Categoria: Storie

Centro per l'impiego di Siracusa: «Qui un mare di gente perde il lavoro e non possiamo farci nulla»

Lo scorso giugno, una bella giornata di sole, l’Ufficio Statistica della Regione Sicilia ha pubblicato un dato da far venire i brividi: il tasso di disoccupazione regionale (attenzione, non giovanile: regionale) al 34,8%. Più di una persona su tre senza lavoro, ma soprattutto ben 13,8 punti percentuali in più rispetto al tasso elaborato poco prima dall’Istat. Una notizia sensazionale anche per chi vive in una regione che, quando si parla di lavoro e politiche occupazionali, fa sempre la parte di cenerentola. In questo contesto, lavorare in un Centro per l’impiego deve essere quantomeno complicato. Lo è certamente a Siracusa, dove disperazione e smarrimento sono all’ordine del giorno, come confida una dirigente che preferisce restare anonima: «Qui la situazione è più che disastrosa. Le problematiche sono tante, c’è un mare di gente che perde il lavoro e non possiamo farci nulla. È una situazione che non possiamo fronteggiare, possiamo vendere solo fumo. Su Garanzia Giovani, ad esempio, è arrivato il bando per il servizio civile, ma solo quello. Non c’è altro. Progetti come Garanzia Giovani e il Piano Giovani, su cui i ragazzi facevano molto affidamento, di fatto si stanno rivelando una bolla di sapone. Basti pensare che il progetto regionale relativo al Piano Giovani è ancora bloccato». A Siracusa, come in tante altre zone dell’isola, la disoccupazione riguarda tutti, ragazzi e meno giovani: i primi sono rassegnati, i secondi disperati. «C’è gente di 40 o 50 anni che perde il lavoro e rimane a casa» spiega la dirigente del cpi «non hanno più nessuna possibilità, stiamo andando avanti con gli ammortizzatori sociali e la mobilità in deroga, ma sono interventi che lasciano il tempo che trovano, anche perché un padre di famiglia non riesce a tirare su una famiglia con quelle somme». Gli iscritti ai quattro centri per l’impiego in provincia di Siracusa, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono moltissimi. Più di 60 mila a Siracusa, 28 mila ad Augusta, 24 mila a Lentini e 38 mila a Noto. Città bellissime, ricche di storie, ma povere di lavoro. «Qui le aziende stanno chiudendo tutte» dicono gli operatori «basta fare un giro in centro a Siracusa e si notano molti negozi chiusi. La situazione è veramente sconfortante, tanta gente viene a piangere ai nostri sportelli, non hanno neppure i soldi per comprare il pane». Una struttura che produce pochi risultati, ma in grado di dare lavoro a ben 144 persone, impiegate nei quattro cpi della provincia. Tutti assunti a tempo indeterminato, nessun precario. Un’oasi rigogliosa in mezzo al deserto, che un po’ stona. «È  vero, siamo in tanti, ma abbiamo competenze diverse rispetto ai colleghi delle altre regioni» spiega Paolo Trovato, dirigente ad interim: «Ad esempio il controllo e la vigilanza sulla formazione professionale e la rendicontazione». «E poi fino a qualche tempo fa» aggiunge una collega «offrivamo molti più servizi; c’era lo sportello del Ciapi, il Centro interaziendale addestramento professionale integrato, dove lavoravano diversi operatori degli enti di formazione. Si occupavano di orientamento, supporto psicologico. Purtroppo il servizio è stato smantellato e chi vi lavorava ora è in cassa integrazione o in mobilità. Tutti passati dall’altra parte dello sportello, a fare la coda per iscriversi e richiedere gli ammortizzatori sociali». Pensare al Centro per l’impiego di Siracusa come all’ennesimo carrozzone che assorbe tanti soldi pubblici è quasi scontato. Il Centro, a differenza di altre realtà italiane, dipende dalla Regione Sicilia (a Statuto speciale) e non dalle provincia. Ma questo per il dirigente ad interim è un handicap. «Ricordo che il Centro di Pordenone organizza, attraverso vaucher, la manutenzione delle scuole. Da noi questo è impossibile, perché non abbiamo fondi a disposizione da potere erogare direttamente». Eppure, nello sconforto generale, qualcosa che funziona c’è. Come i servizi online, che in altre regioni faticano a decollare, qui sono utilizzati dagli utenti. Collegandosi al portale è possibile fare la dichiarazione di disponibilità o richiedere altri certificati. C’è poi la “bacheca lavoro”, che pubblicizza le poche offerte di impiego. Un barlume di luce che si spegne di colpo quando la discussione si sposta sul rapporto con le imprese del territorio. «Abbiamo perso il contatto con le aziende dopo l’introduzione della comunicazione obbligatoria delle assunzioni» spiegano dal Centro “e adesso i rapporti avvengono attraverso le associazioni di categoria o gli ordini professionali. Facciamo quello che possiamo, ma le condizioni socioeconomiche sono complicate. Lo erano qualche anno fa, lo sono ancora di più adesso. Ci servirebbero risorse da potere investire, vorremmo attivare progetti, ma abbiamo le mani legate e non possiamo farci davvero nulla”.

«Stage in Commissione UE, una delle esperienze più formative nel mio campo»

