Categoria: Storie

Da Brescia a Melbourne passando per la Spagna col servizio volontario europeo: «una grande opportunità per noi giovani»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Claudia Vecchia.Sono nata 24 anni fa a Sabbio Chiese, in provincia di Brescia, ed oggi, dopo essere stata l’anno scorso in Spagna per il Servizio volontario europeo, vivo a Melbourne, in Australia, perché il 2 marzo inizierò un master in International development all’RMIT University. Sin da piccola ho avuto grande interesse per le lingue e per il viaggio, e così ho studiato al liceo linguistico e poi ho scelto Lingue moderne all’università di Trento, dove ho vissuto i primi due anni di corso, mentre l’ultimo l’ho trascorso in Erasmus in Olanda, a Nijmegen. Durante il periodo universitario ho svolto piccoli lavori, come volantinaggio e baby sitting. Gli undici mesi trascorsi in Erasmus sono stati fantastici e ho imparato molto, migliorando le mie capacità linguistiche e conoscendo differenti metodi didattici rispetto a quelli della mia facoltà.Ho fatto scelte completamente diverse dai miei genitori: mio padre è geometra e mia madre casalinga. Mi hanno sempre supportato nelle mie scelte, ed è grazie al loro aiuto che oggi sono a Melbourne. In questo lontano continente ero già stata prima di iniziare l’avventura dello Sve. Appena dopo la laurea, nell’aprile del 2013, presi un volo per l’Australia, dove sono rimasta un anno grazie al Working Holiday visa. Ho lavorato come ragazza alla pari, baby sitter, lavapiatti e cameriera, viaggiando per il paese. Questi impieghi non c’entravano ovviamente nulla con la mia formazione, ma mi hanno aiutato molto a migliorare il mio inglese, a conoscere nuove persone e realtà completamente differenti dalla mia.Mentre ero in Australia pensavo al futuro, e grazie a Internet ho scoperto lo Sve. Così, appena rientrata in Italia, ad aprile dell’anno scorso, ho inviato direttamente alle organizzazioni di accoglienza parecchie candidature, tutte inerenti al lavoro con bambini, scuole e attività culturali. Ho mandato molte domande in Spagna e in Sud America perché volevo imparare lo spagnolo. Dopo una settimana ho ricevuto una risposta positiva che mi invitava a partire il prima possibile; così ho contattato l’associazione Joint di Milano, che è stata disponibile a farmi da organizzazione di invio.A maggio del 2014 sono così partita per Enguidanos, un paesino di 300 persone in Spagna, nella magnifica valle del Cabriel, a un centinaio di chilometri a ovest di Valencia. Sono stata lì per sei mesi. La mia organizzazione di accoglienza era il Comune, Ayuntamiento de Enguidanos, e il progetto si chiamava “Enguidanos: all together!!”. In paese vivevo in una casa bellissima, pagata dal Comune, e ricevevo 350 euro per coprire il vitto, mentre il pocket money per le spese personali era di 105 euro. Non ho avuto alcun tipo di problema economico.Nel progetto i miei compiti erano collaborare con diverse associazioni del paese e con la scuola primaria. Durante il periodo scolastico ho supportato l’insegnante di inglese durante la lezione, e con un’altra professoressa ho sviluppato un mio progetto per i bambini sui cinque continenti del mondo. Ogni settimana “viaggiavamo” in un continente e tramite giochi e presentazioni spiegavo le caratteristiche dei luoghi e delle culture ai bambini. È stata una grande soddisfazione, anche perché nello stesso tempo una delle insegnanti aveva ideato un progetto simile con le scuole dei paesi vicini. Ogni istituto corrispondeva ad un continente. Così abbiamo integrato i due progetti e li abbiamo portati avanti in tutte le scuole. Con i bambini il lavoro è proseguito anche finite le lezioni: con la mia tutor dello Sve ho organizzato “la escuela de verano”, cioè la scuola estiva per offrire altre attività ai bambini come giochi, laboratori di artigianato, educazione ambientale, teatro, fotografia, cinema e marionette. Durante lo Sve ho inoltre collaborato con l’ufficio turistico del paese, traducendo volantini in italiano, inglese, tedesco, francese e curando alcune pagine Facebook. E poi sono stata coinvolta nelle attività dell’associazione teatrale, partecipando al corso di teatro e alla commedia che abbiamo messo in scena: "La conciencia de don Jenaro".La mia esperienza Sve è stata più che positiva e ha superato di gran lunga le mie aspettative. Ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissata: imparare la lingua, conoscere la cultura e il territorio spagnolo e tante persone interessanti. All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà ad inserirmi nella comunità del paese, anche i giovani erano diffidenti nei miei confronti, ma è stato solo un primo impatto. Con l’aiuto del mio tutor e delle persone con cui lavoravo, dopo poco mi sono integrata perfettamente e sono diventata parte di quella grande famiglia che in principio era molto titubante rispetto al mio ruolo nella comunità.Grazie alla gente del paese, alla tutor e alle colleghe, che mi hanno trattato benissimo e aiutato in ogni minima difficoltà, non ho sofferto di solitudine, perché per i primi tre mesi ero l’unica volontaria del progetto e vivevo da sola in quella casa bellissima. Poi ad agosto è arrivata l’altra volontaria, Sarah, austriaca. Ci siamo trovate molto bene insieme, nonostante la sua difficoltà a capire lo spagnolo ed il poco tempo che abbiamo avuto a disposizione.Dallo Sve mi sono portata a casa tantissime esperienze che mi hanno aiutata a crescere sia personalmente che professionalmente, e che mi hanno dato maggior consapevolezza di me e di quello che voglio. Per questo consiglio vivamente lo Sve. Però bisogna essere consapevoli che è un tipo di esperienza che mette davvero alla prova!Lo Sve mi ha offerto opportunità per conoscermi meglio, sia nei punti di forza sia in quelli di debolezza. E così spero di realizzare ciò che desidero e credo di essere sulla buona strada per farlo, perché finora ho sempre raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissata. Tra pochi giorni inizierò il master a Melbourne, intanto sto già lavorando come cameriera e baby sitter. Dopo gli studi il mio desiderio è intraprendere una carriera nel campo della cooperazione  internazionale. Grazie allo Sve ho tanta fiducia in me stessa e guardo al mio futuro con ottimismo.Testo raccolto da Daniele Ferro @danieleferro 

Due stage già alle superiori per Chiara, apripista per la sua carriera in Philips

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Chiara Stoppa, oggi assunta nel controllo di gestione di Philips, a Monza. Ho 27 anni e vengo da una cittadina vicino Treviso, Castelfranco Veneto, dove ho frequentato l'istituto tecnico commerciale con specializzazione in programmazione IT. In Veneto la caratteristica principale degli istituti tecnici  è il legame con il tessuto imprenditoriale locale, ed è proprio grazie a questo che ho iniziato a relazionarmi con il mondo lavorativo. Concluso il terzo anno, nell'estate 2014 ho fatto un breve stage gratuito nell'area commerciale di un'azienda locale che produce trenini turistici, in cui per un mese ho curato le relazioni con i clienti e la documentistica. Poi l'estate successiva sono stata ospitata all'interno di una banca, questa volta per due mesi e con un piccolo contributo di 250 euro complessivi, affiancando il personale di front office, con qualche attività di archiviazione. In queste esperienze la mia intenzione è sempre stata quella di unire la formazione scolastica a momenti di riscontro pratico, sfruttando ogni occasione per rafforzare la mia personalità, capire l'importanza di assumere impegni e responsabilità e imparare a portare a termine progetti. Nel giugno 2006 mi sono diplomata con ottimi risultati e a settembre ho iniziato il corso di Economia all'università di Padova, iniziando subito a cercare lavoro, sia per essere più indipendente, sia per imparare a gestire meglio il tempo e le forze. Verso la fine del triennio è stata la volta del terzo tirocinio, gratis: quattro mesi nell'area commerciale di una famosa azienda di gioielli, per la quale ho assistito il personale in attvità di back office, seguivo il processo degli ordini, monitoravo la disponibilità di prodotti, resi, emissione di note d'accredito... Un'esperienza molto costruttiva, che mi ha mostrato un tipo di realtà aziendale in cui crescere. Mi è stata offerta una proroga, alle stesse condizioni, mo ho rifiutato per concentrarmi sulla stesura della tesi, che ho discusso a dicembre 2009. Una volta laureata, ho trascorso tre mesi a Melbourne per rafforzare il mio inglese: un viaggio organizzato in totale autonomia, senza beneficiare di finanziamenti da enti o aziende. Anche questa è stata una esperienza molto costruttiva, in cui ho acquisito indipendenza e mi sono confrontata con vari ostacoli, ma anche con esperienze nuove e persone di culture diverse. Tornata dall'Australia, convinta che proseguire gli studi universitari mi avrebbe dato maggiori possibilità in futuro, ad ottobre del 2010 ho intrapreso il biennio specialistico di Economia, sempre a Padova. E al secondo anno ho vinto un Erasmus di sei mesi a Valencia, dove ho sostenuto gli ultimi quattro esami, finanziandomi solo in parte con la borsa. Questo tipo di esperienza aiuta a sapersi destreggiare in ogni situazione, a formare un pensiero critico e più aperto, e anche a inseguire l'indipendenza, tutti elementi fondamentali nella vita delle persone. Per questo l'ho cercata.Al mio ritorno dalla Spagna ho iniziato la stesura della tesi, che ho dedicato a una tematica di Economia internazionale, il fenomeno dell'home bias, ossia la propensione nel acqusisto di beni reali, servzi e titoli domestici rispetto a quelli internazionali. A marzo 2013 ho completato gli studi ed è iniziata la sfida di trovare un'azienda che mi sapesse apprezzare. Per me gli obiettivi sono benzina quotidiana e credo che l'impegno, la costanza e la determinazione siano i migliori mezzi per raggiungerli, quindi ho iniziato ad inviare cv alle aziende a cui ambivo da sempre. Dopo due mesi dalla laurea, candidandomi su un sito online specializzato, sono stata contatta da Luxottica e dopo vari colloqui ho iniziato uno stage di sei mesi in ambito Controllo di Gestione. Agevolata da un rimborso spese di 850 euro mensile più mensa aziendale, mi sono quindi trasferita in provincia di Belluno.Verso la fine dello stage però, non avendo certezze da parte dell'azienda e vedendo l'alto tasso di rotazione degli stagisti, ho ripreso a candidarmi, spesso tramite i siti delle aziende, e alla fine sono stata contattata per un colloquio in Philips, a Monza: un'intera giornata che prevedeva un test indivuduale, uno di gruppo ed uno in inglese per avviare uno stage semestrale pagato. Dopo pochi giorni avevo già una risposta, con mia grande soddisfazione affermativa! E a metà novembre 2013 eccomi negli uffici del controllo gestione ad occuparmi di attività di budget, analisi degli scostamenti tra preventivo e consultivo, e reportistica, con una somma di 800 euro mensili ma nessuna certezza per il dopo stage. E invece a inizio giugno, finiti i sei mesi, mi è stato proposto un apprendistato biennale, con mansioni simili ma cambio di settore, da Healtcare a Corporate. E con un stipendio mensile di 1600 euro. In Philips ho trovato una realtà molto aperta a noi giovani, dinamica e sempre in evoluzione, contesto ideale per accrescere e soddisfare le mie aspirazioni professionali. Una multinazionale così mi consentirebbe anche di accedere facilmente al mercato estero. Mi sento molto fortunata. Monza poi, dove vivo in condivisione con altre persone coetanee, è una città ricca di servizi, sicura, movimentata - il giusto - e vicina a Milano: il mio futuro potrebbe essere proprio qui.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Soufiane «cammina veloce»: a 25 anni grazie al lavoro in Everis mantiene la famiglia

“Oggi riesco a mantenermi da solo in una città non proprio economica come Milano, condividendo un piccolo appartamento a Lambrate con altre due persone. Anzi sono io che per quello che posso aiuto i miei genitori, essendo l'unico che lavora in famiglia. Non potrei che dirmi soddisfatto e gratificato”Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di un 25enne di origini marocchine assunto a tempo indeterminato in Everis, Benali Soufiane (dall'arabo, significa «colui che cammina rapidamente») .  Sono nato a Casablanca nel 1990. In Marocco ci sono rimasto fino ai 13 anni, poi nell'agosto 2003 mi sono trasferito in Italia, nel Comune di Campagna, in provincia di Salerno, per ricongiungimento familiare: mio padre si era trasferito in Italia per lavoro già molti anni prima. Quell'autunno, dopo un piccolo test di competenze - ovviamente non linguistiche - sono stato ammesso alla  terza media. Ricordo bene quel periodo, è stata abbastanza dura, anche perché in italiano sapevo solo contare da uno a venti. La dirigente della scuola però mi ha facilitato il processo di integrazione mettendomi a disposizione una professoressa di francese e autorizzando la presenza, una volta a settimana per due ore, di una ragazza che studiava arabo all'Orientale di Napoli, entrambe per aiutarmi a imparare l'italiano. Per il primo anno di scuola l'obiettivo era quello.L'anno successivo poi mi sono iscritto all'istituto tecnico commerciale, corso programmatori, ed è stata questa la scelta che ha influenzato di più il mio futuro. Convinto di proseguire sulla stessa strada infatti, dopo le superiori nel 2009 mi sono iscritto all'allora facoltà di Informatica dell'università di Salerno, che dal mio punto di vista è anche una delle migliori in Italia. Io perlomeno mi sono trovato molto bene: i professori sono molto preparati, la facoltà è gestita bene e sento da altre persone che è sempre in miglioramento dal punto di vista organizzativo. Ho solo avuto un po' di difficoltà a fare il pendolare, visto che la zona in cui abitavo non era collegata bene con Fisciano, dove ha sede la facoltà.Mi sono laureato a luglio 2013 con una tesi sperimentale, sviluppando una piattaforma web per la provincia di Salerno per il censimento dei loro archivi amministrativi. Qualche tempo prima però avevo già partecipato ad un placement day organizzato dall’università, in cui avevo lasciato il curriculum a tre aziende, tra cui Everis, che a Milano si occupa di consulenza per aziende di svariati settori: finanza, energia, telecomunicazioni, pubblica amministrazione, sanità… La recuiter mi aveva fissato un appuntamento telefonico per una settimana dopo la data di laurea e, puntuale come un orologio, è arrivata la chiamata.  Sono stato invitato quindi in sede per le selezioni, insieme ad altri candidati.Per prima cosa abbiamo affrontato il test d'inglese, poi ci è stata fatta una panoramica dell'azienda e ci ha illustrato in dettaglio l'offerta di stage: mansioni, rimborso, durata... Per quanti avevano superato il test - tra cui me - c'è stato il colloquio tecnico con un manager, poi subito un altro colloquio di lingua, francese questa volta. Il tutto si è concluso con la promessa di un feedback di lì a una settimana. Di nuovo, i tempi sono stati rispettati alla perfezione e a inizio ottobre ho ricevuto la bella notizia: avevo passato le selezioni. Quindi ho fatto le valigie e sono partito per Milano. Anche le altre due aziende incontrate durante il placement day nel frattempo mi avevano proposto degli stage, uno a Napoli e uno a  Milano, ma la serietà di Everis e il profilo internazionale dei suoi clienti vincevano di gran lunga sulle altre.Ho iniziato il mio stage nella sede di Milano a novembre 2013, iniziando a lavorare su un progetto aziendale studiato per una multinazionale del settore farmaceuticao: fornivo assistenza IT per la loro sede italiana e poi, viste le mie conoscenze linguistiche, per quella francese. Si trattava di uno stage pagato 750 euro al mese più buoni pasto, della durata di sei mesi, ma non c'è stato nemmeno modo di finirlo, perché ad aprile - e cioè dopo cinque mesi da stagista - mi è stato offerto un contratto a tempo indeterminato con una retribuzione annua lorda di 21.600 euro. Oggi riesco a mantenermi da solo in una città non proprio economica come Milano, condividendo un piccolo appartamento a Lambrate con altre due persone. Anzi sono io che per quello che posso aiuto i miei genitori, essendo l'unico che lavora in famiglia. Non potrei che dirmi soddisfatto e gratificato. Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Col servizio volontario europeo ho imparato il tedesco: e così a 25 anni, a un mese dalla laurea, ho già un lavoro»

Da oggi la Repubblica degli Stagisti inaugura una nuova rubrica, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo (Sve), una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Sonia Giannini.Ho 25 anni e abito con il mio fidanzato a Casalgrande, il piccolo paese in provincia di Reggio Emilia dove sono nata e cresciuta. A un mese dalla laurea triennale in Lingue e culture europee a Modena, lavoro in una grande di ceramiche a Sassuolo come responsabile commerciale per l’Austria e la Germania. Sono stata assunta da pochi giorni. Mi hanno selezionato perché conosco molto bene il tedesco, che ho perfezionato durante i dieci mesi trascorsi in Austria per il Servizio volontario europeo. In fase di colloquio ho parlato molto della mia esperienza in Austria, erano estremamente impressionati e curiosi di sapere cosa fosse lo Sve. Ora ho un contratto di sei mesi per sostituzione di maternità e sono fiduciosa per il futuro, perché in azienda ci sono buone prospettive di inserimento. Sono molto contenta perché è il lavoro che volevo fare. Il mio percorso è iniziato con il liceo socio-psico-pedagogico. Poi ho frequentato il corso di Lingue e CultureEuropee all’università di Modena. Per mantenermi gli studi ho dato lezioni private, ho fatto la baby sitter e ho lavorato nell’ufficio spedizioni di un’azienda nella mia città. Sono partita per l’Austria a ottobre 2013 e ho trascorso dieci mesi ad Amstetten, una cittadina di ventimila abitanti, facendo volontariato nel centro giovanile “A-Toll”, gestito dal Comune. Avevo scoperto lo Sve grazie a un compagno di università e ad un incontro informativo dell’associazione Going to Europe di Modena, che sarebbe poi diventata la mia organizzazione di invio. In quell’occasione capii subito che lo Sve era ciò che stavo cercando: avevo bisogno di nuovi stimoli, senza perdere di vista l’università e soprattutto senza gravare sulle finanze dei miei genitori (in Austria, oltre all’alloggio, mi hanno dato 300 euro per il vitto e 110 euro di pocket money). Utilizzando il database dei progetti Sve inviai molte domande, in particolare per progetti in Austria e Germania, perché volevo migliorare il tedesco. Dopo qualche mese sono partita per Amstetten. Sono tornata lo scorso luglio, e a dicembre mi sono laureata. Ad Amstetten ero l’unica volontaria in Servizio volontario europeo e i primi due mesi sono stati un po’ duri, in particolare per la lingua. Nonostante avessi basi di tedesco, in città spesso le persone mi rispondevano in modo scocciato per dirmi che non capivano. E siccome anche l’inglese non era ben accettato, ho avuto lo stimolo per studiare continuamente il tedesco e imparare i modi di dire e la pronuncia austriache, fino a quando sono riuscita ad acquisire una perfetta parlantina: a volte mi hanno scambiato per un’austriaca! Anche nel centro giovanile all’inizio non è stato facile. Era frequentato da ragazzi dai 12 ai 21 anni, per lo più stranieri, in particolare curdi, turchi, rumeni e kossovari. I miei compiti erano passare del tempo giocando con loro, organizzando eventi come “Skate contest”, escursioni, serate in discoteca, o semplicemente parlando, dando consigli sulla stesura del  curriculum, la ricerca del lavoro o l’educazione sessuale. Spesso l’ambiente che si veniva a creare non era dei più positivi ed armoniosi per le tensioni di natura culturale tra gli utenti del centro, causate spesso da guerre in cui i parenti avevano preso parte. Non è stato facile inserirmi in questo contesto, e forse proprio per le difficoltà iniziali l’esperienza si è poi rivelata fantastica.Qualche volta mi sono trovata da sola a dirimere litigi e scazzottate, ed alcuni ragazzi avevano inoltre un modo di scherzare molto aggressivo. Siccome all’inizio non padroneggiavo il tedesco (sempre che i ragazzi non parlassero nella loro lingua di origine!), capivo troppo tardi che la situazione stava degenerando. Poi però ho compreso come fermare le piccole risse e avviare un confronto tra i ragazzi per far sì che non si verificassero più litigi. Per me è stata un’enorme dimostrazione di quello che sono in grado di fare da sola, senza l’aiuto di altri e soprattutto usando un’altra lingua. Questo è in fondo lo Sve: scoprire capacità nascoste nei momenti e soprattutto nei modi più inaspettati.Con il passare delle settimane, i ragazzi del centro mi hanno vista come una figura di cui fidarsi. In particolare lo dimostrano i rapporti che ho instaurato con due ragazzi. Il primo si chiamava Erhan, era di origini curde e affetto da una distrofia muscolare che lo costringeva su una sedie a rotelle motorizzata. Ma era un ragazzo del tutto indipendente, oltre che gentile e molto acculturato. Un giorno mi raccontò della sua malattia e di come lo avesse in poco tempo costretto a rinunciare a tante passioni. Quello che mi colpì fu l’estrema serenità nelle sue parole: mi  disse che aveva accettato la sua malattia, che riusciva a  vivere felice e non abbattersi mai. In effetti lo vedevo sempre allegro. Erhan mi ha fatto capire che tante volte nella nostra vita quotidiana perdiamo tempo a crearci problemi e a dirci insoddisfatti di ciò che abbiamo: grazie a Erhan ho riscoperto il piacere di godermi ogni istante della vita.Anche Firat era di origini curde. A differenza di Erhan, non aveva finito le scuole ed era estremamente irascibile e schivo. Da subito le colleghe me lo presentarono come un ragazzo difficile ed aggressivo, ma io mi posi l’obiettivo di scambiare qualche parola con lui. Dopo due mesi di tentativi, arrivò il giorno in cui mi si avvicinò spontaneamente. Da quel giorno iniziammo a parlare, e Firat mi raccontò la sua vita. Aveva avuto un’infanzia difficile. La sua famiglia era stata vittima della persecuzione turca verso i curdi: due suoi zii erano stati uccisi. Così i suoi genitori decisero di scappare in Austria, e lui si trovò catapultato in un paese che non amava. Firat mi chiese consigli per cercare lavoro, imparare il tedesco e anche su come comportarsi con una ragazza. Quando mi disse “grazie per avermi ascoltato”, capii quanto sia più facile, ma nello stesso tempo così dannoso, fermarsi alle apparenze. Non era giusto etichettare Firat come “un ragazzo difficile ed aggressivo”.Lo Sve mi ha regalato molto di più di ciò che io ho dato. Mi ha arricchito attraverso lo scambio di idee, di pensieri, di culture, e mi ha cambiato nel profondo. Oltre a fattori pratici come il miglioramento del tedesco, ho imparato a credere in me stessa e dare fiducia alle mie idee. Ho scoperto qualità nascoste, come la capacità di interagire facilmente con persone estranee o lavorare molto bene in un team. Ho imparato quanto i pregiudizi facciano male alla società: lo Sve mi ha insegnato a vedere oltre, grazie alle diversità che sono una fonte di arricchimento e non un ostacolo da combattere o confinare dietro un muro. Credo che lo Sve, in una società apatica come la nostra, renda i volontari più sensibili, permettendo loro di scoprire non solo il proprio potenziale, ma anche i valori e la bellezza delle piccole cose.testo raccolto da Daniele Ferro @danieleferro 

Fiducia e incoraggiamento: i cardini della filosofia Ferrero per le giovani risorse

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Stefano Scarantino, oggi assunto nel Marketing di Ferrero a Pino Torinese.  Ho 26 anni e sono di Torino. Ho frequentato la facoltà di Economia e Commercio della mia città, per sviluppare le capacità matematiche e analitiche acquisite al liceo scientifico, ma poi col tempo si è rivelata la mia grande passione per il marketing. Sono sempre stato affascinato dalla possibilità di coniugare numeri e analisi con i bisogni dei consumatori e con l'offerta di prodotti e servizi in grado di soddisfarli. Specialmente all’interno di multinazionali, che hanno maggior potere di influenzare il benessere di una comunità.Nel 2010, giunto alla laurea triennale, ho incentrato la mia tesi sul modello di fidelizzazione di una grande concessionaria pubblicitaria italiana e quando si è trattato di scegliere la specialistica ho optato per il curriculum Marketing e management della facoltà di Economia e direzione delle imprese, laureandomi poi nel 2013 con lode. Questa volta per la tesi ho analizzato la strategia di comunicazione usata nel mercato alimentare italiano, all'epoca senza sapere che il mio futuro lavorativo sarebbe stato proprio in questo settore.Al di là degli studi universitari, ho sempre approfondito ciò che mi interessava con letture e partecipazioni a workshop. Ad esempio nel 2010 sono arrivato alle finali nazionali di L'Oréal Brandstorm, un contest il cui obiettivo era presentare un piano di marketing per il lancio di un nuovo prodotto del segmento professionale maschile. Questo per me è stato anche il primo vero contatto il marketing di un'azienda globale.Proprio in L'Oréal, pochi mesi dopo, ho svolto uno stage curricolare come Assistant Product Manager, contattato dall'azienda stessa. Da agosto 2011 a febbraio 2012 ho supportato la senior manager nelle operazioni di analisi di sell in - cioè di vendita ai commercianti rivenditori - e di sales performance; ho collaborato alla preparazione di riunioni, presentazioni e report per i manager di area, seguito le varie fasi per il lancio di nuovi prodotti sul mercato e anche operato sulla gestione del sito web. Il tutto con un rimborso mensile di 400 euro netti. All'epoca avevo ventidue anni ed è stata un'esperienza utile per iniziare a conoscere il mondo lavorativo, le dinamiche di gestione di una marca e i rapporti che intercorrono tra i vari settori - Marketing, Trade, Acquisti, Finance, Logisitica - affinché il prodotto possa essere ben comunicato e veicolato al consumatore.A settembre 2012 è stata la volta di un altro stage semestrale, questa volta in Martini & Rossi, col ruolo di Sales Analyst. Mi occupavo di analisi e reportistica per i National Account Manager, con focus sulle performance dei clienti della grande distribuzione, e questo mi è servito molto per capire meglio le logiche dei punti vendita - i touch point - che sono sempre più importanti. Rispetto allo stage precedente ho avuto un maggiore grado di indipendenza, è aumentato il rimborso - questa volta di 650 euro - e ho anche ricevuta la proposta di un contratto a tempo determinato di sei mesi, che però ho rifiutato. Nel frattempo infatti mi ero candidato online per uno stage nel Trade Marketing di Ferrero e avevo affrontato le selezioni, tanto lunghe quanto accurate. Nel mio caso il percorso è durato molti mesi, da giugno 2013 al febbraio successivo, anche perché nel frattempo la posizione per cui mi ero candidato era stata chiusa, per poi essere riaperta.Ho superato tutti gli step - prima scrematura con test di matematica e logica su pc, colloquio di gruppo, primo e secondo colloquio individuale - e a marzo 2014 ho iniziato il mio stage. Fino al successivo settembe ho collaborato allo sviluppo e all'implementazione delle strategie digitali di Ferrero Rocher per le principali festività - la prima è stata Natale -  e a quelle di comunicazione sul punto vendita, percependo un rimborso di 750 euro mensili più buoni pasto. È stato un bel lavoro di team, e allo stesso tempo avevo grande indipendenza e deleghe di responsabilità. In Ferrero c'è un atteggiamento di fiducia verso le nuove risorse e iniziativa personale e responsabilizzazione vengono incoraggiate. L'eventuale errore è percepito come formativo.  A conclusione dello stage mi hanno proposto un contratto di apprendistato biennale, con una ral di 29mila euro, che ho accettato. Adesso, come del resto da sei anni a questa parte, mi mantengo da solo e per la mia età sono decisamente soddisfatto del tenore di vita che ho. Mi piacerebbe continuare a lavorare nel marketing, o comunque all'interno del Food and Beverage, mia grande passione. Vorrei rimanere e crescere in Ferrero: è un'azienda che rispecchia i miei valori e le mie passioni e che da sempre permette lo sviluppo di carriera, sia orizzontale che verticale. Sia in Italia che all'estero. Ad oggi mi manca appunto solo un'esperienza all'estero e nel giro dei prossimi due anni la considero una tappa imprescindibile. E, in Ferrero, raggiungibile.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Centro per l'impiego di Siracusa: «Qui un mare di gente perde il lavoro e non possiamo farci nulla»

Lo scorso giugno, una bella giornata di sole, l’Ufficio Statistica della Regione Sicilia ha pubblicato un dato da far venire i brividi: il tasso di disoccupazione regionale (attenzione, non giovanile: regionale) al 34,8%. Più di una persona su tre senza lavoro, ma soprattutto ben 13,8 punti percentuali in più rispetto al tasso elaborato poco prima dall’Istat. Una notizia sensazionale anche per chi vive in una regione che, quando si parla di lavoro e politiche occupazionali, fa sempre la parte di cenerentola. In questo contesto, lavorare in un Centro per l’impiego deve essere quantomeno complicato. Lo è certamente a Siracusa, dove disperazione e smarrimento sono all’ordine del giorno, come confida una dirigente che preferisce restare anonima: «Qui la situazione è più che disastrosa. Le problematiche sono tante, c’è un mare di gente che perde il lavoro e non possiamo farci nulla. È una situazione che non possiamo fronteggiare, possiamo vendere solo fumo. Su Garanzia Giovani, ad esempio, è arrivato il bando per il servizio civile, ma solo quello. Non c’è altro. Progetti come Garanzia Giovani e il Piano Giovani, su cui i ragazzi facevano molto affidamento, di fatto si stanno rivelando una bolla di sapone. Basti pensare che il progetto regionale relativo al Piano Giovani è ancora bloccato». A Siracusa, come in tante altre zone dell’isola, la disoccupazione riguarda tutti, ragazzi e meno giovani: i primi sono rassegnati, i secondi disperati. «C’è gente di 40 o 50 anni che perde il lavoro e rimane a casa» spiega la dirigente del cpi «non hanno più nessuna possibilità, stiamo andando avanti con gli ammortizzatori sociali e la mobilità in deroga, ma sono interventi che lasciano il tempo che trovano, anche perché un padre di famiglia non riesce a tirare su una famiglia con quelle somme». Gli iscritti ai quattro centri per l’impiego in provincia di Siracusa, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono moltissimi. Più di 60 mila a Siracusa, 28 mila ad Augusta, 24 mila a Lentini e 38 mila a Noto. Città bellissime, ricche di storie, ma povere di lavoro. «Qui le aziende stanno chiudendo tutte» dicono gli operatori «basta fare un giro in centro a Siracusa e si notano molti negozi chiusi. La situazione è veramente sconfortante, tanta gente viene a piangere ai nostri sportelli, non hanno neppure i soldi per comprare il pane». Una struttura che produce pochi risultati, ma in grado di dare lavoro a ben 144 persone, impiegate nei quattro cpi della provincia. Tutti assunti a tempo indeterminato, nessun precario. Un’oasi rigogliosa in mezzo al deserto, che un po’ stona. «È  vero, siamo in tanti, ma abbiamo competenze diverse rispetto ai colleghi delle altre regioni» spiega Paolo Trovato, dirigente ad interim: «Ad esempio il controllo e la vigilanza sulla formazione professionale e la rendicontazione». «E poi fino a qualche tempo fa» aggiunge una collega «offrivamo molti più servizi; c’era lo sportello del Ciapi, il Centro interaziendale addestramento professionale integrato, dove lavoravano diversi operatori degli enti di formazione. Si occupavano di orientamento, supporto psicologico. Purtroppo il servizio è stato smantellato e chi vi lavorava ora è in cassa integrazione o in mobilità. Tutti passati dall’altra parte dello sportello, a fare la coda per iscriversi e richiedere gli ammortizzatori sociali». Pensare al Centro per l’impiego di Siracusa come all’ennesimo carrozzone che assorbe tanti soldi pubblici è quasi scontato. Il Centro, a differenza di altre realtà italiane, dipende dalla Regione Sicilia (a Statuto speciale) e non dalle provincia. Ma questo per il dirigente ad interim è un handicap. «Ricordo che il Centro di Pordenone organizza, attraverso vaucher, la manutenzione delle scuole. Da noi questo è impossibile, perché non abbiamo fondi a disposizione da potere erogare direttamente». Eppure, nello sconforto generale, qualcosa che funziona c’è. Come i servizi online, che in altre regioni faticano a decollare, qui sono utilizzati dagli utenti. Collegandosi al portale è possibile fare la dichiarazione di disponibilità o richiedere altri certificati. C’è poi la “bacheca lavoro”, che pubblicizza le poche offerte di impiego. Un barlume di luce che si spegne di colpo quando la discussione si sposta sul rapporto con le imprese del territorio. «Abbiamo perso il contatto con le aziende dopo l’introduzione della comunicazione obbligatoria delle assunzioni» spiegano dal Centro “e adesso i rapporti avvengono attraverso le associazioni di categoria o gli ordini professionali. Facciamo quello che possiamo, ma le condizioni socioeconomiche sono complicate. Lo erano qualche anno fa, lo sono ancora di più adesso. Ci servirebbero risorse da potere investire, vorremmo attivare progetti, ma abbiamo le mani legate e non possiamo farci davvero nulla”.

«Stage in Commissione UE, una delle esperienze più formative nel mio campo»

Dal 1° al 31 gennaio è aperto il bando per candidarsi agli stage per la Commissione europea. La Repubblica degli Stagisti raccoglie le testimonianze di chi ha già fatto questa esperienza: ecco quella di Lorenzo Marchese. La comunicazione è dappertutto. Ne sono convinto. Tanto che inizio così la mia presentazione su LinkedIn. La mia passione per la comunicazione discende dalla mia passione per la politica. Secondo me non possono esistere in maniera separata. Qualsiasi attività pubblica ha bisogno di comunicazione. Per questo ne ho fatto la mia professione. Oggi sono un free lance. Un consulente indipendente in relazioni pubbliche, comunicazione  e affari europei a Bruxelles, ma la mia storia inizia in Italia, 27 anni fa. Sono nato ad Alessandria. Lì ho frequentato il liceo classico fino al terzo anno. Poi ho vinto una borsa di studio per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico: 32mila euro per due anni, per concludere la mia formazione superiore a Trieste, con quello che viene chiamato baccellierato internazionale , concentrando gli studi su sei materie e in particolare, per me, in storia, filosofia e letteratura italiana. Ne sono venuto a conoscenza grazie a un bando regionale, mi sono candidato e ho passato due fasi di selezione, regionali e nazionali. La borsa copriva tutti i costi, compreso vitto e alloggio presso le strutture della scuola, e mi ha permesso di ottenere un diploma valido per l'ammissione universitaria in più di 80 Paesi al mondo. Dopo la maturità, volevo continuare a studiare filosofia. Per questo ho cercato un'università inglese, sia per la metodologia di studio, sia perché mi sembrava offrisse opportunità di carriera dopo il corso di studi. Mi hanno preso a Warwick, dove ho studiato per tre anni, dal 2006 al 2009. Le tasse universitarie erano di circa 3mila sterline l'anno, a cui bisognava aggiungerne almeno 800 euro al mese per vivere. In questo periodo ho potuto contare molto sul sostegno dei miei: non ho fatto lavori particolari per mantenermi, se non una breve esperienza estiva di un mese, tra il primo e il secondo anno di università, come insegnante di inglese in Polonia, per bambini tra gli 8 e i 12 anni, in un villaggio dal nome poco pronunciabile: Przytok. L'annuncio l'ho trovato nel dormitorio dell'università. Mi sono detto: perché no? Ho mandato il mio cv e mi hanno preso, anche se ero l'unico non madrelingua a insegnare inglese! Verso la fine del triennio, ho iniziato a guardarmi intorno per entrare nel mondo del lavoro. Vedevo però che molte posizioni richiedevano un master, così mi sono iscritto, sempre a Warwick, a un master in filosofia continentale (quella che da noi sarebbe "filosofia del Novecento"). Anche qui, l'appoggio della mia famiglia è stato fondamentale per mantenermi. I costi si aggiravano intorno alle 4mila sterline. Nello stesso periodo sono stato molto attivo in diverse attività studentesche: sono stato responsabile della comunicazione sia per la società studentesca di Amnesty international che per la società studentesca di filosofia, oltre che presidente studentesco del club di Tai Chi. Questa parte della mia carriera universitaria è stata molto importante per il mio futuro: non erano esperienze pagate, ma era comunque richiesto un certo impegno. E' lì che ho imparato i rudimenti della mia professione ed è in quel periodo che è nata la mia passione per la politica europea. Così, terminati gli studi, ho deciso di venire a Bruxelles. Mi sembrava il posto giusto dove stare e maturare. Mentre cercavo lavoro, ho iniziato a studiare francese e dopo quattro mesi ho trovato un posto da stagista come assistente al segretario generale di Lymec, l'associazione giovanile di ALDE, il gruppo politico dei liberali europei. Era uno stage con un contratto belga di "immersione professionale", pagato 700 euro al mese, da marzo a luglio 2011. Un buon rimborso. Di certo non abbastanza per essere indipendenti, ma potevo contare ancora su un leggero aiuto dalla mia famiglia. Per Lymec mi occupavo di comunicazione, organizzazione di eventi, editing di testi, social media, ma avevo già deciso, una volta conclusa l'esperienza, di fare un altro master, questa volta in studi europei: sentivo che la mia conoscenza della materia non era ancora abbastanza approfondita. Di nuovo, altro giro di candidature. Questa volta mi hanno preso alla London School of Economics, al master in "European Studies: Ideas and Identities". Un anno di corso, da settembre 2011 a ottobre 2012, su cui ho investito molto, anche a livello economico (le tasse universitarie erano di quasi 16mila sterline). In parallelo mi sono impegnato come responsabile della comunicazione per la Società europea degli studenti della LSE. E' stata un'altra esperienza fondamentale per il mio futuro, perché mi ha consentito di entrare in contatto con una rete molto estesa di esperti di materie europee, nonché di organizzare eventi con ospiti di rilievo: membri del Parlamento europeo (come Niccolò Rinaldi) o economisti riconosciuti a livello inglese o internazionale, come Yannick Naud. A Londra, poi, ho deciso di unire finalmente la mia passione per la comunicazione a quella per la politica: mi sono iscritto al partito Italia dei Valori e, come attivista, sono diventato responsabile per la comunicazione per il Regno Unito e, in seguito, assistente del direttore della comunicazione per gli italiani all'estero. Ho contribuito, ad esempio, alla costruzione del sito internet per le elezioni nazionali del 2013 e ho imparato moltissimo sulle tecniche di comunicazione pubblica e politica. Verso la fine del master, ho mandato la mia candidatura per lo stage alla Commissione europea. Dopo la prima fase di scrematura, sono entrato nel famoso bluebook, ovvero nella lista dei candidati che possono essere chiamati dalle varie Direzioni generali. A volte le unità cercano profili specifici, attraverso una ricerca per parole chiave. Ma chi è nel bluebook sa che è anche il momento di contattare gli uffici a cui sono interessati per mettersi in luce. Qualcuno usa la parola lobby. Secondo me non è corretto. Si tratta semplicemente di cercare di farsi conoscere, come si farebbe in qualsiasi momento uno cerchi lavoro. A me interessava la Direzione Generale per la Comunicazione: ho cercato quali fossero i direttori a cui mandare una mia presentazione mirata. Su quattro richieste, mi hanno contattato per due colloqui. E alla fine mi hanno offerto un tirocinio al Servizio del Portavoce, nell'unità "Cittadini e Budget", con il classico rimborso da mille euro al mese. Il Servizio di Portavoce è quello che ha il compito di interfacciarsi con i media, esprimendo la voce ufficiale della Commissione. Ho imparato come quello che succede alla Commissione viene raccontato alla stampa e penso ancora che quella sia stata una delle esperienze più formative per la mia carriera anche per la fortuna di lavorare con un grandissimo professionista nel campo delle relazioni pubbliche. Come stagista, aiutavo il portavoce per il budget, Patrizio Fiorilli, a preparare le risposte per i giornalisti e nella ricerca di dati di background, in quello che considero il momento più delicato e importante di tutto il dibattito politico europeo: era in fase di approvazione il Multiannual Financial Framework, ovvero il quadro delle politiche di spesa per il settennato 2014-2020. Al termine dello stage, volevo comunque restare a Bruxelles. Ho mandato quasi 60 curriculum e un mese dopo, nell'aprile 2013, ho ricevuto un'offerta di contratto a tempo determinato come project e communication officer per il Cefic, l'associazione delle industrie chimiche europee (European Chemical Industry Council), occupandomi di relazioni con i media, promozione di eventi, campagne di comunicazione online o offline. Di sicuro lo stage in Commissione ha avuto il suo peso nel curriculum. È un'esperienza che dà lustro anche se, nella comunicazione, credo sia ugualmente importante sviluppare competenze  tecniche con esperienza sul campo. Il mio contratto si è concluso un anno dopo, nell'aprile 2014, in un momento in cui il mercato del lavoro a Bruxelles non era molto aperto. Così mi sono creato da solo la mia opportunità: l'interesse che ho riscontrato per potenziali attività di comunicazione mi hanno spinto a diventare un consulente indipendente, un libero professionista. Nell'ottobre scorso ho aperto una partita iva belga. L'ho scelta non tanto per la tassazione, che non è poi così diversa da quella italiana (l'iva nel settore dei servizi è al 24% e tra contributi e tasse se ne va circa un terzo delle entrate lorde), quanto per la burocrazia: è molto forte anche qui in Belgio, ma almeno cerca di aiutare il lavoratore e non di ostacolarlo. Ai miei clienti, al momento principalmente formati da associazioni internazionali, offro pacchetti su misura con un impegno tra le 40 e le 50 ore mensili. La mia attività è ancora in fase di avviamento: sono partito a ottobre con un solo cliente e con un fatturato limitato. Ma l'attività sta crescendo e conto, entro giugno, di arrivare a un guadagno netto di almeno circa duemila euro al mese. Non escludo di tornare in Italia prima o poi. Non credo che sia una causa persa a livello di possibilità di cambiamento, anche per i giovani. Conosco ragazzi della mia età che hanno trovato buoni posti di lavoro. Non dico che non tornerei in Italia perché non offre opportunità. Solo che ne offre meno di altri. Anche qui a Bruxelles non è facile, ma al momento amo troppo questa città. Per me questa città è il punto di incontro tra il nord e il sud. Credo che prenda il meglio da tutte le culture europee: un'organizzazione abbastanza efficiente del welfare, ma anche un clima culturale vivo e un atteggiamento verso la vita piuttosto rilassato, oltre alla capacità di accoglienza verso tutti. Troverei il modo di restarci in ogni caso, anche se non ci fossero le istituzioni europee. testo raccolto da Maura Bertanzon

A cinquant'anni stagista in Tribunale: «Obbligata ad accettare per non perdere il sussidio, ma adesso?»

C’è un filo rosso che accomuna i quasi 3mila tirocinanti che dal 2010 a fine 2014 sono stati impiegati all’interno degli uffici giudiziari di tutta Italia. I progetti – prima regionali con fondi europei, poi con finanziamenti del ministero della giustizia – rientravano nelle politiche attive per i lavoratori percettori di ammortizzatori sociali e hanno permesso di fatto, negli ultimi anni, la copertura di molti vuoti di organico nei tribunali relativi a figure come commessi, archivisti, addetti. Tra loro c’è anche Patrizia Carere, 55 anni, che è stata tirocinante presso il tribunale di Cosenza e oggi, come gli altri, si trova con le ultime 160 ore di perfezionamento di tirocinio ancora da svolgere e ben poche possibilità che dopo quattro anni questo percorso continui. «Pensa che alla mia età potrò mai trovare lavoro nel settore privato da cui sono uscita?» chiede mentre racconta la sua storia. «Questi tirocini ci hanno dato la possibilità di rientrare nel mondo del lavoro da cui eravamo stati espulsi e di darci la dignità di alzarci la mattina, svolgere il nostro lavoro e sapere che potevamo ancora contribuire alla società». I tirocini in questione sono partiti nel 2010, prima in Lazio, poi nella maggior parte delle regioni d’Italia. «Erano tutti finanziati con fondi europei mirati al reinserimento di lavoratori cassintegrati, in mobilità o in disoccupazione. Poi nella legge di stabilità 2013 il ministero della Giustizia ha deciso di utilizzare queste risorse ormai formate per cercare di rimediare alle gravi carenze di organico. Così la pubblica amministrazione ha fatto un prosieguo di questi tirocini, tant’è che la prima proroga con la titolarità del ministero ha avuto la denominazione di “completamento del tirocinio”». E in questa stessa legge di stabilità sono state trovate anche le risorse: 7,5 milioni di euro in quella per il 2013 addirittura raddoppiati in quella per il 2014. Non tutti i soldi di questa seconda tranche sono però risultati disponibili. «Con i primi 7,5 milioni abbiamo completato 230 ore di tirocinio concluse entro il 30 settembre 2014. Nel frattempo il ministro Orlando a maggio ha firmato un decreto per stanziare gli ulteriori 7,5 milioni a completamento dei 15 previsti nella legge di stabilità. Soldi che andavano spesi  entro l’anno. Pensavamo che, terminato il primo blocco, di lì a pochi giorni saremmo rientrati per il secondo. Invece le risorse sembravano sparite e dopo varie manifestazioni per sollecitare il recupero delle somme stanziate, di cui una anche a Montecitorio, hanno recuperato un milione e mezzo di euro dal fondo per l’emergenza. Così abbiamo svolto altre 70 ore. È stato un contentino, che ancora deve esserci pagato» dice amaramente l’ex tirocinante. Ciò che fa riflettere è anche il nome di volta in volta dato al tirocinio: «Siamo partiti con un formativo, abbiamo proseguito con il completamento per poi passare al perfezionamento» riassume Patrizia Carere. Una modalità non troppo velata che mostra come sia stato necessario dare di volta in volta una nuova definizione a questa forma atipica, perchè non fosse troppo evidente lo sforamento dei limiti di durata fissati dalla legge. Oggi i tirocinanti sono fermi, ma solo perché 6 milioni previsti nella legge di stabilità necessari per concludere il percorso non sono ancora stati stanziati. «Sono dovuti intervenire con il decreto mille proroghe per far slittare la scadenza dal 31 dicembre al 28 febbraio. Oggi, però, ancora tutto tace e siamo a casa, in attesa. La cosa però più strana è che dal decreto mille proroghe sembra ci regalino qualcosa, ma in realtà ci restituiscono quello che ci spetta, che era stato stabilito e stanziato. Abbiamo svolto in questi anni un lavoro vero e proprio, camuffato con il nome di tirocinio. Abbiamo acquisito delle competenze e professionalità che non sono spendibili se non all’interno degli uffici giudiziari. È una formazione specifica, che non potremo mettere nel curriculum per cercare lavoro da qualche altra parte, per cui sono stati utilizzati anche fondi europei, e si rischia di perdere tutto» osserva la ex tirocinante.Non sarebbe la prima volta che fondi comunitari vengono utilizzati in modo improprio: per questo Patrizia, in qualità di coordinatrice del Progetto Europa per l’Unione precari giustizia – comitato spontaneo che raggruppa tirocinanti di tutta Italia – sta studiando da tempo tutti i bandi degli enti locali per controllare le finalità e l’uso corretto dei fondi europei per le politiche attive. Questione che è anche al centro di una interrogazione presentata da Laura Ferrara del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo il 10 dicembre. In questo documento si chiede all’Europa se è a conoscenza dell’uso improprio in Calabria dei fondi stanziati per l’obiettivo Convergenza – che dovrebbero essere destinati a migliorare le condizioni per la crescita e l’occupazione e creare posti di lavoro finanziando interventi di politica attiva – che in questo caso non hanno mai prodotto un’offerta reale di occupazione.Ma che un tirocinio in un Tribunale difficilmente potesse trasformarsi in una vera opportunità occupazionale non era in un certo senso facile da prevedere? Tutta la platea di disoccupati coinvolti in questo progetto non avrebbe potuto rifiutare questa proposta, o quantomeno le proroghe? «La prima cosa da fare, quando sei iscritto negli elenchi dei lavoratori in mobilità per avere diritto agli ammortizzatori sociali, è dare la disponibilità e se il centro per l’impiego ti chiama, sei obbligato ad accettare per non essere cancellato dalle liste» ribatte la Carere. «Ho 55 anni e sono stata obbligata a partecipare, non sono andata a cercare questo programma. È stato un percorso obbligatorio che si è rivelato per gli uffici giudiziari utile e produttivo tanto che si è pensato di sfruttarlo al massimo».Che il lavoro di questi tirocinanti sia stato utile per i palazzi di giustizia è testimoniato anche dagli appoggi dati a loro favore da molti presidenti di procure e corti di appello, a cominciare dal primo presidente di Cassazione, Santacroce. Eppure, nonostante queste figure siano state preziose per lo smaltimento dell’arretrato – in situazioni in cui negli archivi non c’è più posto per un documento e le cartelle vengono abbandonate nei corridoi – la posizione del ministero su come si intenda procedere non è chiara. Il ministro della giustizia Orlando «all’inizio ha fatto molte promesse, poi si è reso conto della difficoltà di reperire le risorse economiche e ha cominciato a tenersi sul vago». Diversi partiti politici hanno presentato emendamenti alla legge di stabilità per il 2015, ma sono stati tutti respinti. «Resta il mille proroghe che ha al momento solo slittato la data di scadenza».Nel frattempo a dicembre i quasi 3mila tirocinanti sono stati richiamati per fare altre 70 ore: anche Patrizia Carere le ha fatte, e alla Repubblica degli Stagisti racconta di aver trovato nei tribunali la stessa situazione lasciata a luglio, con gravi rallentamenti di tutte le procedure dovuti alla mancanza di personale. Cosa che non stupisce, visto che negli uffici giudiziari c’è un vuoto di organico accertato di 9mila persone. «Certo, è giusto che nella pubblica amministrazione si acceda solo tramite concorso, noi non cerchiamo scappatoie, ma che almeno nel frattempo il governo ci riconosca i titoli per i quali siamo stati formati. Altrimenti come si pensa di mandare avanti la macchina della giustizia in questo modo?»La richiesta dell’Unione precari giustizia a questo punto è di ottenere non più proroghe dello stage bensì un contratto a tempo determinato di un anno, in attesa che venga indetto un concorso. «Siamo a reddito zero, nel 2014 abbiamo percepito 2.300 euro lordi, pari a 230 ore di servizio. Se un italiano su quattro è a rischio povertà, noi ci siamo già» osserva la ex tirocinante. Che come tanti nella sua stessa situazione si chiede anche come sia possibile che siano state attivate delle politiche finalizzate al reinserimento di lavoratori cassintegrati o in mobilità che poi, di fatto, non sono sfociate in un lavoro e che anzi, hanno incrementato il bacino dei tirocinanti, creando una nuova forma di sfruttamento. E al danno si aggiunge la beffa di ritrovarsi, tra una decina d'anni al momento di andare in pensione, con un grosso buco contributivo: «Ai fini pensionistici questi quattro anni non sono serviti a nulla». Perché lo stage non è un contratto di lavoro, e dunque non prevede il versamento di contributi. Forse avrebbero dovuto pensarci anni fa, i decisori delle politiche attive destinate ai disoccupati e cassintegrati, prima di intrappolare Patrizia Carere e altri 2800 come lei in "stage" lunghi quattro anni negli uffici giudiziari.

Dentro Vulcanus in Japan: gli stage a Nara di Andrea e Giuseppe

Sono in scadenza i termini per partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall'Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle aziende stesse, destinato a tutti gli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare il loro anno nel Paese del Sol Levante: ecco le storie di Andrea Tino e Giuseppe Lisi.    Andrea Tino (27 anni, Siracusa)Oggi c'è molto bisogno di  ingegneri informatici e programmatori, il linguaggio informatico è il futuro in ogni campo. Sin dal liceo scientifico lo sviluppo software mi ha appassionato, così come la ricerca, quindi Ingegneria Informatica è stata una scelta naturale. Essendomi stabilito a Siracusa con la mia famiglia, dopo aver vissuto in varie città, ho frequentato la facoltà di Catania.Al primo anno della specialistica, intenzionato a fare un tirocinio in una grande azienda all'estero, navigando di sito in sito ho trovato il Vulcanus: il giorno seguente già preparavo la documentazione. Con largo anticipo, visto che era l'estate 2010 e i termini scadevano a gennaio 2011, ma produrre la mole di carte richiede tempo e io ho presentato anche molta documentazione aggiuntiva. Il Centro di Bruxelles e la comunità degli ex Vulcanus sul web mi hanno aiutato tantissimo. Ricordo ancora fitte conversazioni via mail.A fine febbraio ho ricevuto l'esito della prima fase: ero in short-list, nei 116 prescelti a partire da mille candidature. Quindi ho prodotto le lettere di presentazione e motivazionali per le aziende presso cui volevo fare il tirocinio, NTT e IBM - il tirocinio viene assegnato dal centro, ma è possibile esprimere delle preferenze. Nel marzo 2011 però c'è stato il terremoto e l'allarme nucleare a Fukushima, e il centro ha chiesto ai candidati prescelti di confermare le loro intenzioni a proseguire le selezioni. Mi sono informato e ho confermato - dopo aver tranquillizzato i miei genitori, cosa non da poco. E a fine maggio ecco la bella notizia: ero tra i trenta partecipanti. Il luglio successivo c'è stata una duegiorni di briefing pre-partenza a Bruxelles, in cui il centro ha fornito tutte le informazioni di base e una bella iniezione di aspettative - più una mappa della metro di Tokyo che ci ha spaventati tutti per quanto intricata.  Il primo settembre eccoci a Tokyo: iniziava l'avventura.Io ho lavorato presso il Communication Science Laboratory della NTT per otto mesi, da gennaio ad agosto 2012. Insieme al mio supervisore Kazuo Aoyama ho operato su un algoritmo avanzato per la ricerca veloce su grandi masse di dati, formulando un modello matematico per la descrizione dell'algoritmo. Mi sono trovato benissimo: a lavoro l'ambiente era molto sereno e mi sono integrato bene con il ciclo di attività.  È stato molto gratificante e istruttivo vedere come lavorano i giapponesi. Tanto che ho voluto racchiudere tutti i pensieri di quei giorni in un "diario di bordo" e ribadirne alcuni nella presentazione finale durante la conferenza conclusiva a Tokyo.ll grant era di 12mila euro totali, di cui 8mila forniti dall'azienda, che ha anche pagato l'alloggio, prima a Tokyo durante il corso di lingua obbligatorio per tutti - che abbiamo svolto alla Naganuma School - e poi a Nara per lo stage. La lingua è il primo ostacolo per tutti, ma bisogna sforzarsi di superarlo perché è la chiave per integrarsi. Si pensa che i giapponesi siano freddi ma in realtà sono solo molto timidi nei confronti degli stranieri. Sono stereotipi di cui è bene liberarsi da subito. Certo è importante interagire. Ad esempio a Tokyo partecipavo a delle lezioni di Go al Nihon Ki-In, mentre a Nara, realtà più rurale, ho frequentato il club di pallavolo, gli streetdancer alla stazione e le lezioni di  Kyudo, l'arco Giapponese.  Le occasioni per farsi degli amici non sono mancate.Si pensa anche che il costo della vita sia molto alto, ma è vero a metà. Per chi vive a Tokyo e dintorni i prezzi sono più alti, ma è sempre possibile coniugare risparmio e qualità. Ci sono ad esempio i Konbini, convenience store sempre aperti; poi comprando una bici ho risparmiato molto sui costi dei treni - quelli sì alti - anche perché abitavo vicino al laboratorio. Ad ogni modo il grant è più che sufficiente e permette di vivere serenamente.Le occasioni per fare carriera ci sono. Se si fa un buon lavoro al tirocinio c'è la concreta possibilità di poter chiedere un prolungamento delle attività di ricerca per poi magari ottenere una posizione. Dopo un anno dal mio rientro dal Giappone, mentre finivo l'università, sono stato contattato dalla Microsoft per un'offerta come Ingegnere Software full time a Copenaghen, che ho accettato, e da più di un anno vivo e lavoro in Danimarca. Da quando ho inserito la mia esperienza Vulcanus nel curricilum ho ricevuto diverse offerte di lavoro e sicuramente i recruiter Microsoft mi hanno cercato anche in relazione a questa esperienza.Foto: sotto, il gruppo dei partecipanti a Vulcanus 2011-2012. Giuseppe Lisi (28 anni, provincia di Brescia)Ho conosciuto il Vulcanus tramite l'email che il Politecnico di Milano invia agli studenti ogni anno. Allora ero a Luleå, in Svezia, per il mio anno Erasmus, che aveva seguito la laurea triennale in Ingegneria informatica. Ho presentato domanda a gennaio 2010, al secondo anno di specialistica, senza riscontrare particolari difficoltà: al Politecnico ho ricevuto aiuto dall'ufficio mobilità, e anche l'Eu-Japan Center di Bruxelles è stato molto disponibile. Ho saputo di essere rientrato nella short list a febbraio; poi la notizia della vincita ad aprile, il briefing e l'incontro con tutti i partecipanti a Bruxelles a luglio e l'arrivo a Tokyo a settembre. Nonostante il caldo e l’umidità, il primo impatto è stato entusiasmante. Tokyo è una città immensa, ricca di stimoli, dove tradizione e modernità si fondono in modo affascinante. E allora, camminando tra i grattacieli e le strade affollate della città, ci si può imbattere in bellissimi giardini zen, templi buddisti e santuari Shinto.A Tokyo per i primi quattro mesi abbiamo seguito un corso intensivo di giapponese, una lingua tra le più suggestive e complesse al mondo. Poi da gennaio 2011 ci siamo trasferiti ognuno nella città della propria azienda; io a Nara, l'antica capitale, luogo di grande bellezza e spiritualità. Sono stato ospitato da NTT Communications Science Lab, dove per otto mesi mi sono occupato di ricerca sui nuovi modelli matematici per l'interazione tra uomo e computer. In particolare ho creato un algoritmo in grado di riconoscere le emozioni dal viso delle persone. Da subito ho dimostrato dedizione e passione, il che ha creato un bel rapporto di fiducia con il mio capo, che mi ha sempre appoggiato e supportato. L'adattamento alla nuova vita e al nuovo lavoro sono stati sereni e piacevoli anche se, a causa delle mie difficoltà linguistiche e della timidezza tipica dei giapponesi, nei primi mesi trascorsi a Nara è stato difficile costruire delle vere amicizie. In compenso il fatto di essere Italiano mi ha aiutato molto, vista la grande passione dei giapponesi per cibo e cultura italiani.Il Vulcanus è una bellissima esperienza, che consiglio a tutti. Mi ha aiutato molto a crescere. La disciplina e la dedizione dei lavoratori giapponesi è esemplare, e mi ha influenzato tanto. Le persone inizialmente sono timide e timorose, ma in fondo molto generose. Ricordo ad esempio quando con un folto gruppo di ragazzi europei andammo a registrarci all'anagrafe in un piccolo paesino vicino a Tokyo.Totalmente incapaci di leggere e scrivere, chiedemmo aiuto a dei vecchietti lì presenti, che all'inizio ci guardarono come se fossimo alieni, ma dopo qualche minuto di studio reciproco ci aiutarono in tutti i modi, fino a che ognuno di noi completò le procedure burocratiche.Per quanto riguarda le possibilità di carriera, il Vulcanus è un grande trampolino di lancio, sia in Oriente che in Occidente. Per quel che mi riguarda, finita l'esperienza in NTT sono tornato in Europa, a Monaco, per uno stage pagato di sei mesi a Curefab Gmbh. Poi di nuovo in Giappone per un dottorato di ricerca in Brain Robot Interface all’ATR di Kyoto - un periodo di grandi soddisfazioni ma anche molto impegnativo - e finito il dottorato ho ottenuto un contratto da ricercatore nella stessa azienda, che per altro è proprio di fronte a quella dove ho svolto il mio Vulcanus.Oggi la curiosità che mi ha spinto a partire è quasi completamente soddisfatta, ma il lavoro e l'amore mi trattengono qui. Grazie a Vulcanus infatti ho anche conosciuto mia moglie, che è giapponese e ha partecipato al Vulcanus in Europa - il corrispettivo europeo per gli studenti giapponesi. Oggi sono molto soddisfatto, ma non nascondo che la speranza è che un giorno le contingenze della vita mi permettano di riavvicinarmi a casa.Foto: sopra, Giuseppe sulla cima del monte Fuji e, sotto, al parco di Nara. Testimonianze raccolte da Annalisa Di Palo

