Categoria: Storie

«Il servizio volontario europeo mi servirà per realizzare il mio sogno: lavorare nei musei»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Di seguito la storia di Giulia Ampollini.Ho 23 anni e sono di Malnate, in provincia di Varese. Frequento il corso di laurea specialistica in Storia dell’arte all’università di Genova, e oggi sono a Stoccolma per il progetto Erasmus. Sono venuta qui per un progetto di tesi di ricerca su  Oyvind Fahlstrom, artista svedese poliedrico: siccome in Italia non esistono molti testi su di lui, ho colto l'occasione dell'Erasmus per una tesi innovativa. Darò qui gli ultimi esami e a luglio dovrei tornare a Genova.Sin da piccola ho avuto una particolare sensibilità artistica, e per questo nel 2013 ho fatto il Servizio volontario europeo con un’organizzazione spagnola che si occupa di eventi culturali. Lo Sve è sempre stato parte della mia vita perché mio padre lavora in un’associazione che opera come organizzazione sia di accoglienza sia d’invio dei volontari. Anche l’arte è sempre stata parte di me: mentre studiavo al liceo artistico suonavo il clarinetto e il fagotto. Intanto avevo qualche lavoretto come guida turistica in provincia di Varese e nel fine settimana facevo la cameriera. Dopo la laurea triennale ho iniziato ad inviare candidature per lo Sve. Era agosto del 2012 e il mio sogno era andare in Scandinavia. Ma non c’erano posti disponibili, poi è saltato anche un progetto in Islanda per cui ero stata selezionata, e così, con il Centro servizi per il volontariato di Varese come organizzazione di invio, il 7 marzo del 2013 sono partita per la Catalogna, nei Pirenei, nella cittadina di La Seu d’Urgell. Con me, all’associazione Oficina Jove Alt Urgell, c’erano altri due volontari Sve: Magda e Simon, una polacca e un lussemburghese.Il progetto è durato sei mesi e devo dire che all’inizio non è stato facile adattarsi. Le principali difficoltà sono state con la lingua, perché in Catalogna le persone non sono contente di parlare spagnolo, mentre ancora più difficile è trovare qualcuno che conosca l’inglese. Da contratto avevamo lezione di spagnolo e catalano, ma per il catalano il "corso" è consistito semplicemente nel consigliarci un sito Internet, mentre per lo spagnolo avevamo un’insegnante che non solo era spesso assente, ma non era neanche brava! La nostra tutor diceva sempre che anche questo è parte dello Sve e ci sono molti altri modi per imparare le lingue: io mi sono arrangiata guardando film e leggendo libri. Una forte delusione è stata il fatto che i ragazzi con cui uscivamo all’inizio dopo qualche tempo non si sono fatti più sentire, perché noi non parlavamo catalano. Eppure alcuni di loro erano ex Sve... avrebbero dovuto avere più comprensione.Il progetto dell’associazione era vago nel programma, non era ben chiaro che cosa dovessimo fare. La mia organizzazione di accoglienza è stata molto assente: la tutor lavorava nella nostra stessa stanza ma non si interessava mai di noi. Ci dava l’approvazione per eventi che volevamo organizzare con altri volontari, come cineforum o mostre fotografiche, ma all’ultimo per una banalità poteva saltare tutto. Ho passato molte ore improduttive davanti al computer.Fatti i conti, però, lo Sve è stata un’esperienza positiva perché comunque ho imparato a gestire eventi pubblici, scadenze, imprevisti: lavoravamo con vari enti culturali per organizzare eventi, come ad esempio un film festival dei Pirenei, i campionati mondiali di canotaggio, il festival di musica tradizionale la Trobada d'Acordionistes del Pirineu, il mercato medievale del paese e il festival delle Trementinaires, cioè donne che raccoglievano e utilizzavano erbe come medicine.Inoltre il Comune, con il quale la mia hosting organization aveva una collaborazione, aveva chiesto a ognuno dei volontari di preparare una mostra utilizzando le fotografie d’archivio, e io ho deciso di allestirne una sul romanico sfruttando le foto della cattedrale, che è la più antica di tutta la Catalogna. Inoltre il nostro contratto Sve prevedeva, oltre a quella con il Comune, una collaborazione con il Picurt, un film festival della montagna che si svolgeva in paese, nel cinema di una signora che era anche la proprietaria della casa in cui alloggiavamo: gestivamo gli ingressi e traducevamo i film del festival.Insomma considero il mio Sve una bella esperienza: ho imparato a vivere da sola all’estero, a cavarmela in situazioni difficili, a comunicare rapidamente in lingue diverse. Ho conosciuto tantissime persone e avuto l’opportunità di scoprire aspetti di altre culture. In Italia ciò non sarebbe stato possibile. Ai ragazzi che vanno in Sve do un consiglio: non scoraggiatevi se il progetto va male o avete problemi con gli altri volontari. Avrete comunque qualcosa da imparare, e poi potrete viaggiare. Da volontari avrete un occhio diverso da quello del semplice turista, e ciò vi consentirà di vedere luoghi e conoscere persone che vi ricorderete per sempre. A me lo Sve è servito per capire quali sono le mie capacità e i miei limiti: mi ha dato una bella spinta nello spirito di iniziativa, e credo che questo mi sarà di aiuto per cercare lavoro nel mio campo di studio. Mi piacerebbe lavorare in ambito museale come curatrice di mostre.Come dicevo prima, un aspetto molto positivo dello Sve è la possibilità di viaggiare e conoscere molte persone. Al riguardo ho un ricordo particolare. Era luglio ed ero andata a Malaga, nell’estremo sud della Spagna, per il corso di formazione intermedio dei volontari Sve. Al ritorno mi sono ritrovata con altri volontari a Barcellona. Non volevamo salutarci in stazione, e così una di noi, che abitava vicino a La Rambla, si è offerta di ospitarci tutti: a casa sua ci siamo trovati in otto ragazzi di nazionalità diverse. È stata una serata semplice con qualche birra e quattro risate, però è stata significativa perché sapevamo che difficilmente ci saremmo rivisti.Se si fa attenzione, durante lo Sve anche viaggiando si riesce a vivere con il rimborso che si riceve. A me davano 100 euro al mese per coprire le spese di vitto e 105 euro di pocket money, mentre l’alloggio era pagato direttamente dall’associazione. Io non ho chiesto soldi alla mia famiglia. Certo poi dipende da dove si va: io ero in mezzo ai Pirenei e non avevo molte spese da affrontare, come invece accade in una grande città.Finito lo Sve avrei voluto rimanere in Spagna a studiare, ma non ho trovato un corso particolarmente interessante e allora mi sono trasferita a Genova. Oggi sono a Stoccolma e proseguo il viaggio per realizzare il mio sogno professionale. Lo Sve credo mi sarà di aiuto, perché grazie a quell’esperienza ho migliorato nettamente il mio inglese e ho imparato lo spagnolo e il catalano: sapere più lingue può essere sempre un valore aggiunto. E pazienza se lo Youthpass non è riconosciuto all’università, cosa che mi pare assurda: io sono comunque consapevole che lo Sve è stato molto utile per la mia formazione.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

«Il mio stage in Infocert? Un canestro perfetto»: la storia di Florentina

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Florentina Ponzi, Sales Manager in apprendistato per Infocert, a Roma.Se nella vita di ciascuno esistesse un momento preciso a cui attribuire un effettivo cambiamento, una variazione di rotta, per me sarebbe il 20 marzo intorno alle 15: la fine del mio percorso universitario. Ricordo ancora le emozioni ed il senso di libertà. Fin lì era stato come aver corso per anni, riuscendo a battere dei record, ma perdendo molto del rapporto con le persone… Poi, nel preciso momento della proclamazione, l'orologio ha rallentato, e ho iniziato ad avanzare con più serenità.Mi chiamo Florentina, ho 26 anni e sono cresciuta a Frosinone, dove nel 2007 mi sono diplomata al liceo scientifico. Un'estate e qualche falò dopo, eccomi a decidere non solo qualche materia approfondire, ma il mio intero futuro. Non avevo affatto le idee chiare su cosa volessi diventare, se non una giocatrice di basket, dopo 17 anni passati sul campo di gioco; ma, complice la mia statura, avevo chiuso a malincuore quel sogno nel cassetto. Questo non mi ha impedito di segnare comunque almeno altri due tiri vincenti sulla sirena. Il primo quando ho superato il test di Economia alla Luiss. Mi sono trasferita a Roma, nella casa di famiglia in cui da allora abito con mio fratello, e ho cominciato ad organizzare le mie giornate in autonomia, con lo studio ad occupare gran parte del mio tempo. Tre anni dopo ho conseguito la laurea di primo livello in Economia aziendale, indirizzo Management Internazionale; poi nel 2013 quella magistrale in Economia e direzione delle imprese con 110/110, e con all'attivo un Erasmus di sei mesi a San Sebastian, una delle città più belle dei Paesi baschi.Il secondo tiro a segno? Non si è nemmeno sentito il rumore gentile della rete che sbuffa al passaggio della palla: un centro perfetto, con una mail che diceva «la contatto per comunicarle che è stata scelta per lo stage in Sales Management...». Il mittente era la divisione HR di Infocert, società di servizi informatici presso cui mi ero candidata ad aprile 2014, giusto dieci giorni dopo il mio 25esimo compleanno. Ho iniziato i miei sei mesi in azienda ad inizio giugno, con un rimborso di 500 euro mensili e generosi ticket restaurant e, terminato lo stage, sono stata confermata nella direzione commerciale con un contratto di apprendistato triennale e uno stipendio di 1.200 euro netti, più buoni pasto da 9 euro.Oggi svolgo mansioni varie, molte delle quali apprese sin dai primi giorni dello stage, con un po' di difficoltà e insicurezza, ma in affiancamento continuo al mio responsabile. All'inizio è fondamentale uscire il prima possibile dalla propria comfort zone, buttarsi anche senza avere tutti gli strumenti, con la fiducia che il tempo che ci è concesso basterà a farsi trovare pronti. Da un anno e mezzo dunque in Infocert cerco di capire il processo decisionale dei clienti, le loro esigenze, e le rendo condivisibili tra gli attori aziendali coinvolti - linea prodotto, marketing, supporto tecnico - per trovare la soluzione migliore. Una volta trovata, redigo proposta economica e documentazione a corredo. Nel tempo le mie responsabilità sono aumentate, assumendo maggiore autonomia e cominciando a gestire clienti per il raggiungimento di obiettivi di fatturato. Sono stata inserita in una realtà estremamente operativa e oggi sono sicuramente maturata, ho imparato a gestire meglio l'ansia da performance, ad acquisire giorno dopo giorno maggiore sicurezza e a guardare con meno paura al futuro.L'azienda opera per digitalizzare i processi di documentazione cartacea - un motivo in più per cui non mi mai stato chiesto di fare una fotocopia in stage - ma ammetto che fatico a non stampare qualsiasi cosa possa essermi utile per imparare, approfondire, aggiornarmi, avendo un supporto teorico quanto più simile ad un libro. Non posso che giudicare positivamente la mia prima ed unica esperienza di stage. Se guardo indietro vedo seduta sui divanetti dell'ufficio una ragazza spaurita che aspetta di essere ricevuta a colloquio da colui che poi sarà non solo il suo responsabile, ma anche una guida preziosa, un esempio di dedizione e un punto di riferimento sempre pronto all'ascolto. Oggi la stessa ragazza passa davanti quei divanetti con un passo decisamente più sicuro. È possibile che segnerò altri canestri vincenti sul suono sirena, o altri meno emozionanti; ma anche che sbaglierò tiri, perderò partite, che mi affideranno il tiro decisivo e lo sbaglierò… Ma sarò sempre lì, pronta a tirare di nuovo!Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Un'azienda col Bollino mi ha riportato in Italia»: la storia di Silvia, ingegnere in Elica

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Silvia Quattrone, disegnatrice CAD per Elica, a Fabriano, con un contratto di apprendistato. Sono di Reggio Calabria, ho 27 anni e da due sono laureata in Ingegneria Meccanica. Ho studiato a Cosenza, scegliendo la specializzazione in Ingegneria energetica. I miei sono impiegati nel campo medico ma io ho preferito coltivare la mia passione per la fisica e la matematica. Durante l'università c'è stato anche un Erasmus, al secondo anno di specialistica, e per sei mesi ho studiato a Siviglia, anche se poi mi sono fermata due mesi in più per finire la tesi di laurea che, affiancando un docente nella centrale eolica di Huelva, ho dedicato ad uno studio sull'applicazione di materiali superconduttori alle pale. Appena laureata, a settembre 2012, ho deciso di dedicarmi a un'altra mia passione, le lingue, e mi sono trasferita per un anno a Dublino per imparare l'inglese. Appena arrivata mi sono iscritta ad un corso full time di un mese, poi ho privilegiato l'apprendimento informale. Mi mantenevo svolgendo lavori come cameriera, aiuto barman e commessa e credo che questo sia il metodo più veloce ed efficace per imparare una nuova lingua. Dublino è stata esperienza fantastica, finora la più bella della mia vita:  mi ha permesso di stringere forti amicizie con gente di tutto il mondo ed è una città bellissima, molto vivibile. L'ho lasciata solo per una ragione precisa. Tempo prima avevo caricato il mio cv sul sito di un'agenzia per il lavoro e a settebre 2013 sono stata contattata da un addetto alle Risorse umane di Elica, azienda di Fabriano leader nella progettazione e produzione di cappe aspiranti per uso domestico. Sono stata invitata alle selezioni per uno stage pagato di sei mesi, per il quale era richiesta una conoscenza approfondita del software Pro Engineer, un modellatore CAD tridimensionale, che io avevo. Dopo una settimana ero in Italia.A Fabriano ho sostenuto un primo colloquio conoscitivo, poi dopo una settimana un colloquio tecnico con direttore del settore Ricerche e sviluppo e direttore commerciale e, superati tutti gli step, a ottobre mi è stato offerto uno stage come progettista meccanico nella divisione Motori.  Ed è cominciata la mia avventura in Elica. Lo stage prevedeva un rimborso di 500 euro netti al mese, ma in più l'azienda ha fornito l'alloggio, anche grazie alla partecipazione al progetto Lavoro e Sviluppo 4 di Italia Lavoro, un intervento di politiche attive del lavoro per i disoccupati di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.Ad aprile 2014 il mio stage era in scadenza, ma l'azienda mi ha proposto un apprendistato triennale come CAD Designer nell'area Ricerca e sviluppo, a partire da giugno. Quello R&D è un ambiente davvero stimolante e pieno di sfide quotidiane, mi piace. E con uno stipendio di 1400 euro netti al mese sono del tutto indipendente nel pagamento di affitto, spese quotidiane, spese auto... Soprattutto quando vivevo a Dublino, ho pensato di trovare lavoro come ingegnere all'estero, ma quando poi ho avuto la possibilità di scegliere se tornare in Italia o meno, il mio cuore mi ha riportato al mio meraviglioso Paese. Oggi sono soddisfatta di lavorare in Elica, soprattutto perché mi dà la possibilità di crescere molto e di mettere in pratica tutto ciò per cui ho studiato. Il lavoro di progettazione meccanica è importante: è il punto di partenza nella realizzazione di un qualsiasi prodotto la cui finalità è quella di essere venduto. La mia aspirazione è quella di portare un valore aggiunto nell’azienda in cui lavoro, e nel mio piccolo so di farlo già, anche se per me questo è solo un punto d’inizio.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo 

Da Brescia a Melbourne passando per la Spagna col servizio volontario europeo: «una grande opportunità per noi giovani»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Claudia Vecchia.Sono nata 24 anni fa a Sabbio Chiese, in provincia di Brescia, ed oggi, dopo essere stata l’anno scorso in Spagna per il Servizio volontario europeo, vivo a Melbourne, in Australia, perché il 2 marzo inizierò un master in International development all’RMIT University. Sin da piccola ho avuto grande interesse per le lingue e per il viaggio, e così ho studiato al liceo linguistico e poi ho scelto Lingue moderne all’università di Trento, dove ho vissuto i primi due anni di corso, mentre l’ultimo l’ho trascorso in Erasmus in Olanda, a Nijmegen. Durante il periodo universitario ho svolto piccoli lavori, come volantinaggio e baby sitting. Gli undici mesi trascorsi in Erasmus sono stati fantastici e ho imparato molto, migliorando le mie capacità linguistiche e conoscendo differenti metodi didattici rispetto a quelli della mia facoltà.Ho fatto scelte completamente diverse dai miei genitori: mio padre è geometra e mia madre casalinga. Mi hanno sempre supportato nelle mie scelte, ed è grazie al loro aiuto che oggi sono a Melbourne. In questo lontano continente ero già stata prima di iniziare l’avventura dello Sve. Appena dopo la laurea, nell’aprile del 2013, presi un volo per l’Australia, dove sono rimasta un anno grazie al Working Holiday visa. Ho lavorato come ragazza alla pari, baby sitter, lavapiatti e cameriera, viaggiando per il paese. Questi impieghi non c’entravano ovviamente nulla con la mia formazione, ma mi hanno aiutato molto a migliorare il mio inglese, a conoscere nuove persone e realtà completamente differenti dalla mia.Mentre ero in Australia pensavo al futuro, e grazie a Internet ho scoperto lo Sve. Così, appena rientrata in Italia, ad aprile dell’anno scorso, ho inviato direttamente alle organizzazioni di accoglienza parecchie candidature, tutte inerenti al lavoro con bambini, scuole e attività culturali. Ho mandato molte domande in Spagna e in Sud America perché volevo imparare lo spagnolo. Dopo una settimana ho ricevuto una risposta positiva che mi invitava a partire il prima possibile; così ho contattato l’associazione Joint di Milano, che è stata disponibile a farmi da organizzazione di invio.A maggio del 2014 sono così partita per Enguidanos, un paesino di 300 persone in Spagna, nella magnifica valle del Cabriel, a un centinaio di chilometri a ovest di Valencia. Sono stata lì per sei mesi. La mia organizzazione di accoglienza era il Comune, Ayuntamiento de Enguidanos, e il progetto si chiamava “Enguidanos: all together!!”. In paese vivevo in una casa bellissima, pagata dal Comune, e ricevevo 350 euro per coprire il vitto, mentre il pocket money per le spese personali era di 105 euro. Non ho avuto alcun tipo di problema economico.Nel progetto i miei compiti erano collaborare con diverse associazioni del paese e con la scuola primaria. Durante il periodo scolastico ho supportato l’insegnante di inglese durante la lezione, e con un’altra professoressa ho sviluppato un mio progetto per i bambini sui cinque continenti del mondo. Ogni settimana “viaggiavamo” in un continente e tramite giochi e presentazioni spiegavo le caratteristiche dei luoghi e delle culture ai bambini. È stata una grande soddisfazione, anche perché nello stesso tempo una delle insegnanti aveva ideato un progetto simile con le scuole dei paesi vicini. Ogni istituto corrispondeva ad un continente. Così abbiamo integrato i due progetti e li abbiamo portati avanti in tutte le scuole. Con i bambini il lavoro è proseguito anche finite le lezioni: con la mia tutor dello Sve ho organizzato “la escuela de verano”, cioè la scuola estiva per offrire altre attività ai bambini come giochi, laboratori di artigianato, educazione ambientale, teatro, fotografia, cinema e marionette. Durante lo Sve ho inoltre collaborato con l’ufficio turistico del paese, traducendo volantini in italiano, inglese, tedesco, francese e curando alcune pagine Facebook. E poi sono stata coinvolta nelle attività dell’associazione teatrale, partecipando al corso di teatro e alla commedia che abbiamo messo in scena: "La conciencia de don Jenaro".La mia esperienza Sve è stata più che positiva e ha superato di gran lunga le mie aspettative. Ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissata: imparare la lingua, conoscere la cultura e il territorio spagnolo e tante persone interessanti. All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà ad inserirmi nella comunità del paese, anche i giovani erano diffidenti nei miei confronti, ma è stato solo un primo impatto. Con l’aiuto del mio tutor e delle persone con cui lavoravo, dopo poco mi sono integrata perfettamente e sono diventata parte di quella grande famiglia che in principio era molto titubante rispetto al mio ruolo nella comunità.Grazie alla gente del paese, alla tutor e alle colleghe, che mi hanno trattato benissimo e aiutato in ogni minima difficoltà, non ho sofferto di solitudine, perché per i primi tre mesi ero l’unica volontaria del progetto e vivevo da sola in quella casa bellissima. Poi ad agosto è arrivata l’altra volontaria, Sarah, austriaca. Ci siamo trovate molto bene insieme, nonostante la sua difficoltà a capire lo spagnolo ed il poco tempo che abbiamo avuto a disposizione.Dallo Sve mi sono portata a casa tantissime esperienze che mi hanno aiutata a crescere sia personalmente che professionalmente, e che mi hanno dato maggior consapevolezza di me e di quello che voglio. Per questo consiglio vivamente lo Sve. Però bisogna essere consapevoli che è un tipo di esperienza che mette davvero alla prova!Lo Sve mi ha offerto opportunità per conoscermi meglio, sia nei punti di forza sia in quelli di debolezza. E così spero di realizzare ciò che desidero e credo di essere sulla buona strada per farlo, perché finora ho sempre raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissata. Tra pochi giorni inizierò il master a Melbourne, intanto sto già lavorando come cameriera e baby sitter. Dopo gli studi il mio desiderio è intraprendere una carriera nel campo della cooperazione  internazionale. Grazie allo Sve ho tanta fiducia in me stessa e guardo al mio futuro con ottimismo.Testo raccolto da Daniele Ferro @danieleferro 

Due stage già alle superiori per Chiara, apripista per la sua carriera in Philips

