Categoria: Storie

La startup che vuole rivoluzionare l'hr management sta per sbarcare al Festival del Lavoro di Palermo

Davide de Palma, classe 1982, pugliese con una laurea in scienze e tecniche psicologiche indirizzo di psicologia del lavoro è nella top ten della 500 Leader Excellence Award 2015, un riconoscimento internazionale che ogni anno premia le migliori leadership organizations. Dallo scorso marzo il suo progetto, Das HumanKapital, è diventato una realtà imprenditoriale con l'obiettivo di rivoluzionare il mondo dell’hr management grazie a corsi di formazione strategica sul social human plan e al People Performance Plan, piattaforma che serve a creare una nuova idea di gestione del personale dal basso e che vede tutti protagonisti nel proprio lavoro. L'idea sembra così promettente che de Palma sarà questa settimana ospite del Festival del Lavoro, che avrà luogo a Palermo da giovedì 25 a sabato 27 giugno, nel panel "La cassetta degli attrezzi" previsto all'interno della rassegna "La fabbrica delle idee", al Teatro Massimo venerdì 26 giugno alle 15, nel quale verrà presentato anche l'opuscolo «Ci vediamo al lavoro: 10 risposte per 10 domande». Il dibattito sarà moderato dal direttore della Repubblica degli Stagisti, Eleonora Voltolina, e vedrà la presenza del sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone, del presidente della Fondazione Consulenti per il Lavoro Mauro Capitanio, di Giorgia D'Errico, rappresentante del gruppo Lavoro & Welfare Giovani, dell'assessore al Lavoro della Regione siciliana Bruno Caruso, nonché di Alessio Romeo, inventore del social network Face4job; di Pietro Latella, presidente dell'associazione Nazionale Giovani Consulenti del Lavoro; e in rappresentanza del mondo universitario Alida Lo Coco, direttore del Centro di orientamento e tutorato dell'università di Palermo.L'idea di Das HumanKapital nasce quando Davide de Palma era un giovane universitario e in Italia in pochissimi studiavano e lavoravano intorno allo Human Capital Management e ai processi di virtualizzazione degli spazi aziendali attraverso un approccio social. E in pochi anni è arrivato a ricevere un prestigioso riconoscimento: come accennato, è infatti in sesta posizione nella top ten della 500 Leadership Excellence Award 2015 per la sessione International Leadership Partner & Provider. A dimostrazione di come una teoria nata tra banchi dell’università di Bari Aldo Moro possa diventare una realtà organizzativa riconosciuta anche a livello mondiale. De Palma ha anche pubblicato Why Human Capital is important for Organizations: People come First, scritto a quattro mani con Amelia Manuti. Il libro consiste in un percorso di riflessioni e discussioni tratte dal blog, molto letto dagli addetti ai lavori e non solo, con "punte" di traffico di 30 mila visitatori unici - numeri di tutto rispetto per uno spazio web non professionale. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Palgrave Macmillan in inglese per garantirne una diffusione globale; per ora non è purtroppo prevista una traduzione in italiano, dipenderà dalle richieste di acquisizione dei diritti.Una delle novità che de Palma ha apportato riguarda proprio la creazione della prima standardizzazione nell’ambito del Management System, ovvero la prima norma tecnica per arrivare ad una standardizzazione riconosciuta dei processi di gestione del personale. Il libro infatti rivede la gestione del personale in una nuova ottica manageriale, ponendo al centro di tutto le persone.E l'attività di DasHumanKapital non si ferma al livello "virtuale". A fine aprile sono giunti a Bari i massimi esperti della psicologia organizzativa e della complessità, direttori e Ceo di realtà aziendali presenti sul territorio nazionale per confrontarsi sul concetto di capitale umano in un convegno organizzato con la collaborazione dell’università Aldo Moro. Così, tutto il lavoro di network iniziato anni fa online si è trasformato in un incontro face to face in cui ha posto non solo i relatori al centro dell’evento, ma soprattutto il pubblico. DasHumanKapital quest’anno è diventata una realtà aziendale, ed ha come core business il People Performance Plan, cioè una piattaforma capace di costruire il bilancio del capitale umano. «Si tratta di una piattaforma che permette di avviare un processo di virtualizzazione delle prassi aziendali rendendo i lavoratori protagonisti del proprio lavoro. Dall’altra parte, il ruolo dell’HR diventa strategico e orientato a gestire il capitale in modo accurato e puntuale tale da creare nuove linee di business» spiega alla Repubblica degli Stagisti Davide de Palma. Il People Performance Plan  e i corsi di formazione hanno come obiettivo quello di migliorare l’approccio al lavoro facendo amare ai lavoratori quello che fanno perché attraverso la social collaboration aumenta la motivazione. Il costo di questo servizio per le aziende è di 7,5 euro per dipendente al mese. Per ora quella di DHK può essere considerata una start up a costo zero, perché non ha dipendenti, ma soci «chiunque abbia intrapreso questo viaggio ne è parte integrante prendendosi i rischi e i benefici» chiude de Palma. Formalmente è società a responsabilità limitata, ed è anche un esempio di coworking, dato che la sede legale è presso lo studio Pisani - uno dei più convinti  supporter di DHK è Maddalena Pisani, commercialista che ha creduto nell'idea e ha deciso di dare una mano in prima persona - al fine di ammortizzare i costi dell’affitto.Quest’anno DHK ha anche lanciato il progetto #LoveYourWork da un’idea di Maria Cesaria Giordano, membro del consiglio d’amministrazione di DHK e amante degli hashtag, e da una frase di Sant’Agostino che Davide de Palma ama ripetersi: «Ama e fa ciò che vuoi», importante anche per Freud che sosteneva che la felicità si basa sulle due parole Amore e Lavoro. #LoveYourWork vuole essere il contenitore che mette in risalto un nuovo concetto di lavoro coinvolgendo gli utenti in rete su ogni social.Maddalena D'Urso

Vent'anni, un contratto e uno stipendio: dalla scuola al lavoro il passo è breve per Lorenzo, sistemista in ContactLab