Studiare in nord Africa con Erasmus Mundus: così ci sono riuscite Sofia e Chiara

Il prossimo venerdì 16 gennaio si chiude la call for application per partecipare al progetto BATTUTA- Erasmus Mundus, destinate a studenti universitari europei di ogni livello e al personale accademico. Unico tra gli atenei italiani, l'Orientale di Napoli è partner del consorzio proponente e due sue studentesse, Sofia Abad e Chiara Cascino, dal Marocco hanno raccontato alla Repubblica degli Stagisti l'inizio di un anno accademico speciale.Sofia Abad  Ho 24 anni e da quattro sono studentessa di arabo e lingua berbera all'Orientale di Napoli. Nata e cresciuta in Italia da genitori marocchini, sin da piccola sognavo imparare alla perfezione la lingua araba: in casa si è sempre parlato solo il dialetto marocchino, oltre che l'italiano, e grazie ai miei genitori ho potuto iscrivermi all'università e entrare in contatto con tutte le informazioni e nozioni che potevo desiderare sulla realtà culturale e linguistica del mondo al quale appartengo. Ho conosciuto Battuta grazie alla mia docente di lingua berbera e, un po' per curiosità un po' per gioco, ho fatto domanda. Non ho avuto particolari difficoltà, e i referenti del progetto sono stati molto disponibili per qualsiasi chiarimento. Era febbraio 2014 e il successivo giugno ho saputo di essere stata selezionata presso l'université Sidi Mohamed Ben Abdellah di Fes, indirizzo di studi amazigh, per una permanenza di dieci mesi. Sono partita lo scorso 15 settembre, quindi sono a meno della metà del mio percorso. Per il momento però posso dire con sicurezza che questa esperienza mi sta letteralmente cambiando la vita. Conoscevo il Marocco solamente come luogo di vacanze estive dove condividere momenti indimenticabili con i nonni, gli zii e i cugini. A casa in Italia si parla marocchino e italiano, si cucina il cous-cous e il tajine, la lasagna e gli gnocchi... Ho sempre vissuto questa duplice vita. Ma solo adesso sto captando l'essenza dell'essere marocchina, solo adesso ho modo di calarmi a pieno nella parte. E sono felicissima di questo. Le persone di seconda generazione godono di una ricchezza inestimabile, se si ha la volontà di custodirla, e sapere che riesco ad adattarmi con grande semplicità sia in Italia che in Marocco mi regala soddisfazioni. Studiare qui a Fes mi dà la possibilità di mettere in atto tutto ciò che i miei genitori mi hanno insegnato. Oltre a frequentare i corsi per sostenere gli esami, questa esperienza mi sta anche dando la possibilità di scrivere una tesi unica: sto intervistando molte persone e raccogliendo informazioni di prima mano sul territorio, con registrazioni di racconti in lingua berbera e dialetto locale. In più con la borsa di studio posso permettermi anche di aderire a convegni e incontri coerenti con il mio progetto di ricerca, e visitare il Marocco. Come disse Eleanor Roosevelt, «il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni» e credo sia vero. Spero di poter realizzare ciò che ho sempre sognato di fare. Di sicuro, questo è stato un passo verso la direzione giusta.Chiara CascinoMi presento: sono nata a Palermo 26 anni fa, da brava siciliana continuo ad avere una forte preferenza per le vocali aperte e per la gastronomia anche se ormai non vivo più nella mia città da anni. Faccio parte di una generazione che è cresciuta a suon d'inglese e progetti europei, da alcuni definita anche generazione Erasmus - e in effetti la mia storia personale ne è la prova. Ho frequentato il liceo classico perché già da allora l'idea di studiare nuovi alfabeti e lingue, seppur morte, mi entusiasmava. Quindi nel 2007 eccomi tra i banchi del corso in Lingue e Culture moderne dell'università di Palermo a dividermi tra spagnolo, arabo e inglese. Il problema più grande di questi anni è stata la mancanza di pratica: lo studio delle lingue richiede esercizio continuo, che avevo l'impressione mi mancasse. Per questo a settembre del 2010 sono partita alla volta di Granada con una borsa Erasmus - che arrivava a malapena a coprire di costi di affitto - ma poi ha vinto la mia passione per la lingua araba e nel 2012, dopo la laurea triennale, ho cambiato ateneo e mi sono iscritta ad un corso magistrale dell'ex facoltà di Studi arabo-islamici dell'Orientale di Napoli, che sto per concludere. Giusto un anno fa, per caso, ho trovato un volantino sul progetto Erasmus Mundus dal nome Battuta. È stato amore a prima vista. Il processo di selezione è durato vari mesi: a febbraio 2014 ho completato la candidatura online per l'université Sidi Mohammed Ben Abdellah di Fes, in Marocco, e i primi di giugno è arrivata la conferma ufficiale. Durante quei mesi d’attesa avevo anche  chiesto una borsa di studio all’ambasciata della Giordania tramite il Ministero degli Esteri, poiché i posti disponibili per l’Erasmus Mundus erano pochi e temevo di non essere scelta, ma è fortunatamente è andata bene.La preparazione ai miei dieci mesi a Fes è stata complicata, a causa della burocrazia italiana e marocchina, complici l'estate di mezzo e il fatto che era il primo anno di rodaggio del progetto. È l'unico aspetto da migliorare del progetto secondo me. L'amministrazione dell'Orientale però mi ha aiutato molto nel reperimento dei documenti e nella stesura di un piano di studi condiviso tra Napoli e Fes. Le difficoltà incontrate all'arrivo in Marocco, a settembre, hanno riguardato gli aspetti pratici: trovare un alloggio, prendere contatti con l’università e ambientarsi in un luogo diverso con una forte tradizione musulmana. A questo propostito è stato utile ricevere, dopo appena una settimana, le prime due mensilità della borsa - 2mila euro - che hanno coperto i costi iniziali. I corsi che ho scelto fanno parte di un master in Cultural Studies, afferente al dipartimento di Anglistica ed insegnato interamente in inglese. Sono lezioni interessantissime, soprattutto perché ho la possibilità di analizzare da vicino la loro prospettiva, spesso diversa dalla mia. È un'occasione unica, che sicuramente farà di me una persona più completa dal punto di vista umano e professionale. Ho fatto grandi progressi linguistici, rendendo finalmente utili tanti anni di regole grammaticali imparate in Italia. Poi dopo gli ultimi esami, dal prossimo marzo potrò concentrarmi sulle ricerche per la tesi, che sarà incentrata sull'Islam politico. Non avendo ben chiaro il mio futuro professionale, né il luogo in cui si svolgerà, al momento sto cercando di collezionare quante più esperienze possibili in modo da avere delle carte da giocare. Tra queste, dieci mesi nella città di Fes, con i suoi mille colori e odori, occupa di certo un posto in prima fila. Testimonianze raccolte da Annalisa Di Palo