Categoria: Approfondimenti

Cosa costituisce tirocinio formativo e cosa no (secondo la legge italiana)

Nel corso dell'inchiesta "Stage a pagamento: un lettore chiede "help" alla Repubblica degli stagisti" si è posto il problema: cos'è (e cosa non è) uno stage per la legge italiana? In effetti, i tirocini formativi sono uno strumento che la normativa regola in maniera precisa. Il decreto ministeriale 142 del 1998 [nell'immagine, la pagina del sito del ministero del Lavoro su cui è possibile reperire i testi di quasi tutte le disposizioni normative in materia di lavoro e formazione] stabilisce delle regole da rispettare per l'attivazione di questi percorsi di formazione e orientamento. Innanzitutto, la parte burocratica e amministrativa: per attivare un tirocinio c'è bisogno non solo dello stagista, ma anche di un soggetto promotore e di un soggetto ospitante (che può essere un'impresa privata così come un ente pubblico). Questi due soggetti stipulano una convenzione che va trasmessa, insieme al progetto formativo e di orientamento, alla Regione, alla struttura territoriale del ministero del Lavoro e della previdenza sociale competente per territorio in materia di ispezione, nonché alle rappresentanze sindacali.  Un limite ulteriore è dato dal numero di partecipanti, che anche nelle aziende più grandi non può superare il 10% dei dipendenti assunti a tempo indeterminato. Restano, ovviamente, gli obblighi di assicurazione Inail e di responsabilità civile verso terzi, oltre alla necessità di nominare due tutor  (uno per il soggetto promotore e uno per il soggetto ospitante) a cui viene affidato il compito di seguire le attività dei tirocinanti. Certo, il termine stage non è coperto da copyright e può essere utilizzato liberamente. La Repubblica degli Stagisti, tuttavia, suggerisce ai suoi lettori di informarsi sempre e capire bene se un'offerta di stage è davvero tale,  e rispecchia cioè i parametri indicati dalla 142/1998, oppure no. Se si ha a che fare con un corso puramente accademico o con un traghetto verso il mondo del lavoro, è bene saperlo in anticipo. Andrea CuriatEleonora Della RattaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage a pagamento: un lettore chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti- Stage e tirocinio sono la stessa cosa?- Proroghe allo stage, maneggiare con cura: la durata massima non è un'opinione

Progetto di stage "Les 4" di Promuovi Italia: la scheda con tutte le informazioni utili

Come candidarsi: inviare un curriculum vitae in formato europeo (possibilmente con foto) all’indirizzo cv [chiocciola] promuovitalia.it [nell'immagine l'homepage di Promuovi Italia, società di proprietà dell'Enit - Ente nazionale promozione turismo, che ha l'incarico di gestire il programma di tirocini Les 4]. Scadenza e tempistiche: non c’è un termine di scadenza per inviare i curriculum. Il progetto ha durata triennale. Gli operatori del call center assicurano che i tempi di risposta non saranno superiori a qualche settimana. Si viene contattati se la candidatura è accettata e non appena si libera un posto per la posizione desiderata. Requisiti: il bando è riservato ai disoccupati delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. È aperto a diplomati o laureati. Non ci sono altri requisiti o limiti di età. Le posizioni disponibili: 6mila in tutto nel corso di tre anni (a partire da adesso) Nel curriculum bisogna indicare una o più preferenze per le seguenti aree di attività disponibili, tutte nell’ambito del settore turistico: marketing operativo e territoriale, amministrazione/contabilità, servizi ricevimento/servizi al cliente, risorse umane, addetto al booking e prenotazioni, programmatore turistico, operatore d’agenzia di viaggi, addetto all’attività culturale, staff e segreteria di direzione, addetto al wellness, pubbliche relazioni/pubblicità e comunicazione, operatore di vigna e cantina, responsabile dei servizi di ristorazione/sicurezza alimentare, cuoco/aiuto cuoco, sommelier, barman. Le aziende che offrono i tirocini: sono 2800. La lista delle aziende è gestita dal ministero dello Sviluppo economico, include le imprese che hanno usufruito di finanziamenti ai sensi della legge 488 del 1992, e non è al momento disponibile al pubblico. Nello stilare il curriculum si può comunque indicare la propria preferenza per il tipo di azienda che si preferisce (ristorante, hotel, agriturismo, e così via).Le prospettive di lavoro al termine del tirocinio: non c'è nessun vincolo per le imprese: al termine del periodo formativo (della durata massima di 6 mesi) ciascuna deciderà se inserire in organico la nuova risorsa o no. Secondo le previsioni di Promuovi Italia, due stagisti su tre verranno assunti. Retribuzione e copertura assicurativa: i tirocinanti percepiscono una borsa lavoro mensile di 500 euro, un’indennità di prima sistemazione una tantum di 250 euro, un’indennità sostitutiva di mensa di circa 300 euro al mese (10 euro al giorno) e coperture assicurative Inail e Rct. Alloggio: è la stessa Promuovi Italia a fornire l'alloggio: camera in appartamento con altri tirocinanti. La stanza è singola o doppia a seconda dei casi (quasi sempre doppia nelle grandi città, da condividere con persone dello stesso sesso). Rimborso viaggi: include un viaggio al mese su tratte di lungo raggio (via treno o via aereo per le isole); il biglietto è emesso dalla biglietteria centralizzata di Promuovi Italia e le tempistiche sono concordate tra il tutor aziendale e il tirocinante. Per i trasporti locali è previsto un rimborso per l’abbonamento mensile, secondo le tariffe stabilite dai consorzi pubblici locali; il valore si aggira in media sui 35 euro al mese. Cosa succede se si rifiuta una proposta: Chi rifiuta un’offerta di tirocinio non è escluso a priori dalla lista dei candidati per ulteriori proposte, sebbene solitamente Promuovi Italia indaghi circa la ragione della rinuncia. È possibile rinunciare anche più volte, seppur nei limiti del ragionevole e soltanto per motivazioni valide. Contatti utili: numero verde 800 990064 (dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19), sito web Promuovi Italia.   Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, maxi-finanziamento europeo da 60 milioni per disoccupati di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ma tra i criteri di selezione non c'è l'età