Ci sono molte offerte di lavoro nel settore informatico, ma non tutte le aziende sono uguali   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Lorenzo Tremolada, 20 anni, assunto con apprendistato in ContacLab, a Milano.Ho vent'anni e sono di Lissone, in Brianza. Fin dalle scuole medie ho dimostrato grande interesse per la tecnologia, e in particolare per i computer, così ho deciso di frequentare il corso di Informatica e telecomunicazioni presso  l’istituto tecnico di Monza, dove mi sono diplomato nel 2013 - con ottimi voti nella materie di indirizzo e un po’ meno nelle materie tradizionali! Durante gli anni delle superiori il mio interesse per i computer è cresciuto, fino a fruttarmi anche qualche lavoretto di riparazione pc e piccole assistenze. Ho anche tenuto un corso di informatica di base per persone della terza età presso una scuola di Monza. Durante il quarto anno di superiori poi ho partecipato ad un progetto di alternanza scuola-lavoro che prevedeva uno stage formativo di quattro settimane in aziende del settore informatico, durante il periodo scolastico. Io ho scelto di essere ospitato in una piccola azienda vicino casa che si occupa di assistenza e servizi informatici, dove ho gestito con grande autonomia il laboratorio di riparazione pc. Essendo parte di un progetto scolastico, lo stage non mi è stato rimborsato, ma è stata comunque un’ottima esperienza, che ha contribuito al mio desiderio di farne un lavoro vero e proprio nel futuro.Così, finite le superiori, ho cercato un buon corso di formazione, che mi permettesse di aspirare a un’esperienza lavorativa concreta. Tramite la mia scuola ho partecipato alle selezioni per il corso annuale in Junior Networking e sono riuscito a beneficiare di una delle borse annuali messe a disposizione dalla struttura organizzativa. Il corso prevedeva anche l’inserimento finale in azienda tramite uno stage semestrale con il successivo rilascio della certificazione certificazione Cisco Certificate Network Associate. Finita la parte teorica del corso, ho quindi fatto tre colloqui nelle aziende che proponevano la posizione che più mi interessava, quella di sistemista, e sono stato subito scelto da ContactLab, multinazionale leader in Italia nell'offerta di soluzioni di customer engagement attraverso il digital direct marketing.Ho iniziato il mio stage a marzo 2014 come sistemista junior, occupandomi di tutta la parte informatica interna: gestione client e server, amministrazione della rete aziendale, configurazione ed installazione delle postazioni di lavoro, assistenza agli utenti, gestione remota del nostro data center. E ho preso parte ai nuovi progetti di espansione dell’infrastruttura IT, come la configurazione nuova rete Wi-Fi. Ogni mese percepivo un rimborso spese di 300 euro più buoni pasto, che coprivano abbondantemente i costi da pendolare verso Milano. Al termine dello stage, prima dell'estate, l'azienda mi ha proposto un contratto di apprendistato di due anni con uno stipendio di 1.380 euro lordi al mese per 14 mensilità. Attualmente, avendo vent’anni, vivo ancora con i miei genitori e non ho grosse spese, così posso permettermi vizi e hobby prima preclusi: viaggi, auto nuova, serate con amici. Sono molto soddisfatto, come primo contratto di lavoro non mi posso certo lamentare. Del resto lavoro in un settore fortunato, dove anche in Italia ci sono molte offerte di lavoro. Mentre ero già assunto, mi sono continuate ad arrivare proposte di stage – frutto di vecchie candidature - ma per esperienze che non prevedevano l’assunzione. Adesso il mio obiettivo è maturare l'esperienza che mi serve per gestire funzioni più complesse, nell'ambito in cui volevo lavorare sin da bambino.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

La "Gran Torino" di Lucia: dalla Sicilia al Piemonte con uno stage - e poi un lavoro - in Assioma.net

È stata un'esperienza di stage unica, mi sono guadagnata il mio futuro in azienda   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Lucia Campisi, 31 anni, SAS Business Analyst a Torino  per Assioma.net, nuovo ingresso nelle circuito OK Stage.Ho quasi 31 anni e sono siciliana. La mia città di residenza fino a tre anni fa è stata Portopalo di Capo Passero, un piccolo paradiso in provincia di Siracusa. Qui vicino ho frequentanto il liceo scientifico ad indirizzo socio-psico-pedagogico, conseguendo la maturità nel 2003, poi ho capito che le materie umanistiche non erano coerenti con le mie ambizioni e ho puntato verso studi ancora più scientifici, scegliendo il corso in Economia dell’università di Catania. Questo mi ha costretto ad allontanarmi dal nido familiare e grazie al supporto economico e al sostegno morale dei miei splendidi genitori mi sono trasferita a Catania, dove a maggio 2008 ho concluso la triennale. Poi ho proseguito con la specialistica in Direzione aziendale, conclusa a luglio 2011 con il massimo dei voti. Negli ultimi anni ho vinto una borsa di studio universitaria di 2.400 euro in forma di collaborazione part-time con il Nucleo di valutazione dell’ateneo, che  mi ha permesso di sviluppare buone capacità di rilevazione delle opinioni sulla attività didattica degli studenti ma anche di contribuire al sostegno economico dei miei genitori.Dopo la laurea ho iniziato a valutare percorsi di formazione accademica superiore e mi sono candidata ad un master dell’università del Sannio, a Benevento, per un profilo molto ricercato dalle aziende, quello di Business Analyst, con specializzazione in tecnologie SAS. Superato l’iter di selezione, a novembre 2011 ho iniziato la frequenza del master, di otto mesi complessivi, di cui quattro in azienda. La partecipazione al master era gratuita, ma comportava spese di vitto, alloggio e materiale didattico - circa 500 euro al mese. La frequenza era giornaliera, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18: erano ritmi pesanti ed accelerati. Terminate le ore in aula, su proposta dell’organizzazione del master, ho iniziato lo stage nella sede torinese di Assioma.net, società di consulenza IT, da inizio aprile a fine luglio 2012, ricevendo un rimborso di 800 euro lordi al mese. Come SAS Business Analyst, ho collaborato con un’agenzia della Regione Piemonte per la dotazione di uno strumento informatico a supporto della programmazione dei Fondi per lo sviluppo e la coesione. Il trasferimento a Torino non è stato problematico: conoscevo già la città, a misura d'uomo, e mi sono trovata molto bene; ma per la prima volta ho dovuto allontanarmi dalla mia famiglia.Finito lo stage, Assioma ha valutato la possibilità di assumermi e dopo qualche settimana mi ha proposto un contratto a tempo determinato di tre anni, con una RAL di 21.500 euro – circa 1250 netti al mese - più buoni pasto da poco più di 5 euro. Ho iniziato il mio percorso da dipendente dopo la pausa estiva, a settembre 2012. Adesso ho un lavoro che mi piace e riesco a mantenermi in modo autonomo, sostenendo tutte le spese - circa 700 euro - del bilocale che condivido a Torino con mia sorella. Naturalmente aspiro ad una stabilità e ad un aumento dello stipendio, ma sono soddisfatta: mi piace lavorare nel settore della Business Intelligence e IT Governance e mi sento un profilo con forte potenzialità di crescita, senior per le alcune competenze meno senior per delle altre. La mia massima aspirazione? Diventare manager dell’area per cui lavoro. Entusiasmo, coraggio, spirito di squadra, flessibilità ed impegno sono i requisiti con cui mi approccio a questa sfida, gli stessi che penso diano ad uno stagista buone probabilità di successo e assunzione, nel contesto giusto.  Quella in Assioma.net è stata la mia unica esperienza di stage, ma estremamente significativa, che mi ha permesso di mettermi in gioco e di guadagnarmi l'assunzione, senza che avessi alcuna esperienza - come è naturale che sia per gli stagisti. Adesso sono sicura di poter coltivare le mie aspirazioni, che sono sempre state qui in Italia, nel Paese in cui sono nata e cresciuta.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Il servizio volontario europeo in Romania mi ha insegnato che tutto è possibile»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Marisa Radogna.Ho 32 anni e sono nata e cresciuta a Irsina, un piccolo paese vicino a Matera, dove ho frequentato il liceo classico. Poi mi sono trasferita a Lecce per studiare Sociologia, sia per la triennale sia per la specialistica. Ho concluso l’università quattro anni fa, a marzo, e qualche mese dopo la laurea, l’università del Salento ha pubblicato un bando Leonardo da Vinci per tirocini all’estero. Sono stata selezionata e il Leonardo è stata la mia prima esperienza professionale importante, perché prima avevo fatto solo la cameriera per un paio di stagioni, in un bar del mio paese e in un ristorante di Lecce. Grazie al progetto Leonardo, da marzo a luglio 2012,  ho lavorato a Bucarest con Salvați copiii, la sezione romena dell’ong Save the Children. In particolare ho affiancato lo staff che operava in uno dei centri dell’associazione, a Rahova, un quartiere povero della città dove per lo più vivono rom, con molte problematiche legate alla dispersione scolastica. L’attività principale era il doposcuola, e io con l’aiuto di una bravissima insegnante mi occupavo di educazione non formale. Questa esperienza mi ha insegnato molto e ho imparato il rumeno.Finito il Leonardo sono rientrata in Italia e mi sono scontrata con le difficoltà di trovare un lavoro, soprattutto al Sud. Così ho ricominciato a pensare al Servizio volontario europeo, che avevo scoperto per caso navigando in rete prima di partire per il Leonardo. L’idea di fare lo Sve non era un ripiego, perché ho pensato che potesse aggiungere qualcosa in più alla mia formazione. Il tirocinio in Romania mi aveva fatto capire che mi sarebbe piaciuto lavorare in un’associazione.A gennaio del 2013 ho visto su Facebook l’annuncio di un’organizzazione di Bologna, YouNet, che cercava un volontario da inviare per un anno a Bucarest. Mi sono candidata e dopo due giorni sono stata contattata per mail dalla presidente di Actor, l’associazione di accoglienza romena. Mi hanno chiesto un colloquio e qualche giorno dopo ci siamo sentiti su Skype. Alla fine mi hanno detto subito: «Sei dei nostri». Erano entusiasti perché sapevo il romeno. A Bucarest sono arrivata il primo maggio del 2013. Nel tragitto dall’aeroporto a quella che sarebbe stata la mia casa, tutto mi era familiare. L’appartamento in cui avrei vissuto per un anno si trova in un’area popolare nella parte sud di della città. Al primo impatto il quartiere non fa una buona impressione. È un insieme di palazzi tutti uguali, dai colori tristi. I primi giorni faticavo a trovare la strada di casa o quella del supermercato. All’inizio, come mi era stato detto, ho condiviso una stanza con Miriana, una ragazza siciliana, e l’appartamento con l’estone Eliise e il lituano Mantvydas. Poi però da ottobre sono rimasta in camera da sola e sono arrivate altre volontarie al posto di quelle iniziali. La cosa bella di questo progetto è che ho conosciuto volontari da tutto il mondo, che erano coinvolti in altri progetti Sve della mia host organization. C’erano ragazzi da quasi tutti i Paesi d’Europa, e poi da Ghana, Nepal, Argentina, Perù, Georgia, Armenia… Eravamo in tutto una ventina: vivevamo in appartamenti vicini, ci ritrovavamo spesso a cenare insieme, soprattutto quando era il compleanno di qualcuno e l’associazione provvedeva a rifornirci di torta e spumante. Ovviamente non era sempre tutto così facile come durante le feste. Non ci sono mai stati grossi momenti di tensione, ma in alcune occasioni il confronto tra di noi è stato complicato, quando oltre alle nostre personalità pesavano le nostre culture di appartenenza. Ma siamo stati bravi a trovare un equilibrio e alla fine il gruppo ha creato legami saldi nel tempo.Venendo alle attività, devo dire che tutto era molto ben organizzato: ogni settimana ricevevamo una tabella con il programma dettagliato della settimana successiva. Per un anno abbiamo lavorato in diverse scuole primarie e per l’infanzia di Bucarest, presentando le nostre culture ai bambini con racconti, giochi e attività manuali. Ad esempio io, conoscendo il rumeno, parlavo delle tradizioni della mia terra, raccontavo le storie degli spiritelli che fanno i dispetti alle persone nelle case dove si nascondono i briganti, oppure scrivevamo filastrocche. Ognuno dei volontari doveva inventare attività che facessero riferimento alla propria cultura, con l’obiettivo di farla conoscere ai bambini. Prima di lavorare nelle scuole abbiamo seguito training per imparare a strutturare le nostre attività in base all’età dei bimbi. Periodicamente andavamo in alcuni centri rurali per dare la possibilità anche a coloro che vivevano in quei luoghi di avere accesso all’ educazione interculturale. Oltre che istruttivo, per me è stato molto divertente prendere parte a queste attività. I bambini erano curiosi e attenti, sempre pieni di domande: per me è stato un modo per rispolverare cose che davo per scontato e su cui non mi interrogavo più.Un’altra attività era l’animazione clinica per bambini, in quattro ospedali di Bucarest. Un’esperienza decisamente più difficile dal punto di vista emotivo, ma la felicità dei piccoli pazienti era sempre uno stimolo a fare meglio. In ospedale, oltre a chiacchierare, facevamo palloncini, origami, raccontavamo storie e giocavamo con i bambini. O almeno con quelli che si potevano muovere. In molti casi i piccoli erano affetti da patologie gravi, e la prima volta che sono andata in ospedale avevo un po’ d’ansia: è scioccante vedere bambini sofferenti. Sono però riuscita ad impormi con me stessa, per rimanere lì a giocare e sorridere anche quando era molto difficile. Perché far smettere di piangere un bambino, fargli dimenticare i dolori dell’operazione anche per soli cinque minuti, è una grande soddisfazione. Tutti i bambini con cui ho lavorato, non solo quelli in ospedale, mi hanno ringraziato con un’enorme ondata di affetto: sono tornata a casa con un pacco pieno di disegni.Il mio progetto è stato pienamente rispettato, per l’alloggio non ho avuto problemi e anche dal punto di vista economico è filato tutto liscio: con l’equivalente in Leu dei 60 euro che ricevevamo al mese come pocket money, più 90 per il vitto, non ho mai dovuto intaccare i miei risparmi. E poi Bucarest è una città affascinante, molto vivace dal punto di vista culturale e ricca di parchi meravigliosi. Ma è una città che soffre molte contraddizioni: se da un lato non ha nulla da invidiare alle altre capitali  europee, nel contempo ci si può imbattere in realtà inimmaginabili, come quel mondo sotterraneo di emarginati che vive nelle fogne raccontato in un reportage di Channel 4. Credo che per me lo Sve abbia avuto un alto valore professionale. La metodologia dell’educazione non formale, alla quale purtroppo si attribuisce ancora poca importanza, ha arricchito molto le mie competenze. E poi ho imparato ad affrontare situazioni imprevedibili. Se ad esempio ti aspetti di lavorare con dieci bambini in una classe e poi ce ne sono venti, devi cambiare il programma e adattarlo agli spazi ridotti. E devi farlo in fretta perché magari hai solo un’ora. Oppure ho imparato a creare attività a partire da materiali semplici, come la carta. Inoltre ho decisamente migliorato il mio inglese, e anche il romeno che avevo già studiato durante il Leonardo. Ora ho un livello C1 di romeno, certificato con un esame che ho voluto sostenere prima di tornare in Italia.A proposito del ritorno a casa, non mancano i momenti di sconforto, perché è da un anno che sto cercando un lavoro. Sto solo dando qualche ripetizione scolastica. Come molti miei coetanei che si trovano a vivere in questa fase storica, ho qualche difficoltà ad immaginarmi il futuro, ma non demordo anche perché lo Sve mi ha insegnato a trovare soluzioni. D’altronde il motto della mia hosting organization era «Se vuoi tutto è possibile. "Non posso" non esiste». Perciò spero di avere risposte positive alle domande di lavoro che sto mandando un po’ dappertutto, ma in particolare a Bucarest. È lì che vorrei tornare, per lavorare in un’associazione.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

Felice e appagata: ritratto di Paola, ingegnere gestionale per Elica

Ricevo una proposta dietro l'altra per sviluppare la mia carriera in azienda   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Paola Monti, 29 anni, ingegnere gestionale per Elica, a Fabriano.Ho 29 anni e vengo da un paesino in provincia di Pescara, Spoltore. Sono rimasta tra i confortevoli e amorevoli muri di casa fino alla maturità scientifica nel 2004, poi mi sono trasferita a L'Aquila per frequentare il corso triennale in Ingegneria gestionale, scelta fatta senza nessuna titubanza perché fin da piccina avevo manifestato un'innata curiosità nei confronti di tutto ciò che era tecnologia e meccanica. Mi sentivo quasi fuori dal mondo rispetto alle mie coetanee. Durante gli anni dell'università, per rendermi un minimo indipendente, ho lavorato come cameriera e cassiera in discoteca; ma soprattutto ho dato ripetizioni di matematica e fisica, le mie più grandi passioni. Non è mai stato un peso studiarle e dar loro un senso pratico,  e cercavo di trasmettere questo approccio anche ai ragazzi che seguivo.A metà 2008, avvicinandosi il momento della tesi triennale, ho voluto fortemente svolgere un'esperienza in azienda, pensando potesse arricchirmi e darmi una percezione più realistica e concreta della teoria fin lì studiata. Per otto mesi -  dagli iniziali tre pattuiti - sono stata ospitata nell'area Business Development  di un'azienda leader mondiale nella progettazione e implementazione di linee di produzione industriale, dove mi sono occupata di redigere un Business Plan per un progetto di diversificazione industriale nel mercato dei contenitori in plastica riutilizzabili. Lo stage, che mi aveva proposto il mio relatore, prevedeva buoni mensa ma nessun compenso.La laurea triennale è arrivata a maggio 2009 - anno in cui a causa del terremoto a L'Aquila tante vite, la mia compresa, hanno iniziato a cambiare. Non avendo fatto esperienze lunghe all’estero, ho passato quell'estate a Londra per perfezionare la lingua, frequentando corsi giornalieri e vivendo in una famiglia del posto. Poi sono tornata alla base e ho continuato gli studi con la magistrale, specializzandomi in Produzione meccanica. È stato questo il periodo in cui mi sono affacciata ad un mondo fin lì sconosciuto, quello delle Risorse umane. Sono diventata socia dell'Aidp, e ho iniziato a partecipare attivamente a corsi e conferenze. «Come mai un ingegnere che non vede il suo futuro all’interno del dipartimento HR fa una scelta simile?», mi è stato chiesto più volte.  Perché ho sempre creduto che per essere un bravo manager non basti avere competenze e capacità di leadership, ma anche cognizione dei meccanismi che regolano la gestione delle persone.Mi sono laureata alla biennale con il massimo dei voti nel luglio 2012 con una tesi sull'ottimizzazione del processo produttivo di rimorchi e semirimorchi, redatta dopo un secondo stage semestrale - anche stavolta gratuito -  in un'azienda del settore - avevo conosciuto il suo direttore HR in uno degli incontri Aidp. Nei mesi successivi alla laurea ho cominciato a fare colloqui, valutando attentamente e senza fretta le offerte. Nel frattempo preparavo l'esame di stato per l'abilitazione professionale, che poi ho passato.Dopo parecchi colloqui mi sono trovata ad avere lo stesso feedback positivo -  stage semestrale retribuito con buone prospettive di inserimento - da due diverse aziende, presso cui mi ero autocandidata. Il primo era in una multinazionale di ingegneria con sede a Zurigo, il secondo in Elica, leader mondiale nel settore delle cappe da cucina. Non avrei mai pensato di trovarmi di fronte ad una scelta di questo tipo e la paura di fare il passo sbagliato era tanta. Alla fine, anche su consiglio del mio relatore di tesi, ho seguito il sesto senso.A maggio 2013 eccomi ad iniziare una nuova esperienza in Elica, con un rimborso stage di 500 euro mensili netti, alloggio a Fabriano con utenze pagate, mensa e palestra aziendale. Un sogno rispetto a ciò che si trovava in giro. Sono entrata a far parte della struttura centrale del WCM, facendo molta formazione sul campo e seguendo le attività di manutenzione e qualità macchina in due impianti aziendali. Finito lo stage, a novembre 2014, il mio ruolo è stato definito come WCM Facilitator Junior e concretizzato in un contratto di apprendistato di tre anni da circa 1400 euro netti al mese più benefit - mensa, palestra, varie convenzioni - e un contratto che prevede uno scatto di livello ogni anno.Un anno dopo, a novembre 2014, è persino arrivata una nuova proposta: diventare coordinatore industriale di tutto il programma WCM di Castelfidardo! Una sfida, un'opportunità. Avevo un sentimento misto di paura e soddisfazione, timore e gratitudine nei confronti di chi stava dimostrando di credere in me. Nell'ultimo anno il mio lavoro mi ha portato anche a seguire gli stabilimenti esteri di Polonia e Messico, con lunghe e frequenti trasferte, e il mio percorso di crescita ha avuto una forte accelerazione.Oggi riesco a mantenermi da sola, ho appena preso un piccolo bilocale e finalmente dopo tanti anni  vivo sola. Certo è solo l'inizio, per il futuro ci sono tante aspirazioni e obiettivi chiari in mente, da perseguire con grinta e umiltà. Ma ora sono felice ed appagata, ogni giorno è nuova possibilità di migliorarsi, e spero solo di poter continuare a dare il mio contributo in quella che è diventata per me una grande famiglia.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Futuro assicurato per Vanessa in Everis: «investimento e fiducia sin dal primo giorno di stage»

Non mi sono mai sentita l'ultima ruota del carro: vedevo la volontà di investire su di me   Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Vanessa Colella, 26 anni, assunta a tempo indeterminato nel settore assicurativo di Everis, a Roma.Sono Vanessa e ho quasi 26 anni. Sono nata e cresciuta a Roma, dove ho frequentato il liceo scientifico e una volta diplomata, nel 2008, mi sono iscritta alla facoltà di Scienze statistiche - ora Ingegneria dell’informazione, informatica e statistica -  alla Sapienza. La scelta del corso di laurea è stata istintiva, ma non me ne sono mai pentita; lo stesso vale per quella del curriculum formativo al suo interno, prettamente assicurativo e finanziario. Nell’ottobre 2011 ho quindi concluso la triennale e a marzo 2014 ho ottenuto la laurea specialistica in Scienze attuariali e finanziarie con una tesi sulla gestione del longevity risk, con cui ho ottenuto la votazione di 110/110. Questo corso biennale penso sia uno dei più formativi in Italia, e con ottimi sbocchi; due anni fa gli iscritti erano davvero pochi, somigliavamo più ad una classe di liceo.Le mie esperienze lavorative fino a quel punto erano state come cameriera e babysitter, sin dai primi anni delle superiori; ho anche scritto per un blog televisivo, ma rientrava tra i miei interessi, come pure il teatro. Subito dopo essermi laureata ho inviato il mio curriculum a diverse società del settore, ma Everis è capitata per caso. Dopo un paio di settimane dalla discussione della tesi ho ricevuto una chiamata, probabilmente su segnalazione dell’università, e sono stata invitata in azienda per un colloquio individuale con uno dei manager dell’area Assicurazioni, e per un test di inglese. Poi, dopo appena una settimana, ho ricevuto una lettera di offerta per uno stage di massimo sei mesi con finalità di assunzione e un rimborso spese di 750 euro lordi mensili, più buoni pasto.Nel frattempo ero stata contattata da altre società ma ai colloqui avevo notato un comune denominatore: le persone che mi trovavo di fronte pretendevano che io già sapessi cosa volevo fare nella mia vita. Può sembrare sciocco, ma credo che sia una pretesa eccessiva per un ragazzo appena uscito dall’università. Con la scelta del corso di laurea si sceglie una strada, è vero, ma è talmente piccolo il mondo universitario rispetto alla realtà lavorativa che una volta fuori ci si rende conto che da quella strada se ne diramano tante altre, molte sconosciute. Quello che a mio parere deve offrire una società ai giovani che abbiano terminato gli studi non è solo un posto di lavoro, ma anche la libertà e il diritto di poter sbagliare. Ed quello che Everis ha offerto a me, chiedendomi non tanto di saper fare qualcosa, ma di avere la voglia di farlo. E un ragazzo fresco di studi ha tutta la voglia e l’entusiasmo di fare.Così, aiutata anche dai pareri letti sulla Repubblica degli Stagisti, ho accettato la proposta di Everis, e a maggio 2014 ho iniziato lo stage. Sono stata inserita in un progetto per uno dei principali clienti del ramo assicurativo dell’azienda, prima con mansioni tecniche specifiche, poi con un ruolo più organico. Dopo tre mesi però mi è stata fatta una proposta che pochissimi neolaureati di oggi si sentono fare: un’assunzione con contratto a tempo indeterminato, con una retribuzione lorda annua di quasi 24mila euro, buoni pasto da 8,50 euro e assicurazione sanitaria. Oggi, a un anno dal mio primo giorno in Everis, non soltanto sento di aver imparato molto, ma riconosco l’investimento che l'azienda sta facendo su di me. Ho seguito costosi corsi formativi a spese dell’azienda e ho avuto modo di capire davvero quello che ho studiato all’università. Ho trovato un ambiente giovane e accogliente sin dal primo giorno di stage, non mi sono mai sentita l’ultima ruota del carro, e soprattutto vedevo l’intenzione di un rapporto a lungo termine. Il mio stage, il primo e unico, non è stato un tappabuchi.Oggi, vivendo a Roma con la mia famiglia, non ho avuto la necessità né la fretta di andare a vivere da sola, ma non appena ne sentirò il bisogno so che il mio lavoro mi darà la possibilità di farlo. Non è facile essere un giovane in cerca di lavoro, ma mostrarsi determinati, motivati ad imparare, e convinti delle proprie capacità, anche di quelle non tecniche, aiuta. Sempre che dall'altra parte ci sia qualcuno pronto a riconoscere queste qualità.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Un'opportunità per il futuro»: le storie di due vincitrici del bando "Torno Subito" 2014

Fabiana Alessi e Gaia Mutti sono due vincitrici del bando “Torno Subito” 2014. Fabiana, 30 anni, una laurea magistrale in Architettura, ha scelto Londra per un corso intensivo di inglese di quattro settimane, associato a uno stage (che nell'ambito di questo progetto viene definito work experience) nella filiale dell’italiana “Art Container”, una società specializzata in progettazione architettonica attraverso il riciclo di container Iso marittimi. E dal 22 aprile è entrata nella seconda fase del progetto, con uno stage nell’assessorato ai Lavori pubblici del Municipio V di Roma. Gaia, invece, 24 anni e una laurea in Scienze politiche – Relazioni internazionali, dopo un master per “Esperti in sistemi di gestione aziendale (Qualità, ambiente, energia e sicurezza)” a Milano, è entrata come tirocinante in Officinae Verdi, joint venture del Gruppo Unicredit e della Fondazione Wwf, a Roma. E dopo due mesi la società le ha offerto di interrompere lo stage per offrirle un contratto di collaborazione a progetto per sei mesi.Sono solo due delle storie dei 513 vincitori del bando 2014 [nella foto in alto]: laureati per l’88% e donne per il 63%. Se Fabiana ha scelto di specializzarsi all’estero (come il 52% dei ragazzi selezionati) e ha optato per uno stage finale nel pubblico, Gaia è rimasta in Italia e ha scelto come partner per il tirocinio un’azienda privata (come il 40,35% dei vincitori 2014). Entrambe, però, hanno costruito il proprio progetto partendo da uno specifico settore di interesse. «L’opportunità che dà “Torno Subito” è quella di costruirti un percorso su misura» racconta Fabiana [nella foto a sinistra]. «Io mi ero laureata con una tesi in cui avevo progettato un polo culturale “recycle” nel Municipio V di Roma, con residenze temporanee d’artista costruite usando container Iso marittimi. E ora, nello stesso Municipio, sto lavorando alla riprogettazione dell’area del mercato di Tor Sapienza proprio con i container». Anche Gaia, dopo una tesi sulle fonti rinnovabili, ha scelto «un master molto tecnico e uno stage in una società che fornisce consulenze e servizi su efficienza energetica e energie rinnovabili» perché voleva specializzarsi nel settore. «Avevo già fatto un colloquio in quell’azienda» racconta «ma all’epoca non ero ancora laureata e stavo facendo un altro tirocinio, mentre loro cercavano laureati disponibili full-time. Includendoli come partner nel mio progetto per “Torno subito” ho avuto una seconda chance». Se Gaia era fresca di laurea, Fabiana aveva già lavorato con un contratto di sostituzione maternità in un’azienda di design. «Ero però nell’ufficio acquisti» spiega «quindi ho deciso di candidarmi per “Torno subito” sia perché alla scadenza del contratto ero rimasta senza impiego che per provare a reinserirmi nel mondo del lavoro come architetto».L’esperienza, finora, per entrambe è stata «positiva». Ma non sono mancate alcune difficoltà, legate soprattutto all’entità e all’erogazione dei fondi con le vecchie modalità. «Il bando 2014 prevedeva, prima della partenza, solo l’erogazione di un acconto del 50% dell’intero budget previsto, che non bastava per sostenere i costi all’estero. Calcolando che già gli 860 euro al mese che la Regione dà per le spese di soggiorno nel Regno Unito sono pochi e che l’anno scorso non era prevista un’indennità per la work experience all’estero» spiega Fabiana. «Per i primi mesi a Londra avevo preso una stanza in affitto in un appartamento, insieme a altri ragazzi, ma costava 660 sterline al mese. Poi, per fortuna, avevo amici lì che mi hanno ospitata per l’ultimo periodo». «Ho dovuto comunque dovuto ridurre la work experience a Londra da otto mesi a sei» Fabiana «ma è stata lo stesso un’esperienza importante, che probabilmente non avrei potuto fare senza il finanziamento della Regione». Anche per Gaia [nella foto a destra] far quadrare i conti a Milano non è stato semplice: «Per la Lombardia erano previsti 460 euro al mese per l’affitto e 220 per il vitto, riuscivo a rientrarci appena». La Regione e lo staff di “Torno Subito”, però, si sono dimostrati flessibili per quanto riguardava l’erogazione dei fondi. «A un certo punto mi sono trovata in una situazione in cui, per poter pagare il master, avevo bisogno di ricevere la seconda tranche del contributo regionale» spiega «ma, da bando 2014, la seconda tranche poteva essere erogata solo al termine del master. Ho posto il problema, come del resto altri ragazzi, e ci sono venuti incontro anticipando il secondo acconto del 30%».Anche una volta tornate nel Lazio per lo stage finale, sostenere il costo di un affitto solo con il fondo della Regione si è rivelato pressoché  impossibile. «Per fortuna la mia famiglia è di Roma» racconta Fabiana «quindi per il momento sono tornata a vivere con i miei, perché il bando 2014 prevedeva 400 euro lordi mensili di indennità e non sarebbero bastati per vitto e alloggio». Gaia, invece, che è di Vicovaro - un paese a 45 chilometri da Roma - continua a fare la pendolare: «Sto risparmiando perché anche con il nuovo contratto non potrei ancora coprire tutte le spese. Ma sono contenta perché le prospettive lavorative sembrano incoraggianti». Fabiana, invece, non nasconde la preoccupazione per settembre, quando il suo stage nel Municipio V finirà: «Il lavoro che faccio ora mi piace molto. Sarebbe il sogno di una vita perché mi sto occupando di un progetto che mi appassiona e per cui ho studiato a lungo. Ma le speranze di poter continuare poi a lavorare per il Comune di Roma purtroppo credo siano poche. E l’ansia per il futuro c’è». Certo, ammette, «ho scelto io uno stage in un’amministrazione pubblica, privilegiando il rapporto con un territorio che già conoscevo su altri fattori. Mi interessava lavorare sullo sviluppo di progetti di architettura sostenibile nel pubblico, quindi è stata una scelta consapevole. Forse però, per il futuro, si potrebbe rafforzare il ruolo della Regione nella fase di inserimento nel Lazio, nell’ottica di garantire ai candidati prospettive occupazionali più a lungo termine».Sara Grattoggi

«Lo Sve in Croazia mi ha aperto nuove prospettive, ora punto ad andare in Sudamerica con il servizio civile»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Diana Cossi.Ho 24 anni e vivo a Germignaga, una graziosa cittadina alle pendici delle Prealpi lombarde sulle sponde del lago Maggiore, in provincia di Varese. Sono sempre stata molto legata ai boschi e ai corsi d’acqua del mio paese e credo sia per questo che non ho voluto trasferirmi per studiare. Così mi sono abituata alla vita da pendolare: sveglia presto la mattina e rientro la sera. Alla fine del 2012 mi sono laureata in Mediazione linguistica e culturale, un corso triennale al polo di Sesto San Giovanni dell’università degli studi di Milano. Ora sto aspettando le selezioni per un progetto di Servizio civile in America Latina, al quale ho fatto domanda quando sono tornata dal Servizio volontario europeo.  Ma partiamo dall’inizio.A quattro anni, quando mia madre mi portò a vedere il museo egizio di Torino, decisi che avrei fatto l’archeologa. Ma poi durante il liceo scientifico, con indirizzo socio-psicopedagogico, ho fatto volontariato in un doposcuola, aiutando gli alunni con i compiti e insegnando italiano agli studenti figli di immigrati. Ho così capito che il mio obiettivo era essere utile alle persone, anche se l’archeologia è rimasta una mia grande passione. Avrei potuto dedicarmi ad una professione sanitaria, come i miei genitori, ma ho deciso di diventare mediatrice culturale.Al terzo anno di università, per il tirocinio mi sono rivolta alla mia vecchia scuola, con la quale ho firmato una convenzione: ho insegnato italiano a due fratelli olandesi appena arrivati in Italia ed ho avuto la soddisfazione di vederli comunicare in un italiano stentato ma chiaro dopo solo tre mesi di lavoro.Finita la triennale ho lavorato per un anno come cameriera in un piccolo ristorante, frequentato per lo più da turisti tedeschi e olandesi, un’esperienza che mi ha permesso di migliorare l’inglese e di imparare molto sulle persone e sul mondo del lavoro. Per aumentare le possibilità di trovare un impiego come mediatrice culturale, in scuole o in sedi diplomatiche, a settembre del 2013 mi sono iscritta a un altro corso di laurea triennale a Milano: Scienze internazionali ed istituzioni europee.Intanto, però, avevo già deciso che sarei andata a fare esperienza fuori dall’Italia. Ad aprile la mia ormai ex università aveva organizzato un evento sulle opportunità all’estero. Un incontro informativo sul programma Youth in Action, quello che oggi è l’Eramus +, era tenuto dall’associazione Joint di Milano. Così ho scoperto il Servizio volontario europeo ed ho accantonato le altre idee per andare all’estero. Ho scelto con cura il progetto per cui fare domanda, visto che avevo il lavoro al ristorante e non c’era fretta. Volevo stare all’estero il più a lungo possibile e andare nei Balcani.Ho trovato il giusto progetto grazie anche all’aiuto dell’associazione Joint, che mi ha consigliato di mandare direttamente una candidatura per i progetti che mi interessavano sul database Sve, anche se le selezioni magari non erano aperte. L’importante era indicare da subito una sending organization, nel mio caso la Joint. Ho spulciato nel database tutti i progetti nei Balcani, mandando decine di mail per presentarmi e chiedere se cercassero volontari. A fine agosto mi è arrivata la tanto sperata risposta da un’associazione della Croazia, che mi ha chiesto un colloquio su Skype. Il giorno dell’appuntamento mi sono vestita di tutto punto e ho indossato la mia collana portafortuna. Ero agitatissima. Ma il colloquio è andato bene e dopo pochi giorni mi hanno comunicato che ero stata selezionata, aggiungendo che sarei partita a febbraio, ma intanto bisognava aspettare la conferma del finanziamento del progetto da parte della Commissione europea, che poi è arrivata con molto ritardo: il 23 dicembre. [Nella foto in alto, la costruzione della "casa celtica"]Il 3 febbraio del 2014 sono così partita per Gvozd, un paesino croato di circa tremila abitanti a 40 chilometri dal confine bosniaco. Sono rimasta con la mia hosting organization, l’associazione "Suncokret" (Girasole) un anno: fino al 31 gennaio scorso. Con me c’era un’altra volontaria, la spagnola Blanca, con la quale ho sviluppato un bellissimo rapporto di amicizia. Ma ho condiviso la mia avventura con molte altre persone, anche se magari solo per piccoli periodi. L’associazione infatti ha organizzato campi di lavoro estivi e ha accolto volontari Sve anche per progetti di breve termine, come Noora, un’artista finlandese piena di talento che è stata con noi per tre mesi. Una ragazza persa nel suo mondo ma dal cuore grande: vivere con lei mi ha insegnato ad essere molto paziente. La flessibilità mentale è una virtù sottovalutata.Abbiamo vissuto in una casa in un vasto terreno, di proprietà dell’associazione, dove c’era anche un’altra casa, due orti biologici, la zona per il compost e due docce solari. Con l’orto abbiamo educato i bambini al rispetto della natura attraverso laboratori di permacultura e coltivazione biologica. Come attività educativa abbiamo anche costruito un’altra casa, completamente eco-sostenibile, detta "casa celtica" perché realizzata con paglia, legno e fango, a forma tonda così come la costruivano i celti.Il nostro impegno quotidiano era nel centro giovanile dell’associazione, dove tenevamo corsi (ad esempio sull’igiene dentale, sulla lotta agli stereotipi, sui diritti del bambino) e laboratori manuali con materiali di riciclo. Inoltre aiutavamo i bambini con i compiti e giocavamo con loro. Ho anche tenuto un corso di lingua italiana e uno di danza orientale, che è riuscito ad attrarre anche le madri dei bambini al centro. Queste attività avevano l’obiettivo di creare un ambiente armonioso per i bambini: Gvozd si trova in un’area molto depressa della Croazia, fu praticamente raso al suolo durante la guerra degli anni ‘90 e i suoi abitanti, a maggioranza serba, hanno dovuto abbandonarlo e sono stati rimpiazzati dagli esuli croati espulsi dalla vicina Bosnia. Adesso i serbi stanno tornando alle loro case, ma non le trovano o le vedono occupate da altri. Il tutto è complicato dalla situazione di profonda povertà in cui versano molte famiglie, il tasso di disoccupazione è altissimo, così come i casi di alcolismo. [Nella foto in alto, Diana a Orahovica, in Croazia, per il training di medio termine con gli altri volontari Sve del Paese] In estate le attività sono state diverse perché c’erano i campi di lavoro nella proprietà dell’associazione, abbiamo accolto studenti delle scuole croate e un centinaio di ragazzi belgi. Io e Blanca abbiamo coordinato attività manuali, come nell’orto e nella cucina, e abbiamo fatto animazione. I campi ci hanno dato l’opportunità di conoscere tantissime persone, e nel frattempo sono arrivate altre volontarie per progetti di breve termine, come due ragazze turche: entrambe si chiamano Tuğçe e per distinguerle usavamo i soprannomi Uno e Due!Poi a settembre sono arrivati Tugberk e Yussuf, anche loro turchi, Elena, tedesca, Agathe e Fanny, francesi. Con queste ultime tre abbiamo vissuto in casa, ognuna di noi aveva la propria stanza ma all’inizio la "simbiosi" tra me e Blanca è stata spezzata. Ma dopo una settimana ci eravamo già abituate alla nuova situazione. Passati alcuni giorni ho vietato ad Agathe, che non sapeva l’inglese, di farsi tradurre le conversazioni: le ho detto che volevo imparare il francese e per potermelo insegnare lei aveva bisogno di quella lingua. Ha funzionato. La sua timidezza è svanita quasi magicamente. Quando io me ne sono andata, Agathe era tranquillamente in grado di parlare in inglese. E anch’io, grazie allo Sve, ho migliorato molto il mio livello, in aggiunta allo spagnolo, visto che lo parlavo con Blanca [nella foto a sinistra, Diana con le sue compagne d'avventura, a Sarajevo].Grazie ai soldi che ricevevamo come pocket money, 95 euro al mese, non ho dovuto intaccare i miei risparmi per la vita quotidiana e così ho potuto usarli per viaggiare, e molto, in tutti i Balcani. Con Elena e Agathe ho ad esempio passato il capodanno a Belgrado e poi abbiamo girato per dieci giorni guidando per più di tremila chilometri.Purtroppo la mia esperienza Sve non si è conclusa bene nei rapporti con la responsabile dell’associazione. Noi non ricevevamo soldi per il vitto, stabiliti in 115 euro al mese, ma ci facevano la spesa in base ad una nostra lista. Nessun problema fino a settembre, poi hanno iniziato a dirci che le nostre richieste erano troppo costose e così non arrivava tutto ciò che chiedevamo. A dicembre abbiamo chiesto di avere direttamente i soldi per il vitto e così è successo, ma la responsabile dell’associazione, tornata da una vacanza completamente cambiata, perché sembrava che odiasse tutti, non ha digerito la cosa. L’ultimo mese, a causa del rapporto che si era rotto con lei, è stato carico di tensione, ma anche questo alla fine mi è servito: ho imparato a controllare le mie emozioni e ad essere paziente.Dal punto di vista professionale, invece, grazie allo Sve ho anche imparato a scrivere progetti europei, come gli scambi giovanili, e questo ha cambiato le mie prospettive. Lo Sve, facendomi scoprire un altro ambito rispetto a quello verso cui ero proiettata - l’insegnamento con i bambini - mi ha aperto al mondo dell’associazionismo ed ora è in questo campo che voglio fare esperienza. Per questo al rientro in Italia mi sono candidata per un progetto di Servizio Civile in America Latina, che vedo come una prosecuzione del mio Sve, nel quale sono coinvolte le donne e i bambini in progetti di animazione ed educazione.Adesso sono in attesa della selezione, nel frattempo do ripetizioni a molti ragazzi, vado in università tre volte a settimana e partecipo a scambi giovanili con la mia ormai ex sending organization. Nelle settimane scorse sono stata in Portogallo e a Cipro. Lo Sve mi ha aperto nuove porte, per questo ne parlo con molte persone e mi sono resa disponibile con varie associazioni di Varese per fare conoscere questa grande opportunità. È un’esperienza che consiglio a tutti coloro che hanno la curiosità di scoprire ed imparare.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro  

«Alle job fair prima da studentessa, oggi da addetta HR per Philips»: la storia di Laura

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Laura Giupponi, 26 anni, oggi assunta a tempo indeterminato nel Risorse umane di Philips Italia, a Milano.Sono di San Pellegrino Terme, un piccolo paese in provincia di Bergamo, e ho 26 anni. Ho frequentato il liceo scientifico, in virtù della formazione trasversale che offriva, ma quando nel 2007 mi sono diplomata non avevo idea di quale strada intraprendere all'università. L'indecisione è stata fortissima. Ragionandoci un bel po', ho poi identificato una strada precisa: le risorse umane. Mia madre è psicologa e mio padre è medico: l'attenzione verso le persone credo di avercela nel sangue. Essendo molto interessata al contesto aziendale, e piuttosto razionale, sentivo però che una facoltà come psicologia mi sarebbe stata stretta. Il giusto compromesso è stato scegliere un percorso di Economia con focus sulle risorse umane, e in particolare quello offerto dalla Bocconi.Pur non essendo troppo lontana da Milano e potendo fare la pendolare, mi sono comunque trasferita per vivere a pieno l'esperienza universitaria. Per coprire le spese minori - e mettermi alla prova - ho fatto lavoretti vari: babysitter, hostess, e per un paio d'anni, nel weekend, cassiera in una pizzeria d'asporto, esperienza che mi ha insegnato anche relazionarmi meglio con persone molto diverse da me. Il percorso universitario è andato avanti senza intoppi e dopo la laurea triennale ho deciso di proseguire anche con il biennio specialistico. È in questa fase che sono approdata al mio primo stage, peraltro all'estero.Tramite il Jobgate della Bocconi, la piattaforma online di incontro tra domanda e offerta riservata agli studenti dell'ateneo. Meta del mio stage: una piccola azienda di Ginevra che quota la sostenibilità ambientale e sociale di varie aziende. Qui da ottobre 2012, per tre mesi e mezzo, mi sono occupata di analisi dati, senza alcun rimborso; né i tutor avevano molto tempo per formare gli stagisti, più orientati com'erano al peer coaching. Si trattava però di un tirocinio curriculare, e mi è servito anche per scrivere la tesi. Ginevra poi è meravigliosa, un'esperienza in questa città è impagabile - per quanto trovare un alloggio è stato un incubo!Il Jobgate ha funzionato anche per il mio secondo stage, quando ormai avevo finito l'università. Inviata la candidatura a ridosso della laurea magistrale, a settembre 2013, dopo qualche settimana sono stata invitata da Philips ad un assessment di gruppo, poi a colloquio con due manager, infine con gli altri membri del management HR. Ho superato tutte le fasi e a novembre sono stata accolta nel team Risorse umane per Italia, Grecia e Israele, area Talent Acquisition e Learning, dove dopo qualche settimana di mansioni junior ho iniziato a lavorare alla selezione dei nuovi stagisti e all'organizzazione dei training. Per me un'esperienza formativa al 100%, che mi garantiva anche un rimborso di 800 euro netti al mese.A marzo 2014 poi, due mesi prima della fine pattuita dello stage, mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni, che dopo un solo anno si è trasformato a sua volta in tempo indeterminato. Quando sono entrata in Philips per la prima volta non avevo molte aspettative per il mio futuro, ma solo tanta voglia di imparare e di confrontarmi con il mondo del lavoro. Oggi invece, a 26 anni, le fiere del lavoro organizzate dalla Bocconi le vivo lato azienda! Lavoro in un settore che mi piace, in una divisione aziendale affascinante e innovativa - quella Lighting - e mi mantengo da sola a Bergamo, con uno stipendio annuo lordo di circa 30mila euro all'anno. Il mondo HR poi è in continuo movimento e mutazione, è molto interessante, anche se non escludo che mi piacerebbe testarmi in altre funzioni. Mi ritengo molto fortunata ad essere dove sono. È innegabile che un po' di fortuna serve, ma vorrei far arrivare ai miei coetanei il messaggio che chi vale prima o poi emerge, se ha umiltà e fiducia nelle proprie capacità.

«Il mondo in cui mi vedo tra 10 anni è qui, in EY»: la storia di Martina

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Martina Capriotti, 25 anni, assunta con apprendistato nella settore consulenza di EY, a Roma. Classe 1989, sono nata e cresciuta in una località balneare sulla costa romagnola che risponde al nome di Bellaria Igea Marina, dividendomi tra scuola e sport. Studentessa al liceo scientifico e pallavolista, mi sono diplomata con lode nel 2008, iscrivendomi poi a Scienze politiche, indirizzo relazioni Internazionali, alla Luiss di Roma. Ventidue esami ed un Erasmus a Copenhagen più tardi, mi sono laureata con il massimo dei voti. Era novembre 2011 e nel frattempo il sogno di una carriera diplomatica aveva già lasciato il  posto a nuove passioni, nate tra il corso di Macroeconomia e quello di Economia politica. Per la magistale infatti, iniziata il mese prima, avevo optato per il corso in General management con indirizzo International Business, insegnato in inglese. Armata di pazienza, passione e tanta curiosità, ho concluso il primo anno accademico con buoni risultati, grazie ai quali sono stata ammessa ad un programma di scambio bilaterale che mi ha portato in Canada sei mesi presso la University of Ottawa con una borsa di studio dell'università, che comunque ha coperto solo in parte i costi. Tornata in Italia, mi sono dedicata alla stesura di una tesi sperimentale sul content marketing, una branca innovativa e ancora poco studiata all’epoca. Parallelamente, da marzo 2013, ho fatto un tirocinio di tre mesi nell’ufficio Marketing di Iccrea Holding, azienda di servizi alle banche, ricevendo come compenso i buoni pasto. Mi sono laureata a novembre 2013 con 110 e lode, in quella Roma che però già avevo lasciato per trasferirmi a Milano. Il mese prima avevo infatti cominciato uno stage nell’area Advisory – Performance improvement di EY ottenuto – udite udite! – senza mandare nemmeno un cv: a maggio, quasi per gioco,  avevo partecipato alla EY Business Challenge promossa nella mia università. Dopo aver superato le prime due fasi, io e il mio team siamo approdati in quella finale da cui siamo usciti vincitori presentando un’idea imprenditoriale nell’ambito del mobile payment e portandoci a casa, oltre a tanto entusiasmo e soddisfazione, un weekend a base di innovazione con il management EY presso H-Farm, un in-company training presso gli uffici di EY Madrid, più uno stage di tre mesi nel settore consulenza, remunerato con 750 euro lordi al mese più buoni pasto da 5,16 euro.Senza aver mai considerato davvero la consulenza, mi sono sempre più appassionata a questo lavoro, fatto di sacrificio ma anche di soddisfazioni, in un ambiente giovane e dinamico in cui ho trovato tanti colleghi ed altrettanti amici. Dopo un rinnovo dello stage di ulteriori tre mesi, sono stata assunta i primi giorni di aprile 2014 con un contratto di apprendistato di due anni e una ral di di 24mila più buoni pasto. Oggi, a un anno da quel giorno, ho lavorato su diversi progetti, sia in team che in autonomia e principalmente in ambito Customer, guadagnandone in termini di sicurezza e flessibilità, nonché di competenze e di rapporti umani, che restano una delle cose più belle che il lavoro in EY mi ha regalato.Sopita la mia innata vocazione per l’estero, che non escludo di poter risvegliare grazie al network internazionale di Ernst Young, non posso che ritenermi fortunata di far parte di un gruppo che ha sempre riconosciuto il valore del mio lavoro ed in cui il concetto di stage fine a sé stesso, così comune nel nostro Paese, per le risorse meritevoli non esiste. È, con tutti i suoi difetti, il mondo in cui mi vedo tra 10 anni, sicuramente stanca e stressata ma felice e soddisfatta di dove, grazie a questo lavoro, sarò arrivata e di ciò che sarò diventata. Oggi mi trovo più matura, autonoma, sicura e ambiziosa che mai, in un ambiente che offre grandi opportunità di crescita per chi le sa riconoscere e cogliere.A questa età, per quanto il mondo là fuori si ostini a farci sentire sempre più indietro di dove dovremmo essere, abbiamo davanti a noi tutto il tempo e lo spazio necessari per metterci in gioco senza paura. Dobbiamo trovare in noi la fiducia nel fatto che ciò ci ripagherà, in un futuro più o meno prossimo, anche solo per aver avuto il coraggio di giocare e di scommettere - per quanto azzardata la scommessa potesse sembrare - sul nostro successo.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo