Categoria: Approfondimenti

Laurea abilitante non solo per i medici, ora vale anche per farmacisti, psicologi, veterinari: cosa vuol dire per i giovani

Dopo il corso di laurea in Medicina, il primo a essere stato riconosciuto come abilitante abbreviando i tempi di accesso alla professione – anche per far fronte all’emergenza da Coronavirus – ora arrivano anche la laurea magistrale in Psicologia e le lauree a ciclo unico in Farmacia e farmacia industriale, Medicina veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria. È stato infatti approvato dal Consiglio dei ministri il disegno di legge del ministero dell’Università in materia di titoli universitari abilitanti. Una decisione che ha un impatto estremamente significativo sul mondo delle professioni, se si considerano i numeri di queste categorie. In Italia, secondo gli ultimi aggiornamenti di ordini professionali e Anagrafe nazionale studenti, si contano infatti: 100mila psicologi totali e 6.800 laureati annui in Psicologia; 127mila farmacisti e 4.300 laureati in Farmacia e farmacia industriale; 33.300 medici veterinari e 783 laureati in Medicina veterinaria; 45mila odontoiatri e 790 laureati in Odontoiatria e protesi dentaria. A questi corsi si aggiungono quelli professionalizzanti in Professioni tecniche per l'edilizia e il territorio, Professioni tecniche agrarie, alimentari e forestali e Professioni tecniche industriali e dell'informazione, rispettivamente abilitanti per le figure di geometra laureato, agrotecnico laureato, perito agrario laureato e perito industriale laureato. In questi casi, è previsto un ulteriore step. ll testo stabilisce infatti che i corsi che consentono l'accesso agli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni di tecnologo alimentare, di dottore agronomo e dottore forestale, di pianificatore paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico e geologo possano essere resi abilitanti, su richiesta dei consigli degli ordini, dei collegi professionali o delle relative federazioni nazionali, con uno o più regolamenti da adottare su proposta del ministro dell'università, di concerto con il ministro vigilante sull'ordine o sul collegio professionale competente.«La laurea abilitante è una notizia positiva che viene dopo mesi di mobilitazioni, in particolare da parte degli studenti dell’area sanitaria» commenta Enrico Gulluni, 25 anni, coordinatore dell’Unione degli universitari: «Un risultato atteso da molti anni come riconoscimento del valore legale del titolo di studio e che il Coronavirus ha accelerato». Ma si tratta solo di un primo passo. «Riguarda ancora poche lauree, tenendo fuori dei corsi che potrebbero a tutti gli effetti essere abilitanti come Ingegneria, Economia e Architettura» aggiunge Gulluni «e resta ancora da capire come verranno cambiati i percorsi di studio».  Al momento di certo c’è che la laurea abilitante si traduce nella cancellazione dell’esame di abilitazione professionale. Per iscriversi all’albo di riferimento diventa infatti sufficiente portare a termine il percorso formativo, da concludersi con tirocinio pratico-valutativo ed esame finale. Questa semplificazione delle modalità di accesso alle professioni porta ad anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro, abbattendo i tempi di attesa delle sessioni d’esame, in genere fissate ogni sei mesi. «La laurea abilitante è sì la risposta a una esigenza contingente, ma potrebbe aprire lo scenario a un riordino del piano di studi, per renderlo più attuale e adattarlo a una professione che richiede sempre nuove competenze e ruoli» commenta Carolina Carosio, 33 anni, presidente della Federazione nazionale associazioni giovani farmacisti. L’emergenza sanitaria, in particolare, ha visto e sta vedendo i farmacisti in prima linea e alle prese con nuovi servizi: «Dal digitale all’integrazione con il territorio, la professione si è distinta per coraggio e abnegazione tangibile» aggiunge la presidente Fenagifar: «Ne sono usciti anche spunti interessanti, ad esempio l’implementazione dei servizi di vicinanza al cittadino come la consegna a domicilio dei farmaci e la dematerializzazione delle ricette».«La laurea abilitante rappresenta l’opportunità di suonare la sveglia dentro i percorsi formativi» dice Laura Parolin, 48 anni, vice presidente del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, presidente dell'ordine della Lombardia e docente di Psicologia dinamica alla Bicocca «per segnarle il bisogno di cambiamento al loro interno». A partire dalla ristrutturazione dei corsi di studio. «Se davvero si vuole equiparare quella in Psicologia alle lauree sanitarie è necessario, di concerto tra mondo accademico e ordini, un ripensamento del ciclo di studi, ad esempio valutando la proposta di una laurea magistrale “plus” o un ritorno al ciclo unico e di un ripensamento sulle numerosità degli iscritti, con riduzione delle classi di laurea» aggiunge la psicologa: «E ancora, l’implementazione della formazione professionale, che ad oggi ha dei limiti, ad esempio il fatto che molti dei docenti incardinati non possono esercitare attività professionale, creando una frattura tra chi forma e il mondo professionale».   Ancor più centrale, con l’eliminazione dell’esame di abilitazione, diventerà l’esperienza del tirocinio. «Dobbiamo avere la lungimiranza di sfruttarlo al meglio, perché rappresenta il primo confronto con la professione, e di comprendere l’importanza della responsabilità del tutor» ammonisce Carosio. Va ricordato che, già da prima della laurea abilitante, il tirocinio era una pratica obbligatoria ai fini del conseguimento del titolo di studio per tutti gli iscritti a Farmacia e farmacia industriale, da svolgersi per la durata di sei mesi, almeno al quarto anno di corso, presso farmacie aperte al pubblico o farmacie ospedaliere. Con il riconoscimento del titolo di studio come abilitante, questa esperienza assume ora una valenza ancor maggiore. «Il tirocinio dovrebbe essere gestito dall’università congiuntamente agli ordini» propone Gaetano Penocchio, 66 anni, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici veterinari italiani «i quali dovrebbero allestire un elenco di strutture accreditate in cui svolgere i tirocini, per un minimo di 20 cfu. Infine università e ordine dovrebbero valutare l’attività svolta dal laureando.»La Fnovi chiede inoltre, dopo la regolamentazione della laurea abilitante, di mettere sul tavolo altri aspetti della professione veterinaria. «Il confronto dovrà essere più ampio e riguardare l'omogeneizzazione del core curriculum del corso di laurea, la modifica dei criteri di accesso, la necessità di porre rimedio alla carenza di zooiatri ipotizzando modalità di accesso ad hoc» aggiunge il presidente: «E ancora, la fattibilità di programmare il corso di laurea in dodici semestri, o undici come in Spagna, sfruttando gli ultimi semestri per il tirocinio, e l’introduzione della retribuzione ai dottorandi e specializzandi con attività degli stessi nelle Asl e negli Istituti zooprofilattici».Le lauree abilitanti, insomma, sono percepite dalle categorie interessante come un buon risultato, anche se frutto della contingenza: diventeranno tuttavia davvero efficaci, al di là del risparmio di tempo, solo se si saprà sfruttare l’occasione per rivedere i percorsi formativi. Rossella Nocca