Dal 1° al 31 gennaio è aperto il bando per candidarsi agli stage per la Commissione europea. La Repubblica degli Stagisti raccoglie le testimonianze di chi ha già fatto questa esperienza: ecco quella di Lorenzo Marchese. La comunicazione è dappertutto. Ne sono convinto. Tanto che inizio così la mia presentazione su LinkedIn. La mia passione per la comunicazione discende dalla mia passione per la politica. Secondo me non possono esistere in maniera separata. Qualsiasi attività pubblica ha bisogno di comunicazione. Per questo ne ho fatto la mia professione. Oggi sono un free lance. Un consulente indipendente in relazioni pubbliche, comunicazione  e affari europei a Bruxelles, ma la mia storia inizia in Italia, 27 anni fa. Sono nato ad Alessandria. Lì ho frequentato il liceo classico fino al terzo anno. Poi ho vinto una borsa di studio per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico: 32mila euro per due anni, per concludere la mia formazione superiore a Trieste, con quello che viene chiamato baccellierato internazionale , concentrando gli studi su sei materie e in particolare, per me, in storia, filosofia e letteratura italiana. Ne sono venuto a conoscenza grazie a un bando regionale, mi sono candidato e ho passato due fasi di selezione, regionali e nazionali. La borsa copriva tutti i costi, compreso vitto e alloggio presso le strutture della scuola, e mi ha permesso di ottenere un diploma valido per l'ammissione universitaria in più di 80 Paesi al mondo. Dopo la maturità, volevo continuare a studiare filosofia. Per questo ho cercato un'università inglese, sia per la metodologia di studio, sia perché mi sembrava offrisse opportunità di carriera dopo il corso di studi. Mi hanno preso a Warwick, dove ho studiato per tre anni, dal 2006 al 2009. Le tasse universitarie erano di circa 3mila sterline l'anno, a cui bisognava aggiungerne almeno 800 euro al mese per vivere. In questo periodo ho potuto contare molto sul sostegno dei miei: non ho fatto lavori particolari per mantenermi, se non una breve esperienza estiva di un mese, tra il primo e il secondo anno di università, come insegnante di inglese in Polonia, per bambini tra gli 8 e i 12 anni, in un villaggio dal nome poco pronunciabile: Przytok. L'annuncio l'ho trovato nel dormitorio dell'università. Mi sono detto: perché no? Ho mandato il mio cv e mi hanno preso, anche se ero l'unico non madrelingua a insegnare inglese! Verso la fine del triennio, ho iniziato a guardarmi intorno per entrare nel mondo del lavoro. Vedevo però che molte posizioni richiedevano un master, così mi sono iscritto, sempre a Warwick, a un master in filosofia continentale (quella che da noi sarebbe "filosofia del Novecento"). Anche qui, l'appoggio della mia famiglia è stato fondamentale per mantenermi. I costi si aggiravano intorno alle 4mila sterline. Nello stesso periodo sono stato molto attivo in diverse attività studentesche: sono stato responsabile della comunicazione sia per la società studentesca di Amnesty international che per la società studentesca di filosofia, oltre che presidente studentesco del club di Tai Chi. Questa parte della mia carriera universitaria è stata molto importante per il mio futuro: non erano esperienze pagate, ma era comunque richiesto un certo impegno. E' lì che ho imparato i rudimenti della mia professione ed è in quel periodo che è nata la mia passione per la politica europea. Così, terminati gli studi, ho deciso di venire a Bruxelles. Mi sembrava il posto giusto dove stare e maturare. Mentre cercavo lavoro, ho iniziato a studiare francese e dopo quattro mesi ho trovato un posto da stagista come assistente al segretario generale di Lymec, l'associazione giovanile di ALDE, il gruppo politico dei liberali europei. Era uno stage con un contratto belga di "immersione professionale", pagato 700 euro al mese, da marzo a luglio 2011. Un buon rimborso. Di certo non abbastanza per essere indipendenti, ma potevo contare ancora su un leggero aiuto dalla mia famiglia. Per Lymec mi occupavo di comunicazione, organizzazione di eventi, editing di testi, social media, ma avevo già deciso, una volta conclusa l'esperienza, di fare un altro master, questa volta in studi europei: sentivo che la mia conoscenza della materia non era ancora abbastanza approfondita. Di nuovo, altro giro di candidature. Questa volta mi hanno preso alla London School of Economics, al master in "European Studies: Ideas and Identities". Un anno di corso, da settembre 2011 a ottobre 2012, su cui ho investito molto, anche a livello economico (le tasse universitarie erano di quasi 16mila sterline). In parallelo mi sono impegnato come responsabile della comunicazione per la Società europea degli studenti della LSE. E' stata un'altra esperienza fondamentale per il mio futuro, perché mi ha consentito di entrare in contatto con una rete molto estesa di esperti di materie europee, nonché di organizzare eventi con ospiti di rilievo: membri del Parlamento europeo (come Niccolò Rinaldi) o economisti riconosciuti a livello inglese o internazionale, come Yannick Naud. A Londra, poi, ho deciso di unire finalmente la mia passione per la comunicazione a quella per la politica: mi sono iscritto al partito Italia dei Valori e, come attivista, sono diventato responsabile per la comunicazione per il Regno Unito e, in seguito, assistente del direttore della comunicazione per gli italiani all'estero. Ho contribuito, ad esempio, alla costruzione del sito internet per le elezioni nazionali del 2013 e ho imparato moltissimo sulle tecniche di comunicazione pubblica e politica. Verso la fine del master, ho mandato la mia candidatura per lo stage alla Commissione europea. Dopo la prima fase di scrematura, sono entrato nel famoso bluebook, ovvero nella lista dei candidati che possono essere chiamati dalle varie Direzioni generali. A volte le unità cercano profili specifici, attraverso una ricerca per parole chiave. Ma chi è nel bluebook sa che è anche il momento di contattare gli uffici a cui sono interessati per mettersi in luce. Qualcuno usa la parola lobby. Secondo me non è corretto. Si tratta semplicemente di cercare di farsi conoscere, come si farebbe in qualsiasi momento uno cerchi lavoro. A me interessava la Direzione Generale per la Comunicazione: ho cercato quali fossero i direttori a cui mandare una mia presentazione mirata. Su quattro richieste, mi hanno contattato per due colloqui. E alla fine mi hanno offerto un tirocinio al Servizio del Portavoce, nell'unità "Cittadini e Budget", con il classico rimborso da mille euro al mese. Il Servizio di Portavoce è quello che ha il compito di interfacciarsi con i media, esprimendo la voce ufficiale della Commissione. Ho imparato come quello che succede alla Commissione viene raccontato alla stampa e penso ancora che quella sia stata una delle esperienze più formative per la mia carriera anche per la fortuna di lavorare con un grandissimo professionista nel campo delle relazioni pubbliche. Come stagista, aiutavo il portavoce per il budget, Patrizio Fiorilli, a preparare le risposte per i giornalisti e nella ricerca di dati di background, in quello che considero il momento più delicato e importante di tutto il dibattito politico europeo: era in fase di approvazione il Multiannual Financial Framework, ovvero il quadro delle politiche di spesa per il settennato 2014-2020. Al termine dello stage, volevo comunque restare a Bruxelles. Ho mandato quasi 60 curriculum e un mese dopo, nell'aprile 2013, ho ricevuto un'offerta di contratto a tempo determinato come project e communication officer per il Cefic, l'associazione delle industrie chimiche europee (European Chemical Industry Council), occupandomi di relazioni con i media, promozione di eventi, campagne di comunicazione online o offline. Di sicuro lo stage in Commissione ha avuto il suo peso nel curriculum. È un'esperienza che dà lustro anche se, nella comunicazione, credo sia ugualmente importante sviluppare competenze  tecniche con esperienza sul campo. Il mio contratto si è concluso un anno dopo, nell'aprile 2014, in un momento in cui il mercato del lavoro a Bruxelles non era molto aperto. Così mi sono creato da solo la mia opportunità: l'interesse che ho riscontrato per potenziali attività di comunicazione mi hanno spinto a diventare un consulente indipendente, un libero professionista. Nell'ottobre scorso ho aperto una partita iva belga. L'ho scelta non tanto per la tassazione, che non è poi così diversa da quella italiana (l'iva nel settore dei servizi è al 24% e tra contributi e tasse se ne va circa un terzo delle entrate lorde), quanto per la burocrazia: è molto forte anche qui in Belgio, ma almeno cerca di aiutare il lavoratore e non di ostacolarlo. Ai miei clienti, al momento principalmente formati da associazioni internazionali, offro pacchetti su misura con un impegno tra le 40 e le 50 ore mensili. La mia attività è ancora in fase di avviamento: sono partito a ottobre con un solo cliente e con un fatturato limitato. Ma l'attività sta crescendo e conto, entro giugno, di arrivare a un guadagno netto di almeno circa duemila euro al mese. Non escludo di tornare in Italia prima o poi. Non credo che sia una causa persa a livello di possibilità di cambiamento, anche per i giovani. Conosco ragazzi della mia età che hanno trovato buoni posti di lavoro. Non dico che non tornerei in Italia perché non offre opportunità. Solo che ne offre meno di altri. Anche qui a Bruxelles non è facile, ma al momento amo troppo questa città. Per me questa città è il punto di incontro tra il nord e il sud. Credo che prenda il meglio da tutte le culture europee: un'organizzazione abbastanza efficiente del welfare, ma anche un clima culturale vivo e un atteggiamento verso la vita piuttosto rilassato, oltre alla capacità di accoglienza verso tutti. Troverei il modo di restarci in ogni caso, anche se non ci fossero le istituzioni europee. testo raccolto da Maura Bertanzon

A cinquant'anni stagista in Tribunale: «Obbligata ad accettare per non perdere il sussidio, ma adesso?»

C’è un filo rosso che accomuna i quasi 3mila tirocinanti che dal 2010 a fine 2014 sono stati impiegati all’interno degli uffici giudiziari di tutta Italia. I progetti – prima regionali con fondi europei, poi con finanziamenti del ministero della giustizia – rientravano nelle politiche attive per i lavoratori percettori di ammortizzatori sociali e hanno permesso di fatto, negli ultimi anni, la copertura di molti vuoti di organico nei tribunali relativi a figure come commessi, archivisti, addetti. Tra loro c’è anche Patrizia Carere, 55 anni, che è stata tirocinante presso il tribunale di Cosenza e oggi, come gli altri, si trova con le ultime 160 ore di perfezionamento di tirocinio ancora da svolgere e ben poche possibilità che dopo quattro anni questo percorso continui. «Pensa che alla mia età potrò mai trovare lavoro nel settore privato da cui sono uscita?» chiede mentre racconta la sua storia. «Questi tirocini ci hanno dato la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro da cui eravamo stati espulsi e di darci la dignità di alzarci la mattina, svolgere il nostro lavoro e sapere che potevamo ancora contribuire alla società». I tirocini in questione sono partiti nel 2010, prima in Lazio, poi nella maggior parte delle regioni d’Italia. «Erano tutti finanziati con fondi europei mirati al reinserimento di lavoratori cassintegrati, in mobilità o in disoccupazione. Poi nella legge di stabilità 2013 il ministero della Giustizia ha deciso di utilizzare queste risorse ormai formate per cercare di rimediare alle gravi carenze di organico. Così la pubblica amministrazione ha fatto un prosieguo di questi tirocini, tant’è che la prima proroga con la titolarità del ministero ha avuto la denominazione di “completamento del tirocinio”». E in questa stessa legge di stabilità sono state trovate anche le risorse: 7,5 milioni di euro in quella per il 2013 addirittura raddoppiati in quella per il 2014. Non tutti i soldi di questa seconda tranche sono però risultati disponibili. «Con i primi 7,5 milioni abbiamo completato 230 ore di tirocinio concluse entro il 30 settembre 2014. Nel frattempo il ministro Orlando a maggio ha firmato un decreto per stanziare gli ulteriori 7,5 milioni a completamento dei 15 previsti nella legge di stabilità. Soldi che andavano spesi  entro l’anno. Pensavamo che, terminato il primo blocco, di lì a pochi giorni saremmo rientrati per il secondo. Invece le risorse sembravano sparite e dopo varie manifestazioni per sollecitare il recupero delle somme stanziate, di cui una anche a Montecitorio, hanno recuperato un milione e mezzo di euro dal fondo per l’emergenza. Così abbiamo svolto altre 70 ore. È stato un contentino, che ancora deve esserci pagato» dice amaramente l’ex tirocinante. Ciò che fa riflettere è anche il nome di volta in volta dato al tirocinio: «Siamo partiti con un formativo, abbiamo proseguito con il completamento per poi passare al perfezionamento» riassume Patrizia Carere. Una modalità non troppo velata che mostra come sia stato necessario dare di volta in volta una nuova definizione a questa forma atipica, perchè non fosse troppo evidente lo sforamento dei limiti di durata fissati dalla legge. Oggi i tirocinanti sono fermi, ma solo perché 6 milioni previsti nella legge di stabilità necessari per concludere il percorso non sono ancora stati stanziati. «Sono dovuti intervenire con il decreto mille proroghe per far slittare la scadenza dal 31 dicembre al 28 febbraio. Oggi, però, ancora tutto tace e siamo a casa, in attesa. La cosa però più strana è che dal decreto mille proroghe sembra ci regalino qualcosa, ma in realtà ci restituiscono quello che ci spetta, che era stato stabilito e stanziato. Abbiamo svolto in questi anni un lavoro vero e proprio, camuffato con il nome di tirocinio. Abbiamo acquisito delle competenze e professionalità che non sono spendibili se non all’interno degli uffici giudiziari. È una formazione specifica, che non potremo mettere nel curriculum per cercare lavoro da qualche altra parte, per cui sono stati utilizzati anche fondi europei, e si rischia di perdere tutto» osserva la ex tirocinante.Non sarebbe la prima volta che fondi comunitari vengono utilizzati in modo improprio: per questo Patrizia, in qualità di coordinatrice del Progetto Europa per l’Unione precari giustizia – comitato spontaneo che raggruppa tirocinanti di tutta Italia – sta studiando da tempo tutti i bandi degli enti locali per controllare le finalità e l’uso corretto dei fondi europei per le politiche attive. Questione che è anche al centro di una interrogazione presentata da Laura Ferrara del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo il 10 dicembre. In questo documento si chiede all’Europa se è a conoscenza dell’uso improprio in Calabria dei fondi stanziati per l’obiettivo Convergenza – che dovrebbero essere destinati a migliorare le condizioni per la crescita e l’occupazione e creare posti di lavoro finanziando interventi di politica attiva – che in questo caso non hanno mai prodotto un’offerta reale di occupazione.Ma che un tirocinio in un Tribunale difficilmente potesse trasformarsi in una vera opportunità occupazionale non era in un certo senso facile da prevedere? Tutta la platea di disoccupati coinvolti in questo progetto non avrebbe potuto rifiutare questa proposta, o quantomeno le proroghe? «La prima cosa da fare, quando sei iscritto negli elenchi dei lavoratori in mobilità per avere diritto agli ammortizzatori sociali, è dare la disponibilità e se il centro per l’impiego ti chiama, sei obbligato ad accettare per non essere cancellato dalle liste» ribatte la Carere. «Ho 55 anni e sono stata obbligata a partecipare, non sono andata a cercare questo programma. È stato un percorso obbligatorio che si è rivelato per gli uffici giudiziari utile e produttivo tanto che si è pensato di sfruttarlo al massimo».Che il lavoro di questi tirocinanti sia stato utile per i palazzi di giustizia è testimoniato anche dagli appoggi dati a loro favore da molti presidenti di procure e corti di appello, a cominciare dal primo presidente di Cassazione, Santacroce. Eppure, nonostante queste figure siano state preziose per lo smaltimento dell’arretrato – in situazioni in cui negli archivi non c’è più posto per un documento e le cartelle vengono abbandonate nei corridoi – la posizione del ministero su come si intenda procedere non è chiara. Il ministro della giustizia Orlando «all’inizio ha fatto molte promesse, poi si è reso conto della difficoltà di reperire le risorse economiche e ha cominciato a tenersi sul vago». Diversi partiti politici hanno presentato emendamenti alla legge di stabilità per il 2015, ma sono stati tutti respinti. «Resta il mille proroghe che ha al momento solo slittato la data di scadenza».Nel frattempo a dicembre i quasi 3mila tirocinanti sono stati richiamati per fare altre 70 ore: anche Patrizia Carere le ha fatte, e alla Repubblica degli Stagisti racconta di aver trovato nei tribunali la stessa situazione lasciata a luglio, con gravi rallentamenti di tutte le procedure dovuti alla mancanza di personale. Cosa che non stupisce, visto che negli uffici giudiziari c’è un vuoto di organico accertato di 9mila persone. «Certo, è giusto che nella pubblica amministrazione si acceda solo tramite concorso, noi non cerchiamo scappatoie, ma che almeno nel frattempo il governo ci riconosca i titoli per i quali siamo stati formati. Altrimenti come si pensa di mandare avanti la macchina della giustizia in questo modo?»La richiesta dell’Unione precari giustizia a questo punto è di ottenere non più proroghe dello stage bensì un contratto a tempo determinato di un anno, in attesa che venga indetto un concorso. «Siamo a reddito zero, nel 2014 abbiamo percepito 2.300 euro lordi, pari a 230 ore di servizio. Se un italiano su quattro è a rischio povertà, noi ci siamo già» osserva la ex tirocinante. Che come tanti nella sua stessa situazione si chiede anche come sia possibile che siano state attivate delle politiche finalizzate al reinserimento di lavoratori cassintegrati o in mobilità che poi, di fatto, non sono sfociate in un lavoro e che anzi, hanno incrementato il bacino dei tirocinanti, creando una nuova forma di sfruttamento. E al danno si aggiunge la beffa di ritrovarsi, tra una decina d'anni al momento di andare in pensione, con un grosso buco contributivo: «Ai fini pensionistici questi quattro anni non sono serviti a nulla». Perché lo stage non è un contratto di lavoro, e dunque non prevede il versamento di contributi. Forse avrebbero dovuto pensarci anni fa, i decisori delle politiche attive destinate ai disoccupati e cassintegrati, prima di intrappolare Patrizia Carere e altri 2800 come lei in "stage" lunghi quattro anni negli uffici giudiziari.

Dentro Vulcanus in Japan: gli stage a Nara di Andrea e Giuseppe

Sono in scadenza i termini per partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall'Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle aziende stesse, destinato a tutti gli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare il loro anno nel Paese del Sol Levante: ecco le storie di Andrea Tino e Giuseppe Lisi.    Andrea Tino (27 anni, Siracusa)Oggi c'è molto bisogno di  ingegneri informatici e programmatori, il linguaggio informatico è il futuro in ogni campo. Sin dal liceo scientifico lo sviluppo software mi ha appassionato, così come la ricerca, quindi Ingegneria Informatica è stata una scelta naturale. Essendomi stabilito a Siracusa con la mia famiglia, dopo aver vissuto in varie città, ho frequentato la facoltà di Catania.Al primo anno della specialistica, intenzionato a fare un tirocinio in una grande azienda all'estero, navigando di sito in sito ho trovato il Vulcanus: il giorno seguente già preparavo la documentazione. Con largo anticipo, visto che era l'estate 2010 e i termini scadevano a gennaio 2011, ma produrre la mole di carte richiede tempo e io ho presentato anche molta documentazione aggiuntiva. Il Centro di Bruxelles e la comunità degli ex Vulcanus sul web mi hanno aiutato tantissimo. Ricordo ancora fitte conversazioni via mail.A fine febbraio ho ricevuto l'esito della prima fase: ero in short-list, nei 116 prescelti a partire da mille candidature. Quindi ho prodotto le lettere di presentazione e motivazionali per le aziende presso cui volevo fare il tirocinio, NTT e IBM - il tirocinio viene assegnato dal centro, ma è possibile esprimere delle preferenze. Nel marzo 2011 però c'è stato il terremoto e l'allarme nucleare a Fukushima, e il centro ha chiesto ai candidati prescelti di confermare le loro intenzioni a proseguire le selezioni. Mi sono informato e ho confermato - dopo aver tranquillizzato i miei genitori, cosa non da poco. E a fine maggio ecco la bella notizia: ero tra i trenta partecipanti. Il luglio successivo c'è stata una duegiorni di briefing pre-partenza a Bruxelles, in cui il centro ha fornito tutte le informazioni di base e una bella iniezione di aspettative - più una mappa della metro di Tokyo che ci ha spaventati tutti per quanto intricata.  Il primo settembre eccoci a Tokyo: iniziava l'avventura.Io ho lavorato presso il Communication Science Laboratory della NTT per otto mesi, da gennaio ad agosto 2012. Insieme al mio supervisore Kazuo Aoyama ho operato su un algoritmo avanzato per la ricerca veloce su grandi masse di dati, formulando un modello matematico per la descrizione dell'algoritmo. Mi sono trovato benissimo: a lavoro l'ambiente era molto sereno e mi sono integrato bene con il ciclo di attività.  È stato molto gratificante e istruttivo vedere come lavorano i giapponesi. Tanto che ho voluto racchiudere tutti i pensieri di quei giorni in un "diario di bordo" e ribadirne alcuni nella presentazione finale durante la conferenza conclusiva a Tokyo.ll grant era di 12mila euro totali, di cui 8mila forniti dall'azienda, che ha anche pagato l'alloggio, prima a Tokyo durante il corso di lingua obbligatorio per tutti - che abbiamo svolto alla Naganuma School - e poi a Nara per lo stage. La lingua è il primo ostacolo per tutti, ma bisogna sforzarsi di superarlo perché è la chiave per integrarsi. Si pensa che i giapponesi siano freddi ma in realtà sono solo molto timidi nei confronti degli stranieri. Sono stereotipi di cui è bene liberarsi da subito. Certo è importante interagire. Ad esempio a Tokyo partecipavo a delle lezioni di Go al Nihon Ki-In, mentre a Nara, realtà più rurale, ho frequentato il club di pallavolo, gli streetdancer alla stazione e le lezioni di  Kyudo, l'arco Giapponese.  Le occasioni per farsi degli amici non sono mancate.Si pensa anche che il costo della vita sia molto alto, ma è vero a metà. Per chi vive a Tokyo e dintorni i prezzi sono più alti, ma è sempre possibile coniugare risparmio e qualità. Ci sono ad esempio i Konbini, convenience store sempre aperti; poi comprando una bici ho risparmiato molto sui costi dei treni - quelli sì alti - anche perché abitavo vicino al laboratorio. Ad ogni modo il grant è più che sufficiente e permette di vivere serenamente.Le occasioni per fare carriera ci sono. Se si fa un buon lavoro al tirocinio c'è la concreta possibilità di poter chiedere un prolungamento delle attività di ricerca per poi magari ottenere una posizione. Dopo un anno dal mio rientro dal Giappone, mentre finivo l'università, sono stato contattato dalla Microsoft per un'offerta come Ingegnere Software full time a Copenaghen, che ho accettato, e da più di un anno vivo e lavoro in Danimarca. Da quando ho inserito la mia esperienza Vulcanus nel curricilum ho ricevuto diverse offerte di lavoro e sicuramente i recruiter Microsoft mi hanno cercato anche in relazione a questa esperienza.Foto: sotto, il gruppo dei partecipanti a Vulcanus 2011-2012. Giuseppe Lisi (28 anni, provincia di Brescia)Ho conosciuto il Vulcanus tramite l'email che il Politecnico di Milano invia agli studenti ogni anno. Allora ero a Luleå, in Svezia, per il mio anno Erasmus, che aveva seguito la laurea triennale in Ingegneria informatica. Ho presentato domanda a gennaio 2010, al secondo anno di specialistica, senza riscontrare particolari difficoltà: al Politecnico ho ricevuto aiuto dall'ufficio mobilità, e anche l'Eu-Japan Center di Bruxelles è stato molto disponibile. Ho saputo di essere rientrato nella short list a febbraio; poi la notizia della vincita ad aprile, il briefing e l'incontro con tutti i partecipanti a Bruxelles a luglio e l'arrivo a Tokyo a settembre. Nonostante il caldo e l’umidità, il primo impatto è stato entusiasmante. Tokyo è una città immensa, ricca di stimoli, dove tradizione e modernità si fondono in modo affascinante. E allora, camminando tra i grattacieli e le strade affollate della città, ci si può imbattere in bellissimi giardini zen, templi buddisti e santuari Shinto.A Tokyo per i primi quattro mesi abbiamo seguito un corso intensivo di giapponese, una lingua tra le più suggestive e complesse al mondo. Poi da gennaio 2011 ci siamo trasferiti ognuno nella città della propria azienda; io a Nara, l'antica capitale, luogo di grande bellezza e spiritualità. Sono stato ospitato da NTT Communications Science Lab, dove per otto mesi mi sono occupato di ricerca sui nuovi modelli matematici per l'interazione tra uomo e computer. In particolare ho creato un algoritmo in grado di riconoscere le emozioni dal viso delle persone. Da subito ho dimostrato dedizione e passione, il che ha creato un bel rapporto di fiducia con il mio capo, che mi ha sempre appoggiato e supportato. L'adattamento alla nuova vita e al nuovo lavoro sono stati sereni e piacevoli anche se, a causa delle mie difficoltà linguistiche e della timidezza tipica dei giapponesi, nei primi mesi trascorsi a Nara è stato difficile costruire delle vere amicizie. In compenso il fatto di essere Italiano mi ha aiutato molto, vista la grande passione dei giapponesi per cibo e cultura italiani.Il Vulcanus è una bellissima esperienza, che consiglio a tutti. Mi ha aiutato molto a crescere. La disciplina e la dedizione dei lavoratori giapponesi è esemplare, e mi ha influenzato tanto. Le persone inizialmente sono timide e timorose, ma in fondo molto generose. Ricordo ad esempio quando con un folto gruppo di ragazzi europei andammo a registrarci all'anagrafe in un piccolo paesino vicino a Tokyo.Totalmente incapaci di leggere e scrivere, chiedemmo aiuto a dei vecchietti lì presenti, che all'inizio ci guardarono come se fossimo alieni, ma dopo qualche minuto di studio reciproco ci aiutarono in tutti i modi, fino a che ognuno di noi completò le procedure burocratiche.Per quanto riguarda le possibilità di carriera, il Vulcanus è un grande trampolino di lancio, sia in Oriente che in Occidente. Per quel che mi riguarda, finita l'esperienza in NTT sono tornato in Europa, a Monaco, per uno stage pagato di sei mesi a Curefab Gmbh. Poi di nuovo in Giappone per un dottorato di ricerca in Brain Robot Interface all’ATR di Kyoto - un periodo di grandi soddisfazioni ma anche molto impegnativo - e finito il dottorato ho ottenuto un contratto da ricercatore nella stessa azienda, che per altro è proprio di fronte a quella dove ho svolto il mio Vulcanus.Oggi la curiosità che mi ha spinto a partire è quasi completamente soddisfatta, ma il lavoro e l'amore mi trattengono qui. Grazie a Vulcanus infatti ho anche conosciuto mia moglie, che è giapponese e ha partecipato al Vulcanus in Europa - il corrispettivo europeo per gli studenti giapponesi. Oggi sono molto soddisfatto, ma non nascondo che la speranza è che un giorno le contingenze della vita mi permettano di riavvicinarmi a casa.Foto: sopra, Giuseppe sulla cima del monte Fuji e, sotto, al parco di Nara. Testimonianze raccolte da Annalisa Di Palo

Studiare in nord Africa con Erasmus Mundus: così ci sono riuscite Sofia e Chiara

Il prossimo venerdì 16 gennaio si chiude la call for application per partecipare al progetto BATTUTA- Erasmus Mundus, destinate a studenti universitari europei di ogni livello e al personale accademico. Unico tra gli atenei italiani, l'Orientale di Napoli è partner del consorzio proponente e due sue studentesse, Sofia Abad e Chiara Cascino, dal Marocco hanno raccontato alla Repubblica degli Stagisti l'inizio di un anno accademico speciale.Sofia Abad  Ho 24 anni e da quattro sono studentessa di arabo e lingua berbera all'Orientale di Napoli. Nata e cresciuta in Italia da genitori marocchini, sin da piccola sognavo imparare alla perfezione la lingua araba: in casa si è sempre parlato solo il dialetto marocchino, oltre che l'italiano, e grazie ai miei genitori ho potuto iscrivermi all'università e entrare in contatto con tutte le informazioni e nozioni che potevo desiderare sulla realtà culturale e linguistica del mondo al quale appartengo. Ho conosciuto Battuta grazie alla mia docente di lingua berbera e, un po' per curiosità un po' per gioco, ho fatto domanda. Non ho avuto particolari difficoltà, e i referenti del progetto sono stati molto disponibili per qualsiasi chiarimento. Era febbraio 2014 e il successivo giugno ho saputo di essere stata selezionata presso l'université Sidi Mohamed Ben Abdellah di Fes, indirizzo di studi amazigh, per una permanenza di dieci mesi. Sono partita lo scorso 15 settembre, quindi sono a meno della metà del mio percorso. Per il momento però posso dire con sicurezza che questa esperienza mi sta letteralmente cambiando la vita. Conoscevo il Marocco solamente come luogo di vacanze estive dove condividere momenti indimenticabili con i nonni, gli zii e i cugini. A casa in Italia si parla marocchino e italiano, si cucina il cous-cous e il tajine, la lasagna e gli gnocchi... Ho sempre vissuto questa duplice vita. Ma solo adesso sto captando l'essenza dell'essere marocchina, solo adesso ho modo di calarmi a pieno nella parte. E sono felicissima di questo. Le persone di seconda generazione godono di una ricchezza inestimabile, se si ha la volontà di custodirla, e sapere che riesco ad adattarmi con grande semplicità sia in Italia che in Marocco mi regala soddisfazioni. Studiare qui a Fes mi dà la possibilità di mettere in atto tutto ciò che i miei genitori mi hanno insegnato. Oltre a frequentare i corsi per sostenere gli esami, questa esperienza mi sta anche dando la possibilità di scrivere una tesi unica: sto intervistando molte persone e raccogliendo informazioni di prima mano sul territorio, con registrazioni di racconti in lingua berbera e dialetto locale. In più con la borsa di studio posso permettermi anche di aderire a convegni e incontri coerenti con il mio progetto di ricerca, e visitare il Marocco. Come disse Eleanor Roosevelt, «il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni» e credo sia vero. Spero di poter realizzare ciò che ho sempre sognato di fare. Di sicuro, questo è stato un passo verso la direzione giusta.Chiara CascinoMi presento: sono nata a Palermo 26 anni fa, da brava siciliana continuo ad avere una forte preferenza per le vocali aperte e per la gastronomia anche se ormai non vivo più nella mia città da anni. Faccio parte di una generazione che è cresciuta a suon d'inglese e progetti europei, da alcuni definita anche generazione Erasmus - e in effetti la mia storia personale ne è la prova. Ho frequentato il liceo classico perché già da allora l'idea di studiare nuovi alfabeti e lingue, seppur morte, mi entusiasmava. Quindi nel 2007 eccomi tra i banchi del corso in Lingue e Culture moderne dell'università di Palermo a dividermi tra spagnolo, arabo e inglese. Il problema più grande di questi anni è stata la mancanza di pratica: lo studio delle lingue richiede esercizio continuo, che avevo l'impressione mi mancasse. Per questo a settembre del 2010 sono partita alla volta di Granada con una borsa Erasmus - che arrivava a malapena a coprire di costi di affitto - ma poi ha vinto la mia passione per la lingua araba e nel 2012, dopo la laurea triennale, ho cambiato ateneo e mi sono iscritta ad un corso magistrale dell'ex facoltà di Studi arabo-islamici dell'Orientale di Napoli, che sto per concludere. Giusto un anno fa, per caso, ho trovato un volantino sul progetto Erasmus Mundus dal nome Battuta. È stato amore a prima vista. Il processo di selezione è durato vari mesi: a febbraio 2014 ho completato la candidatura online per l'université Sidi Mohammed Ben Abdellah di Fes, in Marocco, e i primi di giugno è arrivata la conferma ufficiale. Durante quei mesi d’attesa avevo anche  chiesto una borsa di studio all’ambasciata della Giordania tramite il Ministero degli Esteri, poiché i posti disponibili per l’Erasmus Mundus erano pochi e temevo di non essere scelta, ma è fortunatamente è andata bene.La preparazione ai miei dieci mesi a Fes è stata complicata, a causa della burocrazia italiana e marocchina, complici l'estate di mezzo e il fatto che era il primo anno di rodaggio del progetto. È l'unico aspetto da migliorare del progetto secondo me. L'amministrazione dell'Orientale però mi ha aiutato molto nel reperimento dei documenti e nella stesura di un piano di studi condiviso tra Napoli e Fes. Le difficoltà incontrate all'arrivo in Marocco, a settembre, hanno riguardato gli aspetti pratici: trovare un alloggio, prendere contatti con l’università e ambientarsi in un luogo diverso con una forte tradizione musulmana. A questo propostito è stato utile ricevere, dopo appena una settimana, le prime due mensilità della borsa - 2mila euro - che hanno coperto i costi iniziali. I corsi che ho scelto fanno parte di un master in Cultural Studies, afferente al dipartimento di Anglistica ed insegnato interamente in inglese. Sono lezioni interessantissime, soprattutto perché ho la possibilità di analizzare da vicino la loro prospettiva, spesso diversa dalla mia. È un'occasione unica, che sicuramente farà di me una persona più completa dal punto di vista umano e professionale. Ho fatto grandi progressi linguistici, rendendo finalmente utili tanti anni di regole grammaticali imparate in Italia. Poi dopo gli ultimi esami, dal prossimo marzo potrò concentrarmi sulle ricerche per la tesi, che sarà incentrata sull'Islam politico. Non avendo ben chiaro il mio futuro professionale, né il luogo in cui si svolgerà, al momento sto cercando di collezionare quante più esperienze possibili in modo da avere delle carte da giocare. Tra queste, dieci mesi nella città di Fes, con i suoi mille colori e odori, occupa di certo un posto in prima fila. Testimonianze raccolte da Annalisa Di Palo

Dentro Vulcanus in Japan: gli stage a Osaka e a Hitachi di Flavio e Andrea

Il prossimo 20 gennaio scadono i termini per partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall'Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle aziende stesse, destinato a tutti gli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare il loro anno nel Paese del Sol Levante: ecco le storie di Flavio De Laurentis e Andrea De Franco.   Flavio De Laurentis (28 anni, provincia di Brescia)Ho scoperto Vulcanus all'università. Affascinato da sempre dalla robotica, ho scelto Ingegneria dell’automazione al Politecnico di Milano e al secondo anno di studi - nel 2006 - ho sentito per la prima volta del progetto. Mi sono candidato però solo nel 2009, prima di iniziare il secondo anno di specialistica [possono candidarsi gli studenti iscritti almeno al quarto anno di studi, ndr]. La redazione della domanda in sè è una sfida, il modulo è molto articolato, ma ho ricevuto un grandissimo aiuto dall'allora responsabile dell'ufficio mobilità dell'ateneo. A gennaio 2010 è stata pubblicata la short list, in cui rientravo, e circa un mese dopo mi è stato chiesto di presentare una lettera di motivazione. Ancora un mese ed è arrivata la bella notizia, ero stato selezionato: partenza il 31 agosto con destinazione Tokyo, dopo un incontro a Bruxelles con tutti i vincitori.I primi quattro mesi di permanenza prevedono per tutti la partecipazione ad un corso di giapponese nella capitale, poi inizia l'esperienza in azienda. Io mi sono trasferito a Osaka, ospitato dalla Sanyo, oggi assorbita dalla Panasonic. Per otto mesi, da gennaio ad agosto 2011, ho lavorato alla creazione di un modello matematico innovativo per le batterie agli ioni di litio, percependo un rimborso complessivo era di 2 milioni di yen, allora equivalenti a circa 16mila euro - oggi un po' meno.  Un quarto ci è stata erogato a settembre appena arrivati, poi 100mila yen al mese a partire da gennaio e fino ad agosto. Infine a marzo la parte rimanente, cioè 700mila yen. Il tutto con estrema puntualità. A conti fatti quindi ogni mese potevo contare su mille euro di rimborso, più alloggio gratuito, che per i primi quattro mesi a Tokyo consisteva in una stanza singola con bagno individuale, poi in un appartamento non condiviso per gli otto mesi a Osaka, entrambi molto confortevoli. È stata un'esperienza estremamente significativa, che mi ha segnato moltissimo, sia dal punto di vista personale che professionale. In azienda mi sono trovato estremamente bene. Erano tutti giapponesi, in media 35 anni, più due tre ragazzi della mia età. Giusto il primo giorno, non essendo abituati agli stagisti, mi hanno dato dei lavori un po' di basso livello, come delle analisi Excel. Poi, testato il mio livello di competenza, ho ricevuto compiti via via più sofisticati, come la modellazione matematica con Matlab. In generale io lavoravo fino alle sei e mezza e il mio work life balance era ottimo, ma per i dipendenti giapponesi le cose sono un po diverse: tendono a stare in ufficio molto a lungo.Parlando di difficoltà, quelle linguistiche per me sono state la base di tutte le altre. Superato - in parte - quell'ostacolo, è stato tutto in discesa. E poi c'è stato il terremoto del marzo 2011. Quel giorno ero in trasferta a Tokyo per una presentazione ed è stata un'esperienza pesante, specialmente quando poi è esplosa Fukushima. A quel punto sono tornato a Osaka, dove il rischio era molto più basso, e dove ho ospitato alcuni amici che lavoravano in zone più pericolose. Poi però i miei mi hanno chiesto di tornare in Italia per un paio di settimane. E l'ho fatto. Poi di nuovo a Osaka per gli ultimi cinque mesi di stage.Finita l'esperienza in Giappone ho concluso la specialistica in Italia e ad aprile 2012 mi sono laureato. Pochi mesi dopo sono entrato in McKinsey & Company come business analyst, poi lo scorso giugno l'azienda mi ha proposto di frequentare un master sponsorizzato. Adesso quindi sto svolgendo un MBA alla Hong Kong University of Science and Technology Business School, pagato dalla divisione italiana di McKinsey. E non c'è dubbio che Vulcanus in Japan è stato fondamentale per raggiungere questi risultati. Senza il Vulcanus non avrei avuto un curriculum degno di nota, non sarei entrato in McKinsey, non avrei avuto la possibilità di fare l'MBA sponsorizzato. Sarei una persona con un sacco di storie in meno da raccontare.Foto: sopra, Flavio ai giardini Kiyosumi di Tokyo e, sotto, insieme al gruppo dei vincitori 2010-2011.   Andrea De Franco (26 anni, Genova)Sin dalle superiori sono stato interessato alle scienze applicate e quando nel 2007 si è trattato di scegliere la facoltà universitaria ho optato per Fisica, a Genova. Poi, conclusa la triennale a marzo 2011, la curiosità nel campo della fisica nucleare e particellare mi ha spinto a proseguire con il corso di specialistica in Fisica delle interazioni fondamentali.  È a questo punto che ho scoperto Vulcanun in Japan. Avevo iniziato da poco a cercare attivamente posizioni di stage e placement, sia in Italia che all'estero, quando una ricerca sul web mi ha portato al link giusto.  Ho deciso subito di fare domanda.La documentazione per l'application è varia e complessa, richiede tempo e impegno, per cui ho iniziato a raccoglierla a novembre 2011, per poi spedire il tutto ad anno nuovo. Non senza difficoltà: nel mio caso l'ente organizzatore non è stato molto disponibile a fornire aiuto, vista la mole di candidature - tra le 800 e 900 ogni anno. In compenso sul web si crea sempre una un'intensa attività di collaborazione e condivisione. I candidati all'inizio vengono valutati solo sulla base dei documenti spediti, quindi è importante che siano compilati alla perfezione. Io interpreto questa fase come una scrematura per individuare le persone davvero interessate, pronte a scrivere e riscrivere mille volte cv, lettera di accompagnamento e tutto il resto pur di diventare stagista Vulcanus in Japan.Io ho saputo che lo sarei diventato il giorno di Pasqua del 2012. Il successivo luglio ho conseguito la laurea specialistica con lode, poi a settembre sono partito per quello che è stato l'anno più bello e ricco di esperienze della mia vita. Ho passato i primi quattro mesi a Tokyo con tutti gli altri partecipanti per un corso di giapponese. La mia competenza era nulla, ma poi ho raggiunto un livello medio, idoneo ad affrontare le conversazioni di tutti i giorni. La lingua è stato un grosso scoglio, pochi parlano bene inglese, ma la difficoltà maggiore è stata capire e adattarsi alla cultura del Paese: così ricca, complessa e lontana dalla nostra. Il processo di studio, comprensione e adattamento agli usi e costumi nipponici è stato arduo, ma estremamente gratificante. Per lo stage mi sono trasferito nella città di Hitachi, 200 km a nord di Tokyo, dove ho lavorato per otto mesi in un'azienda del settore ingegneria nucleare, la Hitachi Works. I colleghi mi hanno accolto calorosamente e mi hanno insegnato molto: ancora adesso, dopo quasi due anni, siamo ancora in contatto. L'azienda ha molto riguardo nei confronti degli stagisti, da subito sono stato stimolato ad affrontare sfide sempre più importanti e sono stato coinvolto nella vita lavorativa. La compagnia è stata premurosa anche nell'offrirmi un ottimo alloggio, pagando persino le bollette. Ogni azienda ospitante procura l'alloggio al tirocinante, e del tipo che ritiene opportuno. Si può variare da una stanza in dormitorio a chilometri di distanza dall'ufficio, fino all'appartamento in centro a Tokyo a pochi minuti di cammino. Il grant che si riceve è più che sufficiente a vivere bene in Giappone, con un po' di parsimonia ma senza negarsi nulla, inclusi frequenti viaggi in questa bellissima nazione. Vulcanus in Japan è stato senza dubbio il trampolino di lancio della mia carriera, oltre ad avermi arricchito da mille punti di vista. Adesso, da qualche mese, sto studiando all'Università di Oxford per ottenere un dottorato in Astrofisica, per il quale ricevo uno stipendio lordo di 50mila sterline all'anno grazie ad una borsa Marie Curie ITN. Durante le selezioni era stato esplicitamente comunicato l'interesse a profili con esperienze in Paesi non familiari: indice di grande adattabilità, indipendenza ed ambizione. Tuttte doti che non mancano ai partecipenti di Vulcanus. Ragazzi, siate consapevoli che là fuori c'è un mondo che vi aspetta, dovete solo allungare la mano per afferrarlo!Foto: sopra, Andrea al santuario di Kumano Hayatama Taisha e, sotto, al santuario di Itsukushima.Testimonianze raccolte da Annalisa Di Palo

Sei mesi ad Harvard con la Fulbright Research: «Siamo ricercatori ma anche ambasciatori culturali»

Il programma Fulbright Research Scholar assegna nove borse di studio e ricerca negli Stati Uniti per l’anno accademico 2015-2016: le candidature sono aperte fino al prossimo 9 gennaio. A disposizione, da 9mila a 12mila dollari per soggiorni da sei a nove mesi. Laura Cavicchioli, 40 anni, veterinaria e ricercatrice dell’università di Padova, ha trascorso sei mesi alla Harvard Medical School, in Massachusetts. Alla Repubblica degli Stagisti racconta la sua esperienza.Al programma Fulbright ho voluto partecipare per fare qualcosa di diverso, anche sul piano personale. Non si tratta “solo” di una borsa di ricerca: lo “spirito Fulbright” richiede di essere ambasciatori del proprio Paese e di immergersi nella vita quotidiana americana. È quello che ho fatto anch’io, nei sei mesi che ho trascorso in Massachusetts da gennaio a giugno del 2014. Al Centro Primati dell’università di Harvard (New England Primate Research Center) ho studiato gli effetti del diabete di tipo 2 sui primati, per capire come il glucosio e l’insulina possano creare una degenerazione neuronale, causando un decadimento cognitivo. È un fenomeno molto simile a quello riscontrato nell’uomo, in alcuni pazienti, anche molto giovani. Per questo uno studio comparato può essere molto utile e per questo tipo di ricerca il Centro Primati di Harvard è all’avanguardia. La mia esperienza è stata parte di un progetto più ampio, coordinato dal National Institute of Health americano, che vede coinvolti vari centri universitari americani. Per partecipare a Fulbright bisogna presentare una lettera di invito e un progetto di ricerca specifico: ad Harvard ero già in contatto con una patologa veterinaria americana e volevamo approfondire questo aspetto di ricerca. Era un progetto dettagliato e penso che questo abbia fatto la differenza nella selezione, quando mi sono candidata alla borsa Research Scholar. All’estero ero già stata in altre occasioni. Nel 2007 ero stata in Texas, alla A&M University, per degli studi sulla patologia renale del cane e del gatto. In quell’occasione, però, senza nessuna borsa. Prima ancora, nel 1998, sono stata borsista con il programma europeo Leonardo al Martin Referrals Centre di Kenilworth, in Gran Bretagna. Penso di essere stata una delle prime: le borse erano ancora in ECU! Il mio percorso di studi e professionale, comunque, è sempre stato dentro l’università di Padova. Prima la laurea in medicina veterinaria, poi il dottorato di ricerca nel 2004 e, infine, la qualifica da ricercatore in patologia e anatomia patologica veterinaria. Fulbright è stato l’opportunità perfetta per tornare negli Stati Uniti. Sono partita per Boston, portando con me mio figlio di cinque anni. In realtà la borsa in sé (9mila dollari per sei mesi, ndr) non può coprire tutti i costi. Bisogna fare i conti anche con le necessità di tutti i giorni: l’automobile, le utenze di luce, gas, riscaldamento. E anche, nel mio caso, il costo di rimozione della neve. Sono spese alte quando si rimane per pochi mesi. La scuola, in più, è molto costosa, anche se quella pubblica è più accessibile. Se parti da solo, ce la puoi fare. Se hai la famiglia con te, si fa fatica. Prima di partire ho scoperto di essere di nuovo incinta. Ci ho pensato molto, ma non ho voluto rinunciare e l’assistenza medica ha coperto tutte le esigenze della mia gravidanza. Ho comunque dovuto aggiungere delle risorse personali, anche perché avevo bisogno di trovare una casa adatta per me e mio figlio. Tra una cosa e l’altra, in sei mesi ho speso 18mila euro. È difficile, ma non impossibile. L’università italiana mi ha comunque garantito lo stipendio e la possibilità di mantenere il mio posto da ricercatore. L’aspetto più duro è stato a livello psicologico: sapevo che ero da sola. Mio marito non poteva lasciare l’Italia per motivi professionali. Negli Stati Uniti, però, ho trovato un’assistenza pressoché perfetta: la scuola materna poteva tenere mio figlio anche fino alle sei del pomeriggio, permettendomi di lavorare a pieno. E durante la gravidanza avevo uno scadenzario completo con le visite e i controlli da fare. In laboratorio poi non è stato un grande problema: ho lavorato molto con tessuti d’archivio, evitando il contatto con determinati reagenti. Un’infermiera aveva stilato una lista di materiali che non potevo usare o toccare e qualcun altro, quindi, lo faceva al mio posto. È una questione di organizzazione. In America sono abituati così. In maternità, in pratica, ci vai quando ti si rompono le acque. Fino al momento prima puoi lavorare tranquillamente. Il mio secondo figlio, però, è nato in Italia. Mi scadeva il visto una settimana prima della data del parto e in quel momento, in ogni caso, non volevo essere da sola. Alla fine è andato tutto bene. Anche se le hostess, in aereo, quasi temevano che nascesse in volo. Credo che in Italia l’opportunità data da Fulbright non sia ancora così famosa e “sentita” come lo è in America. Però ne vale la pena, sicuramente a livello personale, per accrescere la propria esperienza professionale e il prestigio del curriculum. A chi volesse candidarsi, dico che è essenziale prendersi per tempo. Bisogna presentare progetti pensati con la testa e digeriti bene. Inoltre bisogna essere capaci di spiegare non solo i dettagli del proprio progetto di ricerca, ma anche perché si vuole partire proprio con questo programma. Le tre lettere di presentazione le ho ottenute facilmente, da colleghi di altri atenei italiani e stranieri con cui avevo già collaborato in passato per ricerche sul diabete. A prendere più tempo è stata la stesura del progetto, perché bisogna indicare nel dettaglio anche i costi, nonché quanto saranno spendibili i risultati della ricerca nel proprio ateneo, una volta tornati. Io ci ho messo qualche settimana. A voler preparare bene la candidatura, penso ci voglia almeno un mese. Non si devono sottovalutare i tempi di risposta per ottenere le lettere di presentazione e tutti i documenti necessari. La scadenza è ai primi di gennaio, ma con le festività natalizie di mezzo, spesso il tempo si riduce. Io l’ho usato tutto, fino all’ultimo: i documenti li ho portati a mano, di persona, a Roma, per non rischiare ritardi con i corrieri, a fine dicembre 2012. Poi c’è tutto l’iter di selezione. Come è indicato nel bando, le interviste finali sono in primavera. Se risulti vincitore, c’è almeno qualche mese di tempo per organizzare il viaggio e il lavoro da lasciare in Italia. Prima della mia partenza, nel gennaio 2014, la  Commissione Fulbright italiana mi ha aiutato soprattutto per le pratiche relative ai visti con l’ambasciata americana. A Padova, invece, ho potuto contare moltissimo sull’aiuto dei miei colleghi: di certo non è previsto che vengano chiamati sostituti esterni. Per fortuna non avevo corsi da tenere nel semestre in cui sarei partita e l’attività di ricerca ho potuto gestirla anche da lontano: non avevo grosse incombenze di laboratorio. Ai miei colleghi ho affidato i tirocinanti che dovevo seguire. Ricambierò il favore quando rientrerò dalla maternità, visto che un’altra collega è in partenza con una borsa Fulbright. È un “do ut des”, ma vale la fatica. Resto convinta della qualità di queste esperienze: per migliorarsi è necessario uscire dall’università italiana, andare altrove. I frutti li vedremo tutti, fra un po’. Lo “spirito Fulbright”, poi, richiede di essere ambasciatori del proprio Paese: dal punto di vista scientifico, volevo testimoniare che la ricerca da noi in Italia si fa, e anche a un certo livello. Il grande interesse che ho trovato in America per il mio lavoro me lo ha confermato. Dal punto di vista culturale, il programma Fulbright ti chiede di immergerti nella società americana e questo mi sento di averlo vissuto fino in fondo, non solo grazie a iniziative come conferenze, eventi e gite organizzate per i borsisti, ma anche nella quotidianità. In America, ad esempio, ho iscritto mio figlio all’asilo. Lui si è divertito un mondo e si è inserito subito, anche grazie allo sport. Oltre alla ginnastica nella palestra della scuola, con i maestri della Gym Academy americana che venivano apposta, ha iniziato a giocare a calcio nella squadra locale. Partite e allenamenti nei fine settimana: l’organizzazione in sè era perfetta. Lui si è appassionato moltissimo. Non è stato difficile conoscere nuovi amici. Io, con lui, ho trovato un’atmosfera molto familiare, dove tutti si interessano a te e sono pronti a darti una mano. Grazie a mio figlio ho potuto partecipare alla vita scolastica in tutti i suoi aspetti, riunioni del gruppo genitori comprese. È un modo di tessere relazioni: quando siamo tornati in Italia, abbiamo fatto nascere un gemellaggio tra le due scuole materne. Credo che anche questo sia un modo di essere “ambasciatori culturali”. Mi sembra di aver gettato un piccolo seme per qualcosa di buono.  Testo raccolto da Maura Bertanzon

«Roma costosissima per gli stagisti, io ce l'ho fatta solo grazie a un'azienda rispettosa»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Giovanna Mostacciuolo, oggi assunta a tempo indeterminato nel settore contabilità di Infocert, a Roma. Ho 31 anni e sono di San Giorgio a Cremano, un paese a pochi chilometri da Napoli. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Economia della Federico II di Napoli, anche se l’esigenza di confrontarmi con il mondo del lavoro si è fatta sentire presto, già dai primi anni universitari. Così ho cominciato lavorando come hostess, oppure facendo volantinaggio ed animazione per bambini. Poi ho collaborato nell'azienda di famiglia, a titolo gratuito: mi occupavo di attività amministrative, redazione delle gare di appalto pubbliche e gestione del sistema di qualità Uni En Iso. Ad ottobre 2009 ho ottenuto la laurea specialistica in Economia delle imprese e dei mercati e ho deciso di cambiare città, non tanto per lavoro - avrei potuto  continuare a lavorare nell’azienda di famiglia, con altre condizioni contrattuali ovviamente - ma per essere indipendente ed essenzialmente per migliorare la qualità della mia vita. Così mi sono trasferita a Roma. Poco dopo il mio arrivo ho iniziato a lavorare con un contratto a progetto per una società che gestisce il credito di una multinazionale del settore telecomunicazioni. Nello specifico, mi occupavo di verificare la correttezza delle fatture  e di fidelizzare i clienti scontenti apportando degli sconti. Il tutto è durato tre mesi, a partire da giugno 2010, poi mi sono licenziata, ma per un'ottima ragione. Nel frattempo infatti mi ero candidata per uno stage: un mio amico, che durante la redazione della tesi si era interessato all’attività di InfoCert, azienda specializzata in servizi di certificazione digitale e gestione dei documenti elettronici, mi aveva segnalato che nella loro area amministrativa era aperta una buona posizione. Compilato il modulo sul sito aziendale, dopo qualche giorno sono stata contattata dall’ufficio Risorse umane per un primo colloquio conoscitivo telefonico. Poi sono stata invitata a sostenere un altro colloquio presso la sede Infocert, al quartiere Ardeatino, alla presenza delle risorse umane, del responsabile amministrativo e di quello che sarebbe diventato il mio tutor.  Il colloquio è durato circa un’ora e ricordo di essere rimasta colpita dall'ambiente giovanile e privo di formalismi, mi sono sentita da subito a mio agio. Ho parlato dei miei studi, delle mie esperienze lavorative precedenti, delle mie attitudini e punti di debolezza, e mi sono stati illustrati i dettagli dell'offerta di stage. Passate un paio di settimane poi è arrivata la telefonata dalle Risorse umane che mi informavano di aver passato le selezioni. E non solo: erano anche interessati  anche alla mie impressioni sulla società, cosa che mi lasciò quanto meno stupita. Nel mondo del lavoro purtroppo spesso non vengono considerate le idee e i punti di vista dei dipendenti. In InfoCert, invece, il dipendente conta, è considerato parte integrante e sostanziale dell’azienda. E non è poco! A fine settembre 2010 quindi ho iniziato il mio stage semestrale nell’amministrazione di InfoCert, dove mi sono occupata principalmente di contabilità ordinaria e controllo di gestione, all’inizio in affiancamento e in seguito in autonomia, percependo ogni mese un rimborso spese di  600 euro netti, più buoni pasto da 8,50 euro al giorno.  Un'avventura supportata da un lato da colleghi leali e disponibili e dall’altro dalla mia famiglia, che mi ha aiutata economicamente ad affrontare le spese. Roma è una città viva e piena di iniziative, non ci si potrebbe trovare male, ma la grande bellezza di questa città è offuscata dai suoi prezzi esorbitanti. Per uno stagista - anche con un buon rimborso - non è semplice far fronte alle spese, prima fra tutte l’affitto di una stanza. I monolocali sono inavvicinabili. Il costo della vita è quasi doppio rispetto a quello della mia città di origine, ma ho imparato presto ad adattarmi e oggi mi godo la città quasi come fossi turista, guardandola con ammirazione ed interesse costante. Roma oggi infatti è diventata la mia città adottiva: dopo i sei mesi di stage in Infocert, più uno di proroga, sono stata confermata con un contratto di apprendistato di 36 mesi, iniziato ad aprile 2011 [l'azienda dichiara una percentuale di stagisti assunti con questa tipologia contrattuale pari al 55%, ndr]. Quattro mesi prima della scadenza poi, l'apprendistato si è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato. Oggi quindi, grazie ad uno stage in un’azienda seria e rispettosa, ho un lavoro che mi dà sicurezza, che mi piace, e che con uno stipendio netto di 1.200 euro al mese mi permette di non gravare più sulle finanze dei miei genitori. Direi che lo scopo per cui quattro anni fa ho lasciato il mio paese d'origine è stato raggiunto.   Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo 

«Siamo energici e intraprendenti, metteteci a lavorare»: un appello alle aziende italiane

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Lisa Stranieri Zafferani, oggi dipendente di Philips, a Milano, con contratto di apprendistato. Ho 27 anni e sono di Cattolica, ma per sette anni ho vissuto in Texas, per trasferimento di lavoro di uno dei miei genitori, che è italo-americano e possiede un’azienda negli Usa. All’epoca avevo cinque anni e per me è stato un gigantesco cambiamento. Ho ricordi molto nitidi di quel periodo, soprattutto dei primi mesi, in cui andavo a scuola con gli americani e non capivo una parola di inglese. Non è stato facile ma mi ha resa forte e indipendente da subito. A 12 anni poi sono tornata in Italia, dove ho finito le scuole medie e frequentato il liceo scientifico con indirizzo informatico. Crescendo sulla riviera romagnola, dove la maggior parte delle attività aprono solo nel periodo estivo, dai 15 anni in poi ho lavorato tutte le estati come cameriera in una piadineria famosa del posto. Alla fine delle superiori – era il 2008 - mi sono trasferita a Milano per frequentare la Bocconi, dove nel 2014 mi sono laureata nella specialistica in Management of Innovation and Technology. Sono stata la prima persona della famiglia, sia da lato materno che paterno, a laurearsi. In questi anni ho fatto anche il mio primo stage, un tirocinio curriculare ad Adelaide, nel governo del sud Australia, partecipando al programma International Internship dell’università. Per  tre mesi, da luglio ad ottobre 2010, ho svolto un progetto di ricerca sull'operato delle camere di commercio sul territorio. Lo stage non era rimborsato né tanto meno finalizzato all’assunzione, ma una maniera per far vivere a più ragazzi di vivere questa esperienza unica. A sostenere le spese sono stati principalmente i miei genitori: 1200 euro di volo e 700 euro al mese per vitto e alloggio. Il secondo tirocinio si è svolto invece a Milano nel 2013, in un’azienda che crea serious games, cioè giochi digitali che simulano la realtà per educare o sensibilizzare. Ad esempio giochi che permettono di fare training ai vigili del fuoco simulando situazioni di pericolo, oppure che permettono di capire gli effetti di un'alimentazione sana o scorretta sul corpo. La "gamification" – l’applicazione di mezzi ludici a contesti diversi dal gioco - era stata materia di esame, e l’avevo trovata molto interessante. Durante questi tre mesi ho lavorato ad un progetto di ricerca europea al quale l’azienda partecipava e svolto ricerche sullo stato dell’arte delle Smart Cities in Europa e seguito le prime fasi di brainstorming del progetto. Anche questo stage non era rimborsato e aveva un futuro - ma neanche lo avrei voluto, per concentrarmi meglio sulla tesi, che iniziavo a scrivere. In quel periodo però ho iniziato a candidarmi per i colloqui individuali della Bocconi&Jobs. A due settimane dall’inizio della fiera del lavoro, a sorpresa, sono stata chiamata da Philips per una giornata di assessment, che si è svolta di lì a breve a Milano. Eravamo otto ragazzi e una ragazza - io - e alla fine della giornata sapevo che era andata bene. Infatti dopo una settimana l’azienda mi ha richiamato per darmi la buona notizia: avrei iniziato uno stage semestrale nel Business Development B2G - business to government - ma questa volta sarebbe stato diverso. Lo stage prevedeva un rimborso di 800 euro netti al mese, più mensa aziendale, e l’assunzione era una possibilità concreta. Che poi è diventata realtà, perché finito lo stage, lo scorso giugno ho firmato un contratto di apprendistato biennale da 28mila euro lordi all’anno e da sei mesi lavoro in una posizione di supporto alla strategia aziendale.Avendo una passione per le innovazioni penso di essere entrata nell’azienda giusta al momento giusto. Philips è in trasformazione e sono molto contenta di poter assistere a questo cambiamento. Sento di avere grandi potenzialità e che l’azienda sarebbe capace di riconoscerle. Consiglio a tutti di non farsi abbattere anche se sembra di vivere un periodo difficile. Esistono altrettanti casi come il mio in cui il merito e le capacità sono state riconosciute dalle aziende giuste. Non è tutto da buttare in questa nostra Italia. L’estero va bene, ma quando il trasferimento è costruttivo, e non solo una via di fuga. La questione stage è fondamentale, in quanto legata a doppio filo al problema lavoro. Bisognerebbe dividere fra stage formativi e stage con finalità di assunzione. Gli stage formativi devono essere promossi dalle università durante il percorso di studi e non dopo! Non abbiamo tempo né voglia di continuare a fare stage dopo la laurea. Siamo giovani, energici, freschi e intraprendenti. Metteteci a lavorare!Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Ventitré anni e appassionata di contabilità, già assunta a tempo indeterminato: avvio di carriera sprint in Everis

“La cosa che mi è piaciuta di più in questo stage è che stavo effettivamente lavorando, oltre che imparando: ero trattata al pari dei miei colleghi assunti, senza nessuna distinzione”Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Elisabetta Garattini, 23 anni, oggi dipendente nel settore Finance di Everis, a Milano. Ho quasi 23 anni e ho sempre vissuto a Pedrengo, un paesino in provincia di Bergamo. Seguendo le orme di mia sorella, di un anno più grande di me, ho frequentato il liceo scientifico e mi sono diplomata nel 2009 con 67/100. Un po’ delusa dal voto, ho deciso di iscrivermi ad Amministrazione, contabilità e controllo d’azienda all’università di Bergamo: volevo cambiare totalmente materie rispetto a quelle studiate al liceo. E proprio con questa virata ho scoperto la mia passione per la ragioneria, la contabilità, i bilanci e le tante materie economiche.Ho studiato molto e con interesse, ma finiti gli esami la mia preoccupazione ovviamente era «e dopo la laurea cosa faccio? Come trovo un lavoro?». Così ho deciso di avvalermi di uno stage, che almeno nel nostro settore sembrava un metodo efficace per iniziare a lavorare. Mi sono iscritta alla piattaforma universitaria di placement e, con relativa facilità, ho iniziato a fare qualche colloquio. Alla fine sono stata scelta da uno studio associato di dottori commercialisti di Bergamo città, dove sono rimasta per tre mesi, fino a poco prima della laurea. Lo stage era totalmente gratuito, il compenso concordato era: imparare qualcosa.  Ed effettivamente ho imparato a destreggiarmi tra varie mansioni contabili e di segreteria: registrazioni di prima nota, registrazioni di fatture d’acquisto e vendita, analisi dei timesheet dei dipendenti, gestione della posta, riordino degli archivi cartacei. Una volta laureata, a novembre 2003, la valutazione della mia attività era certamente positiva, ma lo studio non aveva possibilità di assumermi: il massimo che poteva offrire era un periodo come praticante retribuita part-time. Visto che ora è possibile eseguire il praticantato in itinere, ho deciso di iscrivermi alla specialistica di economia e diventare praticante commercialista. Quindi ho iniziato sia un nuovo percorso di studi, che un praticantato part-time di 4 ore al giorno – con orari non flessibili, come pattuito: o le mattine o i pomeriggi – e un compenso di 500 euro al mese.  Però dopo due mesi ho deciso di interrompere il rapporto poiché non ero più in grado di seguire le lezioni, nonostante lavorare rimanesse una priorità. Per questo anche durante il primo periodo di specialistica non ho mai smesso di candidarmi a varie offerte e mettere online il mio cv. E ad un certo punto ho ricevuto una telefonata: la società milanese di consulenza Everis aveva visionato il mio curriculum su Monster ed era interessata al mio profilo. E due colloqui più tardi, lo scorso maggio, eccomi a iniziare uno stage come consulente SAP finance, con un compenso di 750 euro al mese. Sin dal primo incontro l’azienda aveva specificato che lo stage era finalizzato all’assunzione a tempo indeterminato – e di fatto il 90 per cento degli stagisti viene assunto – per cui ho detto addio all’università e mi sono cancellata dall’albo praticanti. In Everis ho collaborato alla consulenza per un cliente multinazionale che commercializza beni di largo consumo, ho gestito il supporto SAP di secondo livello per l’area geografica Emea, cioè Europa e Africa, e ho imparato ad usare un ERP – sistema informatico di gestione delle risorse aziendali - utilizzato dalle più grosse aziende mondiali. Il tutto in un ambiente dal clima giovane, accogliente, stimolante, internazionale. La cosa che mi è piaciuta di più in questo stage è che stavo effettivamente lavorando, oltre che imparando: ero trattata al pari dei miei colleghi assunti, senza nessuna distinzione. Non ero la stagista sottopagata che doveva fare i lavoretti che nessuno doveva fare, ma ero la nuova risorsa che lavorava direttamente con i clienti, prendendosi anche la responsabilità dei propri errori.Dopo tre mesi poi è arrivata la lieta notizia: dal mese successivo sarei stata assunta. E così il 31 luglio scorso ho firmato il mio primo vero contratto di lavoro, a tempo indeterminato, con una retribuzione di 1150 euro mensili, e con gran felicità ho festeggiato con i miei colleghi. Everis ha chiarito fin da subito che la mia carriera è al primo posto e infatti dopo l’assunzione ho avuto un colloquio individuale con il mio responsabile e con il mentor, figura aziendale  di orientamento, per stabilire quale sarebbe stato il mio percorso in azienda. Ho scelto di intraprendere un percorso verticale, con progressivo aumento delle responsabilità. Adesso, a 23 anni, ho un lavoro che mi piace e che mi permetterebbe anche di mantenermi da sola – anche se al momento preferisco vivere con mia nonna, che abita proprio a Milano. Un bell’inizio!Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo