questa percentuale si arriva conteggiando le assunzioni anche molto dopo la conclusione dello stage (fino a sei mesi dopo!). Per di più, di questi assunti solo poco più di uno su dieci è a tempo indeterminato: la stragrande maggioranza a tempo determinato, il che include anche i “contrattini” di pochi mesi.Non tutto è fosco, però, perché ci sono aziende virtuose che da tempo hanno deciso di intraprendere un’altra strada: offrire stage con buoni rimborsi spese e con concrete possibilità di assunzione, come esplicitato nella Carta dei diritti degli Stagisti che la Repubblica degli Stagisti ha stilato nel 2009.  È il caso per esempio di T4V, BIP e Marsh che nel corso del 2021 hanno assunto oltre il novanta per cento dei propri stagisti e per questo motivo hanno ricevuto un premio, uno degli “AwaRdS” che dal 2014 la RdS assegna durante il suo evento annuale “BestStage” alle aziende del suo network che si distinguono, in questo caso, per il “miglior tasso di assunzione post stage”.«I nostri stage sono da sempre finalizzati all’assunzione anche perché offriamo un percorso di formazione fin dai primi giorni di tirocinio» spiega Monica Cremaschi, Talent manager di Trust4Value, società di consulenza Ict entrata a far parte del network della Repubblica degli Stagisti proprio nel primo anno della pandemia Covid, nel 2020. Nel 2021 T4V ha assunto oltre il 90 per cento dei 14 stagisti accolti. «Durante i colloqui cerchiamo di indagare le motivazioni e le aspettative per il futuro degli aspiranti tirocinanti, raccontando anche i progetti e la cultura aziendale».Anche in Marsh gli stage non sono fini a se stessi «ma fanno parte di un programma strutturato di inserimento di neolaureati nato nel 2009, Grow Our Own» racconta Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. L’azienda lo scorso anno ha assunto oltre il 90 per cento dei quasi 90 stagisti accolti: un vero e proprio exploit nella performance di assunzione post stage, già successo nel 2015 e nel 2019. «Col tempo il programma è stato allineato alle nostre esigenze di mercato e aspettative del business e dei neolaureati. Nel 2013 lo abbiamo rivisto e inserito un altro percorso Professional graduate per selezionare profili più tecnici per l’area di brokeraggio assicurativo e consulenza dei rischi». Anche il numero di inserimenti è cambiato negli anni e dai 10 circa dell’inizio «siamo arrivati a inserire negli ultimi due anni un centinaio di graduate per anno. L’obiettivo ora è consolidare questo numero. Il nostro livello di assunzione di neolaureati è un pilastro importante nella strategia aziendale in ambito people».Stesso tasso di assunzione altissimo in Bip: degli oltre 300 stagisti accolti nel 2021 oltre il novanta per cento è stato assunto, probabilmente perché «dedichiamo moltissima cura al processo di hiring, sia nella fase di screening che nelle fasi di selezione successive», riflette Elena Pozzi, Employer branding senior expert di Bip: «Cerchiamo di conoscere chi abbiamo di fronte, di approfondire le sue competenze tecniche ma anche di capire le sue aspirazioni e desideri. Ci sforziamo di identificare il candidato ideale per la corretta attività e creiamo il giusto match tra aspettative, capabilities ed esigenze interne per non incorrere in sorprese al termine dello stage, così la persona potrà proseguire la collaborazione con un contratto a tempo indeterminato». Perché offrire proprio questo tipo di inquadramento? «Perché è la proposta più apprezzata dai nostri candidati e, quando le condizioni lo permettono, siamo ben felici di formalizzarla. Investire a lungo termine sui giovani significa scommettere su di loro, sulle loro potenzialità e sulla loro voglia di mettersi in gioco».Il contratto a tempo indeterminato è quello offerto al termine del tirocinio anche da T4V, «perché è molto allettante per i giovani e ultimamente è anche la tendenza del mercato» osserva Cremaschi, che aggiunge anche come sia «determinante per un giovane sapere di avere un’alta probabilità di essere assunto al termine dello stage. La sicurezza di avere una prospettiva a lungo termine permette di lavorare e progettare anche con più serenità».«La maggior parte dei giovani che fanno un percorso di stage in Marsh Italia sono molto molto giovani. Conoscono poco il nostro settore anche perché non ci sono percorsi accademici o universitari che preparano all’attività di brokeraggio. Per questo motivo dopo lo stage proponiamo un contratto di apprendistato che comprende anche tutta la parte di formazione, per noi essenziale», spiega Mariangela Petrera: «Diamo una sicurezza in più a questi giovani perché terminato il tirocinio firmano un contratto equiparabile al tempo indeterminato, ma con al suo interno un piano formativo». Tecnicamente, peraltro, il contratto di apprendistato dal punto di vista del diritto del lavoro è già un contratto a tempo indeterminato: ha solo la particolarità di permettere la risoluzione “ad nutum”, cioè senza bisogno di motivazione o accordo, allo scadere – ma altrimenti si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità.Circa il 60 per cento di nuove assunzioni in Marsh è di under trenta: «Abbiamo degli obiettivi sfidanti di business e preferiamo inserire neolaureati perché al nostro interno abbiamo le competenze che ci consentono di formare queste persone», aggiunge Petrera: «Quando selezioniamo uno stagista pensiamo già a qualcuno che possa rientrare nel nostro Graduate Program. Per noi è un investimento non solo economico, ma di tempo e impegno. Questi giovani talenti nella fase di selezione incontrano anche gli amministratori delegati di Marsh Italia in un colloquio finale dedicato. E poi c’è tutto l’investimento legato alla formazione, in aula, virtuale, on the job. L’obiettivo è far crescere le persone dall’interno».L’investimento fatto sui giovani viene poi nel lungo tempo ripagato perché sono gli stessi ex stagisti che, nel tempo, attirano nuove leve in azienda, grazie al passaparola, alla condivisione dell’esperienza positiva avuta e della buona notizia dell’assunzione post tirocinio. «Molte candidature ci arrivano grazie ai graduate stessi» conferma Petrera: «Nel momento in cui un giovane sta facendo questo programma e si trova bene, lo racconta ad amici e conoscenti. Questo si unisce alle tante attività di employer branding che per noi sono essenziali visto che il nostro settore fra i giovani è poco conosciuto. Ed essere presenti sulle pagine della Repubblica degli Stagisti rientra proprio nelle attività che danno visibilità al nostro percorso e ci aiutano ad attirare quanti più giovani possibile».L’alto numero di giovani nelle nuove assunzioni caratterizza anche Trust4Value: «Quasi la totalità dei nuovi assunti ha meno di trent’anni, arrivano direttamente dalle università o da corsi di formazione» precisa Monica Cremaschi. «Hanno modo di crescere, concretizzare le competenze e cominciare a mettersi in gioco». E una volta dentro, possono dare inizio a una carriera brillante visto anche il forte turn over che caratterizza il settore e «la richiesta in ambito Ict che è sempre altissima».In Bip i giovani under 30 rappresentano circa il settanta per cento delle nuove assunzioni. «In generale ricerchiamo sia neolaureati che persone con esperienza. Ai più giovani offriamo un percorso di crescita e formazione continua con la guida dei nostri professionisti, dove ciascuno può vedere valorizzato il proprio contributo e spirito di iniziativa», spiega alla Repubblica degli Stagisti Elena Pozzi, specificando anche come per loro sia sempre più importante «presentarci come Best Employer of Choice: offriamo ai nostri giovani un contesto di crescita meritocratico, dinamico e in continua evoluzione, in cui il singolo è libero di esprimere le proprie idee e potenziale e dove il lavoro di squadra è fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo comune».Elemento sicuramente importante nel rapporto tra le aziende e i giovani è quello relativo alla trasparenza – essere chiari sulle opportunità offerte, i benefit inclusi e soprattutto le prospettive future, anche la retribuzione. «Da sempre evidenziamo, anche negli annunci, che i nostri stage sono finalizzati all’assunzione», conferma Cremaschi di T4V: «La trasparenza è alla base della fiducia reciproca fra l’azienda e il dipendente, attuale o futuro». Concetto ribadito anche da Petrera di Marsh Italia: «Puntiamo sulla trasparenza con il candidato. Già durante l’iter di selezione raccontiamo quali sono gli step sia dal punto di vista contrattuale sia retributivo, spieghiamo che il programma prevede delle rotation e che avranno un tutor e un mentor. Spendiamo tanto tempo a raccontarglielo perché vogliamo ci sia coerenza tra quello che stiamo cercando e le loro aspettative. È importante che ci sia una performance positiva per andare avanti e questo è un approccio culturale che abbiamo sia con lo stagista sia con il manager».Essere trasparenti, creare un rapporto di fiducia tra l’azienda e gli stagisti, investire su di loro garantendo anche una altissima probabilità di inserimento lavorativo è, dunque, possibile. E può essere un amplificatore naturale delle buone pratiche di un’impresa, e aiutarla a diventare sempre più conosciuta e apprezzata dai giovani.Marianna LeporeFoto di apertura di Tumisu da Pixabay Foto in evidenza di mohamed_hassan da Pixabay