Controesodo a Sud, boom di immatricolazioni nelle università del Mezzogiorno

Le immatricolazioni universitarie nell’anno del Covid non solo non sono crollate (+7 per cento), ma hanno anche segnato una nuova tendenza: il ritorno a Sud. Secondo l’ultima rilevazione del ministero dell’Università, aggiornata al 15 novembre scorso, il Mezzogiorno ha registrato una crescita del 6,6 per cento, con ben 8mila matricole in più rispetto al 2019. A incidere sulla scelta di “studiare a casa” è stata senza dubbio la situazione di incertezza legata all’evolversi dell’emergenza sanitaria. Questo nonostante la possibilità di frequentare un ateneo del Nord o del Centro e allo stesso tempo rimanere nella propria località d’origine, usufruendo della didattica a distanza. Altro fattore che ha incoraggiato gli studenti del Sud e delle isole a restare è stata l’adozione, da parte di numerosi atenei, di misure di incentivo alle immatricolazioni, in aggiunta a quella ministeriale dell’innalzamento della no tax area a 20mila euro. Il fattore economico ha inciso sicuramente molto sulle scelte dei giovani italiani. Uno su cinque dei fuori sede che hanno risposto a un sondaggio di Skuola.net ha dichiarato di aver deciso di rientrare, soprattutto per problemi economici e necessità di risparmiare. E il 45 per cento di essere intenzionato a tornare a casa per restare. «Abbiamo approvato una misura per 880mila euro» spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Priolo, rettore dell’università di Catania, che ha registrato un +17,4 per cento di immatricolazioni «comprensiva di buoni libro per l’acquisto dei manuali, di premi di merito per mezzo milione di euro e di incentivi per la mobilità sostenibile.» Dal 1° ottobre, prima delle ulteriori restrizioni anti Covid-19, era stata infatti introdotta la possibilità per gli studenti di acquistare un abbonamento annuale al trasporto pubblico al costo “simbolico” di 15 euro. «La metà degli studenti non pagherà le tasse quest’anno» aggiunge Priolo «e il nostro è già uno degli atenei d’Italia con la tassazione media più bassa: 600 euro». In alcuni casi le immatricolazioni sono cresciute anche in assenza di ulteriori misure di incentivo. Come capitato ad esempio all’università di Foggia, che ha registrato un +26,8 per cento. «Negli ultimi sei anni abbiamo avuto un trend di crescita sistemico» commenta il rettore Pierpaolo Limone «ma mai era stato così consistente, con 1.000 immatricolazioni in più rispetto al 2019. Lo attribuiamo alla situazione attuale, ma anche all’ampliamento dell’offerta di corsi e alla sua manutenzione, ad esempio con la cancellazione del numero chiuso per corsi come Biotecnologie e Scienze motorie».Fra gli altri atenei del Sud che hanno registrato un picco di immatricolazioni, sono da segnalare: L’Orientale di Napoli (+32 per cento), l’università di Messina (+27 per cento) e l’università del Sannio (+21,7 per cento). Quali i corsi di laurea più richiesti? «Nel nostro ateneo sono cresciute soprattutto le domande di iscrizione a Biotecnologie, Economia, Lettere, Scienze dell'educazione e della formazione e Psicologia», afferma il rettore catanese. «Medicina e professioni sanitarie, Dipartimento di studi umanistici ed Economia le aree preferite», gli fa eco Limone. Se pur per circostanze negative, le università meridionali hanno oggi l’occasione di intercettare una platea di studenti che probabilmente, avendo la possibilità di spostarsi, non avrebbe mai preso in considerazione l’offerta formativa del proprio territorio.  «Quella di Foggia non rappresenta una provincia particolarmente attrattiva, né per sbocchi occupazionali né per qualità della vita» ammette il rettore pugliese «ma abbiamo oggi l’opportunità di far entrare nelle nostre aule studenti che pregiudizialmente non ci sarebbero mai entrati prima dell’emergenza e persuaderli della qualità degli insegnamenti e della ricerca, convincendoli a restare».Sempre nell’ottica di supportare gli studenti del Sud (Campania, Molise, Abruzzo, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna), sia laddove scelgano di spostarsi all’interno della propria regione che in Italia e all’estero, è stato stanziato il fondo StudioSì, finanziato dal Fondo sociale europeo attraverso la Banca europea per gli investimenti. Esso prevede prestiti a tasso zero per finanziare le tasse universitarie e il costo della vita. Fino al 25 per cento delle risorse saranno utilizzabili da studenti non residenti che scelgono di studiare in una regione del Mezzogiorno.   Secondo uno studio di Talents Venture sui dati dell’anno accademico 2017-2018, il 32 per cento degli universitari del Meridione studiava in un ateneo diverso da quello di origine. Le università del Sud hanno ora l’opportunità di trasformare l’inversione di tendenza in un fenomeno stabile, ma chiedono di essere supportate per poter offrire un servizio all’altezza degli atenei più quotati del Nord. «Sicuramente avremo bisogno di un più forte aiuto strutturale per l’edilizia universitaria: stiamo facendo un grande lavoro per rendere le nostre università più moderne. Altra priorità sarà l’investimento sui giovani per entrare nel mondo della ricerca e del lavoro. L’università sta affrontando la sfida più difficile, ma noi stiamo facendo di tutto perché i nostri giovani possano non perdere nemmeno un giorno per coronare i propri sogni» conclude Priolo.Saranno i prossimi anni a dirci se la tendenza al controesodo universitario, così come quella del cosiddetto “south working”, porterà a un effettivo ritorno nei luoghi d’origine e in particolare a Sud. Rossella Nocca

L'Erasmus non si ferma, ma per ora si “parte” solo online

“European community action scheme for the mobility of university students”: è il “nome completo” dell'Erasmus, che mette al centro il concetto di mobilità. Il programma di scambio europeo nasce infatti nel 1987 proprio per favorire il confronto con realtà universitarie e culturali diverse. Eppure quest’anno per la prima volta, almeno per il semestre in corso, gli studenti faranno l’Erasmus “da casa”. Secondo i dati raccolti dalla Commissione europea erano 165mila gli studenti che si trovavano in Erasmus a marzo 2020. Di questi, circa sei su dieci hanno deciso di tornare il prima possibile nel proprio paese. In particolare «gli studenti italiani in mobilità erano 13mila» spiega alla Repubblica degli Stagisti Elena Maddalena dell’Ufficio comunicazione dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire, che gestisce il settore Istruzione «e di questi il 50 per cento ha proseguito l’Erasmus.» Questa volta, invece, la maggior parte dei giovani non ha fatto in tempo a partire. Nel 2014 il progetto Erasmus è diventato Erasmus+ per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport. Ogni area ha la sua tipologia di progetti, di conseguenza anche l’impatto dell’emergenza Covid-19 è differenziato.  Per quanto riguarda il settore Istruzione, gli studenti possono cominciare regolarmente il loro Erasmus, ma almeno per i primi mesi seguendo i corsi online, come avviene negli atenei italiani. Gli universitari già partiti invece potranno scegliere se seguire da casa presso il paese di destinazione o rientrare in Italia. È in ogni caso sempre ammessa, durante tutto l’anno accademico, la rinuncia all’Erasmus. «Avevamo un migliaio di domande, ma solo una sessantina hanno accettato la modalità virtuale» racconta Alessandra Scagliarini, prorettrice per le relazioni internazionali di Alma Mater Bologna, prima università d’Europa per mobilità internazionale Erasmus+: «Gli altri hanno rinunciato, un po’ perché alcuni atenei, ad esempio in Olanda e in Francia, non avevano dato certezze di fare didattica a distanza; un po’ perché non hanno ritenuto interessante lo scambio virtuale e hanno preferito aspettare gli sviluppi nel secondo semestre».Una scelta condivisibile? «L’Erasmus non è un’esperienza solo finalizzata all’acquisizione dei crediti ma molto di più» ammette la prorettrice: «Tuttavia con le novità tecnologiche le attività diventano sempre più interattive e partecipative e la modalità a distanza può essere un modo per rendere l’Erasmus più inclusivo e far partecipare a programmi di mobilità anche studenti che ne restavano esclusi, ad esempio dai paesi in via di sviluppo».Per quanto concerne l’Erasmus Vet, la mobilità internazionale ai fini dell’apprendimento nell’ambito Istruzione e formazione professionale, la formazione si farà a distanza – in attesa di poter cominciare nei prossimi mesi l’esperienza “sul campo”.  «Quello che ha ci ha stupito è che le domande per l’Erasmus Vet non hanno subito flessioni» commenta Scagliarini di Alma Mater «con 300 richieste e pochissime rinunce. Alcuni giovani erano già partiti, altri faranno formazione a distanza.»Certo rispetto alle lezioni universitarie online la situazione è più complessa. «Un tirocinio aziendale per essere realizzato virtualmente richiede un grande lavoro» spiega alla Repubblica degli Stagisti Paola Careddu, coordinatrice dell’Unità gestione progetti dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Inapp, che gestisce il settore Formazione «e nel primo lockdown nessuno era pronto. Su 25mila mobilità, il 90 per cento è stato posticipato. Qualcuno è rimasto – per lo più a Malta». Oggi c’è un po’ di organizzazione in più: «Gli enti stanno facendo un grande sforzo e vogliamo coltivare gli esempi positivi. È stata tuttavia chiesta una proroga dei progetti da 24 a 36 mesi», aggiunge Careddu.  C’è poi il capitolo riguardante l’Erasmus per la gioventù, che consiste in esperienze di mobilità, come scambi di giovani, partenariati strategici, progetti di dialogo giovanile per giovani fra i 13 e i 30 anni, a prescindere dal grado e livello di scolarizzazione. Il focus sono i giovani a rischio di esclusione sociale. «Proprio nel periodo del primo lockdown in Italia abbiamo ricevuto il maggior numero di proposte progettuali: 900, il dato più alto in tutta Europa, soprattutto nell’ambito del Corpo europeo di solidarietà» dice Lucia Abbinante, direttrice generale dell’Agenzia nazionale per i giovani, che gestisce il settore Gioventù: «Un dato significativo che evidenzia la voglia dei giovani di partecipare, di essere attivi, di contribuire alla crescita e sviluppo del proprio territorio. Di esserci ed essere solidali».Per il 2020 sono stati finanziati ad oggi (in attesa degli esiti dell’ultima scadenza dell’anno) 290 progetti, che coinvolgono 8.553 ragazzi: ma ha senso un’esperienza come l’Erasmus in modalità online? «Il digitale sarà la nostra grande sfida» commenta Abbinante «ma il capitolo Gioventù prevede per sua natura la mobilità fisica, la partecipazione attiva, quindi le modalità online continueranno a essere complementari. In ogni caso, per rispondere alla crisi da Covid, i beneficiari hanno la possibilità di realizzare attività online, in special modo per quanto riguarda i partenariati strategici».Nonostante i limiti di un’esperienza “a metà”, c’è chi ne coglie i segnali positivi. «Non sospendere l’Erasmus è stata una decisione coraggiosa e molto importante» sostiene Eji Ivanaj, web and communication manager di Erasmus student network Italy: «Vuol dire che a livello istituzionale c’è un’ottima consapevolezza dell’importanza del programma per i giovani coinvolti». L’associazione, durante il primo lockdown, ha supportato in vari modi i giovani che si trovavano all’estero e lo sta facendo anche per i partecipanti di quest'anno. «Abbiamo fornito in tempo quasi reale tutte le faq riguardanti i vari dpcm, organizzato eventi online, dal tandem linguistico ai city tour virtuali, fornito servizi di housing e un contatto h24 con tutti gli atenei e l’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire. E abbiamo creato l’Erasmus Monitor, uno strumento nato con l’obiettivo di raccogliere in una sola pagina le informazioni relative alle modalità di svolgimento della mobilità negli atenei italiani per l’anno accademico 2020/21.» Certo l’auspicio è che i giovani possano tornare a sperimentare al più presto la parte più autentica dell’esperienza Erasmus, che apre gli occhi sul mondo e permette di rientrare con un bagaglio più pesante di conoscenze, esperienze, legami che un viaggio virtuale difficilmente potrà eguagliare.Rossella Nocca

Dagli addosso allo stagista, il nuovo sport sui social network

Dagli allo stagista: ormai da tempo c’è un nuovo sport sui social network, specie Twitter – attribuire gli errori di giornali e televisioni ai tirocinanti. Che è divertente, certo. Ma anche crudele. E sleale.Il fatto che ci siano molti stagisti impiegati nel settore dei media è innegabile, e sicuramente tante, troppe testate li utilizzano, anche se sono inesperti, per risparmiare sul costo del personale ed evitare di pagare collaboratori con più esperienza. Altrettanto innegabile è che a volte questi stagisti vengano caricati di compiti che non hanno ancora gli strumenti per svolgere bene e in autonomia, e di responsabilità che vanno oltre il loro ruolo.Da qui il fiorire di commenti sardonici, sopratutto su Twitter, ogni volta che sui giornali, in tv o sugli account social delle testate appare qualcosa di scarsa qualità – un refuso, una traduzione imperfetta, un titolo sballato. Qualche esempio?“Singolare che il principale quotidiano economico italiano faccia un titolo che stonerebbe a Cuba. Stagisti dei social del Sole datevi una regolata”“Cercate di pagarli sti stagisti traduttori, poi vi lavorano a cazzo”“Che sfigati repressi che devono essere quelli che gestiscono gli account della serie A...stagisti sottopagati”“sono stato a manifestazioni che, descritte il giorno dopo su Repubblica: si erano svolte altrove, con altre persone presenti,  ed erano successe cose diverse. Pagateli sti poveri stagisti che magari fanno un po di desk research  prima di scrive”“Alcuni degli on line news sono fatti da stagisti sottopagati, altri da scimpanze’”“A scrivere i tweet ci mettono gli stagisti.”“Un appello per la correttezza dell'informazione: SMETTETELA di affidare le mansioni di photo editor a stagisti affetti da discromatopsia”Capitolo a parte il Grande Fratello VIP, che genera commenti letteralmente a profusione sugli (ipotetici) stagisti incapaci: “Stop freeze? Dai ragazzi ma chi c’è alla regia? Gli stagisti? #GFVIP”“Ringraziamo Mediaset che risolve il problema della disoccupazione giovanile mettendo ogni anno in regia stagisti usciti dalla scuola di meccanica #gfvip”“forse in regia, quest'anno, hanno messo stagisti  c'è crisi #gfvip”“Regia di Mediaset extra pietosa, audio osceno. Piersilvio ma li vogliamo pagare questi stagisti? #gfvip”In realtà, capita molto spesso che gli errori siano compiuti invece da chi ha un contratto sicuro, e magari meno motivazione a controllare con cura il proprio lavoro. Altro che i poveri tirocinanti inesperti con l'ansia da prestazione.Inoltre, una dei vantaggi principali del “learning on the job” è proprio – o quantomeno dovrebbe essere – quello di avere il diritto di sbagliare: uno stagista sta imparando, non è un professionista, e quindi tutti suoi output dovrebbero essere vagliati dal suo tutor e dai colleghi. O forse vogliamo gli “stagisti con esperienza”, vero e proprio ossimoro sempre più frequente negli annunci di lavoro? Non c’è niente di più ingiusto che penalizzare una persona per gli errori che fa mentre sta imparando, proprio per il concetto che sbagliando si impara e che lo stagista sta lì per ricevere formazione, non per offrire lavoro. Ora, come questa verità si concili con la vena sardonica dei social, e di coloro che li usano per strappare un sorrisetto e magari un like o un retweet, è arduo da dire. Ma magari la prossima volta che vedrete un tweet che “blasta lo stagista”, anziché aderire al giochino dedicate un pensiero commosso al poveraccio che nel migliore dei casi stava solo facendo lo stagista – il che comprende la possibilità di fare errori – e nel peggiore è invece additato come colpevole della scarsa qualità del lavoro dell’organizzazione in cui è capitato, e viene accusato ingiustamente di errori che nemmeno è stato lui a fare.Eleonora Voltolina

“Voto fuori sede”, la battaglia per permettere di votare anche se si è lontani dalla propria residenza arriva in Tribunale