Trovare lavoro dopo la laurea o il master, attenzione alle percentuali di placement: a volte possono riservare sorprese

Su cosa sia stage e cosa sia lavoro sembra che ancora ci sia poca chiarezza. In particolare quando si tratta di analizzare i dati sul placement universitario, ovvero su quanti laureati a distanza di un anno, o sei mesi, lavorano. Il placement infatti indica la percentuale di "collocati" (dall'inglese to place, collocare) rispetto al totale dei laureati (o diplomati, nel caso dei master). Numeri di grande valore, visto che il collocamento nel mondo del lavoro è una delle priorità dei giovani al momento di scegliere quale facoltà intraprendere o a quale ateneo iscriversi. E le cifre descrivono solitamente futuri più che rosei: 93-95% dei laureati in economia in Bocconi e Cattolica, per esempio, che a tre mesi dalla discussione della tesi già lavorano, 87% dei dottori in scienze della comunicazione dell'università di Urbino che trovano un'occupazione entro dodici mesi... Percentuali che si avvicinano al 100% per Mba e master. Percentuali che spingono molti giovani a spendere cifre anche importanti, convinti che dopo quel determinato percorso formativo le porte del mondo del lavoro saranno spalancate. Ma c'è da fidarsi?Sì e no. È bene tener presente infatti che talvolta nella percentuale di "collocati" vengono ricompresi anche coloro che non hanno un lavoro, ma solo uno stage (magari perfino gratuito). La Repubblica degli Stagisti ha contattato alcuni importanti atenei e ha chiesto loro se nella percentuale di placement includono anche gli stage: le risposte non sono omogenee. Nella maggior parte dei casi lavoro e stage sono tenuti separati: «Anche quando è retribuito, come avviene spesso per il periodo post-laurea, lo stage non può essere considerato lavoro» spiega Gilda Rota, responsabile dell'ufficio Servizio stage e mondo del lavoro dell'università di Padova «quindi nei nostri calcoli sul placement non lo consideriamo». Si comportano diversamente altre università, come ad esempio la Bocconi di Milano: «Stage curriculari e stage di lavoro, sia in Italia sia nel resto del mondo, sono inclusi nella percentuale», dichiarano dall'ateneo. Perché a ben guardare il dato sul placement spesso riporta il numero di studenti che "risultano inseriti nel mondo del lavoro" e non quelli con un contratto. Non si tratta, quindi, di chi ha ottenuto un rapporto di lavoro vero e proprio, ma semplicemente di chi è stato "inserito". Un po' la stessa differenza che c'è tra disoccupati e inoccupati: i primi non hanno un lavoro, gli altri sono impegnati in un percorso di studio post laurea oppure svolgono attività nel mondo del lavoro ma senza essere assunti (come gli stagisti!).I criteri cambiano da un'università all'altra anche perchè spesso i calcoli sono affidati a uffici studi esterni: nel valutare la voce placement, quindi, bisogna fare molta attenzione e cercare di capire a cosa si riferiscono. Magari in maniera diretta, scrivendo una email ai responsabili e chiedendo se nel dato  percentuale che pubblicano sul sito o sulla brochure contano anche gli stage o no. Come nota finale la Repubblica degli Stagisti riporta l'interpretazione in materia di placement dell'Isfol, l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori,  che conferma la netta differenza tra stage e lavoro: nel suo monitoraggio annuale sull'esito dei tirocini attivati dai centri per l'impiego, per esempio, non considera come "esito positivo" le proroghe degli stage, ma soltanto le assunzioni vere e proprie.Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Un anno di Soul, il servizio di placement pubblico delle università del Lazio- Stage attivati dai centri per l'impiego: ecco la radiografia annuale dell'Isfol- Video curriculum per andare all'estero, un nuovo strumento al servizio degli studenti dell'università di Padova  

Stage e tirocinio sono la stessa cosa?

Molte volte capita di fare confusione tra le parole stage e tirocinio:  «Credo che alla fine siano la stessa cosa»  ha scritto di recente la lettrice Luna sul Forum di questo sito. E ha ragione: questi termini, insieme a praticantato e apprendistato, indicano tutti una condizione simile, cioè un periodo di formazione per imparare un lavoro. Però ci sono alcune differenze rilevanti che è utile conoscere. Lo stage è volontario, o comunque facoltativo: ciascuno sceglie se e quando farlo. Il tirocinio è invece indispensabile come step di un determinato percorso formativo o professionale: l’ingresso a una scuola, il conseguimento di un titolo. Per esempio, già all'università alcuni corsi di laurea prevedono dei "tirocini curriculari" obbligatori, senza aver svolto i quali uno studente non si può laureare. In altri casi, invece, si parla di "tirocini extracurriculari", non essenziali ai fini del piano di studi (e quindi, tecnicamente, stage e non tirocini). Allo stesso modo, i laureati in psicologia devono svolgere un tirocinio di un anno per essere ammessi all'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo. Un po' lo stesso concetto del praticantato, obbligatorio per accedere ad alcune professioni come l’avvocato o il giornalista (la Repubblica degli Stagisti si è occupata nei mesi scorsi dei praticanti avvocati e commercialisti con due approfondimenti). Nel caso dei giornalisti, poi, può diventare un rapporto di lavoro: ma nella maggior parte dei casi non è obbligatorio retribuire i praticanti. Lo è invece, indubitabilmente, retribuire gli apprendisti: l’apprendistato è un vero e proprio rapporto di lavoro, applicabile sia alle qualifiche operaie che a quelle impiegatizie. Poiché racchiude in sé il concetto di formazione, viene definito «a causa mista»: l’apprendista deve un po’ lavorare e un po’ imparare, insomma, e l’azienda che lo assume ha il vantaggio di pagargli uno stipendio e una quota contributiva più bassi. Gli apprendisti quindi, dato che hanno un contratto e ricevono una retribuzione, si pongono su un piano diverso rispetto ai loro cugini stagisti, tirocinanti e praticanti – anche se poi, in sostanza, il concetto di formazione sul campo è lo stesso per tutti.Insomma, al di là di poche differenze, stage e tirocinio vengono ormai usati nel linguaggio di tutti i giorni come sinonimi: e infatti anche la normativa di riferimento, il decreto ministeriale 142/1998, li accomuna. E tutti quanti – stagisti, tirocinanti e praticanti – possono venire a cercare riparo qui sotto le ali della Repubblica degli Stagisti.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Aziende senza dipendenti: è possibile lo stage? Regione (e provincia) che vai, risposta che trovi- Cosa costituisce tirocinio formativo e cosa no (secondo la legge italiana)- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?- Trovare lavoro dopo la laurea o il master, attenzione alle percentuali di placement: a volte possono riservare sorprese

Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?

Non tutte le lauree sono uguali, tanto meno quando si abbandonano le aule universitarie e si bussa alla porta del mondo del lavoro. AlmaLaurea [nell'immagine, la tabella della condizione occupazionale dei laureati di primo livello a un anno dalla fine degli studi] e l'Istat hanno misurato la spendibilità del titolo al termine degli studi e il panorama non appare confortante: nei primi mesi del 2009 le aziende hanno richiesto meno laureati, con un calo del 23% rispetto all'anno precedente. Ne hanno risentito tutti, anche i percorsi di studio che in genere si trovano al vertice dell'occupazione: basta pensare al -35% registrato per i laureati in economia e statistica, ma anche al -24% di ingegneria.Al di là della crisi, però, sono queste le facoltà che offrono maggiori sbocchi occupazionali: gli ingegneri, dopo cinque anni di studi, possono contare su un posto a tempo indeterminato nell'82% dei casi, in particolare se si è specializzati in meccanica, ingegneria delle telecomunicazioni o chimica. Tra i più appetibili ci sono anche i dottori in chimica farmaceutica, economia aziendale e odontoiatria. A un anno dalla laurea, invece, restano disoccupati medici e laureati in giurisprudenza, ma solo perché intraprendono corsi di specializzazione o il praticantato post-laurea. Diversa la situazione per i laureati in lettere, psicologia e nelle discipline scientifiche: per loro la differenza non sta solo nella possibilità di un contratto, ma anche nella retribuzione, più bassa di circa 300 euro al mese rispetto ai colleghi delle aree medica e tecnica.La situazione occupazionale si differenzia molto per lauree triennali o specialistiche e i risultati che emergono sono differenti a breve o a medio termine. Se in una laurea di primo livello si cerca la certezza di ottenere presto un posto di lavoro, meglio puntare sulle facoltà che preparano alle professioni sanitarie, come infermieristica oppure ostetricia. A un anno dalla conclusione degli studi l'84% ha già un posto, con un contratto a tempo indeterminato e un buon livello di retribuzione. Si tratta di percorsi professionalizzanti di cui c'è una forte domanda. Per tutte le altre discipline, invece, meglio proseguire con una laurea specialistica: la triennale sembra non offrire chance a lungo termine, e anche chi trova presto un lavoro vede crescere più lentamente la propria carriera rispetto ai colleghi specializzati. Chi ha una laurea in psicologia, biologia o ingegneria quattro volte su cinque prosegue gli studi; un dato ancora più vero per i gruppi economico-statistico, politico-sociale e letterario. Al termine delle lauree magistrali o di secondo livello il quadro è molto diverso: i medici ottengono buoni risultati a cinque anni dalla laurea, dopo aver conseguito la specializzazione o aver completato il tirocinio. Lo stesso vale per gli studi giuridici, mentre ingegneri, architetti e laureati in economia continuano ad essere avvantaggiati sia per le possibilità di lavoro che per i livelli retributivi. Non bisogna sottovalutare il rapporto tra titolo di studio e occupazione: i laureati risultano in grado di reagire meglio ai cambiamenti del mercato del lavoro, e nell'intero arco della vita lavorativa il titolo si rivela premiante. Rispetto a chi ha solo il diploma, i "dottori" hanno un 10% in più di possibilità di ottenere un lavoro e guadagnano in media il 65% in più dei colleghi senza laurea. Eppure in tanti nella loro vita intraprendono carriere che non sono in linea con il percorso di studi. Oltre il 20% dei giovani svolge un lavoro per cui il titolo conseguito non è fondamentale: si tratta soprattutto di laureati in lettere, psicologia, lingue e corsi di primo livello di giurisprudenza.Ma come valutano i selezionatori la laurea nel curriculum? Il "pezzo di carta" ha un valore, ma ad alcune condizioni. Gli "head hunter" interpellati dalla Repubblica degli Stagisti sono d'accordo su un punto: in facoltà non ci si deve invecchiare. Che si tratti di laurea o master, gli studi vanno finiti nei tempi previsti, meglio se con un buon voto – ma soprattutto integrati con esperienze lavorative o di stage. Periodi di studio all'estero, conoscenza delle lingue e  forte motivazione sono altri elementi che possono far crescere in valore la laurea. Là dove non è richiesta una determinata specializzazione, sono questi i parametri in base ai quali le aziende cercano il personale: vengono così rivalutate le lauree in filosofia, lettere o psicologia, ma solo se il percorso di studi è affiancato da attività collaterali che hanno permesso allo studente di arrivare alla fine dell'università con già un'esperienza.Eleonora Della RattaLe storie di vita vissuta raccolte dalla Repubblica degli Stagisti su questo argomento:- Laurea in psicologia, ma con qualcosa in più: il cinese. La storia di Alessandro, «cool hunter» tra Pechino e Shangai- Tecnologie fisiche innovative, facoltà poco conosciuta ma molto utile per trovare lavoro: la storia di MichelaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Trovare lavoro dopo la laurea o il master, attenzione alle percentuali di placement: a volte possono riservare sorprese- Stagisti e figli della riforma universitaria, l'identikit di Almalaurea- Dalla parte dei laureati - lo stage serve per trovare lavoro?  

Problemi con lo stage: vanno segnalati subito all'ente promotore

Molto spesso i lettori chiedono consigli, sul Forum di questo sito o scrivendo al servizio «Help», su cosa fare per uscire da una situazione di stage insoddisfacente. Le proteste più comuni sono due: «non imparo abbastanza», cioè la formazione resta sulla carta e il progetto formativo non viene rispettato, oppure «lavoro come un dipendente», e in questo caso cioè lo stage viene utilizzato come paravento per poter disporre di manodopera (o meglio, cervellodopera) a costo zero o semizero.Il primo consiglio è sempre quello di parlarne con il proprio tutor aziendale. Ma se questo approccio fallisce, il passo successivo da compiere è quello di mettersi immediatamente in contatto, preferibilmente per iscritto (per esempio con una email – mettendo in copia conoscenza, se vorrete, anche noi della Repubblica degli Stagisti), con l'ente promotore, e descrivere in maniera circostanziata le problematiche chiedendo un tempestivo intervento. Per ogni stage che viene attivato, infatti, al tirocinante viene assegnato obbligatoriamente un angelo custode, quello che la normativa definisce il «tutore incaricato dal soggetto promotore, responsabile didattico-organizzativo delle attività», cui spetta il compito di vigilare sul corretto svolgimento dello stage. Gli enti promotori non si devono occupare solo delle mere procedure burocratiche, come per esempio quelle per l'assicurazione Inail, ma sono tenuti a supportare i tirocinanti qualora sorgano difficoltà.Nella email è bene essere il più precisi possibile rispetto agli orari (stare in ufficio dalle nove della mattina alle otto di sera, per esempio, è troppo per uno stagista: può capitare qualche volta, ma se diventa la regola c'è qualcosa che non va),  al tutor (che dovrebbe seguire con costanza lo stagista, supervisionando il suo operato e insegnando il mestiere per tutto il periodo di stage, e non solamente per i primi giorni), alle responsabilità (svolgere compiti indispensabili, avere le chiavi per aprire e chiudere la sede, gestire uno o più clienti «in esclusiva» possono essere campanelli d'allarme). Se poi si ha l'impressione di essere proprio sfruttati, e di svolgere in sostanza lo stesso lavoro di altri dipendenti regolarmente assunti – con la piccola differenza di non avere né stipendio né contributi – non bisogna avere timore di dire chiaramente che si ha il sospetto che l'ente ospitante stia utilizzando lo strumento dello stage per mascherare un lavoro dipendente.Anche altre situazioni anomale possono e devono essere segnalate. Per esempio se si fa lo stage in un posto dove ci sono pochissimi dipendenti e moltissimi stagisti, è giusto segnalarlo all'ente promotore perchè è probabile che l'impresa stia violando i limiti che la normativa pone al numero degli stagisti impiegabili contemporaneamente. A maggior ragione se gli stagisti vengono fatti ruotare di continuo, dando l'impressione di essere utilizzati per non dover assumere dipendenti «veri». Se poi lo stage è esplicitamente «orientato all'inserimento lavorativo», come avviene nella maggior parte degli stage post-laurea, o in quelli attivati dai centri per l'impiego, è opportuno segnalare se si ha sentore di una scarsissima – o addirittura nulla – possibilità di assunzione al termine del periodo di formazione.Gli enti promotori spesso sono gestiti da poche persone, che si trovano a dover gestire centinaia o addirittura migliaia di stage ogni anno, con centinaia o migliaia di aziende convenzionate. Non possono avere occhi in ogni ufficio, non hanno il tempo materiale per controllare ogni realtà aziendale. Segnalando le situazioni che non vanno potrete dare una mano agli addetti, permettere loro di fare verifiche mirate, correggere il tiro, e nei casi più gravi magari sospendere le convenzioni con le aziende che si saranno dimostrate meno serie. Subire in silenzio una situazione che non si considera giusta, o andarsene senza far rumore per paura di smuovere le acque non solo non è utile per sé stessi, ma in più non aiuta a migliorare l'universo stage.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Proroghe allo stage, maneggiare con cura: la durata massima non è un'opinione- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»- La Repubblica degli Stagisti al servizio dei lettori: al via la nuova rubrica «Help»- Centro per l'impiego di Frosinone: il posto «magico» dove uno stagista su due trova lavoro- Universo stage, panoramica sugli enti promotori: il JobCaffè della Provincia di Milano

«Non è un paese per giovani», fotografia di una generazione (e appello all'audacia)

È uscito da pochi mesi in libreria un libriccino che ogni trentenne dovrebbe leggere e tenere in tasca. Si intitola Non è un paese per giovani (Marsilio, collana I Grilli), sottotitolo «L'anomalia italiana: una generazione senza voce». Gli autori sono Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia all'università Cattolica di Milano e collaboratore del sito Lavoce.info (qui un elenco dei suoi articoli e qui una bella intervista rilasciata di recente a Fabrizio Buratto per Job24) e la giornalista trentaquattrenne Elisabetta Ambrosi. Il libro si basa sui risultati di una ricerca realizzata da Rosina ed è una sorta di impietosa, lucida, acuta fotografia della generazione dei trentenni di oggi, che vivono compressi da una sorta di «tappo» che impedisce loro di emergere, prendere il volo e raggiungere posizioni di comando e autonomia.Primo elemento del «tappo»: i (troppi) vecchi al potere, che malgrado i raggiunti limiti di età non vogliono lasciare le loro posizioni. Scrivono Ambrosi e Rosina: «Solo da noi un over 30 è considerato un sub-adulto. "Sei ancora giovane" è il leit-motiv più frequente per chi aspira a competere con le sole armi del merito a qualche ruolo di rilievo sociale e professionale. "C’è ancora tempo, aspetta il tuo turno". Ecco allora che il prolungamento della giovinezza diventa funzionale al blocco generazionale». Insomma: se i vecchi professori, politici, giornalisti, avvocati, medici non si levano fisicamente di mezzo, e se le nuove leve continuano ad accettare di attendere pazientemente il loro turno – anche se in altri Paesi nessuno si sognerebbe di definire un trentenne "giovane"! – come potrà avvenire il necessario ricambio generazionale?Secondo elemento del «tappo»: le famiglie d'origine, accanto alle quali i giovani vivono in un’«inverosimile pace sociale». Il conflitto generazionale, la ribellione ai padri, le fughe da casa non esistono più: i trentenni resistono grazie al cordone ombelicale con i genitori, non per bamboccionismo ma nella maggior parte dei casi per pura necessità. Mamma e papà sono gli unici ammortizzatori sociali su cui  si può contare per arrivare alla fine del mese, per sopravvivere prima nel tunnel degli stage e poi tra un contratto precario e l’altro.Terzo elemento del «tappo»: la sfiducia nel futuro, la rassegnazione di fronte alla difficoltà di trovare un buon lavoro e un buon stipendio. «Gli attuali trentenni» sintetizzano gli autori «hanno assistito al drammatico deterioramento di garanzie e prerogative rispetto alle generazioni precedenti e ai coetanei europei», e sono stati «costretti a rivedere progressivamente al ribasso le proprie aspettative nel loro percorso di transizione alla vita adulta». Il che è chiaramente deprimente: «Una depressione giovanile specificamente italiana. Una condizione che crea un più o meno sottile disagio, scetticismo, inquietudine»; il riferimento non è alla patologia psichiatrica, bensì a «una modalità di essere, una paradossale forma di espressione e di protesta insieme» che però purtroppo non porta a nulla, non permette di superare il problema. Questa speciale depressione è insomma «l’esito di un soffocamento delle più intime motivazioni. È l’impossibilità di esprimere il proprio desiderio; è insomma, una speranza abortita, è il divieto di futuro».Un divieto di futuro – e qui si arriva al quarto e più importante elemento del «tappo» – che ogni trentenne vive però in solitudine. «Il drastico cambiamento di valori, dal pubblico al privato, dal collettivo all’individuale, è sicuramente uno dei motivi per i quali i giovani – e non solo in Italia – non aprono contestazioni pubbliche, non scendono più in piazza, non inventano forme di mobilitazione contro l’esistente, anche laddove l’esistente è cattivo e dannoso come spesso accade», si legge nel libro: «Lo sguardo è rivolto, al contrario, verso il privato». In questo «privato», al sicuro nella propria casa, con gli amici, gli amori, i familiari, gli oggetti, i giovani cercano rassicurazioni. Come una tana, un posto dove rifugiarsi per proteggersi dalle delusioni e dalle frustrazioni del mondo esterno. Il problema è che nella tana si è soli. Non ci sono coetanei e colleghi con cui condividere gli stati d'animo ed elaborare idee, strategie di riscossa, rivoluzioni. Ognuno, insomma, è solo e isolato con le sue frustrazioni, solo a combattere per ottenere un pezzetto di visibilità, di riconoscimento, di indipendenza economica, un contratto decente, una prospettiva magari non a lungo ma almeno a medio termine. In più, oltre che soli si è anche contrapposti, tutti contro tutti, mors tua vita mea, della serie "arraffo questo contratto da niente, accetto questo stage gratuito, perchè altrimenti qualcuno potrebbe prenderlo al posto mio, e magari cavarci qualcosa di buono". Ma da soli non si arriva a nulla: e allora i venti-trentenni italiani farebbero bene a uscire dalla tana e ritrovare, come i loro padri e zii sessantottini, «l'arrogante audacia di lottare senza timori reverenziali, il creativo coraggio di riattivare un conflitto generatore di cambiamento, la lucida determinazione di rompere una volta per tutte la lunga tregua generazionale che blocca in un abbraccio soffocante le energie più vigorose del nostro paese». Un libro da leggere. E poi rileggere. E poi agire, ognuno a modo suo, per cambiare il corso delle cose.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Trentenni italiani, la sottile linea rossa tra umili e umiliati nel libro «Giovani e belli»- Stagista a quarant'anni: un libro per riflettere sul mercato del lavoro- Crisi e mercato del lavoro, Tito Boeri: è il momento che i giovani si facciano sentire e lancino delle proposte- Giovani, lavoro e stipendi troppo bassi: quando al mutuo ci pensa papà (indebitandosi). Parola di Luigi Furini- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»

Un anno di Soul, il servizio di placement pubblico delle università del Lazio

Più di tredicimila curriculum registrati, oltre 22mila iscritti al portale, seimila contatti tra aziende e studenti per oltre cinquemila candidature accettate, tra stage e opportunità di lavoro. Sono i numeri di Soul, il Sistema Orientamento Università Lavoro [nell'immagine, l'homepage del sito], che quest'estate ha festeggiato il suo primo anno di vita. Nato dalla collaborazione fra gli atenei romani (La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre e Foro Italico), ai quali si sono unite dapprima l'Accademia di Belle Arti di Roma  e in questi giorni anche le università di Cassino e di Viterbo, Soul si propone come «ponte fra le università e il mondo del lavoro, fornendo ad imprese e studenti un servizio pubblico e gratuito di placement». Con buoni risultati, a giudicare da quel 44% di neo “dottori in” che dopo il tirocinio post laurea ha trovato una vera occupazione. Funziona così: lo studente o il laureato, non per forza di un ateneo coinvolto, inserisce il suo curriculum sul portale, che rende visibili solo i dati relativi agli studi svolti. Se l'azienda è interessata contatta lo studente. Viceversa può essere l'impresa ad offrire un posto di lavoro o uno stage, in quel caso a proporsi è ovviamente il candidato. Nel caso durante lo stage si dovessero verificare abusi da parte dell'impresa, su denuncia dello stesso stagista partono i controlli di Soul, che verifica le irregolarità, inserisce l'azienda in una black list (attualmente sarebbero quattro quelle che ne fanno parte) e la espelle dal sistema. Mentre per tutte le situazioni di tirocinio o di rapporto di lavoro poco chiaro o semplicemente per ricevere informazioni sui diritti dei lavoratori, presso gli sportelli Soul delle università è stata aperta una Ztl, zona tutela lavoratori: un servizio di consulenza gratuita offerto da Cgil, Cisl e Uil regionali. Soul è nato il tre luglio del 2008 con un budget di circa 2,6 milioni di euro, di cui trecentomila finanziati a metà dalla Camera di Commercio di Roma e dalla Sapienza, mentre i due milioni arrivano dai fondi sociali europei gestiti dalla Regione Lazio. Ora l'obiettivo è crescere velocemente. La nuova sede, in via De Lollis a Roma, appena fuori dalla città universitaria della Sapienza, ospiterà anche un centro per l'impiego della Provincia. I punti informazione disseminati nelle varie università continueranno ad accogliere gli studenti interessati, mentre si cercherà di coinvolgere nel progetto gli atenei di altre regioni, ai quali verrà offerto gratuitamente il sistema informatico messo a punto per Soul. Un programma che, a regime, consentirà di informatizzare tutte le procedure necessarie per l'attivazione e la gestione dei tirocini. «Tutte le informazioni» spiegano gli addetti alla Repubblica degli Stagisti «verranno integrate nella banca dati per la comunicazione obbligatoria della Regione  – ogni regione ne deve avere una – così da valutare gli esiti occupazionali dei percorsi formativi». Finora tra gli atenei che hanno mostrato interesse ci sono quelli pugliesi e quelli liguri. Ma bisogna allargare ancora la rete, «perché cooperare è meglio che competere» afferma il padrino di Soul, Pietro Lucisano, preside del corso di laurea in Scienze della Formazione e delegato all'Orientamento della Sapienza: «Noi ne siamo una testimonianza». E anche all'estero sembrano non disdegnare l'idea di un network, perfino con la Russia sono stati avviati i primi contatti. Tanto che per Lucisano il futuro si chiama «europlacement. Il nostro modello - conclude il professore di Pedagogia sperimentale - è quello del buffet: le aziende conoscono poco il mondo universitario, che invece offre una vasta gamma di profili accademici e percorsi di studio. Vogliamo aiutarle a scegliere di cosa e di chi hanno bisogno». Giuseppe Vespo Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Dalla parte dei laureati - lo stage serve per trovare lavoro?- Centro per l'impiego di Frosinone: il posto «magico» dove uno stagista su due trova lavoro

Aiutati che il web t'aiuta: Offline, le notizie «inaltreparole» raccontate da sei ex stagisti giornalisti intraprendenti

Ex stagisti giornalisti alla riscossa. Sono in sei: Letizia Cavallaro, Francesco Defferari, Marianna Lepore, Enza Civale, Valeria Calicchio e Andrea D’Orazio [nella foto a destra, tutti tranne l'ultimo sulle scale del duomo di Perugia, in occasione del Festival del Giornalismo 2008: da sinistra a destra Francesco, Letizia, Marianna, Enza e Valeria]. Sono tutti laureati e giornalisti professionisti, ex allievi della scuola di giornalismo di Salerno. Hanno alle spalle master e stage, nella maggior parte dei casi non retribuiti. Lavorano da anni, come freelance, per giornali e televisioni.  E oggi che finalmente hanno il tesserino in mano si ritrovano a fare i conti con un mercato editoriale che definire in crisi è un eufemismo: non passa giorno senza che qualche testata annunci di voler tagliare l’organico (vedere per credere qui, qui, qui e qui: e sono solo i più recenti). Sempre più difficile ottenere contratti e stipendi decenti, ma i sei non si sono persi d’animo e hanno deciso di aprire un giornale in proprio: online, ovviamente. O meglio «Offline – Le notizie in altre parole», come hanno voluto intitolarlo per sottolineare  da subito la volontà di «raccontare le cose in maniera diversa dai media "ufficiali" che in Italia rispondono sempre e comunque a qualche potere politico o economico. Perché raccontare la verità non ha a che fare con la destra e la sinistra, ma con ciò che è giusto e ciò che è sbagliato» spiega deciso Francesco, trentaquattrenne genovese, che insieme alla ventottenne Marianna, salernitana, ci lavora fulltime – mentre  gli altri collaborano saltuariamente.Il sito, attivo da aprile, è organizzato in dieci sezioni: Che combinano i politici, Vittime di cronaca, Così va il mondo, Dentro la rete, Resistenza civile, Pianeta terra, Libertà di stampa, Il fascino della scienza, Questioni di denaro e Sfide sportive. Molti degli articoli sono disponibili anche in inglese. Dice Francesco: «Se riusciremo mai a mangiarci è difficile dirlo, la pubblicità per adesso è un guadagno minimo, i contatti sono buoni. Ma onestamente non so dire se si può vivere con un sito web giornalistico». Marianna a dir la verità ci spererebbe: «Dal futuro mi aspetto un lavoro che riesca a ripagarmi della fatica, dello studio e dei soldi spesi per istruirmi».  Ma i tempi sono grami, tanto che capita che a giornalisti ultratrentenni e già professionisti venga prospettata la possibilità di fare l'ennesimo stage. Fra i fondatori del sito c’è anche Enza, 32 anni, che dopo la laurea in Scienze della Comunicazione indirizzo giornalismo ha collezionato sei stage: «Raramente da queste esperienze sono nate concrete prospettive lavorative». Dopo la scuola di giornalismo è finalmente diventata professionista, ma «ancora oggi» racconta «c’è chi risponde alle mie richieste di lavoro con una proposta di stage». Il che non la rende, comprensibilmente, troppo fiduciosa sul suo futuro: «Dal giornalismo “classico” non mi aspetto molto: quello che ieri sembrava il naturale approdo dei miei studi, oggi mi appare come una meta irraggiungibile». Una sfiducia condivisa da Letizia, salernitana trapiantata a Torino: «La logica delle grandi redazioni mi ha deluso: la realtà che ho visto durante gli stage è molto lontana dal giornalismo che sognavo. Per questo ho accettato subito la proposta dei miei amici di mettere su un sito tutto nostro. Offline, grazie alle possibilità offerte dal web, ci permette di esprimerci in maniera aperta e indipendente e sviluppare un tipo di giornalismo libero, che dà conto solo ai nostri lettori. A nessun altro».Il sito per questi giovani giornalisti è diventato il modo per fare il giornalismo che piace a loro, per farsi conoscere  al pubblico e provare a non sottostare alle logiche spesso stritolanti del mercato dei media: «La nostra idea è quella di sviluppare una realtà editoriale, sul modello di un service, autonoma e indipendente rispetto alle fonti del giornalismo ufficiale» spiega la ventottenne Valeria, che nel curriculum ha anche un’esperienza come guida ambientale del Parco nazionale del Cilento: «Magari le entrate all'inizio saranno poche, se non nulle: ma quantomeno possiamo essere liberi di dire tutto quello che vogliamo».Nei prossimi mesi il sito verrà registrato come testata giornalistica online, e chissà che attraverso i banner e il passaparola non riesca a diventare remunerativo per questi sei ex stagisti intraprendenti: «Quello che mi attira è la possibilità di respirare in uno spazio informativo non contaminato, creato da persone che conosco bene, dove non ci sono capi, gerarchie, notizie da privilegiare. Dove puoi parlare e pensare inaltreparole, per l’appunto» chiude Andrea, siciliano 34enne laureato in filosofia, l’unico dei sei che finora sia riuscito ad agguantare un vero contratto giornalistico presso una grande testata: «L’unico problema è che molteplicità e libertà, il più delle volte, nel mondo reale non pagano. In senso letterale: non ti danno uno stipendio. Magari la redazione del nostro sito farà la rivoluzione. Siamo testardi!».Eleonora VoltolinaLeggi anche:- «Aiutati che il web t'aiuta: Lavoratorio, annunci di lavoro e non solo»- «Aiutati che il web t'aiuta: Dillinger, un sito per i giovani che hanno voglia di cambiamento»

Stage in fabbrica raccontati in un libro al vetriolo: «Mi sento già molto inserito» di Mauro Orletti

C'è chi nello stage vede un modo per arricchire il curriculum. Altri lo fanno con la speranza di entrare nel mondo del lavoro. Precari e disoccupati lo considerano una manovra di avvicinamento verso l'agognato contratto. Mauro Orletti, trentenne abruzzese, ha usato il suo come ispirazione per scrivere un romanzo. Autobiografico, ovviamente: Mi sento già molto inserito, sottotitolo «Cronache dalla fabbrica (dis)integrata», pubblicato dalla casa editrice Zandegù all'inizio di quest'anno. La grande azienda metalmeccanica di Torino presso cui il protagonista, laureato in giurisprudenza, va a fare due colloqui e infine prende servizio  – l'immaginaria Società Anonima Veicoli Industriali  – ricorda (volutamente?) la Fiat. Significativa  la pagina che racconta la telefonata in cui l'incaricata del recruitment chiama per proporre lo stage: «La psicologa dice che non rientra nella politica aziendale assumere con contratti a tempo indeterminato dice che preferiscono proporre uno steig di sei mesi al termine del quale si deciderà sul da farsi, dice che è il modo migliore per tutelare l'azienda e sopratutto lo stagista. Il neolaureato infatti non sa bene cosa lo aspetta, quale tipologia di lavoro dovrà svolgere, in che ambiente si troverà ad operare. Lo steig è la soluzione ideale per maturare un'esperienza di lavoro, mettere alla prova le proprie capacità, instaurare rapporti di tipo professionale con esperti del settore e, sulla base di tutto questo, decidere del proprio futuro. Dice la psicologa». Una versione subito confutata  dalla replica del protagonista: «Senta, le dico, voi assumetemi a tempo indeterminato e vedrete che, se mi fa schifo lavorare in Sav-I, mi dimetto senza preavviso dopo una settimana. Lo steig, dal mio punto di vista, è una soluzione pessima». Così per convincere il recalcitrante candidato la psicologa rinnega in due minuti l'essenza stessa dello stage, faticosamente costruita e ribadita nel corso di oltre dieci anni da legislatori, professori e imprenditori: «Con una vocetta un po' offesa un po' imbarazzata mi dice Ma guardi, deve comunque considerarlo un lavoro vero e proprio. Riceverà 800 euro al mese e avrà un orario di lavoro prestabilito, otto ore al giorno, dovrà timbrare il suo tesserino magnetico come ogni altro dipendente e... insomma, come un vero lavoro».Ma il rimborso spese è tentatore, il prestigio dell'azienda grande, e quindi Orletti-De Filippis accetta. Dall'osservatorio privilegiato del settore Risorse umane comincia ad osservare i processi di assunzione, licenziamento e trasferimento di operai e dirigenti, le logiche spesso slegate dal merito e incatenate invece ad oscuri meccanismi di cooptazione e lobbying sindacale, l'organizzazione del lavoro pensata non per ottimizzare i risultati ma per ribadire le gerarchie. Lo stagista-narratore è un fiume in piena, usa neologismi e irride gli inglesismi  – specialmente quelli del mondo imprenditoriale, perchè «la manfrina linguistica non agevola» e «il colletto bianco usa l'inglese per segnare il confine fra lavoratore pensante e maestranza» – scrivendo iuman risorsis al posto di human resources, oppure menegment anzichè management. E, appunto, steig al posto di stage: «Lo steig, parliamoci chiaro, non è mai un vero steig. In Italia siamo messi così che per lavorare ci tocca pagare il pizzo alle università, agli organizzatori dei master, ci tocca lavorare gratis per la cosca industriale e siccome lo sappiamo bene che funziona così, stiamo zitti e ringraziamo il padreterno o la madreterna o quello che è per quello che dà». Con chiosa rivoluzionaria: «Però perdio se chiedo due ore di permesso, considerato che arrivo al lavoro alle 8 del mattino e non esco prima delle 7 di sera, perdiosantissimo non rompetemi i coglioni sennò a uno, per dire, gli viene in mente di essere sfruttato e allora si sa come vanno queste cose ti nasce una specie di coscienza di classe e allora poi son cazzi perchè vivalarivoluzioneproletaria». La rivoluzione degli steigisti?Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Non è un paese per giovani», fotografia di una generazione (e appello all'audacia)- «Stagista a quarant'anni: un libro per riflettere sul mercato del lavoro»- «Giovani, lavoro e stipendi troppo bassi: quando al mutuo ci pensa papà (indebitandosi). Parola di Luigi Furini»- «Per chi sogna di fare il designer, in un libro croci e delizie della professione (e qualche consiglio ai giovani)»