Categoria: Storie

«Il servizio volontario europeo in Romania mi ha insegnato che tutto è possibile»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Marisa Radogna.Ho 32 anni e sono nata e cresciuta a Irsina, un piccolo paese vicino a Matera, dove ho frequentato il liceo classico. Poi mi sono trasferita a Lecce per studiare Sociologia, sia per la triennale sia per la specialistica. Ho concluso l’università quattro anni fa, a marzo, e qualche mese dopo la laurea, l’università del Salento ha pubblicato un bando Leonardo da Vinci per tirocini all’estero. Sono stata selezionata e il Leonardo è stata la mia prima esperienza professionale importante, perché prima avevo fatto solo la cameriera per un paio di stagioni, in un bar del mio paese e in un ristorante di Lecce. Grazie al progetto Leonardo, da marzo a luglio 2012,  ho lavorato a Bucarest con Salvați copiii, la sezione romena dell’ong Save the Children. In particolare ho affiancato lo staff che operava in uno dei centri dell’associazione, a Rahova, un quartiere povero della città dove per lo più vivono rom, con molte problematiche legate alla dispersione scolastica. L’attività principale era il doposcuola, e io con l’aiuto di una bravissima insegnante mi occupavo di educazione non formale. Questa esperienza mi ha insegnato molto e ho imparato il rumeno.Finito il Leonardo sono rientrata in Italia e mi sono scontrata con le difficoltà di trovare un lavoro, soprattutto al Sud. Così ho ricominciato a pensare al Servizio volontario europeo, che avevo scoperto per caso navigando in rete prima di partire per il Leonardo. L’idea di fare lo Sve non era un ripiego, perché ho pensato che potesse aggiungere qualcosa in più alla mia formazione. Il tirocinio in Romania mi aveva fatto capire che mi sarebbe piaciuto lavorare in un’associazione.A gennaio del 2013 ho visto su Facebook l’annuncio di un’organizzazione di Bologna, YouNet, che cercava un volontario da inviare per un anno a Bucarest. Mi sono candidata e dopo due giorni sono stata contattata per mail dalla presidente di Actor, l’associazione di accoglienza romena. Mi hanno chiesto un colloquio e qualche giorno dopo ci siamo sentiti su Skype. Alla fine mi hanno detto subito: «Sei dei nostri». Erano entusiasti perché sapevo il romeno. A Bucarest sono arrivata il primo maggio del 2013. Nel tragitto dall’aeroporto a quella che sarebbe stata la mia casa, tutto mi era familiare. L’appartamento in cui avrei vissuto per un anno si trova in un’area popolare nella parte sud di della città. Al primo impatto il quartiere non fa una buona impressione. È un insieme di palazzi tutti uguali, dai colori tristi. I primi giorni faticavo a trovare la strada di casa o quella del supermercato. All’inizio, come mi era stato detto, ho condiviso una stanza con Miriana, una ragazza siciliana, e l’appartamento con l’estone Eliise e il lituano Mantvydas. Poi però da ottobre sono rimasta in camera da sola e sono arrivate altre volontarie al posto di quelle iniziali. La cosa bella di questo progetto è che ho conosciuto volontari da tutto il mondo, che erano coinvolti in altri progetti Sve della mia host organization. C’erano ragazzi da quasi tutti i Paesi d’Europa, e poi da Ghana, Nepal, Argentina, Perù, Georgia, Armenia… Eravamo in tutto una ventina: vivevamo in appartamenti vicini, ci ritrovavamo spesso a cenare insieme, soprattutto quando era il compleanno di qualcuno e l’associazione provvedeva a rifornirci di torta e spumante. Ovviamente non era sempre tutto così facile come durante le feste. Non ci sono mai stati grossi momenti di tensione, ma in alcune occasioni il confronto tra di noi è stato complicato, quando oltre alle nostre personalità pesavano le nostre culture di appartenenza. Ma siamo stati bravi a trovare un equilibrio e alla fine il gruppo ha creato legami saldi nel tempo.Venendo alle attività, devo dire che tutto era molto ben organizzato: ogni settimana ricevevamo una tabella con il programma dettagliato della settimana successiva. Per un anno abbiamo lavorato in diverse scuole primarie e per l’infanzia di Bucarest, presentando le nostre culture ai bambini con racconti, giochi e attività manuali. Ad esempio io, conoscendo il rumeno, parlavo delle tradizioni della mia terra, raccontavo le storie degli spiritelli che fanno i dispetti alle persone nelle case dove si nascondono i briganti, oppure scrivevamo filastrocche. Ognuno dei volontari doveva inventare attività che facessero riferimento alla propria cultura, con l’obiettivo di farla conoscere ai bambini. Prima di lavorare nelle scuole abbiamo seguito training per imparare a strutturare le nostre attività in base all’età dei bimbi. Periodicamente andavamo in alcuni centri rurali per dare la possibilità anche a coloro che vivevano in quei luoghi di avere accesso all’ educazione interculturale. Oltre che istruttivo, per me è stato molto divertente prendere parte a queste attività. I bambini erano curiosi e attenti, sempre pieni di domande: per me è stato un modo per rispolverare cose che davo per scontato e su cui non mi interrogavo più.Un’altra attività era l’animazione clinica per bambini, in quattro ospedali di Bucarest. Un’esperienza decisamente più difficile dal punto di vista emotivo, ma la felicità dei piccoli pazienti era sempre uno stimolo a fare meglio. In ospedale, oltre a chiacchierare, facevamo palloncini, origami, raccontavamo storie e giocavamo con i bambini. O almeno con quelli che si potevano muovere. In molti casi i piccoli erano affetti da patologie gravi, e la prima volta che sono andata in ospedale avevo un po’ d’ansia: è scioccante vedere bambini sofferenti. Sono però riuscita ad impormi con me stessa, per rimanere lì a giocare e sorridere anche quando era molto difficile. Perché far smettere di piangere un bambino, fargli dimenticare i dolori dell’operazione anche per soli cinque minuti, è una grande soddisfazione. Tutti i bambini con cui ho lavorato, non solo quelli in ospedale, mi hanno ringraziato con un’enorme ondata di affetto: sono tornata a casa con un pacco pieno di disegni.Il mio progetto è stato pienamente rispettato, per l’alloggio non ho avuto problemi e anche dal punto di vista economico è filato tutto liscio: con l’equivalente in Leu dei 60 euro che ricevevamo al mese come pocket money, più 90 per il vitto, non ho mai dovuto intaccare i miei risparmi. E poi Bucarest è una città affascinante, molto vivace dal punto di vista culturale e ricca di parchi meravigliosi. Ma è una città che soffre molte contraddizioni: se da un lato non ha nulla da invidiare alle altre capitali  europee, nel contempo ci si può imbattere in realtà inimmaginabili, come quel mondo sotterraneo di emarginati che vive nelle fogne raccontato in un reportage di Channel 4. Credo che per me lo Sve abbia avuto un alto valore professionale. La metodologia dell’educazione non formale, alla quale purtroppo si attribuisce ancora poca importanza, ha arricchito molto le mie competenze. E poi ho imparato ad affrontare situazioni imprevedibili. Se ad esempio ti aspetti di lavorare con dieci bambini in una classe e poi ce ne sono venti, devi cambiare il programma e adattarlo agli spazi ridotti. E devi farlo in fretta perché magari hai solo un’ora. Oppure ho imparato a creare attività a partire da materiali semplici, come la carta. Inoltre ho decisamente migliorato il mio inglese, e anche il romeno che avevo già studiato durante il Leonardo. Ora ho un livello C1 di romeno, certificato con un esame che ho voluto sostenere prima di tornare in Italia.A proposito del ritorno a casa, non mancano i momenti di sconforto, perché è da un anno che sto cercando un lavoro. Sto solo dando qualche ripetizione scolastica. Come molti miei coetanei che si trovano a vivere in questa fase storica, ho qualche difficoltà ad immaginarmi il futuro, ma non demordo anche perché lo Sve mi ha insegnato a trovare soluzioni. D’altronde il motto della mia hosting organization era «Se vuoi tutto è possibile. "Non posso" non esiste». Perciò spero di avere risposte positive alle domande di lavoro che sto mandando un po’ dappertutto, ma in particolare a Bucarest. È lì che vorrei tornare, per lavorare in un’associazione.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

