«Col servizio volontario europeo ho imparato il tedesco: e così a 25 anni, a un mese dalla laurea, ho già un lavoro»

Daniele Ferro

Daniele Ferro

Scritto il 05 Feb 2015 in Storie

Da oggi la Repubblica degli Stagisti inaugura una nuova rubrica, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo (Sve), una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Sonia Giannini.

Ho 25 anni e abito con il mio fidanzato a Casalgrande, il piccolo paese in provincia di Reggio Emilia dove sono nata e cresciuta.
A un mese dalla laurea triennale in Lingue e culture europee a Modena, lavoro in una grande di ceramiche a Sassuolo come responsabile commerciale per l’Austria e la Germania. Sono stata assunta da pochi giorni. Mi hanno selezionato perché conosco molto bene il tedesco, che ho perfezionato durante i dieci mesi trascorsi in Austria per il Servizio volontario europeo. In fase di colloquio ho parlato molto della mia esperienza in Austria, erano estremamente impressionati e curiosi di sapere cosa fosse lo Sve. Ora ho un contratto di sei mesi per sostituzione di maternità e sono fiduciosa per il futuro, perché in azienda ci sono buone prospettive di inserimento. Sono molto contenta perché è il lavoro che volevo fare.

Il mio percorso è iniziato con il liceo socio-psico-pedagogico. Poi ho frequentato il corso di Lingue e CultureEuropee all’università di Modena. Per mantenermi gli studi ho dato lezioni private, ho fatto la baby sitter e ho lavorato nell’ufficio spedizioni di un’azienda nella mia città. Sono partita per l’Austria a ottobre 2013 e ho trascorso dieci mesi ad Amstetten, una cittadina di ventimila abitanti, facendo volontariato nel centro giovanile “A-Toll”, gestito dal Comune.

Avevo scoperto lo Sve grazie a un compagno di università e ad un incontro informativo dell’associazione Going to Europe di Modena, che sarebbe poi diventata la mia organizzazione di invio. In quell’occasione capii subito che lo Sve era ciò che stavo cercando: avevo bisogno di nuovi stimoli, senza perdere di vista l’università e soprattutto senza gravare sulle finanze dei miei genitori (in Austria, oltre all’alloggio, mi hanno dato 300 euro per il vitto e 110 euro di pocket money). Utilizzando il database dei progetti Sve inviai molte domande, in particolare per progetti in Austria e Germania, perché volevo migliorare il tedesco. Dopo qualche mese sono partita per Amstetten. Sono tornata lo scorso luglio, e a dicembre mi sono laureata.

Ad Amstetten ero l’unica volontaria in Servizio volontario europeo e i primi due mesi sono stati un po’ duri, in particolare per la lingua. Nonostante avessi basi di tedesco, in città spesso le persone mi rispondevano in modo scocciato per dirmi che non capivano. E siccome anche l’inglese non era ben accettato, ho avuto lo stimolo per studiare continuamente il tedesco e imparare i modi di dire e la pronuncia austriache, fino a quando sono riuscita ad acquisire una perfetta parlantina: a volte mi hanno scambiato per un’austriaca!
Anche nel centro giovanile all’inizio non è stato facile. Era frequentato da ragazzi dai 12 ai 21 anni, per lo più stranieri, in particolare curdi, turchi, rumeni e kossovari. I miei compiti erano passare del tempo giocando con loro, organizzando eventi come “Skate contest”, escursioni, serate in discoteca, o semplicemente parlando, dando consigli sulla stesura del  curriculum, la ricerca del lavoro o l’educazione sessuale. Spesso l’ambiente che si veniva a creare non era dei più positivi ed armoniosi per le tensioni di natura culturale tra gli utenti del centro, causate spesso da guerre in cui i parenti avevano preso parte. Non è stato facile inserirmi in questo contesto, e forse proprio per le difficoltà iniziali l’esperienza si è poi rivelata fantastica.

Qualche volta mi sono trovata da sola a dirimere litigi e scazzottate, ed alcuni ragazzi avevano inoltre un modo di scherzare molto aggressivo. Siccome all’inizio non padroneggiavo il tedesco (sempre che i ragazzi non parlassero nella loro lingua di origine!), capivo troppo tardi che la situazione stava degenerando. Poi però ho compreso come fermare le piccole risse e avviare un confronto tra i ragazzi per far sì che non si verificassero più litigi. Per me è stata un’enorme dimostrazione di quello che sono in grado di fare da sola, senza l’aiuto di altri e soprattutto usando un’altra lingua. Questo è in fondo lo Sve: scoprire capacità nascoste nei momenti e soprattutto nei modi più inaspettati.

Con il passare delle settimane, i ragazzi del centro mi h
anno vista come una figura di cui fidarsi. In particolare lo dimostrano i rapporti che ho instaurato con due ragazzi. Il primo si chiamava Erhan, era di origini curde e affetto da una distrofia muscolare che lo costringeva su una sedie a rotelle motorizzata. Ma era un ragazzo del tutto indipendente, oltre che gentile e molto acculturato. Un giorno mi raccontò della sua malattia e di come lo avesse in poco tempo costretto a rinunciare a tante passioni. Quello che mi colpì fu l’estrema serenità nelle sue parole: mi  disse che aveva accettato la sua malattia, che riusciva a  vivere felice e non abbattersi mai. In effetti lo vedevo sempre allegro. Erhan mi ha fatto capire che tante volte nella nostra vita quotidiana perdiamo tempo a crearci problemi e a dirci insoddisfatti di ciò che abbiamo: grazie a Erhan ho riscoperto il piacere di godermi ogni istante della vita.

Anche Firat era di origini curde. A differenza di Erhan, non aveva finito le scuole ed era estremamente irascibile e schivo. Da subito le colleghe me lo presentarono come un ragazzo difficile ed aggressivo, ma io mi posi l’obiettivo di scambiare qualche parola con lui. Dopo due mesi di tentativi, arrivò il giorno in cui mi si avvicinò spontaneamente. Da quel giorno iniziammo a parlare, e Firat mi raccontò la sua vita. Aveva avuto un’infanzia difficile. La sua famiglia era stata vittima della persecuzione turca verso i curdi: due suoi zii erano stati uccisi. Così i suoi genitori decisero di scappare in Austria, e lui si trovò catapultato in un paese che non amava. Firat mi chiese consigli per cercare lavoro, imparare il tedesco e anche su come comportarsi con una ragazza. Quando mi disse “grazie per avermi ascoltato”, capii quanto sia più facile, ma nello stesso tempo così dannoso, fermarsi alle apparenze. Non era giusto etichettare Firat come “un ragazzo difficile ed aggressivo”.

Lo Sve mi ha regalato molto di più di ciò che io ho dato. Mi ha arricchito attraverso lo scambio di idee, di pensieri, di culture, e mi ha cambiato nel profondo. Oltre a fattori pratici come il miglioramento del tedesco, ho imparato a credere in me stessa e dare fiducia alle mie idee. Ho scoperto qualità nascoste, come la capacità di interagire facilmente con persone estranee o lavorare molto bene in un team. Ho imparato quanto i pregiudizi facciano male alla società: lo Sve mi ha insegnato a vedere oltre, grazie alle diversità che sono una fonte di arricchimento e non un ostacolo da combattere o confinare dietro un muro. Credo che lo Sve, in una società apatica come la nostra, renda i volontari più sensibili, permettendo loro di scoprire non solo il proprio potenziale, ma anche i valori e la bellezza delle piccole cose.

testo raccolto da Daniele Ferro 

@danieleferro 

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