Il referendum da poco concluso ha riportato l’attenzione sul tema del voto di studenti e lavoratori fuori sede. Sono 400mila, secondo i dati dell'Osservatorio Talents Venture, gli studenti iscritti a università non appartenenti alla propria regione di residenza, mentre non c'è ancora una stima definita per i lavoratori “fuorisede”. Gli uni e gli altri hanno dovuto nei giorni scorsi confrontarsi con il solito dilemma: tornare a casa sostenendo le relative spese oppure astenersi?Un dilemma accentuato dall’emergenza Covid che di sicuro non ha contribuito a incoraggiare gli spostamenti, alimentando i timori e limitando così il ritorno a casa, anche a causa di provvedimenti che hanno fatto da deterrente. Basti pensare ad esempio alla discussa ordinanza del presidente della Regione Sardegna, che ha previsto l’obbligo a partire dal 14 settembre a chi fa rientro nell’isola di esibire una certificazione o autocertificazione di negatività al virus.Attualmente la possibilità di votare fuori dalla propria residenza è prevista solo per alcune categorie di lavoratori, tra cui militari, appartenenti alle forze dell’ordine e naviganti marittimi o aviatori. Per tutti gli altri cittadini ci sono delle agevolazioni economiche sui costi di viaggio.«Il paradosso è che con l’ultima legge elettorale è stato introdotto il diritto di voto per corrispondenza per il fuorisede che si trovano all’estero, ma non per chi sta in Italia» esordisce Stefano La Barbera, presidente del comitato civico Iovotofuorisede, nato da un gruppo di studenti nel 2008 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del voto in mobilità. Dal 2016 infatti, a seguito delle modifiche apportate dal cosiddetto Italicum alla legge elettorale, gli italiani che si trovano all'estero da almeno tre mesi per motivi di studio, lavoro o salute possono votare per corrispondenza, ricevendo al proprio domicilio il plico con la scheda elettorale, anche se non sono iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero.Per chi vive lontano dalla propria residenza, ma in Italia – «un numero complessivo che arriva circa a due milioni» secondo i calcoli di La Barbera  – la battaglia non si è ancora conclusa, nonostante nel tempo siano state avanzate da più parti proposte di legge. Una di queste prevedeva il cosiddetto advanced voting, cioè voto anticipato attraverso un seggio speciale istituito dalla prefettura presso il luogo di studio o lavoro. Le schede dei fuorisede vengono poi sigillate e scrutinate successivamente insieme alle altre. La proposta però non è andata avanti e negli anni la situazione è rimasta immutata.Il comitato non si è arreso e ha deciso di fare un passo in più. Lo scorso dicembre è stato depositato un ricorso al Tribunale di Palermo per ottenere il riconoscimento del diritto a votare nelle forme garantite dalla Costituzione anche per i cittadini in mobilità. «La prima udienza è fissata per il 7 ottobre, aspettiamo di iniziare il procedimento con l’obiettivo di fare la stessa cosa in altre cinque grandi città italiane. Il giudice dovrà decidere se ci sono gli estremi per poter sollevare la questione alla Corte Costituzionale» spiega La Barbera.Il tema è tornato all'attenzione anche in Parlamento: il presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia ha infatti presentato un'interrogazione al ministro degli Interni Luciana Lamorgese per chiedere che il governo metta in atto al più presto misure che consentano il voto a distanza dei cittadini in mobilità, con un riferimento particolare legato al voto elettronico, per la cui sperimentazione la legge di Bilancio 2020 ha stanziato un milione di euro, come si legge dal testo dell'interrogazione.Nel frattempo il comitato civico si è rafforzato allargando la propria rete attraverso la collaborazione con l’organizzazione non profit The Good Lobby, nata a Bruxelles nel 2015 per volontà dell'avvocato italiano Alberto Alemanno e sbarcata in Italia nel 2019. L'organizzazione ha ottenuto il riconoscimento di Ashoka, network mondiale che premia progetti innovativi di imprenditoria sociale. Step importante è stato rilanciare la petizione online, accessibile dal sito iovotofuorisede.it, che attualmente ha superato le 16mila firme.  Sempre sul sito è stata aperta una raccolta fondi finalizzata a sostenere le attività della campagna.«Il problema ha delle importanti ripercussioni anche sull’affluenza alle urne: se guardiamo ai dati delle ultime elezioni politiche del 2018, la media nazionale è stata del 73% ma la percentuale scende di ben 7 punti nelle regioni meridionali, cioè Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Si tratta di centinaia di migliaia di elettori che mancano all’appello e tra questi una larga parte sono i cittadini in mobilità» continua il presidente di Iovotofuorisede.Si tratta ancora una volta di un tema importante di rappresentatività e di garanzia di diritto al voto, oltre che di adeguamento alla situazione europea: «Guardando all’Europa, è evidente come il nostro Paese sia in ritardo nell’adeguamento della normativa agli standard democratici internazionali. In Svizzera, Spagna e Irlanda, ad esempio, è possibile votare per corrispondenza, in Francia e in Belgio si può delegare il voto quando il cittadino non può facilmente recarsi ai seggi per votare per varie ragioni tra cui problemi di salute oppure se non vive nel circoscrizione in cui dovrebbe votare. Avvalendosi di questa possibilità può designare un procuratore, che deve essere un elettore dello stesso comune. In Danimarca si può votare in anticipo, in un seggio speciale allestito per l'occasione presso il luogo in cui si è domiciliati. In Germania invece è ammesso sia il voto per corrispondenza, sia il voto in un altro seggio, mentre nei Paesi Bassi è consentito delegare o votare in un altro seggio» snocciola La Barbera. Insomma, i modi per garantire il diritto di voto ai fuorisede ci sarebbero. Basta sceglierne uno, e implementarlo.Chiara Del Priore   

Solo 500 tirocini irregolari scovati nel 2019: e da ieri non sono ufficialmente più una priorità per gli ispettori del lavoro

Nell'estate dell'anno scorso la Repubblica degli Stagisti aveva intervistato il responsabile dell’Ispettorato nazionale del lavoro, Leonardo Alestra, rispetto ai risultati dei controlli effettuati nel 2018 e alla programmazione per il 2019. Alestra aveva assicurato come i tirocini fossero ancora tra i settori prioritari di intervento, specificando che era «prevista la pianificazione di specifiche iniziative di vigilanza in materia». Eppure nel “Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale” di quest'anno i tirocini sono completamente assenti. Così come non se ne fa menzione nel “Documento di programmazione per la vigilanza per il 2020”, finalmente pubblicato ieri, mercoledì 22 luglio (essendo che indica le priorità dell'anno in corso, che arrivi alla fine del settimo mese sui dodici complessivi non è il massimo...). Dunque dopo due anni in cui i tirocini erano stati inseriti «tra gli ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro», nel 2018 e 2019, per quest'anno invece il ministero del Lavoro decide di invertire la rotta: il problema degli stagisti sfruttati evidentemente non sembra più prioritario.L'Ispettorato nazionale del lavoro prova a mitigare la notizia, assicurando che l'attività di controllo comunque procede anche quest'anno. «La pianificazione di verifiche ispettive specificamente mirate ad arginare il fenomeno del ricorso improprio ai tirocini» dice Alestra «rientra nell’ambito della più ampia azione di contrasto dell’utilizzo di tipologie contrattuali atipiche o flessibili, spesso instaurate solo formalmente al fine di dissimulare veri e propri rapporti di lavoro subordinato, dando luogo a fenomeni di elusione contributiva e di sfruttamento dei lavoratori interessati».«Nell’ambito del Rapporto annuale sull’attività di vigilanza anno 2019» aggiunge il capo dell'Ispettorato «è stata rappresentata la più ampia categoria di violazioni concernente la “riqualificazione” dei rapporti di lavoro, riguardante l’utilizzo non soltanto di tirocini formativi ma anche di altre forme contrattuali fittizie quali le collaborazioni autonome, il lavoro intermittente o il part-time. Tali illeciti, nel corso dell’anno, hanno riguardato complessivamente 5.827 lavoratori».Su nostra richiesta l’Ispettorato ha disaggregato i dati relativi ai tirocini formativi irregolari scovati. «Il personale ispettivo ha provveduto alla corretta qualificazione dei relativi rapporti di lavoro di 506 pseudo-tirocinanti» ha spiegato Alestra «oltre che alla contestazione di altre tipologie di violazione degli adempimenti formali concernenti l’instaurazione dei medesimi rapporti di lavoro, che hanno riguardato 14 casi». Secondo l’Ispettorato, quindi, il dato numerico delle irregolarità complessivamente accertate nel corso del 2019 risulta incrementato di oltre il 32 per cento rispetto al totale degli illeciti rilevati nel corso del 2018 in occasione dei controlli effettuati sui tirocini formativi e di orientamento. Ma comunque ancora largamente inferiore rispetto ai 1.800 del 2017. E il fatto che i tirocini non siano più indicati tra le priorità rende plausibile che il numero di controlli specificamente volti a scovare gli stagisti sfruttati non salirà.Alla nostra richiesta di conoscere il numero complessivo di controlli effettuati sui tirocini, la risposta dell'Ispettorato è che «non è quantificabile in quanto la programmazione dell'attività ispettiva, anche quando finalizzata alla verifica della genuinità dei tirocini formativi, è caratterizzata dal riferimento all'azienda interessata e ai settori Ateco e non ai fenomeni di irregolarità rilevati a seguito dell'accertamento».In realtà, però, due anni fa lo stesso Alestra aveva fornito questi dati: «Gli Ispettorati territoriali del lavoro hanno effettuato sui tirocini anche controlli meramente amministrativi, la loro rendicontazione va suddivisa in: 1.473 controlli di matrice esclusivamente lavoristica, condotti d’iniziativa dagli Itl, risoltisi con esito regolare in 862 casi e con esito irregolare in 356 casi, ovvero oltre il 24% del totale. Mentre 256 sono i controlli ancora in corso e 189 le verifiche amministrative richieste dalle Regioni, con 120 controlli risultati regolari e 36 irregolari, ovvero il 19% del totale». Perchè quest'anno questo spaccato non sia disponibile quest'anno non è purtroppo dato sapere.Ma cosa succede quando viene scovato un tirocinio fasullo? «All’esito di tale tipologia di accertamento il personale ispettivo degli Uffici territoriali dell’Inl provvede alla cosiddetta “riqualificazione” del rapporto di lavoro e al conseguente recupero dei contributi dovuti» spiega Alestra «oltre che, naturalmente, all’irrogazione delle sanzioni amministrative per tutti gli illeciti riscontrati».«Il problema complessivo» spiega Maria Giorgia Vulcano, delegata alle politiche giovanili e ai tirocini extracurriculari del Nidil Cgil nazionale e coordinatrice per la Puglia «è che, essendo una materia in cui la regione ha totale potestà legislativa, ci sono maglie talmente larghe che non c'è strumento di controllo omogeneo sull'effettiva adempienza di soggetti promotori e ospitanti e questo presta il fianco a sfruttamento». Il Nidil Cgil, che ha già diversi contenziosi in atto per il riconoscimento dell’uso non genuino della formula del tirocinio, si candida per dare un contributo più concreto alla lotta alle irregolarità. «Stiamo proponendo una piattaforma rivendicativa che ci consenta, attraverso le confederazioni regionali, di far luce sulle zone d’ombra e di riuscire a intervenire in azienda per difendere i diritti dei tirocinanti. Faremo anche un opuscolo per definire i profili di un tirocinio genuino e differenziarli dall’utilizzo di manodopera a basso costo per le aziende». A dimostrazione degli abusi legati allo strumento, ci sono i settori in cui si ricorre maggiormente al tirocinio: commercio, ristorazione e alloggio, magazzinaggio e trasporti. Quanto all’industria, solo un tirocinante su dieci viene formato da un punto di vista ingegneristico-scientifico.Il rischio è che nel post lockdown l’uso scorretto di forme di impiego a basso costo possa proliferare. «Temo che alla luce dell'emergenza, quella sociale e occupazionale che è solo all'inizio tanti rapporti che già nascevano precari lo saranno ancora di più» conclude Vulcano: «Quest’estate, nelle località turistiche in particolare, ci sarà bisogno di nuova forza lavoro e si troveranno strade per compensare quanto si è perso in questi mesi. Per questo chiediamo di intensificare i controlli, potenziando il personale demandato alle ispezioni». A questo proposito, è scaduto lo scorso 15 luglio il bando per l'assunzione a tempo indeterminato di 264 unità nel ruolo di funzionario amministrativo e giuridico-contenzioso, che dovrebbero implementare anche la squadra destinata a scovare le irregolarità. In attesa degli innesti, attendiamo ora gli sviluppi rispetto all'attività di vigilanza finalmente, anche se con grande ritardo, pianificata.Rossella Nocca

Indennità Covid regionali per gli stagisti, come sta andando? In alcune Regioni i soldi tardano a arrivare

Le buone intenzioni ci sono tutte: alcune Regioni hanno deciso dare una mano agli stagisti colpiti dal Covid, e stanziato fondi per “indennizzarli” delle indennità di tirocinio non ricevute. Peccato che però, come spesso accade nella burocrazia italiana, ci si perde in mille rivoli. E per gran parte degli stagisti potenziali beneficiari dei sussidi previsti non si è materializzato ancora nessun bonifico. Tra aprile e maggio da Emilia Romagna, Lazio,  Calabria,  Toscana e Valle d'Aosta, sono arrivati diversi provvedimenti – tutti diversi sul piano delle modalità operative ma con un unico fine: ricompensare con un piccolo contributo, nella maggioranza dei casi una tantum, quegli stagisti a cui la pandemia non ha consentito il proseguo del tirocinio, e che di conseguenza hanno subito un taglio totale delle entrate mensili. Se non ci pensava insomma la politica nazionale (nel decreto Cura Italia, così come nel decreto Rilancio, non c'è nulla a favore degli stagisti), l'avrebbe fatto la politica locale.La Repubblica degli Stagisti ha deciso di fare luce su come stanno procedendo le erogazioni nelle diverse regioni, a circa due mesi di distanza dall'emanazione dei provvedimenti. Con una postilla in più: per gli stagisti rimasti fermi a causa del Coronavirus si è profilata nelle scorse settimane una strada residuale, ovvero quella della richiesta del Reddito di emergenza: di qui la domanda se fosse cumulabile con le indennità regionali. E la risposta pressoché unanime degli enti è stata affermativa (tranne che, ma solo in teoria, per il Lazio).LAZIO. Alla Regione guidata da Zingaretti va il merito di essere a buon punto con i pagamenti. «Sono stati avviati il 5 giugno» fa sapere Mattia Ciampicacigli dell'ufficio stampa. Ma attenzione, il bando Nessuno escluso – partito il 30 aprile – non era rivolto ai soli stagisti bensì a tutte «le categorie di persone e lavoratori rimaste fuori da altri contributi nazionali», tanto da contare complessivamente «circa 81 mila richieste». Di queste «9.240 sono quelle da parte di tirocinanti, 8.046 per colf e badanti, 813 per i rider, 42.373 per i disoccupati e 20.402 per gli studenti a basso reddito». A oggi, per quanto riguarda i tirocinanti, le erogazioni totali sono a quota 6.579. Lo conferma anche una lettrice, Camilla Santoro, che già il 5 giugno scorso è venuta a raccontarlo sul gruppo Facebook della Repubblica degli Stagisti: «Stamattina ho controllato il conto, è arrivato il bonus dei 600 euro». Le prime graduatorie sono uscite «il 29 maggio e comprendono in tutto 48mila persone» prosegue Ciampicacigli, delle quali circa 43mila soo già state pagate. E proprio nei giorni scorsi è uscita la graduatoria definitiva «con ulteriori 40mila beneficiari» che non rientravano nei precedenti elenchi.  Quanto alla cumulabilità con il Reddito di emergenza, il Lazio non la riconosce, ma solo in linea teorica: «Il bando Nessuno escluso è stato ideato per chi non è ricompreso in altre forme di aiuto e ha dichiarato di non aver ricevuto ulteriori contributi comunitari, nazionali, regionali o locali, erogati per le stesse finalità». L’eventuale fruizione del Reddito di emergenza «avrebbe escluso il richiedente». Il bonus Inps è però entrato in vigore dopo il bando del Lazio: «Solo dal 22 maggio è stato possibile presentare domanda sul sito dell’Inps», rendendo di fatto la cumulabilità possibile. Il che esclude, assicura Ciampicacigli, che «la Regione possa richiedere indietro i soldi a chi abbia in seguito percepito il Rem». EMILIA ROMAGNA. Apripista per i sussidi agli stagisti, è a oggi tra quelle più indietro nell'erogazione dei contributi. Il motivo principale la procedura troppo complessa. L'elemento più critico è infatti il passaggio delle candidature per il tramite degli enti promotori, a cui si chiede di anticipare i soldi agli stagisti. Alcuni non vogliono farlo e dunque non hanno aderito all'iniziativa, come hanno segnalato diversi lettori alla RdS, e dei pagamenti per molti ancora non si è vista l'ombra. «Oltre al rimborso è stata prevista anche la possibilità di chiedere una garanzia fideiussoria pari all’80 per cento dell'importo del finanziamento» è la giustificazione dell'addetto stampa Vanni Masala. Nello specifico si tratterebbe per gli enti promotori della possibilità di chiedere alla Regione stessa di anticipare i soldi del pagamento, fino appunto all'80% del totale. Impegnandosi poi a restituire il tutto una volta ottenuto il rimborso, e sempre che l'ente promotore possa contare con una società che faccia da garante. In compenso la Regione Emilia Romagna “paga” i soggetti promotori per il “disturbo” di gestire queste pratiche, si può dire: «Per i promotori è riconosciuto anche un contributo aggiuntivo a favore dei tutor e di chi si farò carico delle procedure per la corresponsione del sostegno economico a favore del tirocinante», quella che in gergo è definita «la Misura per la continuità del percorso individuale». L'importo è di 100 euro per ogni stagista preso in carico. I numeri oltretutto sono corposi: «Su un totale di 224 soggetti promotori, hanno aderito in 168 per un totale di circa 14mila tirocinanti». Un 25% di enti non ha accettato, lasciando a bocca asciutta, almeno per ora, circa 300 tirocinanti. Non mancano in tal senso le lamentele. Marilù Conte è una delle stagiste che si è sentita rifiutare il sussidio: «Pur avendo tutti i requisiti, il mio ente promotore, Actl, mi ha comunicato di non voler aderire al progetto» denuncia in un messaggio arrivato alla redazione.   Nella speranza che il numero di adesioni cresca e si arrivi a coprire tutti i tirocinanti interessati, «sarà fissata a breve un’altra scadenza di presentazione delle candidature per consentire di raggiungere tutti gli stagisti rientranti nel provvedimento» assicura l'addetto stampa. Per gli enti che hanno dato l'ok invece i pagamenti sono già in corso, perché i promotori possono «erogare la misura a partire dalla data di approvazione della dgr». Sempre a patto, certo, che i soggetti promotori in questione abbiano fondi in cassa e siano solerti nel distribuirli agli aventi diritto.TOSCANA. Anche qui lungaggini dovute alla mancata pubblicazione della graduatoria definitiva, ma va precisato che il bando è stato uno degli ultimi a uscire, a fine maggio. E già allora l'assessore al Lavoro Cristina Grieco parlava di pagamenti in arrivo a luglio. «Ad oggi sono arrivate 2.248 domande» dice alla Repubblica degli Stagisti l'addetto stampa Marco Ceccarini. I beneficiari sono tutti giovani che rientrano nel programma regionale di tirocinio Giovani sì. «Le domande sono in fase di verifica, e entro i primi dieci giorni di luglio contiamo di predisporre la prima graduatoria parziale del primo gruppo di domande ammissibili». Quanto ai pagamenti, «saranno disposti con l'approvazione della graduatoria». Per accelerare i tempi si pensa a «un decreto di contestuale impegno e liquidazione in modo da poter rimborsare subito gli utenti, senza dover ricorrere alla procedura ordinaria che prevede atti separati» chiarisce Ceccarini. CALABRIA. Per questa regione la platea dei potenziali beneficiari del sussidio da 500 euro era particolarmente ristretta. A oggi, fa sapere Patrizia Greto dell'ufficio stampa, «le istanze di partecipazione valide sono pari a 5.193», mentre sono ancora in fase di compilazione gli elenchi dei beneficiari. «Al fine di favorire la tempestiva attuazione delle misure e la rapida liquidazione delle somme si è proceduto con l’approvazione e la successiva liquidazione di diversi elenchi di beneficiari» prosegue. Per la maggior parte i pagamenti sono già esecutivi, in particolare per chi rientra «nei cinque elenchi di beneficiari ammessi per un totale di 4.320 soggetti» a cui i soldi sono già arrivati o risultano in dirittura di arrivo. Al momento invece «è in fase di stesura un ulteriore elenco di domande da liquidare» per completare i versamenti nei confronti di tutte le candidature pervenute. VALLE D'AOSTA. La legge regionale n. 5 del 21 aprile 2020 ha previsto un indennizzo per i tirocinanti extracurriculari pari a 400 euro al mese per marzo e aprile. E anche in questa Regione i pagamenti stanno procedendo. «Su 93 istanze, 67 sono già state pagate, mentre le restanti sono in fase istruttoria» conferma alla Repubblica degli Stagisti Marisa Gheller dell'ufficio stampa regionale.  Ilaria Mariotti

Per richiedere il reddito di emergenza conta l'Isee: ecco cos'è, quali fattori prende in considerazione e come viene calcolato

Borse di studio, indennità, tariffe agevolate: non sempre si riesce a beneficiarne e spesso di mezzo c'è lo zampino dell'Isee. Il calcolo dell'Isee serve infatti, in caso di accesso a sussidi o servizi a condizioni agevolate, a stabilire la situazione di benessere economico di una famiglia, facendo da spartiacque tra possibili beneficiari e soggetti che invece non hanno diritto a una determinata prestazione. Mai dunque come in un momento storico segnato dalla pandemia globale e da decreti che prevedono indennità di vario genere è utile conoscere i dettagli di questo indicatore.Specie per i giovani conviventi con i propri genitori e rimasti senza reddito (o rimborso spese da stage) che vogliano tentare – è possibile fare richiesta fino al prossimo 31 luglio – la strada del Reddito di emergenza, che tra i requisiti impone proprio un Isee inferiore a 15mila euro. Una soglia facilmente superabile se si vive ancora in famiglia. E per cui va fatta una premessa: trattandosi di calcoli matematici che prevedono sommatorie e detrazioni è pressoché impossibile 'stimare' a priori la possibilità di rientrarci o meno. Sarà indispensabile passare per un Caf, che metterà insieme tutti i dati e fornità poi l'esito finale. L'Isee «è l'indicatore della situazione economica equivalente» spiega alla Repubblica degli Stagisti Massimo Braghin, consigliere nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro [nella foto]. È un parametro che «permette di valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari che intendono richiedere una prestazione sociale agevolata». Tutto sta dunque nel «definire redditi e patrimonio del nucleo familiare di appartenenza», perché è proprio la "ricchezza" del nucleo a cui si appartiene che viene scandagliata per capire la reale presenza di una situazione di bisogno. L'Isee prende infatti in considerazione chi vive sotto lo stesso tetto come nucleo familiare, aggiungendovi i soggetti fiscalmente a carico seppur non conviventi – ad esempio un figlio che studia in un'altra città e vive da solo, ma dipendente ancora economicamente dai genitori. Ma quali sono i fattori che incidono sul suo calcolo? «L’Isee tiene conto del reddito di tutti i componenti del nucleo, del loro patrimonio mobiliare ed immobiliare» risponde Braghin. Gli elementi che lo compongono sono tre. L'Isr, ovvero «l'indicatore della situazione reddituale, che è la differenza tra i redditi netti dei componenti del nucleo e le spese sostenute» come ad esempio il canone di locazione. L'Isp, l'indicatore della situazione patrimoniale in cui si sommano i possedimenti immobiliari di ciascun componente. Vi rientrano ad esempio depositi e conti correnti bancari e postali, titoli di Stato, obbligazioni, partecipazioni azionarie in società italiane ed estere, patrimonio netto di imprese individuali e così via. E infine il parametro della scala di equivalenza, «calcolato sulla specifica composizione del nucleo familiare».  Per conoscere l'Isee di un giovane ancora in famiglia, il reddito suo e dei suoi genitori andranno sommati tra loro. E attenzione, perché per la definizione dei redditi non è sufficiente la sola dichiarazione dell'interessato, ma si tratta di informazioni «generalmente acquisite dagli archivi Inps e dell'Agenzia delle entrate, riferite ai due anni precedenti l'invio della Dsu, che è il documento per la richiesta dell'Isee» prosegue il consulente. Perciò, anche nel caso in cui il giovane facesse nucleo a sé non risultando più a carico dei genitori, la convivenza farà sì che i genitori siano ugualmente presenti nel suo Isee, insieme a tutti i possedimenti di cui dispongono. E a rilevare «sarà ovviamente anche la casa di loro proprietà» conferma Braghin. Per fare un esempio: per un ragazzo di 24 anni non a carico fiscale dei suoi genitori – perché magari l’anno prima ha fatto uno stage ben pagato – ma ancora convivente con loro, fa una differenza sostanziale vivere con mamma e papà in un appartamento di 80 metri quadrati a Quarto Oggiaro o in un loft di 150 metri quadrati in via Montenapoleone a Milano. A dover essere conteggiato «è infatti il valore ai fini Imu dell'abitazione», così come «l'eventuale mutuo stipulato per l'acquisto», che a sua volta rappresenta un elemento "a favore" nel calcolo Isee. Il valore delle case è insomma decisivo: e ai fini Isee l'abitazione ha un peso diverso a seconda che sia di proprietà o si paghi l'affitto – perché pagare un affitto fa abbassare il punteggio. «Il valore del canone annuale di locazione della casa di abitazione è incluso fra le spese da sottrarre ai redditi dei singoli componenti» va avanti l'esperto. «Si sottrae fino a 7mila euro più 500 per ogni figlio convivente successivo al secondo». Non solo, ma a contare è anche il tipo di diritto di cui si gode. «Nel patrimonio immobiliare sono compresi usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, enfiteusi. Resta invece esclusa la cosiddetta nuda proprietà».Per un giovane che invece si volesse affrancare dalla propria famiglia e richiedere un Isee proprio, risultando non più a carico dei genitori grazie al proprio reddito, sarà necessario cambiare anche la residenza: solo a quel punto tutti i beni posseduti dai genitori, dalle case al patrimonio mobiliare, non saranno più conteggiati in un unico calcolo e l'autonomia sarà tale a tutti gli effetti. Altrimenti, finché si convive, pur rappresentando nucleo a sé, le ricchezze familiari ricadranno su tutti i membri della famiglia ai fini Isee.  La scala di equivalenza è poi il dato che «consente di comparare i redditi delle famiglie che hanno una struttura diversa tenendo conto delle relative maggiorazioni». Queste ultime, che forniscono un punteggio favorevole, comprendono casi in cui ad esempio siano presenti nel nucleo «soggetti disabili, tre o più figli di un solo coniuge o di entrambi, figli minorenni e in special modo minori di tre anni con genitori lavoratori». Tutte situazioni che potrebbero prestare il fianco, almeno in teoria, a una maggiore fragilità della famiglia sul piano economico. Per fare un esempio «nel caso in cui il nucleo viva in affitto in presenza di almeno tre figli conviventi c'è una maggiore detrazione del canone per ogni figlio convivente a partire dal terzo».Un intreccio matematico insomma, per cui non è possibile stabilire in anticipo il diritto a una determinata prestazione di un soggetto: «è necessario di volta in volta fare gli opportuni calcoli».Ilaria Mariotti

Quanti sono (o meglio, erano prima del Covid) gli stagisti italiani?

Il numero esatto delle persone che fanno stage ogni anno in Italia è (ancora) ignoto. Si può dire che siano all’incirca mezzo milione ogni anno, ma il dato preciso non esiste. In questo articolo vogliamo condividere con i lettori della Repubblica degli Stagisti i numeri sicuri, quelli ipotizzati, il motivo dell’incertezza, e la proposta per uscire da questo cono d'ombra.Il numero “sicuro” è quello degli stage extracurricolari, cioè quelli svolti una volta concluso il percorso formativo. Per l’ultimo anno per il quale disponiamo dei dati – il 2019 – il numero di tirocini attivati è pari a poco meno di 355mila: numero molto simile al 2018, per la precisione in lieve aumento ( + 1%). La fonte è il nuovo Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, pubblicato proprio pochi giorni fa.Il numero “ipotizzato” è invece quello dei tirocini curricolari, quelli svolti mentre si è iscritti a un percorso formativo formalmente riconosciuto – per esempio l'università, o un master, o un corso di formazione regionale. Noi della Repubblica degli Stagisti riteniamo siano tra i 150mila e i 200mila ogni anno. Ma di fatto nessuno conta questi stage: non vi sono rilevazioni regionali o nazionali, non c'è un monitoraggio del ministero dell'Istruzione. Niente. Eppure si tratta di una attività importantissima per i giovani, sopratutto gli studenti universitari e gli allievi di corsi di formazione post-diploma e post-laurea.Una ricerca commissionata l'anno scorso proprio alla Repubblica degli Stagisti dal Comune di Milano ha permesso tra le altre cose di “censire” oltre 22mila tirocini curricolari avviati da soggetti promotori attivi sul territorio di Milano nel 2017 (è verosimile che il dato non sia molto differente per gli anni successivi): in particolare 21mila sono quelli attivati dalle università ubicate sul territorio di Milano. Tutte tranne la Bicocca hanno partecipato alla mappatura: dunque il dato comprende l'università Cattolica che ne ha attivati 7mila, il Politecnico con  5.554, la Bocconi con 4.112, la Statale con 3.350, la Iulm con 1.147, e l’università Vita–Salute San Raffaele con 18.Questo spaccato sui tirocini curricolari ha permesso di capire meglio come le università e gli altri enti formativi gestiscano questi percorsi “on the job” per i propri studenti. In oltre il 70% dei casi gli stagisti curricolari hanno meno di 25 anni. Dei 22mila mappati, oltre 7.500 erano studenti di triennale, quasi 12mila studenti di specialistica, e poco più di 2mila allievi di corsi, master o dottorati.Ma ovviamente questi dati sono incompleti. Quanti sono i tirocini curricolari attivati non solo nella zona di Milano, ma in tutta Italia? Perché il ministero dell’Istruzione non li monitora e conteggia?Poiché non ci vengono raccolte informazioni al riguardo, nulla nemmeno si sa dei dettagli di questo universo. Ignoto quanto durino gli stage curricolari, dove vengano svolti, se riguardino più spesso studenti o studentesse, quanto spesso diano luogo ad assunzione. Un buco nero di informazione che la Repubblica degli Stagisti chiede da anni a gran voce al mondo della politica di colmare.Basterebbe ripristinare l’obbligo di Comunicazione obbligatoria, come è anche previsto anche nella proposta di legge a prima firma Massimo Ungaro sul riordino della normativa sui tirocini curricoli, depositata in Parlamento e forse in procinto di essere calendarizzata, per poter seguire da vicino ciascuno di questi stage e poter ottenere in tempo reale una fotografia dettagliata del fenomeno. In attesa che ciò accada, quel che certamente non si può dire è che i tirocini in Italia “sono circa 350mila all'anno”: questo è un numero proprio sbagliato, perché non tiene conto dei tirocini curricolari, che come visto sono numerosissimi!Bisogna quindi affidarsi a una stima, e dire: 355mila extracurricolari più circa 150mila – 200mila curricolari, il che determina quindi un numero indicativo di mezzo milione di stage attivati ogni anno in Italia.A questo punto, per approfondire almeno un po' conviene tornare sulla tipologia di tirocini per i quali almeno qualche dato c’è: quella dei tirocini extracurricolari. Ecco quindi un'immersione nelle informazioni contenute nel Rapporto annuale del ministero del Lavoro appena uscito, che riguardano i 355mila tirocini extracurricolari del 2019.La ripartizione per genere è praticamente identica: poco più di 176mila tirocinanti uomini e quasi 179mila tirocinanti donne. Dunque una prima nota interessante è che le opportunità di stage sono equamente distribuite rispetto al genere. Dal punto di vista geografico, i tirocini extracurricolari si concentrano nelle regioni del Nord: quasi 198mila su 355mila, pari più o meno al 56%, si svolgono tra Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. La Regione dove viene attivato il maggior numero di stage è come di consueto la Lombardia: 74.137, pari quasi al 21% del totale. Vuol dire che di tutti i tirocini attivati nel corso del 2019 in tutta Italia, oltre uno su cinque si è svolto in Lombardia.A grandissima distanza la seconda Regione classificata in termini numerici è il Veneto, sul cui territorio sono stati attivati nel 2019 un po' più di 38mila tirocini extracurricolari; terzi Lazio e Piemonte, entrambi sopra i 34mila,  tallonati dall' Emilia Romagna con quasi 31mila.Il Rapporto permette anche di conoscere il dato sui settori in cui lo strumento del tirocinio è maggiormente usato: per esempio oltre 41.300 tirocini extracurricolari, pari a quasi il 12% del totale di quelli attivati nel 2019, hanno riguardato il settore ricettivo, in particolare alberghi e ristoranti. E’ un numero molto significativo, che apre lo spazio per un’analisi critica dell’utilizzo degli stagisti per mansioni semplici (pensiamo solo alle figure del receptionist o del cameriere), per le quali non vi è bisogno di formazione lunga e sarebbe più opportuno stipulare un contratto di lavoro. Ma di fatto la normativa non vieta gli stage per questo tipo di lavori.Un altro dato significativo è quello dei quasi 85mila stage in ambito “Commercio e riparazioni” (peraltro in aumento di quasi l'8% rispetto all'anno precedente): qui troviamo la diffusissima figura dello stagista-commesso. Impressionante pensare che il 24% di tutti i tirocinanti extracurricolari del 2019 sia andato a svolgere il suo stage in una struttura commerciale (negozi, boutique, piccola e grande distribuzione, officine).Per quanto riguarda le età, lo stage è usato sopratutto da e per i giovani: il 47% circa dei tirocinanti (cioè poco più di 168mila sul totale dei 355mila) ha meno di 25 anni. Qui però si rileva una differenza abbastanza significativa per genere, nel senso che le ragazze arrivano allo stage mediamente più tardi rispetto ai coetanei maschi. In particolare, gli stagisti under 25 sono oltre 51% del totale degli stagisti maschi, mentre le stagiste under 25 sono solo il 44% del totale delle stagiste femmine. Vi è poi un 36% di persone che hanno fatto il loro tirocinio, nel 2019, mentre erano nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni: in valori assoluti si tratta di 128mila persone.Il fenomeno degli stagisti anziani è ancora presente e purtroppo anzi, per quanto riguarda l'ultimo segmento, addirittura in crescita. 48.613 sono i tirocini attivati su adulti tra i 35 e i 54 anni nel 2019, pari a quasi il 14% di tutti gli stage attivati. Ma ancor più triste è che vi siano stati anche quasi 10mila tirocini attivati su persone over 55. Da notare che questo numero è quasi raddoppiato nel corso degli ultimi tre anni: nel 2016 i tirocini attivati su persone di oltre 55 anni erano stati soltanto 5mila. I dati sono importanti, in politica, perché permettono di analizzare i fenomeni e di elaborare policy adeguate. Conoscere i dettagli di come, quando e perché le persone fanno stage è così importante per poter gestire e governare il fenomeno dello stage e, più in generale, assicurare le migliori condizioni ai giovani nel momento di passaggio dalla formazione al lavoro. Ecco perché bisogna al più presto rimediare alla mancanza di dati riguardanti i tirocini curricolari, e mettere in cantiere per gli anni a venire dei monitoraggi molto accurati di entrambi i tipi di stage, rendendo poi pubblici i risultati per la discussione e la valutazione.Eleonora Voltolina

Le politiche per il lavoro vanno ripensate: la proposta del Job Guarantee nel libro Lavorare tutti

Le politiche per il lavoro messe in campo negli ultimi decenni nel nostro Paese non sono state decisive. Il lavoro continua a scarseggiare, a essere mal pagato e di bassa qualità. E ancora, le restrizioni dell'austerity hanno portato a un peggioramento delle condizioni di vita degli europei, con un aumento esponenziale delle disuguaglianze. Allora perché non ripensare il sistema nel suo complesso, guardando a economie più sviluppate, o addirittura alla prima al mondo, vale a dire quella statunitense? A fornire lo spunto è il libro Lavorare tutti? del giornalista e ricercatore Martino Mazzonis, esperto di Stati Uniti, e che per Ediesse ha pubblicato un volume (164 pagine, 13 euro) che raccoglie le proposte politiche più convincenti per il lavoro nell'America di Trump.E che sono sostanzialmente due: il lavoro garantito pubblico, il cosiddetto 'Job Guarantee', un piano che ipotizza che sia lo Stato il datore di lavoro di ultima istanza. Una riforma di cui si discute molto negli States, non solo in convegni marginali - sottolinea Mazzonis - ma a livello mainstream, e per cui sono state formulate e anche simulate diverse proposte. E il Green New Deal lanciato dalla nuova stella della sinistra statunitense, Alexandra Ocasio-Cortez, che parte dall'idea di trasformare il cambio climatico – i Fridays for Future tanto per fare un esempio – in una leva per costruire nuovo lavoro, anche pubblico. Mazzonis parte da un assunto nella sua analisi, e cioè che anche la società americana è stata colpita dalla crisi economica vissuta dalle civiltà occidentali come la nostra. E che - sintomo più evidente ne è stata l'elezione di Trump - anche oltreoceano la cittadinanza soffre per un mercato del lavoro sempre più escludente, salari che precipitano e una forbice sociale che si allarga. La middle class, o quella che ne resta, si è sgretolata anche lì, l'American Dream viene meno. «Se c'è una cosa che si può dire con certezza sugli effetti della Grande recessione cominciata nel 2007 con la crisi dei subprime» scrive Mazzonis all'inizio del primo capitolo, «è che questa ha accentuato le diseguaglianze e reso più evidenti e insopportabili quelle esistenti». Il lavoro pubblico potrebbe allora essere la risposta, anche nell'Italia del Reddito di cittadinanza, ipotizza. Per di più a ragion del fatto che «la letteratura esistente evidenzia la non incompatibilità tra strumenti di distribuzione del reddito e creazione di lavoro». Una politica non escluderebbe l'altra insomma. Il giornalista va a fondo della questione, e del Job Guarantee analizza le diverse facce, costi e benifici (il primo sarebbe «un salario minimo che garantirebbe l'uscita dalla povertà»), ma anche critiche. Partendo però dalla spiegazione del suo funzionamento. Una delle idee più strutturate è quella del Levy Institute, ricorda il libro, secondo i cui calcoli i beneficiari di questa misura oscillerebbero «tra gli 11 e i 16 milioni», comprendendo «disoccupati, working poors, persone a part time involontario» si legge ancora nel primo capitolo. I vantaggi sarebbero diversi. «Scomparsa del lavoro povero» ne è uno, scrive l'autore, «grazie all'effetto sui salari di un'offerta di lavoro pubblico che garantirebbe un minimo orario di 15 dollari». E ancora aumento della raccolta fiscale, vale a dire più persone che pagano le tasse, «miglioramento della qualità urbana, e dei servizi di cura che diventerebbero sostenibili anche per chi non ha molto da pagare». E poi «ammodernamento del sistema infrastrutturale minore». Perché è proprio in questi ambiti elencati che il lavoro pubblico andrebbe a innestarsi. Nel libro ci sono anche esempi concreti di lavori che si andrebbero a creare: «riparazione e manutenzione delle infrastrutture, del parco immobiliare e degli edifici pubblici, aggiornamento dell'efficienza energetica degli edifici pubblici, servizi per i bambini in età prescolare e doposcuola di qualità, assistenza agli anziani, ringiovanimento del servizio postale». Perché al Job Guarantee andrebbe applicato il principio del Green New Deal, secondo cui i nuovi lavori potrebbero sfruttare le opportunità che nascono dalla crisi climatica. Ci sono esempi ancora più puntuali: «Le scuole pubbliche di una città» si legge, «si iscrivono alla Community Jobs bank, fornendo un inventario di progetti». Che potrebbero essere mansioni come «riverniciatura di edifici e campi da gioco», così come di «sostegno agli insegnanti per seguire nel pomeriggio gli alunni che rimangono indietro con compiti e lavori».E i costi? Mazzonis lascia intendere che sia proprio questo il risvolto più controverso della questione. Le ipotesi sono diverse, anche se molte sono lacunose sull'aspetto principale, che è quello di trovare le risorse: «Il costo totale previsto dai ricercatori del Center on Budget and Policy Priorities è di 543 miliardi l'anno, per l'equivalente di 10,7 milioni di posti di lavoro full time» riporta Mazzonis. A fronte di tali esborsi ci sarebbero però i guadagni derivati dalla crescita. Altre simulazioni, per esempio quella del Levy Institute, che il giornalista considera tra le più articolate, parlano di «un aumento del Pil medio annuo di 474 miliardi».  «Avrebbe senso creare lavoro pubblico in Italia?» si chiede Mazzonis in un tweet in cui promuove il suo libro. E la risposta è «sì, avrebbe senso», in un mercato «disastroso» come il nostro sotto diversi punti di vista: partecipazione al mercato del lavoro, numeri sulla disoccupazione, ore lavorate, precarietà, tutti aspetti che il giornalista passa in rassegna nelle ultime pagine del libro. «Con tutte le differenze del caso rispetto agli Stati Uniti» scrive, «ci pare di aver delineato un quadro negativo che segnala la necessità di misure non convenzionali capaci di portare il paese fuori da una lunga crisi». Come quella del lavoro garantito. L'endorsement all'idea arriva anche da Maurizio Landini, alla guida della Cgil, che intervenendo alla presentazione del libro nella sede del sindacato ha ricordato come in Italia «sia in atto una svalutazione del lavoro a partire dagli anni Novanta, che ha portato a una precarietà senza precedenti». Circostanze che aprono alla necessità di «parlare di un nuovo modello di sviluppo». Ilaria Mariotti