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Chiara Stoppa, oggi assunta nel controllo di gestione di Philips, a Monza. Ho 27 anni e vengo da una cittadina vicino Treviso, Castelfranco Veneto, dove ho frequentato l'istituto tecnico commerciale con specializzazione in programmazione IT. In Veneto la caratteristica principale degli istituti tecnici  è il legame con il tessuto imprenditoriale locale, ed è proprio grazie a questo che ho iniziato a relazionarmi con il mondo lavorativo. Concluso il terzo anno, nell'estate 2014 ho fatto un breve stage gratuito nell'area commerciale di un'azienda locale che produce trenini turistici, in cui per un mese ho curato le relazioni con i clienti e la documentistica. Poi l'estate successiva sono stata ospitata all'interno di una banca, questa volta per due mesi e con un piccolo contributo di 250 euro complessivi, affiancando il personale di front office, con qualche attività di archiviazione. In queste esperienze la mia intenzione è sempre stata quella di unire la formazione scolastica a momenti di riscontro pratico, sfruttando ogni occasione per rafforzare la mia personalità, capire l'importanza di assumere impegni e responsabilità e imparare a portare a termine progetti. Nel giugno 2006 mi sono diplomata con ottimi risultati e a settembre ho iniziato il corso di Economia all'università di Padova, iniziando subito a cercare lavoro, sia per essere più indipendente, sia per imparare a gestire meglio il tempo e le forze. Verso la fine del triennio è stata la volta del terzo tirocinio, gratis: quattro mesi nell'area commerciale di una famosa azienda di gioielli, per la quale ho assistito il personale in attvità di back office, seguivo il processo degli ordini, monitoravo la disponibilità di prodotti, resi, emissione di note d'accredito... Un'esperienza molto costruttiva, che mi ha mostrato un tipo di realtà aziendale in cui crescere. Mi è stata offerta una proroga, alle stesse condizioni, mo ho rifiutato per concentrarmi sulla stesura della tesi, che ho discusso a dicembre 2009. Una volta laureata, ho trascorso tre mesi a Melbourne per rafforzare il mio inglese: un viaggio organizzato in totale autonomia, senza beneficiare di finanziamenti da enti o aziende. Anche questa è stata una esperienza molto costruttiva, in cui ho acquisito indipendenza e mi sono confrontata con vari ostacoli, ma anche con esperienze nuove e persone di culture diverse. Tornata dall'Australia, convinta che proseguire gli studi universitari mi avrebbe dato maggiori possibilità in futuro, ad ottobre del 2010 ho intrapreso il biennio specialistico di Economia, sempre a Padova. E al secondo anno ho vinto un Erasmus di sei mesi a Valencia, dove ho sostenuto gli ultimi quattro esami, finanziandomi solo in parte con la borsa. Questo tipo di esperienza aiuta a sapersi destreggiare in ogni situazione, a formare un pensiero critico e più aperto, e anche a inseguire l'indipendenza, tutti elementi fondamentali nella vita delle persone. Per questo l'ho cercata.Al mio ritorno dalla Spagna ho iniziato la stesura della tesi, che ho dedicato a una tematica di Economia internazionale, il fenomeno dell'home bias, ossia la propensione nel acqusisto di beni reali, servzi e titoli domestici rispetto a quelli internazionali. A marzo 2013 ho completato gli studi ed è iniziata la sfida di trovare un'azienda che mi sapesse apprezzare. Per me gli obiettivi sono benzina quotidiana e credo che l'impegno, la costanza e la determinazione siano i migliori mezzi per raggiungerli, quindi ho iniziato ad inviare cv alle aziende a cui ambivo da sempre. Dopo due mesi dalla laurea, candidandomi su un sito online specializzato, sono stata contatta da Luxottica e dopo vari colloqui ho iniziato uno stage di sei mesi in ambito Controllo di Gestione. Agevolata da un rimborso spese di 850 euro mensile più mensa aziendale, mi sono quindi trasferita in provincia di Belluno.Verso la fine dello stage però, non avendo certezze da parte dell'azienda e vedendo l'alto tasso di rotazione degli stagisti, ho ripreso a candidarmi, spesso tramite i siti delle aziende, e alla fine sono stata contattata per un colloquio in Philips, a Monza: un'intera giornata che prevedeva un test indivuduale, uno di gruppo ed uno in inglese per avviare uno stage semestrale pagato. Dopo pochi giorni avevo già una risposta, con mia grande soddisfazione affermativa! E a metà novembre 2013 eccomi negli uffici del controllo gestione ad occuparmi di attività di budget, analisi degli scostamenti tra preventivo e consultivo, e reportistica, con una somma di 800 euro mensili ma nessuna certezza per il dopo stage. E invece a inizio giugno, finiti i sei mesi, mi è stato proposto un apprendistato biennale, con mansioni simili ma cambio di settore, da Healtcare a Corporate. E con un stipendio mensile di 1600 euro. In Philips ho trovato una realtà molto aperta a noi giovani, dinamica e sempre in evoluzione, contesto ideale per accrescere e soddisfare le mie aspirazioni professionali. Una multinazionale così mi consentirebbe anche di accedere facilmente al mercato estero. Mi sento molto fortunata. Monza poi, dove vivo in condivisione con altre persone coetanee, è una città ricca di servizi, sicura, movimentata - il giusto - e vicina a Milano: il mio futuro potrebbe essere proprio qui.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Soufiane «cammina veloce»: a 25 anni grazie al lavoro in Everis mantiene la famiglia

“Oggi riesco a mantenermi da solo in una città non proprio economica come Milano, condividendo un piccolo appartamento a Lambrate con altre due persone. Anzi sono io che per quello che posso aiuto i miei genitori, essendo l'unico che lavora in famiglia. Non potrei che dirmi soddisfatto e gratificato”Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di un 25enne di origini marocchine assunto a tempo indeterminato in Everis, Benali Soufiane (dall'arabo, significa «colui che cammina rapidamente») .  Sono nato a Casablanca nel 1990. In Marocco ci sono rimasto fino ai 13 anni, poi nell'agosto 2003 mi sono trasferito in Italia, nel Comune di Campagna, in provincia di Salerno, per ricongiungimento familiare: mio padre si era trasferito in Italia per lavoro già molti anni prima. Quell'autunno, dopo un piccolo test di competenze - ovviamente non linguistiche - sono stato ammesso alla  terza media. Ricordo bene quel periodo, è stata abbastanza dura, anche perché in italiano sapevo solo contare da uno a venti. La dirigente della scuola però mi ha facilitato il processo di integrazione mettendomi a disposizione una professoressa di francese e autorizzando la presenza, una volta a settimana per due ore, di una ragazza che studiava arabo all'Orientale di Napoli, entrambe per aiutarmi a imparare l'italiano. Per il primo anno di scuola l'obiettivo era quello.L'anno successivo poi mi sono iscritto all'istituto tecnico commerciale, corso programmatori, ed è stata questa la scelta che ha influenzato di più il mio futuro. Convinto di proseguire sulla stessa strada infatti, dopo le superiori nel 2009 mi sono iscritto all'allora facoltà di Informatica dell'università di Salerno, che dal mio punto di vista è anche una delle migliori in Italia. Io perlomeno mi sono trovato molto bene: i professori sono molto preparati, la facoltà è gestita bene e sento da altre persone che è sempre in miglioramento dal punto di vista organizzativo. Ho solo avuto un po' di difficoltà a fare il pendolare, visto che la zona in cui abitavo non era collegata bene con Fisciano, dove ha sede la facoltà.Mi sono laureato a luglio 2013 con una tesi sperimentale, sviluppando una piattaforma web per la provincia di Salerno per il censimento dei loro archivi amministrativi. Qualche tempo prima però avevo già partecipato ad un placement day organizzato dall’università, in cui avevo lasciato il curriculum a tre aziende, tra cui Everis, che a Milano si occupa di consulenza per aziende di svariati settori: finanza, energia, telecomunicazioni, pubblica amministrazione, sanità… La recuiter mi aveva fissato un appuntamento telefonico per una settimana dopo la data di laurea e, puntuale come un orologio, è arrivata la chiamata.  Sono stato invitato quindi in sede per le selezioni, insieme ad altri candidati.Per prima cosa abbiamo affrontato il test d'inglese, poi ci è stata fatta una panoramica dell'azienda e ci ha illustrato in dettaglio l'offerta di stage: mansioni, rimborso, durata... Per quanti avevano superato il test - tra cui me - c'è stato il colloquio tecnico con un manager, poi subito un altro colloquio di lingua, francese questa volta. Il tutto si è concluso con la promessa di un feedback di lì a una settimana. Di nuovo, i tempi sono stati rispettati alla perfezione e a inizio ottobre ho ricevuto la bella notizia: avevo passato le selezioni. Quindi ho fatto le valigie e sono partito per Milano. Anche le altre due aziende incontrate durante il placement day nel frattempo mi avevano proposto degli stage, uno a Napoli e uno a  Milano, ma la serietà di Everis e il profilo internazionale dei suoi clienti vincevano di gran lunga sulle altre.Ho iniziato il mio stage nella sede di Milano a novembre 2013, iniziando a lavorare su un progetto aziendale studiato per una multinazionale del settore farmaceuticao: fornivo assistenza IT per la loro sede italiana e poi, viste le mie conoscenze linguistiche, per quella francese. Si trattava di uno stage pagato 750 euro al mese più buoni pasto, della durata di sei mesi, ma non c'è stato nemmeno modo di finirlo, perché ad aprile - e cioè dopo cinque mesi da stagista - mi è stato offerto un contratto a tempo indeterminato con una retribuzione annua lorda di 21.600 euro. Oggi riesco a mantenermi da solo in una città non proprio economica come Milano, condividendo un piccolo appartamento a Lambrate con altre due persone. Anzi sono io che per quello che posso aiuto i miei genitori, essendo l'unico che lavora in famiglia. Non potrei che dirmi soddisfatto e gratificato. Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Col servizio volontario europeo ho imparato il tedesco: e così a 25 anni, a un mese dalla laurea, ho già un lavoro»

Da oggi la Repubblica degli Stagisti inaugura una nuova rubrica, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo (Sve), una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Sonia Giannini.Ho 25 anni e abito con il mio fidanzato a Casalgrande, il piccolo paese in provincia di Reggio Emilia dove sono nata e cresciuta. A un mese dalla laurea triennale in Lingue e culture europee a Modena, lavoro in una grande di ceramiche a Sassuolo come responsabile commerciale per l’Austria e la Germania. Sono stata assunta da pochi giorni. Mi hanno selezionato perché conosco molto bene il tedesco, che ho perfezionato durante i dieci mesi trascorsi in Austria per il Servizio volontario europeo. In fase di colloquio ho parlato molto della mia esperienza in Austria, erano estremamente impressionati e curiosi di sapere cosa fosse lo Sve. Ora ho un contratto di sei mesi per sostituzione di maternità e sono fiduciosa per il futuro, perché in azienda ci sono buone prospettive di inserimento. Sono molto contenta perché è il lavoro che volevo fare. Il mio percorso è iniziato con il liceo socio-psico-pedagogico. Poi ho frequentato il corso di Lingue e CultureEuropee all’università di Modena. Per mantenermi gli studi ho dato lezioni private, ho fatto la baby sitter e ho lavorato nell’ufficio spedizioni di un’azienda nella mia città. Sono partita per l’Austria a ottobre 2013 e ho trascorso dieci mesi ad Amstetten, una cittadina di ventimila abitanti, facendo volontariato nel centro giovanile “A-Toll”, gestito dal Comune. Avevo scoperto lo Sve grazie a un compagno di università e ad un incontro informativo dell’associazione Going to Europe di Modena, che sarebbe poi diventata la mia organizzazione di invio. In quell’occasione capii subito che lo Sve era ciò che stavo cercando: avevo bisogno di nuovi stimoli, senza perdere di vista l’università e soprattutto senza gravare sulle finanze dei miei genitori (in Austria, oltre all’alloggio, mi hanno dato 300 euro per il vitto e 110 euro di pocket money). Utilizzando il database dei progetti Sve inviai molte domande, in particolare per progetti in Austria e Germania, perché volevo migliorare il tedesco. Dopo qualche mese sono partita per Amstetten. Sono tornata lo scorso luglio, e a dicembre mi sono laureata. Ad Amstetten ero l’unica volontaria in Servizio volontario europeo e i primi due mesi sono stati un po’ duri, in particolare per la lingua. Nonostante avessi basi di tedesco, in città spesso le persone mi rispondevano in modo scocciato per dirmi che non capivano. E siccome anche l’inglese non era ben accettato, ho avuto lo stimolo per studiare continuamente il tedesco e imparare i modi di dire e la pronuncia austriache, fino a quando sono riuscita ad acquisire una perfetta parlantina: a volte mi hanno scambiato per un’austriaca! Anche nel centro giovanile all’inizio non è stato facile. Era frequentato da ragazzi dai 12 ai 21 anni, per lo più stranieri, in particolare curdi, turchi, rumeni e kossovari. I miei compiti erano passare del tempo giocando con loro, organizzando eventi come “Skate contest”, escursioni, serate in discoteca, o semplicemente parlando, dando consigli sulla stesura del  curriculum, la ricerca del lavoro o l’educazione sessuale. Spesso l’ambiente che si veniva a creare non era dei più positivi ed armoniosi per le tensioni di natura culturale tra gli utenti del centro, causate spesso da guerre in cui i parenti avevano preso parte. Non è stato facile inserirmi in questo contesto, e forse proprio per le difficoltà iniziali l’esperienza si è poi rivelata fantastica.Qualche volta mi sono trovata da sola a dirimere litigi e scazzottate, ed alcuni ragazzi avevano inoltre un modo di scherzare molto aggressivo. Siccome all’inizio non padroneggiavo il tedesco (sempre che i ragazzi non parlassero nella loro lingua di origine!), capivo troppo tardi che la situazione stava degenerando. Poi però ho compreso come fermare le piccole risse e avviare un confronto tra i ragazzi per far sì che non si verificassero più litigi. Per me è stata un’enorme dimostrazione di quello che sono in grado di fare da sola, senza l’aiuto di altri e soprattutto usando un’altra lingua. Questo è in fondo lo Sve: scoprire capacità nascoste nei momenti e soprattutto nei modi più inaspettati.Con il passare delle settimane, i ragazzi del centro mi hanno vista come una figura di cui fidarsi. In particolare lo dimostrano i rapporti che ho instaurato con due ragazzi. Il primo si chiamava Erhan, era di origini curde e affetto da una distrofia muscolare che lo costringeva su una sedie a rotelle motorizzata. Ma era un ragazzo del tutto indipendente, oltre che gentile e molto acculturato. Un giorno mi raccontò della sua malattia e di come lo avesse in poco tempo costretto a rinunciare a tante passioni. Quello che mi colpì fu l’estrema serenità nelle sue parole: mi  disse che aveva accettato la sua malattia, che riusciva a  vivere felice e non abbattersi mai. In effetti lo vedevo sempre allegro. Erhan mi ha fatto capire che tante volte nella nostra vita quotidiana perdiamo tempo a crearci problemi e a dirci insoddisfatti di ciò che abbiamo: grazie a Erhan ho riscoperto il piacere di godermi ogni istante della vita.Anche Firat era di origini curde. A differenza di Erhan, non aveva finito le scuole ed era estremamente irascibile e schivo. Da subito le colleghe me lo presentarono come un ragazzo difficile ed aggressivo, ma io mi posi l’obiettivo di scambiare qualche parola con lui. Dopo due mesi di tentativi, arrivò il giorno in cui mi si avvicinò spontaneamente. Da quel giorno iniziammo a parlare, e Firat mi raccontò la sua vita. Aveva avuto un’infanzia difficile. La sua famiglia era stata vittima della persecuzione turca verso i curdi: due suoi zii erano stati uccisi. Così i suoi genitori decisero di scappare in Austria, e lui si trovò catapultato in un paese che non amava. Firat mi chiese consigli per cercare lavoro, imparare il tedesco e anche su come comportarsi con una ragazza. Quando mi disse “grazie per avermi ascoltato”, capii quanto sia più facile, ma nello stesso tempo così dannoso, fermarsi alle apparenze. Non era giusto etichettare Firat come “un ragazzo difficile ed aggressivo”.Lo Sve mi ha regalato molto di più di ciò che io ho dato. Mi ha arricchito attraverso lo scambio di idee, di pensieri, di culture, e mi ha cambiato nel profondo. Oltre a fattori pratici come il miglioramento del tedesco, ho imparato a credere in me stessa e dare fiducia alle mie idee. Ho scoperto qualità nascoste, come la capacità di interagire facilmente con persone estranee o lavorare molto bene in un team. Ho imparato quanto i pregiudizi facciano male alla società: lo Sve mi ha insegnato a vedere oltre, grazie alle diversità che sono una fonte di arricchimento e non un ostacolo da combattere o confinare dietro un muro. Credo che lo Sve, in una società apatica come la nostra, renda i volontari più sensibili, permettendo loro di scoprire non solo il proprio potenziale, ma anche i valori e la bellezza delle piccole cose.testo raccolto da Daniele Ferro @danieleferro 

Fiducia e incoraggiamento: i cardini della filosofia Ferrero per le giovani risorse

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Stefano Scarantino, oggi assunto nel Marketing di Ferrero a Pino Torinese.  Ho 26 anni e sono di Torino. Ho frequentato la facoltà di Economia e Commercio della mia città, per sviluppare le capacità matematiche e analitiche acquisite al liceo scientifico, ma poi col tempo si è rivelata la mia grande passione per il marketing. Sono sempre stato affascinato dalla possibilità di coniugare numeri e analisi con i bisogni dei consumatori e con l'offerta di prodotti e servizi in grado di soddisfarli. Specialmente all’interno di multinazionali, che hanno maggior potere di influenzare il benessere di una comunità.Nel 2010, giunto alla laurea triennale, ho incentrato la mia tesi sul modello di fidelizzazione di una grande concessionaria pubblicitaria italiana e quando si è trattato di scegliere la specialistica ho optato per il curriculum Marketing e management della facoltà di Economia e direzione delle imprese, laureandomi poi nel 2013 con lode. Questa volta per la tesi ho analizzato la strategia di comunicazione usata nel mercato alimentare italiano, all'epoca senza sapere che il mio futuro lavorativo sarebbe stato proprio in questo settore.Al di là degli studi universitari, ho sempre approfondito ciò che mi interessava con letture e partecipazioni a workshop. Ad esempio nel 2010 sono arrivato alle finali nazionali di L'Oréal Brandstorm, un contest il cui obiettivo era presentare un piano di marketing per il lancio di un nuovo prodotto del segmento professionale maschile. Questo per me è stato anche il primo vero contatto il marketing di un'azienda globale.Proprio in L'Oréal, pochi mesi dopo, ho svolto uno stage curricolare come Assistant Product Manager, contattato dall'azienda stessa. Da agosto 2011 a febbraio 2012 ho supportato la senior manager nelle operazioni di analisi di sell in - cioè di vendita ai commercianti rivenditori - e di sales performance; ho collaborato alla preparazione di riunioni, presentazioni e report per i manager di area, seguito le varie fasi per il lancio di nuovi prodotti sul mercato e anche operato sulla gestione del sito web. Il tutto con un rimborso mensile di 400 euro netti. All'epoca avevo ventidue anni ed è stata un'esperienza utile per iniziare a conoscere il mondo lavorativo, le dinamiche di gestione di una marca e i rapporti che intercorrono tra i vari settori - Marketing, Trade, Acquisti, Finance, Logisitica - affinché il prodotto possa essere ben comunicato e veicolato al consumatore.A settembre 2012 è stata la volta di un altro stage semestrale, questa volta in Martini & Rossi, col ruolo di Sales Analyst. Mi occupavo di analisi e reportistica per i National Account Manager, con focus sulle performance dei clienti della grande distribuzione, e questo mi è servito molto per capire meglio le logiche dei punti vendita - i touch point - che sono sempre più importanti. Rispetto allo stage precedente ho avuto un maggiore grado di indipendenza, è aumentato il rimborso - questa volta di 650 euro - e ho anche ricevuta la proposta di un contratto a tempo determinato di sei mesi, che però ho rifiutato. Nel frattempo infatti mi ero candidato online per uno stage nel Trade Marketing di Ferrero e avevo affrontato le selezioni, tanto lunghe quanto accurate. Nel mio caso il percorso è durato molti mesi, da giugno 2013 al febbraio successivo, anche perché nel frattempo la posizione per cui mi ero candidato era stata chiusa, per poi essere riaperta.Ho superato tutti gli step - prima scrematura con test di matematica e logica su pc, colloquio di gruppo, primo e secondo colloquio individuale - e a marzo 2014 ho iniziato il mio stage. Fino al successivo settembe ho collaborato allo sviluppo e all'implementazione delle strategie digitali di Ferrero Rocher per le principali festività - la prima è stata Natale -  e a quelle di comunicazione sul punto vendita, percependo un rimborso di 750 euro mensili più buoni pasto. È stato un bel lavoro di team, e allo stesso tempo avevo grande indipendenza e deleghe di responsabilità. In Ferrero c'è un atteggiamento di fiducia verso le nuove risorse e iniziativa personale e responsabilizzazione vengono incoraggiate. L'eventuale errore è percepito come formativo.  A conclusione dello stage mi hanno proposto un contratto di apprendistato biennale, con una ral di 29mila euro, che ho accettato. Adesso, come del resto da sei anni a questa parte, mi mantengo da solo e per la mia età sono decisamente soddisfatto del tenore di vita che ho. Mi piacerebbe continuare a lavorare nel marketing, o comunque all'interno del Food and Beverage, mia grande passione. Vorrei rimanere e crescere in Ferrero: è un'azienda che rispecchia i miei valori e le mie passioni e che da sempre permette lo sviluppo di carriera, sia orizzontale che verticale. Sia in Italia che all'estero. Ad oggi mi manca appunto solo un'esperienza all'estero e nel giro dei prossimi due anni la considero una tappa imprescindibile. E, in Ferrero, raggiungibile.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Centro per l'impiego di Siracusa: «Qui un mare di gente perde il lavoro e non possiamo farci nulla»

Lo scorso giugno, una bella giornata di sole, l’Ufficio Statistica della Regione Sicilia ha pubblicato un dato da far venire i brividi: il tasso di disoccupazione regionale (attenzione, non giovanile: regionale) al 34,8%. Più di una persona su tre senza lavoro, ma soprattutto ben 13,8 punti percentuali in più rispetto al tasso elaborato poco prima dall’Istat. Una notizia sensazionale anche per chi vive in una regione che, quando si parla di lavoro e politiche occupazionali, fa sempre la parte di cenerentola. In questo contesto, lavorare in un Centro per l’impiego deve essere quantomeno complicato. Lo è certamente a Siracusa, dove disperazione e smarrimento sono all’ordine del giorno, come confida una dirigente che preferisce restare anonima: «Qui la situazione è più che disastrosa. Le problematiche sono tante, c’è un mare di gente che perde il lavoro e non possiamo farci nulla. È una situazione che non possiamo fronteggiare, possiamo vendere solo fumo. Su Garanzia Giovani, ad esempio, è arrivato il bando per il servizio civile, ma solo quello. Non c’è altro. Progetti come Garanzia Giovani e il Piano Giovani, su cui i ragazzi facevano molto affidamento, di fatto si stanno rivelando una bolla di sapone. Basti pensare che il progetto regionale relativo al Piano Giovani è ancora bloccato». A Siracusa, come in tante altre zone dell’isola, la disoccupazione riguarda tutti, ragazzi e meno giovani: i primi sono rassegnati, i secondi disperati. «C’è gente di 40 o 50 anni che perde il lavoro e rimane a casa» spiega la dirigente del cpi «non hanno più nessuna possibilità, stiamo andando avanti con gli ammortizzatori sociali e la mobilità in deroga, ma sono interventi che lasciano il tempo che trovano, anche perché un padre di famiglia non riesce a tirare su una famiglia con quelle somme». Gli iscritti ai quattro centri per l’impiego in provincia di Siracusa, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono moltissimi. Più di 60 mila a Siracusa, 28 mila ad Augusta, 24 mila a Lentini e 38 mila a Noto. Città bellissime, ricche di storie, ma povere di lavoro. «Qui le aziende stanno chiudendo tutte» dicono gli operatori «basta fare un giro in centro a Siracusa e si notano molti negozi chiusi. La situazione è veramente sconfortante, tanta gente viene a piangere ai nostri sportelli, non hanno neppure i soldi per comprare il pane». Una struttura che produce pochi risultati, ma in grado di dare lavoro a ben 144 persone, impiegate nei quattro cpi della provincia. Tutti assunti a tempo indeterminato, nessun precario. Un’oasi rigogliosa in mezzo al deserto, che un po’ stona. «È  vero, siamo in tanti, ma abbiamo competenze diverse rispetto ai colleghi delle altre regioni» spiega Paolo Trovato, dirigente ad interim: «Ad esempio il controllo e la vigilanza sulla formazione professionale e la rendicontazione». «E poi fino a qualche tempo fa» aggiunge una collega «offrivamo molti più servizi; c’era lo sportello del Ciapi, il Centro interaziendale addestramento professionale integrato, dove lavoravano diversi operatori degli enti di formazione. Si occupavano di orientamento, supporto psicologico. Purtroppo il servizio è stato smantellato e chi vi lavorava ora è in cassa integrazione o in mobilità. Tutti passati dall’altra parte dello sportello, a fare la coda per iscriversi e richiedere gli ammortizzatori sociali». Pensare al Centro per l’impiego di Siracusa come all’ennesimo carrozzone che assorbe tanti soldi pubblici è quasi scontato. Il Centro, a differenza di altre realtà italiane, dipende dalla Regione Sicilia (a Statuto speciale) e non dalle provincia. Ma questo per il dirigente ad interim è un handicap. «Ricordo che il Centro di Pordenone organizza, attraverso vaucher, la manutenzione delle scuole. Da noi questo è impossibile, perché non abbiamo fondi a disposizione da potere erogare direttamente». Eppure, nello sconforto generale, qualcosa che funziona c’è. Come i servizi online, che in altre regioni faticano a decollare, qui sono utilizzati dagli utenti. Collegandosi al portale è possibile fare la dichiarazione di disponibilità o richiedere altri certificati. C’è poi la “bacheca lavoro”, che pubblicizza le poche offerte di impiego. Un barlume di luce che si spegne di colpo quando la discussione si sposta sul rapporto con le imprese del territorio. «Abbiamo perso il contatto con le aziende dopo l’introduzione della comunicazione obbligatoria delle assunzioni» spiegano dal Centro “e adesso i rapporti avvengono attraverso le associazioni di categoria o gli ordini professionali. Facciamo quello che possiamo, ma le condizioni socioeconomiche sono complicate. Lo erano qualche anno fa, lo sono ancora di più adesso. Ci servirebbero risorse da potere investire, vorremmo attivare progetti, ma abbiamo le mani legate e non possiamo farci davvero nulla”.

«Stage in Commissione UE, una delle esperienze più formative nel mio campo»

Dal 1° al 31 gennaio è aperto il bando per candidarsi agli stage per la Commissione europea. La Repubblica degli Stagisti raccoglie le testimonianze di chi ha già fatto questa esperienza: ecco quella di Lorenzo Marchese. La comunicazione è dappertutto. Ne sono convinto. Tanto che inizio così la mia presentazione su LinkedIn. La mia passione per la comunicazione discende dalla mia passione per la politica. Secondo me non possono esistere in maniera separata. Qualsiasi attività pubblica ha bisogno di comunicazione. Per questo ne ho fatto la mia professione. Oggi sono un free lance. Un consulente indipendente in relazioni pubbliche, comunicazione  e affari europei a Bruxelles, ma la mia storia inizia in Italia, 27 anni fa. Sono nato ad Alessandria. Lì ho frequentato il liceo classico fino al terzo anno. Poi ho vinto una borsa di studio per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico: 32mila euro per due anni, per concludere la mia formazione superiore a Trieste, con quello che viene chiamato baccellierato internazionale , concentrando gli studi su sei materie e in particolare, per me, in storia, filosofia e letteratura italiana. Ne sono venuto a conoscenza grazie a un bando regionale, mi sono candidato e ho passato due fasi di selezione, regionali e nazionali. La borsa copriva tutti i costi, compreso vitto e alloggio presso le strutture della scuola, e mi ha permesso di ottenere un diploma valido per l'ammissione universitaria in più di 80 Paesi al mondo. Dopo la maturità, volevo continuare a studiare filosofia. Per questo ho cercato un'università inglese, sia per la metodologia di studio, sia perché mi sembrava offrisse opportunità di carriera dopo il corso di studi. Mi hanno preso a Warwick, dove ho studiato per tre anni, dal 2006 al 2009. Le tasse universitarie erano di circa 3mila sterline l'anno, a cui bisognava aggiungerne almeno 800 euro al mese per vivere. In questo periodo ho potuto contare molto sul sostegno dei miei: non ho fatto lavori particolari per mantenermi, se non una breve esperienza estiva di un mese, tra il primo e il secondo anno di università, come insegnante di inglese in Polonia, per bambini tra gli 8 e i 12 anni, in un villaggio dal nome poco pronunciabile: Przytok. L'annuncio l'ho trovato nel dormitorio dell'università. Mi sono detto: perché no? Ho mandato il mio cv e mi hanno preso, anche se ero l'unico non madrelingua a insegnare inglese! Verso la fine del triennio, ho iniziato a guardarmi intorno per entrare nel mondo del lavoro. Vedevo però che molte posizioni richiedevano un master, così mi sono iscritto, sempre a Warwick, a un master in filosofia continentale (quella che da noi sarebbe "filosofia del Novecento"). Anche qui, l'appoggio della mia famiglia è stato fondamentale per mantenermi. I costi si aggiravano intorno alle 4mila sterline. Nello stesso periodo sono stato molto attivo in diverse attività studentesche: sono stato responsabile della comunicazione sia per la società studentesca di Amnesty international che per la società studentesca di filosofia, oltre che presidente studentesco del club di Tai Chi. Questa parte della mia carriera universitaria è stata molto importante per il mio futuro: non erano esperienze pagate, ma era comunque richiesto un certo impegno. E' lì che ho imparato i rudimenti della mia professione ed è in quel periodo che è nata la mia passione per la politica europea. Così, terminati gli studi, ho deciso di venire a Bruxelles. Mi sembrava il posto giusto dove stare e maturare. Mentre cercavo lavoro, ho iniziato a studiare francese e dopo quattro mesi ho trovato un posto da stagista come assistente al segretario generale di Lymec, l'associazione giovanile di ALDE, il gruppo politico dei liberali europei. Era uno stage con un contratto belga di "immersione professionale", pagato 700 euro al mese, da marzo a luglio 2011. Un buon rimborso. Di certo non abbastanza per essere indipendenti, ma potevo contare ancora su un leggero aiuto dalla mia famiglia. Per Lymec mi occupavo di comunicazione, organizzazione di eventi, editing di testi, social media, ma avevo già deciso, una volta conclusa l'esperienza, di fare un altro master, questa volta in studi europei: sentivo che la mia conoscenza della materia non era ancora abbastanza approfondita. Di nuovo, altro giro di candidature. Questa volta mi hanno preso alla London School of Economics, al master in "European Studies: Ideas and Identities". Un anno di corso, da settembre 2011 a ottobre 2012, su cui ho investito molto, anche a livello economico (le tasse universitarie erano di quasi 16mila sterline). In parallelo mi sono impegnato come responsabile della comunicazione per la Società europea degli studenti della LSE. E' stata un'altra esperienza fondamentale per il mio futuro, perché mi ha consentito di entrare in contatto con una rete molto estesa di esperti di materie europee, nonché di organizzare eventi con ospiti di rilievo: membri del Parlamento europeo (come Niccolò Rinaldi) o economisti riconosciuti a livello inglese o internazionale, come Yannick Naud. A Londra, poi, ho deciso di unire finalmente la mia passione per la comunicazione a quella per la politica: mi sono iscritto al partito Italia dei Valori e, come attivista, sono diventato responsabile per la comunicazione per il Regno Unito e, in seguito, assistente del direttore della comunicazione per gli italiani all'estero. Ho contribuito, ad esempio, alla costruzione del sito internet per le elezioni nazionali del 2013 e ho imparato moltissimo sulle tecniche di comunicazione pubblica e politica. Verso la fine del master, ho mandato la mia candidatura per lo stage alla Commissione europea. Dopo la prima fase di scrematura, sono entrato nel famoso bluebook, ovvero nella lista dei candidati che possono essere chiamati dalle varie Direzioni generali. A volte le unità cercano profili specifici, attraverso una ricerca per parole chiave. Ma chi è nel bluebook sa che è anche il momento di contattare gli uffici a cui sono interessati per mettersi in luce. Qualcuno usa la parola lobby. Secondo me non è corretto. Si tratta semplicemente di cercare di farsi conoscere, come si farebbe in qualsiasi momento uno cerchi lavoro. A me interessava la Direzione Generale per la Comunicazione: ho cercato quali fossero i direttori a cui mandare una mia presentazione mirata. Su quattro richieste, mi hanno contattato per due colloqui. E alla fine mi hanno offerto un tirocinio al Servizio del Portavoce, nell'unità "Cittadini e Budget", con il classico rimborso da mille euro al mese. Il Servizio di Portavoce è quello che ha il compito di interfacciarsi con i media, esprimendo la voce ufficiale della Commissione. Ho imparato come quello che succede alla Commissione viene raccontato alla stampa e penso ancora che quella sia stata una delle esperienze più formative per la mia carriera anche per la fortuna di lavorare con un grandissimo professionista nel campo delle relazioni pubbliche. Come stagista, aiutavo il portavoce per il budget, Patrizio Fiorilli, a preparare le risposte per i giornalisti e nella ricerca di dati di background, in quello che considero il momento più delicato e importante di tutto il dibattito politico europeo: era in fase di approvazione il Multiannual Financial Framework, ovvero il quadro delle politiche di spesa per il settennato 2014-2020. Al termine dello stage, volevo comunque restare a Bruxelles. Ho mandato quasi 60 curriculum e un mese dopo, nell'aprile 2013, ho ricevuto un'offerta di contratto a tempo determinato come project e communication officer per il Cefic, l'associazione delle industrie chimiche europee (European Chemical Industry Council), occupandomi di relazioni con i media, promozione di eventi, campagne di comunicazione online o offline. Di sicuro lo stage in Commissione ha avuto il suo peso nel curriculum. È un'esperienza che dà lustro anche se, nella comunicazione, credo sia ugualmente importante sviluppare competenze  tecniche con esperienza sul campo. Il mio contratto si è concluso un anno dopo, nell'aprile 2014, in un momento in cui il mercato del lavoro a Bruxelles non era molto aperto. Così mi sono creato da solo la mia opportunità: l'interesse che ho riscontrato per potenziali attività di comunicazione mi hanno spinto a diventare un consulente indipendente, un libero professionista. Nell'ottobre scorso ho aperto una partita iva belga. L'ho scelta non tanto per la tassazione, che non è poi così diversa da quella italiana (l'iva nel settore dei servizi è al 24% e tra contributi e tasse se ne va circa un terzo delle entrate lorde), quanto per la burocrazia: è molto forte anche qui in Belgio, ma almeno cerca di aiutare il lavoratore e non di ostacolarlo. Ai miei clienti, al momento principalmente formati da associazioni internazionali, offro pacchetti su misura con un impegno tra le 40 e le 50 ore mensili. La mia attività è ancora in fase di avviamento: sono partito a ottobre con un solo cliente e con un fatturato limitato. Ma l'attività sta crescendo e conto, entro giugno, di arrivare a un guadagno netto di almeno circa duemila euro al mese. Non escludo di tornare in Italia prima o poi. Non credo che sia una causa persa a livello di possibilità di cambiamento, anche per i giovani. Conosco ragazzi della mia età che hanno trovato buoni posti di lavoro. Non dico che non tornerei in Italia perché non offre opportunità. Solo che ne offre meno di altri. Anche qui a Bruxelles non è facile, ma al momento amo troppo questa città. Per me questa città è il punto di incontro tra il nord e il sud. Credo che prenda il meglio da tutte le culture europee: un'organizzazione abbastanza efficiente del welfare, ma anche un clima culturale vivo e un atteggiamento verso la vita piuttosto rilassato, oltre alla capacità di accoglienza verso tutti. Troverei il modo di restarci in ogni caso, anche se non ci fossero le istituzioni europee. testo raccolto da Maura Bertanzon