Felice e appagata: ritratto di Paola, ingegnere gestionale per Elica

Ricevo una proposta dietro l'altra per sviluppare la mia carriera in azienda   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Paola Monti, 29 anni, ingegnere gestionale per Elica, a Fabriano.Ho 29 anni e vengo da un paesino in provincia di Pescara, Spoltore. Sono rimasta tra i confortevoli e amorevoli muri di casa fino alla maturità scientifica nel 2004, poi mi sono trasferita a L'Aquila per frequentare il corso triennale in Ingegneria gestionale, scelta fatta senza nessuna titubanza perché fin da piccina avevo manifestato un'innata curiosità nei confronti di tutto ciò che era tecnologia e meccanica. Mi sentivo quasi fuori dal mondo rispetto alle mie coetanee. Durante gli anni dell'università, per rendermi un minimo indipendente, ho lavorato come cameriera e cassiera in discoteca; ma soprattutto ho dato ripetizioni di matematica e fisica, le mie più grandi passioni. Non è mai stato un peso studiarle e dar loro un senso pratico,  e cercavo di trasmettere questo approccio anche ai ragazzi che seguivo.A metà 2008, avvicinandosi il momento della tesi triennale, ho voluto fortemente svolgere un'esperienza in azienda, pensando potesse arricchirmi e darmi una percezione più realistica e concreta della teoria fin lì studiata. Per otto mesi -  dagli iniziali tre pattuiti - sono stata ospitata nell'area Business Development  di un'azienda leader mondiale nella progettazione e implementazione di linee di produzione industriale, dove mi sono occupata di redigere un Business Plan per un progetto di diversificazione industriale nel mercato dei contenitori in plastica riutilizzabili. Lo stage, che mi aveva proposto il mio relatore, prevedeva buoni mensa ma nessun compenso.La laurea triennale è arrivata a maggio 2009 - anno in cui a causa del terremoto a L'Aquila tante vite, la mia compresa, hanno iniziato a cambiare. Non avendo fatto esperienze lunghe all’estero, ho passato quell'estate a Londra per perfezionare la lingua, frequentando corsi giornalieri e vivendo in una famiglia del posto. Poi sono tornata alla base e ho continuato gli studi con la magistrale, specializzandomi in Produzione meccanica. È stato questo il periodo in cui mi sono affacciata ad un mondo fin lì sconosciuto, quello delle Risorse umane. Sono diventata socia dell'Aidp, e ho iniziato a partecipare attivamente a corsi e conferenze. «Come mai un ingegnere che non vede il suo futuro all’interno del dipartimento HR fa una scelta simile?», mi è stato chiesto più volte.  Perché ho sempre creduto che per essere un bravo manager non basti avere competenze e capacità di leadership, ma anche cognizione dei meccanismi che regolano la gestione delle persone.Mi sono laureata alla biennale con il massimo dei voti nel luglio 2012 con una tesi sull'ottimizzazione del processo produttivo di rimorchi e semirimorchi, redatta dopo un secondo stage semestrale - anche stavolta gratuito -  in un'azienda del settore - avevo conosciuto il suo direttore HR in uno degli incontri Aidp. Nei mesi successivi alla laurea ho cominciato a fare colloqui, valutando attentamente e senza fretta le offerte. Nel frattempo preparavo l'esame di stato per l'abilitazione professionale, che poi ho passato.Dopo parecchi colloqui mi sono trovata ad avere lo stesso feedback positivo -  stage semestrale retribuito con buone prospettive di inserimento - da due diverse aziende, presso cui mi ero autocandidata. Il primo era in una multinazionale di ingegneria con sede a Zurigo, il secondo in Elica, leader mondiale nel settore delle cappe da cucina. Non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad una scelta di questo tipo e la paura di fare il passo sbagliato era tanta. Alla fine, anche su consiglio del mio relatore di tesi, ho seguito il sesto senso.A maggio 2013 eccomi ad iniziare una nuova esperienza in Elica, con un rimborso stage di 500 euro mensili netti, alloggio a Fabriano con utenze pagate, mensa e palestra aziendale. Un sogno rispetto a ciò che si trovava in giro. Sono entrata a far parte della struttura centrale del WCM, facendo molta formazione sul campo e seguendo le attività di manutenzione e qualità macchina in due impianti aziendali. Finito lo stage, a novembre 2014, il mio ruolo è stato definito come WCM Facilitator Junior e concretizzato in un contratto di apprendistato di tre anni da circa 1400 euro netti al mese più benefit - mensa, palestra, varie convenzioni - e un contratto che prevede uno scatto di livello ogni anno.Un anno dopo, a novembre 2014, è persino arrivata una nuova proposta: diventare coordinatore industriale di tutto il programma WCM di Castelfidardo! Una sfida, un'opportunità. Avevo un sentimento misto di paura e soddisfazione, timore e gratitudine nei confronti di chi stava dimostrando di credere in me. Nell'ultimo anno il mio lavoro mi ha portato anche a seguire gli stabilimenti esteri di Polonia e Messico, con lunghe e frequenti trasferte, e il mio percorso di crescita ha avuto una forte accelerazione.Oggi riesco a mantenermi da sola, ho appena preso un piccolo bilocale e finalmente dopo tanti anni  vivo sola. Certo è solo l'inizio, per il futuro ci sono tante aspirazioni e obiettivi chiari in mente, da perseguire con grinta e umiltà. Ma ora sono felice ed appagata, ogni giorno è nuova possibilità di migliorarsi, e spero solo di poter continuare a dare il mio contributo in quella che è diventata per me una grande famiglia.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Futuro assicurato per Vanessa in Everis: «investimento e fiducia sin dal primo giorno di stage»

Non mi sono mai sentita l'ultima ruota del carro: vedevo la volontà di investire su di me   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Vanessa Colella, 26 anni, assunta a tempo indeterminato nel settore assicurativo di Everis, a Roma.Sono Vanessa e ho quasi 26 anni. Sono nata e cresciuta a Roma, dove ho frequentato il liceo scientifico e una volta diplomata, nel 2008, mi sono iscritta alla facoltà di Scienze statistiche - ora Ingegneria dell’informazione, informatica e statistica -  alla Sapienza. La scelta del corso di laurea è stata istintiva, ma non me ne sono mai pentita; lo stesso vale per quella del curriculum formativo al suo interno, prettamente assicurativo e finanziario. Nell’ottobre 2011 ho quindi concluso la triennale e a marzo 2014 ho ottenuto la laurea specialistica in Scienze attuariali e finanziarie con una tesi sulla gestione del longevity risk, con cui ho ottenuto la votazione di 110/110. Questo corso biennale penso sia uno dei più formativi in Italia, e con ottimi sbocchi; due anni fa gli iscritti erano davvero pochi, somigliavamo più ad una classe di liceo.Le mie esperienze lavorative fino a quel punto erano state come cameriera e babysitter, sin dai primi anni delle superiori; ho anche scritto per un blog televisivo, ma rientrava tra i miei interessi, come pure il teatro. Subito dopo essermi laureata ho inviato il mio curriculum a diverse società del settore, ma Everis è capitata per caso. Dopo un paio di settimane dalla discussione della tesi ho ricevuto una chiamata, probabilmente su segnalazione dell’università, e sono stata invitata in azienda per un colloquio individuale con uno dei manager dell’area Assicurazioni, e per un test di inglese. Poi, dopo appena una settimana, ho ricevuto una lettera di offerta per uno stage di massimo sei mesi con finalità di assunzione e un rimborso spese di 750 euro lordi mensili, più buoni pasto.Nel frattempo ero stata contattata da altre società ma ai colloqui avevo notato un comune denominatore: le persone che mi trovavo di fronte pretendevano che io già sapessi cosa volevo fare nella mia vita. Può sembrare sciocco, ma credo che sia una pretesa eccessiva per un ragazzo appena uscito dall’università. Con la scelta del corso di laurea si sceglie una strada, è vero, ma è talmente piccolo il mondo universitario rispetto alla realtà lavorativa che una volta fuori ci si rende conto che da quella strada se ne diramano tante altre, molte sconosciute. Quello che a mio parere deve offrire una società ai giovani che abbiano terminato gli studi non è solo un posto di lavoro, ma anche la libertà e il diritto di poter sbagliare. Ed quello che Everis ha offerto a me, chiedendomi non tanto di saper fare qualcosa, ma di avere la voglia di farlo. E un ragazzo fresco di studi ha tutta la voglia e l’entusiasmo di fare.Così, aiutata anche dai pareri letti sulla Repubblica degli Stagisti, ho accettato la proposta di Everis, e a maggio 2014 ho iniziato lo stage. Sono stata inserita in un progetto per uno dei principali clienti del ramo assicurativo dell’azienda, prima con mansioni tecniche specifiche, poi con un ruolo più organico. Dopo tre mesi però mi è stata fatta una proposta che pochissimi neolaureati di oggi si sentono fare: un’assunzione con contratto a tempo indeterminato, con una retribuzione lorda annua di quasi 24mila euro, buoni pasto da 8,50 euro e assicurazione sanitaria. Oggi, a un anno dal mio primo giorno in Everis, non soltanto sento di aver imparato molto, ma riconosco l’investimento che l'azienda sta facendo su di me. Ho seguito costosi corsi formativi a spese dell’azienda e ho avuto modo di capire davvero quello che ho studiato all’università. Ho trovato un ambiente giovane e accogliente sin dal primo giorno di stage, non mi sono mai sentita l’ultima ruota del carro, e soprattutto vedevo l’intenzione di un rapporto a lungo termine. Il mio stage, il primo e unico, non è stato un tappabuchi.Oggi, vivendo a Roma con la mia famiglia, non ho avuto la necessità né la fretta di andare a vivere da sola, ma non appena ne sentirò il bisogno so che il mio lavoro mi darà la possibilità di farlo. Non è facile essere un giovane in cerca di lavoro, ma mostrarsi determinati, motivati ad imparare, e convinti delle proprie capacità, anche di quelle non tecniche, aiuta. Sempre che dall'altra parte ci sia qualcuno pronto a riconoscere queste qualità.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Un'opportunità per il futuro»: le storie di due vincitrici del bando "Torno Subito" 2014

Fabiana Alessi e Gaia Mutti sono due vincitrici del bando “Torno Subito” 2014. Fabiana, 30 anni, una laurea magistrale in Architettura, ha scelto Londra per un corso intensivo di inglese di quattro settimane, associato a uno stage (che nell'ambito di questo progetto viene definito work experience) nella filiale dell’italiana “Art Container”, una società specializzata in progettazione architettonica attraverso il riciclo di container Iso marittimi. E dal 22 aprile è entrata nella seconda fase del progetto, con uno stage nell’assessorato ai Lavori pubblici del Municipio V di Roma. Gaia, invece, 24 anni e una laurea in Scienze politiche – Relazioni internazionali, dopo un master per “Esperti in sistemi di gestione aziendale (Qualità, ambiente, energia e sicurezza)” a Milano, è entrata come tirocinante in Officinae Verdi, joint venture del Gruppo Unicredit e della Fondazione Wwf, a Roma. E dopo due mesi la società le ha offerto di interrompere lo stage per offrirle un contratto di collaborazione a progetto per sei mesi.Sono solo due delle storie dei 513 vincitori del bando 2014 [nella foto in alto]: laureati per l’88% e donne per il 63%. Se Fabiana ha scelto di specializzarsi all’estero (come il 52% dei ragazzi selezionati) e ha optato per uno stage finale nel pubblico, Gaia è rimasta in Italia e ha scelto come partner per il tirocinio un’azienda privata (come il 40,35% dei vincitori 2014). Entrambe, però, hanno costruito il proprio progetto partendo da uno specifico settore di interesse. «L’opportunità che dà “Torno Subito” è quella di costruirti un percorso su misura» racconta Fabiana [nella foto a sinistra]. «Io mi ero laureata con una tesi in cui avevo progettato un polo culturale “recycle” nel Municipio V di Roma, con residenze temporanee d’artista costruite usando container Iso marittimi. E ora, nello stesso Municipio, sto lavorando alla riprogettazione dell’area del mercato di Tor Sapienza proprio con i container». Anche Gaia, dopo una tesi sulle fonti rinnovabili, ha scelto «un master molto tecnico e uno stage in una società che fornisce consulenze e servizi su efficienza energetica e energie rinnovabili» perché voleva specializzarsi nel settore. «Avevo già fatto un colloquio in quell’azienda» racconta «ma all’epoca non ero ancora laureata e stavo facendo un altro tirocinio, mentre loro cercavano laureati disponibili full-time. Includendoli come partner nel mio progetto per “Torno subito” ho avuto una seconda chance». Se Gaia era fresca di laurea, Fabiana aveva già lavorato con un contratto di sostituzione maternità in un’azienda di design. «Ero però nell’ufficio acquisti» spiega «quindi ho deciso di candidarmi per “Torno subito” sia perché alla scadenza del contratto ero rimasta senza impiego che per provare a reinserirmi nel mondo del lavoro come architetto».L’esperienza, finora, per entrambe è stata «positiva». Ma non sono mancate alcune difficoltà, legate soprattutto all’entità e all’erogazione dei fondi con le vecchie modalità. «Il bando 2014 prevedeva, prima della partenza, solo l’erogazione di un acconto del 50% dell’intero budget previsto, che non bastava per sostenere i costi all’estero. Calcolando che già gli 860 euro al mese che la Regione dà per le spese di soggiorno nel Regno Unito sono pochi e che l’anno scorso non era prevista un’indennità per la work experience all’estero» spiega Fabiana. «Per i primi mesi a Londra avevo preso una stanza in affitto in un appartamento, insieme a altri ragazzi, ma costava 660 sterline al mese. Poi, per fortuna, avevo amici lì che mi hanno ospitata per l’ultimo periodo». «Ho dovuto comunque dovuto ridurre la work experience a Londra da otto mesi a sei» Fabiana «ma è stata lo stesso un’esperienza importante, che probabilmente non avrei potuto fare senza il finanziamento della Regione». Anche per Gaia [nella foto a destra] far quadrare i conti a Milano non è stato semplice: «Per la Lombardia erano previsti 460 euro al mese per l’affitto e 220 per il vitto, riuscivo a rientrarci appena». La Regione e lo staff di “Torno Subito”, però, si sono dimostrati flessibili per quanto riguardava l’erogazione dei fondi. «A un certo punto mi sono trovata in una situazione in cui, per poter pagare il master, avevo bisogno di ricevere la seconda tranche del contributo regionale» spiega «ma, da bando 2014, la seconda tranche poteva essere erogata solo al termine del master. Ho posto il problema, come del resto altri ragazzi, e ci sono venuti incontro anticipando il secondo acconto del 30%».Anche una volta tornate nel Lazio per lo stage finale, sostenere il costo di un affitto solo con il fondo della Regione si è rivelato pressoché  impossibile. «Per fortuna la mia famiglia è di Roma» racconta Fabiana «quindi per il momento sono tornata a vivere con i miei, perché il bando 2014 prevedeva 400 euro lordi mensili di indennità e non sarebbero bastati per vitto e alloggio». Gaia, invece, che è di Vicovaro - un paese a 45 chilometri da Roma - continua a fare la pendolare: «Sto risparmiando perché anche con il nuovo contratto non potrei ancora coprire tutte le spese. Ma sono contenta perché le prospettive lavorative sembrano incoraggianti». Fabiana, invece, non nasconde la preoccupazione per settembre, quando il suo stage nel Municipio V finirà: «Il lavoro che faccio ora mi piace molto. Sarebbe il sogno di una vita perché mi sto occupando di un progetto che mi appassiona e per cui ho studiato a lungo. Ma le speranze di poter continuare poi a lavorare per il Comune di Roma purtroppo credo siano poche. E l’ansia per il futuro c’è». Certo, ammette, «ho scelto io uno stage in un’amministrazione pubblica, privilegiando il rapporto con un territorio che già conoscevo su altri fattori. Mi interessava lavorare sullo sviluppo di progetti di architettura sostenibile nel pubblico, quindi è stata una scelta consapevole. Forse però, per il futuro, si potrebbe rafforzare il ruolo della Regione nella fase di inserimento nel Lazio, nell’ottica di garantire ai candidati prospettive occupazionali più a lungo termine».Sara Grattoggi

«Lo Sve in Croazia mi ha aperto nuove prospettive, ora punto ad andare in Sudamerica con il servizio civile»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Diana Cossi.Ho 24 anni e vivo a Germignaga, una graziosa cittadina alle pendici delle Prealpi lombarde sulle sponde del lago Maggiore, in provincia di Varese. Sono sempre stata molto legata ai boschi e ai corsi d’acqua del mio paese e credo sia per questo che non ho voluto trasferirmi per studiare. Così mi sono abituata alla vita da pendolare: sveglia presto la mattina e rientro la sera. Alla fine del 2012 mi sono laureata in Mediazione linguistica e culturale, un corso triennale al polo di Sesto San Giovanni dell’università degli studi di Milano. Ora sto aspettando le selezioni per un progetto di Servizio civile in America Latina, al quale ho fatto domanda quando sono tornata dal Servizio volontario europeo.  Ma partiamo dall’inizio.A quattro anni, quando mia madre mi portò a vedere il museo egizio di Torino, decisi che avrei fatto l’archeologa. Ma poi durante il liceo scientifico, con indirizzo socio-psicopedagogico, ho fatto volontariato in un doposcuola, aiutando gli alunni con i compiti e insegnando italiano agli studenti figli di immigrati. Ho così capito che il mio obiettivo era essere utile alle persone, anche se l’archeologia è rimasta una mia grande passione. Avrei potuto dedicarmi ad una professione sanitaria, come i miei genitori, ma ho deciso di diventare mediatrice culturale.Al terzo anno di università, per il tirocinio mi sono rivolta alla mia vecchia scuola, con la quale ho firmato una convenzione: ho insegnato italiano a due fratelli olandesi appena arrivati in Italia ed ho avuto la soddisfazione di vederli comunicare in un italiano stentato ma chiaro dopo solo tre mesi di lavoro.Finita la triennale ho lavorato per un anno come cameriera in un piccolo ristorante, frequentato per lo più da turisti tedeschi e olandesi, un’esperienza che mi ha permesso di migliorare l’inglese e di imparare molto sulle persone e sul mondo del lavoro. Per aumentare le possibilità di trovare un impiego come mediatrice culturale, in scuole o in sedi diplomatiche, a settembre del 2013 mi sono iscritta a un altro corso di laurea triennale a Milano: Scienze internazionali ed istituzioni europee.Intanto, però, avevo già deciso che sarei andata a fare esperienza fuori dall’Italia. Ad aprile la mia ormai ex università aveva organizzato un evento sulle opportunità all’estero. Un incontro informativo sul programma Youth in Action, quello che oggi è l’Eramus +, era tenuto dall’associazione Joint di Milano. Così ho scoperto il Servizio volontario europeo ed ho accantonato le altre idee per andare all’estero. Ho scelto con cura il progetto per cui fare domanda, visto che avevo il lavoro al ristorante e non c’era fretta. Volevo stare all’estero il più a lungo possibile e andare nei Balcani.Ho trovato il giusto progetto grazie anche all’aiuto dell’associazione Joint, che mi ha consigliato di mandare direttamente una candidatura per i progetti che mi interessavano sul database Sve, anche se le selezioni magari non erano aperte. L’importante era indicare da subito una sending organization, nel mio caso la Joint. Ho spulciato nel database tutti i progetti nei Balcani, mandando decine di mail per presentarmi e chiedere se cercassero volontari. A fine agosto mi è arrivata la tanto sperata risposta da un’associazione della Croazia, che mi ha chiesto un colloquio su Skype. Il giorno dell’appuntamento mi sono vestita di tutto punto e ho indossato la mia collana portafortuna. Ero agitatissima. Ma il colloquio è andato bene e dopo pochi giorni mi hanno comunicato che ero stata selezionata, aggiungendo che sarei partita a febbraio, ma intanto bisognava aspettare la conferma del finanziamento del progetto da parte della Commissione europea, che poi è arrivata con molto ritardo: il 23 dicembre. [Nella foto in alto, la costruzione della "casa celtica"]Il 3 febbraio del 2014 sono così partita per Gvozd, un paesino croato di circa tremila abitanti a 40 chilometri dal confine bosniaco. Sono rimasta con la mia hosting organization, l’associazione "Suncokret" (Girasole) un anno: fino al 31 gennaio scorso. Con me c’era un’altra volontaria, la spagnola Blanca, con la quale ho sviluppato un bellissimo rapporto di amicizia. Ma ho condiviso la mia avventura con molte altre persone, anche se magari solo per piccoli periodi. L’associazione infatti ha organizzato campi di lavoro estivi e ha accolto volontari Sve anche per progetti di breve termine, come Noora, un’artista finlandese piena di talento che è stata con noi per tre mesi. Una ragazza persa nel suo mondo ma dal cuore grande: vivere con lei mi ha insegnato ad essere molto paziente. La flessibilità mentale è una virtù sottovalutata.Abbiamo vissuto in una casa in un vasto terreno, di proprietà dell’associazione, dove c’era anche un’altra casa, due orti biologici, la zona per il compost e due docce solari. Con l’orto abbiamo educato i bambini al rispetto della natura attraverso laboratori di permacultura e coltivazione biologica. Come attività educativa abbiamo anche costruito un’altra casa, completamente eco-sostenibile, detta "casa celtica" perché realizzata con paglia, legno e fango, a forma tonda così come la costruivano i celti.Il nostro impegno quotidiano era nel centro giovanile dell’associazione, dove tenevamo corsi (ad esempio sull’igiene dentale, sulla lotta agli stereotipi, sui diritti del bambino) e laboratori manuali con materiali di riciclo. Inoltre aiutavamo i bambini con i compiti e giocavamo con loro. Ho anche tenuto un corso di lingua italiana e uno di danza orientale, che è riuscito ad attrarre anche le madri dei bambini al centro. Queste attività avevano l’obiettivo di creare un ambiente armonioso per i bambini: Gvozd si trova in un’area molto depressa della Croazia, fu praticamente raso al suolo durante la guerra degli anni ‘90 e i suoi abitanti, a maggioranza serba, hanno dovuto abbandonarlo e sono stati rimpiazzati dagli esuli croati espulsi dalla vicina Bosnia. Adesso i serbi stanno tornando alle loro case, ma non le trovano o le vedono occupate da altri. Il tutto è complicato dalla situazione di profonda povertà in cui versano molte famiglie, il tasso di disoccupazione è altissimo, così come i casi di alcolismo. [Nella foto in alto, Diana a Orahovica, in Croazia, per il training di medio termine con gli altri volontari Sve del Paese] In estate le attività sono state diverse perché c’erano i campi di lavoro nella proprietà dell’associazione, abbiamo accolto studenti delle scuole croate e un centinaio di ragazzi belgi. Io e Blanca abbiamo coordinato attività manuali, come nell’orto e nella cucina, e abbiamo fatto animazione. I campi ci hanno dato l’opportunità di conoscere tantissime persone, e nel frattempo sono arrivate altre volontarie per progetti di breve termine, come due ragazze turche: entrambe si chiamano Tuğçe e per distinguerle usavamo i soprannomi Uno e Due!Poi a settembre sono arrivati Tugberk e Yussuf, anche loro turchi, Elena, tedesca, Agathe e Fanny, francesi. Con queste ultime tre abbiamo vissuto in casa, ognuna di noi aveva la propria stanza ma all’inizio la "simbiosi" tra me e Blanca è stata spezzata. Ma dopo una settimana ci eravamo già abituate alla nuova situazione. Passati alcuni giorni ho vietato ad Agathe, che non sapeva l’inglese, di farsi tradurre le conversazioni: le ho detto che volevo imparare il francese e per potermelo insegnare lei aveva bisogno di quella lingua. Ha funzionato. La sua timidezza è svanita quasi magicamente. Quando io me ne sono andata, Agathe era tranquillamente in grado di parlare in inglese. E anch’io, grazie allo Sve, ho migliorato molto il mio livello, in aggiunta allo spagnolo, visto che lo parlavo con Blanca [nella foto a sinistra, Diana con le sue compagne d'avventura, a Sarajevo].Grazie ai soldi che ricevevamo come pocket money, 95 euro al mese, non ho dovuto intaccare i miei risparmi per la vita quotidiana e così ho potuto usarli per viaggiare, e molto, in tutti i Balcani. Con Elena e Agathe ho ad esempio passato il capodanno a Belgrado e poi abbiamo girato per dieci giorni guidando per più di tremila chilometri.Purtroppo la mia esperienza Sve non si è conclusa bene nei rapporti con la responsabile dell’associazione. Noi non ricevevamo soldi per il vitto, stabiliti in 115 euro al mese, ma ci facevano la spesa in base ad una nostra lista. Nessun problema fino a settembre, poi hanno iniziato a dirci che le nostre richieste erano troppo costose e così non arrivava tutto ciò che chiedevamo. A dicembre abbiamo chiesto di avere direttamente i soldi per il vitto e così è successo, ma la responsabile dell’associazione, tornata da una vacanza completamente cambiata, perché sembrava che odiasse tutti, non ha digerito la cosa. L’ultimo mese, a causa del rapporto che si era rotto con lei, è stato carico di tensione, ma anche questo alla fine mi è servito: ho imparato a controllare le mie emozioni e ad essere paziente.Dal punto di vista professionale, invece, grazie allo Sve ho anche imparato a scrivere progetti europei, come gli scambi giovanili, e questo ha cambiato le mie prospettive. Lo Sve, facendomi scoprire un altro ambito rispetto a quello verso cui ero proiettata - l’insegnamento con i bambini - mi ha aperto al mondo dell’associazionismo ed ora è in questo campo che voglio fare esperienza. Per questo al rientro in Italia mi sono candidata per un progetto di Servizio Civile in America Latina, che vedo come una prosecuzione del mio Sve, nel quale sono coinvolte le donne e i bambini in progetti di animazione ed educazione.Adesso sono in attesa della selezione, nel frattempo do ripetizioni a molti ragazzi, vado in università tre volte a settimana e partecipo a scambi giovanili con la mia ormai ex sending organization. Nelle settimane scorse sono stata in Portogallo e a Cipro. Lo Sve mi ha aperto nuove porte, per questo ne parlo con molte persone e mi sono resa disponibile con varie associazioni di Varese per fare conoscere questa grande opportunità. È un’esperienza che consiglio a tutti coloro che hanno la curiosità di scoprire ed imparare.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro  

«Alle job fair prima da studentessa, oggi da addetta HR per Philips»: la storia di Laura

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Laura Giupponi, 26 anni, oggi assunta a tempo indeterminato nel Risorse umane di Philips Italia, a Milano.Sono di San Pellegrino Terme, un piccolo paese in provincia di Bergamo, e ho 26 anni. Ho frequentato il liceo scientifico, in virtù della formazione trasversale che offriva, ma quando nel 2007 mi sono diplomata non avevo idea di quale strada intraprendere all'università. L'indecisione è stata fortissima. Ragionandoci un bel po', ho poi identificato una strada precisa: le risorse umane. Mia madre è psicologa e mio padre è medico: l'attenzione verso le persone credo di avercela nel sangue. Essendo molto interessata al contesto aziendale, e piuttosto razionale, sentivo però che una facoltà come psicologia mi sarebbe stata stretta. Il giusto compromesso è stato scegliere un percorso di Economia con focus sulle risorse umane, e in particolare quello offerto dalla Bocconi.Pur non essendo troppo lontana da Milano e potendo fare la pendolare, mi sono comunque trasferita per vivere a pieno l'esperienza universitaria. Per coprire le spese minori - e mettermi alla prova - ho fatto lavoretti vari: babysitter, hostess, e per un paio d'anni, nel weekend, cassiera in una pizzeria d'asporto, esperienza che mi ha insegnato anche relazionarmi meglio con persone molto diverse da me. Il percorso universitario è andato avanti senza intoppi e dopo la laurea triennale ho deciso di proseguire anche con il biennio specialistico. È in questa fase che sono approdata al mio primo stage, peraltro all'estero.Tramite il Jobgate della Bocconi, la piattaforma online di incontro tra domanda e offerta riservata agli studenti dell'ateneo. Meta del mio stage: una piccola azienda di Ginevra che quota la sostenibilità ambientale e sociale di varie aziende. Qui da ottobre 2012, per tre mesi e mezzo, mi sono occupata di analisi dati, senza alcun rimborso; né i tutor avevano molto tempo per formare gli stagisti, più orientati com'erano al peer coaching. Si trattava però di un tirocinio curriculare, e mi è servito anche per scrivere la tesi. Ginevra poi è meravigliosa, un'esperienza in questa città è impagabile - per quanto trovare un alloggio è stato un incubo!Il Jobgate ha funzionato anche per il mio secondo stage, quando ormai avevo finito l'università. Inviata la candidatura a ridosso della laurea magistrale, a settembre 2013, dopo qualche settimana sono stata invitata da Philips ad un assessment di gruppo, poi a colloquio con due manager, infine con gli altri membri del management HR. Ho superato tutte le fasi e a novembre sono stata accolta nel team Risorse umane per Italia, Grecia e Israele, area Talent Acquisition e Learning, dove dopo qualche settimana di mansioni junior ho iniziato a lavorare alla selezione dei nuovi stagisti e all'organizzazione dei training. Per me un'esperienza formativa al 100%, che mi garantiva anche un rimborso di 800 euro netti al mese.A marzo 2014 poi, due mesi prima della fine pattuita dello stage, mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni, che dopo un solo anno si è trasformato a sua volta in tempo indeterminato. Quando sono entrata in Philips per la prima volta non avevo molte aspettative per il mio futuro, ma solo tanta voglia di imparare e di confrontarmi con il mondo del lavoro. Oggi invece, a 26 anni, le fiere del lavoro organizzate dalla Bocconi le vivo lato azienda! Lavoro in un settore che mi piace, in una divisione aziendale affascinante e innovativa - quella Lighting - e mi mantengo da sola a Bergamo, con uno stipendio annuo lordo di circa 30mila euro all'anno. Il mondo HR poi è in continuo movimento e mutazione, è molto interessante, anche se non escludo che mi piacerebbe testarmi in altre funzioni. Mi ritengo molto fortunata ad essere dove sono. È innegabile che un po' di fortuna serve, ma vorrei far arrivare ai miei coetanei il messaggio che chi vale prima o poi emerge, se ha umiltà e fiducia nelle proprie capacità.

«Il mondo in cui mi vedo tra 10 anni è qui, in EY»: la storia di Martina

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Martina Capriotti, 25 anni, assunta con apprendistato nella settore consulenza di EY, a Roma. Classe 1989, sono nata e cresciuta in una località balneare sulla costa romagnola che risponde al nome di Bellaria Igea Marina, dividendomi tra scuola e sport. Studentessa al liceo scientifico e pallavolista, mi sono diplomata con lode nel 2008, iscrivendomi poi a Scienze politiche, indirizzo relazioni Internazionali, alla Luiss di Roma. Ventidue esami ed un Erasmus a Copenhagen più tardi, mi sono laureata con il massimo dei voti. Era novembre 2011 e nel frattempo il sogno di una carriera diplomatica aveva già lasciato il  posto a nuove passioni, nate tra il corso di Macroeconomia e quello di Economia politica. Per la magistale infatti, iniziata il mese prima, avevo optato per il corso in General management con indirizzo International Business, insegnato in inglese. Armata di pazienza, passione e tanta curiosità, ho concluso il primo anno accademico con buoni risultati, grazie ai quali sono stata ammessa ad un programma di scambio bilaterale che mi ha portato in Canada sei mesi presso la University of Ottawa con una borsa di studio dell'università, che comunque ha coperto solo in parte i costi. Tornata in Italia, mi sono dedicata alla stesura di una tesi sperimentale sul content marketing, una branca innovativa e ancora poco studiata all’epoca. Parallelamente, da marzo 2013, ho fatto un tirocinio di tre mesi nell’ufficio Marketing di Iccrea Holding, azienda di servizi alle banche, ricevendo come compenso i buoni pasto. Mi sono laureata a novembre 2013 con 110 e lode, in quella Roma che però già avevo lasciato per trasferirmi a Milano. Il mese prima avevo infatti cominciato uno stage nell’area Advisory – Performance improvement di EY ottenuto – udite udite! – senza mandare nemmeno un cv: a maggio, quasi per gioco,  avevo partecipato alla EY Business Challenge promossa nella mia università. Dopo aver superato le prime due fasi, io e il mio team siamo approdati in quella finale da cui siamo usciti vincitori presentando un’idea imprenditoriale nell’ambito del mobile payment e portandoci a casa, oltre a tanto entusiasmo e soddisfazione, un weekend a base di innovazione con il management EY presso H-Farm, un in-company training presso gli uffici di EY Madrid, più uno stage di tre mesi nel settore consulenza, remunerato con 750 euro lordi al mese più buoni pasto da 5,16 euro.Senza aver mai considerato davvero la consulenza, mi sono sempre più appassionata a questo lavoro, fatto di sacrificio ma anche di soddisfazioni, in un ambiente giovane e dinamico in cui ho trovato tanti colleghi ed altrettanti amici. Dopo un rinnovo dello stage di ulteriori tre mesi, sono stata assunta i primi giorni di aprile 2014 con un contratto di apprendistato di due anni e una ral di di 24mila più buoni pasto. Oggi, a un anno da quel giorno, ho lavorato su diversi progetti, sia in team che in autonomia e principalmente in ambito Customer, guadagnandone in termini di sicurezza e flessibilità, nonché di competenze e di rapporti umani, che restano una delle cose più belle che il lavoro in EY mi ha regalato.Sopita la mia innata vocazione per l’estero, che non escludo di poter risvegliare grazie al network internazionale di Ernst Young, non posso che ritenermi fortunata di far parte di un gruppo che ha sempre riconosciuto il valore del mio lavoro ed in cui il concetto di stage fine a sé stesso, così comune nel nostro Paese, per le risorse meritevoli non esiste. È, con tutti i suoi difetti, il mondo in cui mi vedo tra 10 anni, sicuramente stanca e stressata ma felice e soddisfatta di dove, grazie a questo lavoro, sarò arrivata e di ciò che sarò diventata. Oggi mi trovo più matura, autonoma, sicura e ambiziosa che mai, in un ambiente che offre grandi opportunità di crescita per chi le sa riconoscere e cogliere.A questa età, per quanto il mondo là fuori si ostini a farci sentire sempre più indietro di dove dovremmo essere, abbiamo davanti a noi tutto il tempo e lo spazio necessari per metterci in gioco senza paura. Dobbiamo trovare in noi la fiducia nel fatto che ciò ci ripagherà, in un futuro più o meno prossimo, anche solo per aver avuto il coraggio di giocare e di scommettere - per quanto azzardata la scommessa potesse sembrare - sul nostro successo.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Centro per l'impiego di Trento, per combattere la disoccupazione si guarda all'estero

A Trento l’iscrizione alle liste di disoccupazione si può fare da anni direttamente online, comodamente seduti a casa propria. Uno strumento per evitare le code che spesso intasano gli sportelli dei centri per l’impiego di altre parti d’Italia che però anche nell’attivo nord est ancora in pochi usano. E il gap tecnologico non investe solo i lavoratori stranieri o gli “stagionali”, ma anche i più giovani. «La digitalizzazione è meno diffusa di quanto pensiamo» spiega Antonella Chiusole, dirigente dei Centri per l’impiego trentini. «Abbiamo avuto problemi anche con i ragazzi che volevano iscriversi alla Garanzia Giovani, in cui la procedura è tutta online. A volte purtroppo diamo per scontato cose che non lo sono affatto».A Trento e provincia sono attivi 12 centri per l’impiego che dipendono dall’Agenzia per il  lavoro, una struttura provinciale autonoma sia dal punto di vista della governance (il presidente è un soggetto esterno alla Provincia e nel cda siedono rappresentanti pubblici e delle associazioni di categoria), sia  dal punto di vista amministrativo, contabile e gestionale. Nonostante i numeri non siano nemmeno paragonabili ai 150mila iscritti a Cpi come quelli di Siracusa, anche nel produttivo Trentino gli effetti della crisi si stanno facendo sentire: se, infatti, nel 2010 quasi il 29% dei circa 21mila nuovi iscritti nell’area di Trento trovava lavoro nell’arco di un anno, l’anno scorso la percentuale è scesa a poco più del 18%, mentre il numero di nuovi iscritti nel corso del 2014 è aumentato sfiorando i 27mila e facendo arrivare il totale a quasi 45mila posizioni. Per far fronte alla crisi oltre ai normali ammortizzatori, a Trento da ottobre 2014 è stato istituito il “Reddito di attivazione”, che prolunga le indennità statali. Una misura pensata in una prima fase a favore degli over 54 e dei precari (mini aspi) e che da gennaio 2015 si estenderà agli under 50. I requisiti riguardano la residenza in Trentino e il rispetto del patto di servizio. Complessivamente la Provincia ha stanziato 28 milioni di euro fino al 2016 che andranno a beneficio di circa 36mila lavoratori. Il reddito di attivazione viene concesso dall’Agenzia del lavoro ed è erogato dall’Inps in via automatica. Nel 2014 sono stati autorizzati 172 beneficiari di cui 21 a termine del periodo di Aspi e 151 al termine del periodo di MiniAspi per un totale di 379.464 euro.Ma qui ai confini dell’Italia più che altrove, le risposte messe in campo contro la disoccupazione guardano all’Europa. «Abbiamo dei progetti a sostegno dell’imprenditorialità e della mobilità dei disoccupati all’estero» sottolinea Chiusole, ricordando che si tratta di iniziative attivate con dei finanziamenti europei a cui partecipano soprattutto i giovani. «Facciamo una prima selezione sul livello linguistico minimo perché abbiamo visto che se non si ha una certa conoscenza della lingua, il percorso difficilmente funziona. Poi dopo un colloquio, i candidati selezionati trascorrono un tirocinio all’estero che va dalle 5 alle 15 settimane». E i risultati si vedono. «A distanza di 12 mesi il 79% dei ragazzi ha trovato un lavoro in Italia o all’estero». Numeri che fanno ben sperare anche per la Garanzia Giovani, il programma straordinario per la lotta alla disoccupazione giovanile finanziato dal Fondo sociale europeo, rivolto ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. «Secondo la nostra esperienza il tirocinio è essenziale per trovare lavoro», spiega Chiusole. In Trentino, che beneficia di circa 8 milioni e 300mila euro stanziati dall'Unione europea, fino ad oggi sono state raccolte più o meno 7500 adesioni «circa la metà di residenti nella nostra regione», sottolinea la dirigente, spiegando che il programma è stato articolato su quattro percorsi, due basati su tirocini, uno per l’apprendistato e il quarto per il servizio civile. Il primo percorso è il più gettonato: prevede un'attività di orientamento individuale, seguita da una di formazione breve e quindi dal tirocinio in aziende provinciali o nazionali.  Il secondo percorso invece prevede una formazione specialistica più un tirocinio di durata variabile. C’è poi l’apprendistato per il conseguimento di qualifica o diploma che prevede 460 ore di formazione, di cui 100 in azienda. Infine il percorso sul Servizio civile. Si sta poi ragionando su altre proposte ed eventualmente altri percorsi oltre ai quattro già avviati. Tra le ipotesi di lavoro, le esperienze all’estero con tirocinio o il potenziamento dell'incontro domanda-offerta attraverso specifici progetti di accompagnamento al lavoro.Un lavoro a parte viene svolto sul fronte delle imprese a cui i Centri per l’impiego non offrono solo una bacheca per l’incontro di domanda e offerta. «Dall’anno scorso, stiamo cercando di potenziare l’interazione con le aziende» riferisce Chiusole «andando direttamente negli uffici a spiegare i nostri servizi. Diamo anche la possibilità di pubblicare sul nostro sito annunci anonimi e, se il datore di lavoro vuole, lo affianchiamo nei colloqui preliminari o ci incarichiamo direttamente noi di svolgerli. Per le collaboratrici domestiche o le badanti, ad esempio, è un meccanismo molto apprezzato». Anche in un’isola felice i problemi restano legati alla carenza di risorse e al carico di lavoro degli operatori, che non sempre riescono a seguire al meglio ogni caso. Nei 12 centri per l’impiego trentini lavorano attualmente 131 operatori (di cui 102 a tempo indeterminato), che seguono in media 342 iscritti a testa. «Le regole in questo momento vanno bene, bisogna solo applicarle con rigore» sottolinea Chiusole «certo, bisogna investire perché dove i servizi per l’impiego funzionano ci sono molti meno disoccupati che altrove». E in questo quadro, forse, il sistema di accentramento delle politiche attive previsto nel Jobs Act «non è detto che sia il migliore» conclude la dirigente «anche perché il mercato del lavoro è molto diverso da regione a regione».

Erasmus, servizio civile, servizio volontario europeo, stage e ora lavoro e volontariato: l'enplein di Alessia

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Alessia Bruni.Sono nata 27 anni fa a Torino, dove mi sono laureata prima in Lettere moderne per la triennale e poi, nel 2013, in Culture moderne comparate per la specialistica. Oggi, dopo lo Sve, uno stage e una collaborazione per il doposcuola con una cooperativa, lavoro per Citywin, un’azienda di consulenza per enti pubblici e privati. Questo impiego è il risultato di molte esperienze di formazione e lavoro che ho fatto negli ultimi anni. Partiamo allora dall’inizio.La prima fondamentale esperienza per la mia formazione è stata con gli Scout del gruppo Torino 22, nel quale sono entrata a otto anni e sono rimasta per quattordici. Durante il secondo anno di laurea triennale, tra il 2007 e il 2008, sono stata sette mesi in Erasmus in Scozia, a Glasgow. Poco dopo ho svolto il Servizio civile nazionale alle Biblioteche civiche torinesi, per un progetto che si chiamava "Biblioteca in ospedale" e aveva l’obiettivo di portare in luoghi non convenzionalmente adibiti alla lettura i servizi offerti dalle biblioteche. Ho iniziato a novembre del 2008 e ho finito un anno dopo.Il Servizio civile ha influito enormemente sulla mia crescita personale, formandomi come cittadina: grazie ai corsi obbligatori ho potuto conoscere l’ambito delle pari opportunità, come la questione femminile, i diritti Lgtb e quelli degli stranieri. Inoltre sono stata coinvolta in un progetto di volontariato del Comune, intervistando di notte i senza fissa dimora. Grazie al Servizio civile ho avuto le prime informazioni sulle opportunità offerte ai giovani dall’Unione europea, quindi ho scoperto cosa fosse il Servizio volontario europeo.Nel secondo anno della laurea specialistica ho svolto un importante stage; non era obbligatorio per il piano di studi, ma io credo che durante l’università siano essenziali le esperienze concrete in azienda. Così a marzo del 2011 ho mandato una candidatura per un annuncio di stage alla Rai di Torino, pubblicato dall’università. Sono stata selezionata e ho iniziato lo stage a novembre: è durato cinque mesi. Il tirocinio prevedeva lo sviluppo di una ricerca multidisciplinare sui cataloghi Rai: io sono partita con una ricerca sulla cultura yiddish, poi ho studiato la narrazione televisiva italiana e questa ricerca è stata poi l’argomento della mia tesi di laurea.A ottobre del 2012 ho frequentato un master in Europrogettazione di Eurogiovani a Torino. Il corso è durato solo una settimana ma mi ha fornito importanti conoscenze sull’Unione europea. E guarda caso, poco dopo la fine del master, sono stata selezionata per il progetto di Sve in Romania per cui avevo mandato domanda qualche mese prima. Era già da più di un anno che pensavo allo Sve. Navigando su Internet avevo scoperto l’associazione Scambieuropei, alla quale avevo mandato molte candidature per diversi progetti. Scambieuropei è stata così la mia organizzazione di invio per la Romania, a Braila, per il progetto Linking generations dell’associazione Anmrf.Sono partita per la Romania il 3 giugno del 2013 e ci sono rimasta fino all’ultimo giorno dell’anno. Con me c’erano altri volontari: Svetlana, bulgara; Yana, armena; e Laurent, francese, che poi ha finito il suo progetto e al suo posto è arrivata Valeria, una ragazza lucana emigrata in Francia. Con tutti loro ho condiviso sia il volontariato sia la casa. Inoltre l’associazione aveva anche un altro progetto attivo, per cui c’erano i volontari spagnoli Alfredo e Gisela. Quest’ultima per tre mesi ha vissuto con noi, e questo ha portato a un po’ di problemi: per esempio abbiamo dormito a turno a casa della responsabile dell’associazione. Ma le discussioni sono state utili, alla fine, per unirci.A parte qualche inconveniente con la casa, tutto è andato bene. Ad esempio il pagamento è sempre stato regolare: 40 euro per il cibo e 60 di pocket money. I soldi sono bastati, ho attinto dai miei risparmi solo perché ho viaggiato per il Paese. Purtroppo sono dovuta tornare anche a casa per risolvere alcune questioni relative alla morte di mio padre, che è mancato un mese prima della mia laurea.Durante il progetto Sve abbiamo svolto molte attività. Ad esempio ho tenuto un laboratorio di lingua e cultura italiana in biblioteca, abbiamo fatto incontri di lettura in una casa di riposo, lavorato in due asili, ho coordinato nella sede dell’associazione un gruppo di discussione sui temi della pace e degli Obiettivi del millenio, ho curato il blog del nostro progetto. Inoltre abbiamo pubblicato un libro, A sunny village, con le interviste raccolte de me, Valeria, Yana e Svetlana agli anziani della città [in alto a destra, Alessia con uno degli anziani che ha intervistato], su quattro temi diversi: vita nel periodo post bellico, amore, infanzia e multiculturalismo.L’organizzazione non ci ha fatto mancare il corso linguistico rumeno e un corso sulle generazioni, cioè la formazione sull’oggetto del nostro progetto: che cosa sono le generazioni e quali le caratteristiche psicologiche e sociali dei bambini, degli adolescenti e degli anziani. Lo Sve è stata senza alcun dubbio un’esperienza positiva, non solo perché mi ha fatto conoscere un paese affascinante come la Romania, ma perché ho avuto l’opportunità di riflettere molto sulle differenze e somiglianze tra popoli, e ho potuto sperimentare ciò che ho studiato all’università. L’unica critica che posso fare al progetto è che si è insistito poco sul dialogo tra generazioni, perché abbiamo lavorato per lo più a compartimenti stagni, con solo bambini, o giovani o anziani.A proposito di dialogo tra i popoli, tra i ricordi più cari dello Sve c’è un episodio di cui sono stata testimone al primo training per tutti i volontari della Romania. Quando un ragazzo turco si è avvicinato per presentarsi alla mia coinquilina Yana, le ha chiesto innanzitutto scusa per il genocidio armeno (che la Turchia si rifiuta ancora oggi di riconoscere, ndr). Oppure ricordo una ragazza conosciuta in treno, mentre andavo a Timisoara a salutare un’amica che avevo conosciuto in Erasmus. È stato strano perché alla ragazza ho chiesto il nome, e lei mi ha risposto dicendomi l’età: eravamo nate lo stesso giorno. Inoltre lei faceva ancora gli Scout. Questo incontro mi ha colpito perché gli ideali dello scoutismo, basati sul  proposito di “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”, sono la motivazione di ogni mia scelta.Quando a gennaio del 2014 mi sono ritrovata a casa a Moncalieri, in provincia di Torino, ho iniziato a cercare lavoro in ogni ambito. A metà aprile una cooperativa mi ha offerto una sostituzione in un doposcuola. Poi a maggio sono stata contattata dal Centro per l’impiego di Moncalieri, dove ero andata per un colloquio: al Metro cash & carry, un supermercato all’ingrosso, cercavano stagisti. A giugno ho così iniziato il mio tirocinio a 600 euro al mese, nello sportello dell’accoglienza clienti. Poi ho fatto anche la cassiera. Lo stage si è concluso il 2 dicembre scorso. È stata una bella esperienza perché ho scoperto il mondo della vendita, entrando in contatto con ristoratori e liberi professionisti. Ho avuto anche l’occasione di parlare rumeno con diversi clienti.Ora invece lavoro per Citywin, un’azienda torinese di consulenza per enti pubblici e privati. Ho iniziato poco più di un mese fa. Avevo trovato un annuncio in Internet in cui tra i contatti c’era un numero di telefono: ho chiamato e mi hanno chiesto di parlare di me, così ho raccontato delle mie lauree, dell’esperienza in Romania e degli stage. Dopo un colloquio in azienda e un periodo di prova, mi hanno offerto un contratto di procacciatore d’affari che mi garantisce un fisso più provvigioni per le transazioni che riesco a concludere: mi occupo di acquisire nuovi clienti per un’importante società energetica.Sono contenta perché credo che l’azienda voglia investire su di me, noto interesse per le mie proposte e le procedure di monitoraggio del lavoro svolto che presento, una tecnica che ho imparato durante il Servizio volontario europeo. D’altronde  dello Sve parlo sempre molto, nei colloqui che ho fatto da quando sono tornata dalla Romania c’era sempre attenzione da parte dei selezionatori per questo programma, che non conoscevano.L’esperienza Sve in qualche modo per me continua. Dallo scorso gennaio faccio parte dell'’associazione culturale Plasmabile, che aiuta i giovani a realizzare le proprie idee artistiche: ora stiamo lavorando su "Sipari di carta", un concorso per drammaturghi che finanzierà un’opera. Inoltre curo un mio blog personale, dove scrivo riflessioni in cui invito ad andare sempre oltre le apparenze e a non fermarsi mai nella ricerca di conoscenze. Spero un giorno, con l’associazione con cui collaboro, di riuscire a realizzare un progetto di Servizio volontario europeo sul tema delle generazioni, lo stesso che ho affrontato io in Romania.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

«Stage, non bisogna farsi abbagliare dagli specchietti per le allodole»: invece ad Alessandro con Infocert è andata bene

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alessandro Capobianco, 28 anni, oggi assunto nel settore legale di Infocert, a Roma. Sono nato ad Assisi nel 1986 e ho sempre vissuto a Perugia, dove ho anche frequentato l'università. In totale autonomia decisionale - i miei genitori sono dipendenti pubblici - mi sono iscritto a Giurisprudenza, frequentando il terzo anno in Spagna, a La Coruna, grazie a un Erasmus di nove mesi che si è rivelato una bella esperienza di vita e di studio. A Perugia ci sono rimasto anche dopo la laurea, a fine 2010, per fare la pratica forense. E no, non sono stato pagato: mi è stato dato un piccolo contributo ma sono riuscito a malapena a rientrarci con le spese. E sono uno che durante tutta la fase universitaria  ha sempre fatto piccoli lavori, per altro abbastanza diversi tra loro, per avere un po' di autonomia economica: consegna pizze, fotografo in un'agenzia, delegato in materia di appalti.Finita la pratica poi mi sono trasferito a Roma per frequentare un master in consulenza legale di impresa alla Luiss, master che poi mi ha portato al mio primo stage: sei mesi, da marzo a settembre 2013, presso Nissan Italia. L'inizio è stato turbolento per la verità: ero stato assegnato all'ufficio legale, ma dopo tre settimane la dirigenza del settore è venuta meno e, con il reparto in subbuglio - più qualche divergenza con il tutor - ho dovuto proseguire il mio percorso nel customer service. Percevivo un buon rimborso, 800 euro al mese più servizio mensa. Però le speranze di essere assunto, dopo, erano minime: il ricircolo di stagisti era serrato, né la mia esperienza era stata esaltante.Sconsiglierei a chiunque di fare un'esperienza fine a se stessa, è bene informarsi prima su come l'azienda si comporta con gli stagisti e, se si viene a sapere di speranza di assunzione basse, meglio lasciar perdere. Si corre il rischio concreto di passare da stage a stage per anni senza trovare mai un vero lavoro. Personalmente ritengo il fattore rimborso meno importante, fin tanto che si sta imparando sul serio. Rimane comunque il fatto che in fatto di lavoro siamo piuttosto fantasiosi: i vari cococo, lavoro a chiamata, finte partitita Iva eccetera, continuano e prestarsi come modi efficaci per sfruttare le giovani leve giocando sulla disperazione di una generazione schiacciata da un tasso di disoccupazione prossimo al 50%. Spesso lo stage è uno specchio delle allodole che nasconde l'ennesimo strumento di precarizzazione.Spesso ma non sempre, come mi ha insegnato il mio secondo stage: tutt'altra musica. L'ho iniziato subito dopo il primo, a ottobre 2013, sempre a Roma ma questa volta in Infocert, la multinazionale di servizi informatici. È stato uno stage piuttosto lungo, sei mesi più altri sei di proroga, ma è stato un anno di grande crescita per me, e le persone che ci ho trovato ora sono ben più che colleghi. Ho percepito sin da subito questo splendido ambiente umano e professionale. Eppure prima non conoscevo l'azienda, mi era stata segnalata da un amico. Così mi ero candidato ad una posizione legale tramite il loro portale di recruiting: una settimana dopo era arrivata la chiamata delle risorse umane per un primo colloquio, poi un secondo - entrambi abbastanza informali -  poi ancora una settimana ed era arrivata la telefonata più importante: ero stato scelto io.In Infocert ho collaborato nell'ufficio gare e ho dato un supporto giuridico sui contratti con i clienti, ricevendo un rimborso di 500 euro per il primo semestre e di 600 per il secondo, più ticket restaurant da 9 euro al giorno. Cosa più importante di tutte, dopo mi è stato offerto un contratto a tempo determinato di 18 mesi con una Ral - retribuzione annua lorda - di circa 20.500 euro, che mi permette di mantenermi da solo a Roma senza l'aiuto dei miei genitori. Ora mi occupo di compliance normativa e di progettazione dei processi da implementare verso i clienti di InfoCert e confrontandomi con i colleghi giuristi della stessa età non sento di potermi lamentare.Insomma, il messaggio che vorrei lanciare a tutti è di non farsi abbagliare dallo specchio per le allodole: lo stage deve servire per avvicinare i giovani al lavoro, con tutte le responsabilità e i diritti che ne derivano.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo