Categoria: Storie

Girl Power, laureata “per caso” in Statistica e assunta appena uscita dall'università: a 32 anni!

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Federica Rossomando, Data Analyst per T4V, società di consulenza ICT specializzata in progetti di Big Data Analytics con specifica focalizzazione nelle tecnologie e nelle piattaforme SAS, Cloudera e Microsoft Azure.Ho trentatré anni e sono nata a Battipaglia, in provincia di Salerno, ma è da più di vent’anni che vivo a Roma. Diplomata al liceo classico, mi sono poi iscritta alla facoltà di Scienze Statistiche alla Sapienza. La mia è una storia per molti versi atipica, anche se fortunatamente a lieto fine, a partire proprio dalla scelta della facoltà. A diciott'anni non avevo le idee chiare su cosa volessi fare o chi volessi diventare. Mi sarebbe piaciuto farmacista, o medico... Ma senza nessuna influenza da parte dei miei genitori, essendo l'una casalinga e l'altro geometra.Inizialmente mi ero orientata su Biotecnologie e Medicina, però non sono passata ai test di ingresso. Così ho virato su una facoltà un po' strana per me che su matematica e altre materie scientifiche non avevo una preparazione solida. Mi incuriosiva, specie perché all’incontro di presentazione ci dissero che avrebbe permesso di trovare facilmente lavoro, essendo richiesta in svariati campi. Decisi di provarci, e in effetti è andata proprio così!Il primo anno non è stato facile, ho avuto difficoltà a superare l’esame di Analisi matematica e spesso ho pensato di cambiare facoltà; ma poi grazie anche al mio professore di allora che mi ha seguito ho preso poco a poco fiducia in me stessa e mi sono a sbloccata. Di ostacoli ne ho trovati anche negli anni seguenti, ad esempio con un altro professore che proprio non voleva saperne di farmi passare l’esame. Non so, forse mi aveva preso in antipatia o chissà. Sta di fatto che mi fece perdere più di un anno. Mi sono capitati momenti di sconforto, a un certo punto avevo anche pensato di farmi aiutare iscrivendomi a un istituto privato di preparazione esami. Ma alla fine non ho ceduto, non mi sono abbattuta e ho continuato fino alla fine. Ho alternato lo studio con qualche lavoretto, ripetizioni private e baby sitter. I miei guadagni erano pochi, sui 300 euro al mese, ma non avendo un impegno fisso potevo continuare a studiare in tranquillità, che era ciò che mi premeva. Per stare sui libri ho anche rifiutato proposte di stage.Finita la triennale, ho preso la strada più difficile e mi sono iscritta alla magistrale di Scienze attuariali e finanziarie, in cui mi sono laureata a gennaio 2020 nel giorno del mio 32esimo compleanno! È stata un’altra bella soddisfazione per me. Pure qui il percorso è stato tosto ed impegnativo, perché non essendo la magistrale collegata al mio corso di studi della triennale – avevano soppresso corsi per via dei tagli all’università – ho dovuto colmare alcuni gap e familiarizzare con tutto un altro ambiente di applicazione della statistica, dalle aziende alle assicurazioni. Non a caso eravamo appena in venti iscritti al mio corso, tra cui non poche donne, anche se in maggioranza uomini.E tutti hanno trovato lavoro dopo poco. Essendo profili molto richiesti e quasi introvabili, il fattore età – per cui mi ero molto preoccupata, avendo conseguito la laurea dopo i trent'anni – non viene considerato dai recruiter. Tanto che appena un paio di settimane dopo la laurea, ho trovato un annuncio su LinkedIn per uno stage nel campo Big Data Analytics in T4V. Ho inviato la candidatura e il 2 marzo 2020 ho iniziato presso la sede di Roma. Stage con rimborso spese, della durata di tre mesi. In presenza però è stato di una sola settimana, perché il 9 marzo è iniziato il lockdown.  Poi il tirocinio mi è stato poi prorogato causa Covid fino a ottobre, e quello stesso mese mi hanno assunto con contratto a tempo indeterminato e una ral di 23mila euro. Questo è il mio primo vero contratto lavorativo. È stato un percorso molto particolare, data la pandemia che ci ha colpiti. L’azienda è stata capace di organizzarsi e di fornirci, al meglio delle possibilità, una preparazione per svolgere le diverse attività. Ha creduto in tutti noi stagisti e ci ha permesso di continuare il percorso intrapreso. La mia occupazione è quella dell'analisi dei dati, e mi sto trovando bene, continuo a imparare ogni giorno, anche se la strada è lunga. L’ambito della statistica e informatica è parecchio stimolante, ti apre la mente, è sfidante. Poi ovviamente mai dire mai nella vita. In futuro si vedrà, ancora sento di essere in cerca del mio 'posto nel mondo'.Il fatto di essere una donna con un lavoro in ambito scientifico non ha avuto nessun risvolto negativo finora. Nella mia breve esperienza non mi è mai capitato di pensare “questo non accadrebbe se fossi un uomo”. Le difficoltà che ho incontrato sono dovute più alla situazione che stiamo vivendo. Lo smart working è molto comodo su parecchi aspetti, però non può compensare il confronto e l’aiuto che si può avere lavorando insieme ai colleghi in ufficio. Anche se in futuro non credo avrò una postazione fissa a una scrivania, perché il mio è un tipo di lavoro che si svolge andando dai clienti. Non ho sperimentato neppure il gender pay gap, ma forse perché sono stata avvantaggiata dal punto di vista contrattuale ed economico per la scelta di studi che ho fatto. Mi rendo conto che non è una cosa scontata trovare subito lavoro, per di più con contratto a tempo indeterminato, da appena laureata e superati i trent'anni. Il consiglio che do alle giovani che si approcciano al mondo del lavoro o che devono ancora scegliere cosa studiare è di credere in se stesse e non sentirsi inferiori a nessuno. Perché nonostante questa società spesso ci penalizzi, noi abbiamo tutte le carte in regola per poterla migliorare e realizzare ciò che desideriamo. Inoltre suggerisco di orientarsi su un percorso informatico o scientifico: offre più sbocchi e opportunità di trovare occupazione. Testo raccolto da Ilaria Mariotti 

Girl Power, dalla carriera accademica all'impresa: «Il tetto di cristallo? Sopratutto in università»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Elizabeth Jane Casabianca, senior economist per Prometeia, società di consulenza, sviluppo software e ricerca economica, tra le principali nelle soluzioni per il Risk e il Wealth Management, e nei servizi per gli investitori istituzionali a livello europeo.Ho 36 anni e vengo da Pesaro. Come si intuisce dal mio nome, ho un papà italiano e una mamma inglese, originaria del Kent, una regione a sud di Londra. Sono quindi cresciuta in un ambiente internazionale: da piccola, durante le vacanze estive, venivo messa su un aereo e mandata in Inghilterra a passare l'estate con i nonni materni. I miei non sempre stati molto aperti in questo, e pur essendo figlia unica non mi hanno mai tenuta nel nido, ma sempre spronato a andare via.E infatti, nel mio percorso, le esperienze all'estero sono state tante. Innanzi tutto l'Erasmus di nove mesi in Germania, a Kiel, al confine con la Danimarca. Una scelta un po' controcorrente, i miei colleghi andavano tutti in Spagna! Ma sono sempre stata un po' l'anticonvenzionale del gruppo. Quella esperienza che mi ha fatto capire come, nonostante le diverse culture, siamo tutti uguali in quanto persone. Ne è valsa la pena, ho ancora amici con cui mi sento. Sempre nel corso dell'università ho soggiornato per un altro periodo all'estero, sei mesi alla Camera di Commercio di Monaco di Baviera: si trattava di un progetto universitario chiamato Campus World.Negli anni a seguire, perché all'università sono rimasta con il dottorato, sono stata due volte alle Nazioni Unite di Ginevra. La prima mentre scrivevo la tesi di dottorato come visiting professor, per sei mesi, per approfondire il tema degli effetti del commercio internazionale sulla povertà in America Latina. E in seguito, sempre alle Nazioni Unite, ho avuto un incarico come consulente, per due anni, al termine del quale sono rientrata in Italia per l'assegno di ricerca. Subito dopo la laurea avevo anche fatto un piccolo stage in un'azienda metalmeccanica, che si occupava di commercio estero. Ma è durato solo un mese, sentivo il richiamo dello studio.Ed è grazie alla mia carriera accademica che è arrivata l'opportunità di entrare in Prometeia, dove sono ora inquadrata come senior economist nell'ufficio Practice e analisi economiche. Mi occupo di studi economici focalizzati su come le politiche economiche possano influire su redditi e disuguaglianze. Ed è stato il classico caso in cui ci si trova al posto giusto al momento giusto. Una ragazza del mio team attuale venne all'università a tenere un seminario su un argomento della mia ricerca. Erano a caccia di qualcuno che collaborasse con l'azienda su quelle tematiche. Io attraversavo un periodo di riflessione: all'università il lavoro resta in astratto, mentre in quel momento io cominciavo a sentire il bisogno di una maggiore praticità e dinamicità. Volevo che la mia ricerca avesse risvolti pratici più immediati: all'università i tempi tecnici sono lunghi tra ricerca vera e propria fino poi alla pubblicazione del paper. Così mandai il mio curriculum a Prometeia.A gennaio 2016 sono entrata con un contratto a tempo determinato, poi trasformato a settembre in indeterminato, con una ral di circa 30mila euro annuali. All'università il lavoro resta in astratto, mentre io sentivo il bisogno di una maggiore praticità e dinamicità. Volevo che la mia ricerca avesse risvolti pratici più immediati, all'università i tempi tecnici sono lunghi tra ricerca vera e propria fino poi alla pubblicazione del paper. Quello che faccio oggi con il mio team è orientare i clienti negli investimenti attraverso i nostri rapporti di previsione su come andrà l'economia italiana nel breve periodo.La mia propensione alla matematica è innata, tanto che alla superiori ho scelto Ragioneria, con specializzazione informatica. In quella sezione c'erano più ragazzi che ragazze, a differenza del ramo basato sulle lingue, considerato più “da femmine”. Una scelta tutta mia, avendo papà operaio metalmeccanico e mamma casalinga. Ma pensavo che in questo modo, se non avessi fatto l'università, avrei potuto lavorare da subito. Poi invece mi sono iscritta alla triennale in Economia e commercio internazionale di Ancona, laureandomi con 110 e lode, anche se nel frattempo ho sempre lavoricchiato come hostess e promoter per arrotondare e pesare meno sui miei.Sono poi passata alla specialistica in Economia e impresa con specializzazione in Management internazionale. Il voto è stato 107, un po' penalizzato dal periodo dell'Erasmus in cui avevo avuto difficoltà con la lingua. E questo nonostante il bilinguismo mi abbia invece agevolato sul lavoro. Ma non me ne pento perché si tratta comunque, per l'Erasmus, di un passaggio molto ben visto dai selezionatori: non tutti si mettono in gioco partendo da soli per un paese nuovo. Fa parte della mia personalità mettermi in gioco e non mollare mai. Così è stato nel corso degli anni accademici. Quelli in cui ho più percepito forse di più lo squilibrio di genere, anche se nel mio gruppo di lavoro ci sono sempre state molte donne. All'università eravamo quasi tutte ricercatrici, e anche attualmente in Prometeia, nel mio team, siamo in maggioranza. La presenza femminile però si sfoltisce man mano che si sale di grado. Non a caso all'università non vi erano professoresse ordinarie nel mio dipartimento. All'università le studentesse sono in tante, anzi forse la maggioranza. Poi piano piano se ne vedono di meno, non vanno avanti, e lì si avverte il famoso tetto di cristallo. Difficile dire perché: forse tendono a svalutarsi, ad accontentarsi, a gettare la spugna, condizionate dal clima esterno. Nel caso per esempio della carriera accademica temono il fatto di dover affrontare anni di precariato, di non potersi stabilizzare fino a oltre i trent'anni e mettere così in discussione gli altri progetti di vita.Si tende così a essere meno ambiziose e a fermarsi prima. Io, per fortuna, non ho mai sperimentato nessun tipo di discriminazione sulla mia pelle, e non ho mai fatto caso al fatto di essere in minoranza in alcuni contesti, come per esempio alle superiori. Anche forse per il fatto che le mie supervisor sono sempre state donne. Solo in ambito accademico mi è capitato di pensare che avrei avuto una carriera diversa se fossi stata un uomo, perché lì sì si avverte la resistenza verso le carriere femminili.A volte mia mamma, che è molto fiera di me ma fa parte di un'altra generazione, mi rimprovera bonariamente che mi vorrebbe più “ferma”, che non macinassi così tanto. Forse parla così perché vorrebbe un nipotino. Che è anche nei miei progetti e in quelli di mio marito, non penso la mia carriera possa essere di ostacolo quando arriverà il momento. Specialmente ora che siamo in smart working e abbiamo tutti guadagnato in tempo e produttività. Avendo più spazi sono perfino riuscita a riprendere un incarico accademico, e adesso, sempre da remoto, tengo un corso online presso la Cattolica in Scienze Bancarie.  Mi sento molto fortunata a essere arrivata fin qui. Vedo tra i miei amici che molti di quelli che hanno scelto l'università fanno fatica a trovare un lavoro, forse di più di quelli che si sono fermati al diploma. Abbiamo attraversato in pieno gli anni della crisi, ma va detto che ora molto di più rispetto al passato le materie scientifiche offrono maggiori opportunità di impiego. Ai miei tempi ancora si pensava che andando a studiare Ragioneria l'unico sbocco fosse l'insegnamento. Devo ringraziare anche mio padre che mi ha sempre insegnato che nella vita bisogna sempre studiare. È la curiosità che mi ha spinto fin dove sono, e per questo consiglio alle ragazze di oggi di lavorare sempre per raggiungere i propri obiettivi, di non tirarsi mai indietro perché abbiamo delle capacità uniche, come quella di essere determinate e saper fare bene più cose contemporaneamente. È proprio questo che ci contraddistingue. Testo raccolto da Ilaria Mariotti 

«Ragazze, non cercate di essere perfette ma coraggiose!»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso considerato “appannaggio maschile”. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una a una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate del proprio lavoro e fortemente convinte che, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Antonella Puzzo, partner presso il gruppo EY.   Ho trentanove anni e sono nata e cresciuta in Sicilia, a Modica. Ho studiato  ragioneria diplomandomi come perito tecnico e programmatore. All’inizio non volevo andare all’università, così ho scelto un titolo “finito”, che mi permettesse di cominciare subito a lavorare. Poi invece ho deciso di iscrivermi a Economia e commercio all’università di Catania. Era l’ultimo anno del vecchio ordinamento. Nel luglio 2005 mi sono laureata e a fine agosto ho mandato quattro curriculum, sì solo quattro, alle big four: Deloitte, EY, Kpmg e PwC. La mia docente del corso di  Revisione aziendale era partner di una di queste e ci aveva fatto partecipare a un gruppo di lavoro in cui erano intervenuti diversi professionisti. Mi aveva colpito così tanto la loro passione che ho pensato: “Se non riesco a entrare nella Guardia di finanza voglio fare il revisore!”. Alla fine ho accantonato la prima opzione e sono quindici anni che faccio proprio il mestiere del revisore. La docente mi aveva procurato un colloquio con la sua società, che aveva una sede a Catania. Io rifiutai perché ero convinta che, per quello che volevo fare, Milano offrisse più possibilità. Lei mi disse che a Milano non avrebbero mai preso una che si era laureata in Sicilia: diventò per me una sfida. A settembre feci il colloquio a Milano per EY, la mia prima e finora unica azienda, e a ottobre iniziai a lavorare con un contratto di apprendistato, nella vecchia formula di diciotto mesi (con i canonici tre di prova), poi trasformato in tempo indeterminato. Da allora vivo a Milano e mi trovo bene, ma rifarei mille volte l’università in Sicilia.  Oggi faccio parte del dipartimento Assurance, che comprende 1.100 persone, nel team Audit. Nel luglio 2018, dopo i vari step di carriera, sono diventata socia. Importante è stato aver fatto anche altro rispetto al mio ambito e aver potuto accrescere le mie competenze: ad esempio per quattro anni ho fatto parte del gruppo di lavoro sul capital market, che seguiva società che volevano quotarsi in Borsa, operazioni straordinarie etc. Mi sento fortunata, perché quello che volevo fare si è dimostrato il lavoro vincente per me, quindi ho riscontrato nella professione le mie aspettative universitarie. Tuttavia, come dico sempre, la fortuna ci vuole ma sei tu a giocarti la partita! Quello che più mi piace del mio lavoro è che ogni giorno è diverso dall’altro: sono infatti una persona che si annoia molto facilmente. Altro punto di forza è il contatto umano: lavoro in un’azienda il cui asset sono le persone e io ho deciso di improntare la mia carriera sul cercare di valorizzare il contatto umano. E poi l’audit è un lavoro fondato sulla fiducia: io firmo la relazione di revisione sulla base di una strategia ideata e strutturata in condivisione con tutti i membri del team, un lavoro di squadra a 360 gradi. Seguo tanti clienti, dal consumer product, all’energy, passando dalle realtà di prodotti industriali diversificati, e ognuno prevede un team da tre a dieci persone, quindi lavoro con un centinaio di persone diverse.Non ho mai avvertito differenze di genere, mi trovo in una realtà molto meritocratica e, riguardo il bilanciamento, da quando sono entrata a oggi sono stati fatti passi da gigante. Io stessa, con altre partner, partecipo a un progetto sul talento femminile che coinvolge donne di EY e di altre realtà per capire perché a un certo punto della carriera, spesso coincidente con la maternità, le donne si auto escludano. La mia idea è che le donne aspirano a essere perfette, quando invece dovrebbero solo essere coraggiose! A differenza degli uomini, non alzano la mano se non hanno la risposta perfetta e questo toglie loro la possibilità di poter giocare la partita. Io non sono sposata e non ho figli, ma non perché abbia scelto di dedicare tutto alla mia vita professionale, anzi. E non per questo mi sento una donna meno completa: ho tanti interessi e, per seguirli, ho dovuto sviluppare una forte capacità organizzativa, che è la chiave vincente. Così sono sempre riuscita a non rinunciare a nulla di quello che mi faceva stare bene, dall’andare a correre al seguire un corso di teatro o di fotografia.  Oltre alla revisione, da dieci anni mi occupo di formazione: sono partita da quella interna e oggi curo anche delle collaborazioni di EY con le università (Cattolica, Bicocca, Bocconi), con l’ordine dei dottori commercialisti, con le business school etc. Uno dei progetti di cui vado più fiera è il Talent Lab EYF – Empower Your Future, un set di lezioni su tematiche legate al bilancio (capital market, crescita sostenibile, fiscale) rivolte a un gruppo selezionato di venti ragazzi. Nella mia esperienza il ponte tra mondo dell’università e del lavoro è stato decisivo, anche questo mi ha spinto a contaminare i ragazzi della mia professione: io all’epoca non sapevo nemmeno di cosa si parlasse e mi si aprì un mondo!Oltre alla formazione, faccio parte del team di recruiting e partecipo alla fase finale delle selezioni, quella dei colloqui motivazionali. A settembre le assunzioni sono riprese, anche se le selezioni avvengono totalmente da remoto e anche i neo assunti lavorano in smart working, con tutte le difficoltà del caso.       Da noi lo smart working è sempre esistito e negli ultimi anni c’è stata una forte innovazione sia in azienda sia nella revisione in particolare: questo ci ha permesso, da febbraio a giugno, di riuscire a chiudere tutti gli audit per la scadenza di bilancio del 31.12. Tuttavia il mio lavoro in questo momento storico ne risente: è difficile ingaggiare i ragazzi, fare il training on the job... Inoltre il rapporto con i clienti dura molti anni: con le società quotate addirittura nove, si diventa una famiglia e lavorando in smart inevitabilmente si perde qualcosa. La vita in solitaria è un controsenso per l’attività di un revisore, soprattutto in una big four come la nostra. E può essere alienante se non ci si danno dei confini e non si creano momenti di stacco. Tra i consigli che mi sento di dare alle ragazze e ai ragazzi, c’è quello di attribuire la giusta importanza ai momenti di sconforto, senza nasconderli sotto il tappeto. Quante volte mi sono detta che avrei potuto fare tutt’altro nella vita – “Non è che dovevo fare la cuoca?” . Ma la forza sta nel cercare sempre di ascoltarsi e capire cosa non va e cosa si può fare per cambiarlo. Quello che mi ha sempre aiutato molto è stato lavorare per obiettivi e avere dei modelli di ispirazione. Sono riuscita a seguire un mix di modelli, prendendo da più persone i punti di forza, come coraggio, ambizione, tranquillità, grinta, ma anche avendo chiari i punti di debolezza e cosa non avrei mai voluto diventare. Altra cosa per me importante: il non dimenticare mai da dove sono partita. Solo se ti ricordi le difficoltà che hai vissuto puoi veramente riuscire a capire quelle dei giovani e aiutarli a superarle. Quando cresci velocemente, come accade in questa realtà, il rischio è proprio dimenticare da dove sei partito. Io non mi sento realizzata né arrivata, ho ancora tanti obiettivi da raggiungere. E poi ai ragazzi dico di essere coraggiosi, di non lasciare mai nulla di intentato, e di essere curiosi. Oggi con il nuovo accesso diretto alle informazioni non riusciamo ad acquisire realmente i concetti, non immagazziniamo nulla. Invece bisogna porsi e porre domande, saper conoscere quello che c’è dietro alle cose, e investire su se stessi. Apprezzo chi inventa qualcosa di nuovo, come una start up, o chi decide di restare nella sua terra – che è per me più coraggioso di chi parte – per trasformare una passione nella propria professione. Non esiste uno sbocco migliore di altri, ognuno ha il proprio, e oggi rispetto a prima spesso può prescindere da quello che si è studiato!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Girl Power: «Poche donne nella finanza: a volte gli stereotipi sono dentro di noi»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Ilaria Rossato, analista per Prometeia, società italiana di consulenza, sviluppo software e ricerca economica per banche, assicurazioni e imprese.Ho 28 anni e sono nata in un paese in campagna in provincia di Padova, Montagnana. Mi è sempre piaciuta la matematica, qualcosa di innato e senza particolari influenze familiari dal momento che i miei genitori sono imprenditori. E neppure i miei fratelli, che sono molto più grandi di me, hanno fatto percorsi di tipo scientifico. Ma già dalle scuole medie i professori avevano individuato questa mia attitudine, tanto da suggerire alla mia famiglia un percorso per me in questo ambito. Mi sono così iscritta al liceo scientifico, impegnandomi sempre molto nello studio. A diciott'anni però non avevo un’idea precisa di ciò che avrei voluto fare nella vita o in quale città sarei finita. Sapevo tuttavia che qualsiasi strada avessi intrapreso di lì in avanti l’avrei percorsa fino alla fine, senza voltarmi indietro e senza ripensamenti, perché così ero cresciuta. E così in effetti è andata.In Prometeia Advisor Sim, a Bologna, sono entrata quando ancora ero all'università, alla facoltà di Finanza, proponendomi per un tirocinio di tre mesi finalizzato alla redazione della tesi di laurea e per cui mi è stato riconosciuto un rimborso di 500 euro mensili. Subito dopo la discussione mi hanno richiamato, offrendomi un tirocinio di sei mesi come analyst, qui con un rimborso di circa mille euro mensili. Il passo successivo è stato l'apprendistato e infine il contratto a tempo indeterminato. In azienda ho sperimentato cosa significasse davvero lavorare nel mondo della finanza.Sono stata inserita in un team che si occupa di consulenza per le fondazioni di origine bancaria, quindi enti con grandi patrimoni da investire su asset finanziari, dai 70 milioni in su. La formazione è stata lunghissima e dura tuttora. E le difficoltà ci sono state perché le responsabilità sono state subito grandi nonostante fossi appena uscita dall'università e l'inserimento fosse stato molto veloce. Ci si può sentire sotto stress e non all'altezza. A volte è difficile reggere le pressioni del mestiere, nonostante ci siano molti stimoli e una volta raggiunti gli obiettivi si provi parecchia soddisfazione: specialmente adesso che sono in una fase intermedia a metà tra la consulenza vera e propria, quella in cui si parla con il cliente, e l'analisi pura dei dati dei primi tempi.Serve carattere perché l'ambiente è prettamente maschile e a volte gli stereotipi, anche se non all'esterno, sono dentro di noi. Mi è successo di pensare in qualche occasione che se fossi stata un uomo sarebbe stato più facile perché avrei forse reagito in modo diverso, più razionale. Le ragazze della mia età nella mia squadra sono solo un paio, ma in azienda vedo tante donne che hanno svolto o stanno svolgendo una brillante carriera. Credo che questo sia dovuto anche al loro carattere deciso.Le ore di lavoro possono essere molte, a seconda delle giornate. Ma adesso, grazie allo smartworking, il problema è ridotto perché non serve spostarsi e si guadagna tempo che si può poi spendere per fare altre cose. Io per esempio ho delle passioni a cui mi sono sempre dedicata oltre la matematica, la danza e i viaggi, che mi piacerebbe riprendere superata la pandemia. Ho praticato anni di danza classica e moderna, e poi di recente mi sono specializzata nella salsa. Adesso sono in pausa per l'emergenza, ma non ho intenzione di abbandonare perché rappresenta una parte di me fondamentale! Lo stesso per i viaggi. Amo in particolare le barche e il mare, vorrei prendere una patente per guidarne una. Durante un viaggio in Argentina mi sono appassionata anche allo snorkeling, e sono riuscita a vedere un relitto in fondo al mare!Se guardo indietro al mio percorso, mi rendo conto che quando ho scelto l'università sono andata un po' controcorrente perché mi sono trasferita a Bologna, senza conoscere nessuno. E questo nonostante la facoltà che avevo scelto, Economia e Finanza, fosse anche disponibile presso l'università di Padova, che sarebbe stata più vicina a casa mia. Ma avevo voglia di buttarmi in un ambiente nuovo. Mi sono laureata nei tempi, e sono uscita dalla specialistica in Finanza, Intermediari e Mercati nel 2016 con il massimo dei voti, a 24 anni.In triennale, pur essendo un corso di finanza, c’erano molte ragazze. All’inizio della specialistica tuttavia mi sono resa conto che di ragazze ne erano rimaste pochissime e quando capitava di dover svolgere lavori di gruppo, raramente trovavo qualche altra ragazza. La spiegazione che mi sono data è che, pur essendo ambedue i corsi molto selettivi e a numero chiuso, la triennale è legata all'economia di base, per cui da lì si possono intraprendere percorsi a più ampio spettro come il marketing.Molte ragazze del mio corso hanno cominciato a lavorare subito dopo questa laurea. Per la specialistica invece, in cui si studiano temi come la borsa e gli investimenti finanziari, bisogna essere convinti fino in fondo. Si tratta di un ramo dell'economia più legato alla finanza, quindi alla matematica in senso stretto. Per quello la mia scelta è caduta lì: perché più vicino alla mia materia preferita, la matematica, ma al tempo stesso meno teorico e più legato alla realtà economica. Infatti amavo le materie più analitiche, e odiavo i corsi di diritto e le materie troppo slegate dalla realtà. In quegli anni mi sono dedicata soprattutto allo studio, a parte qualche lavoretto saltuario come promoter nelle profumerie.In tutto il mio percorso non ho mai avvertito di essere discriminata per il fatto di essere donna, né ho subito alcuna forma di gender pay gap. Non ho mai pensato “questo non accadrebbe se fossi un uomo”. Ho un carattere ribelle, sebbene nascosto dietro un temperamento tendenzialmente calmo, e non avrei permesso che mi fosse riservato un trattamento diverso in quanto donna. In fin dei conti sono sempre stata circondata da figure maschili e ho sempre avuto un temperamento un po' da leader. Ed è questo che serve nel settore della finanza, altrimenti è facile sentirsi fuori posto. In questo ambiente mi trovo bene, con i miei colleghi si respira un clima leggero. E meritocratico, perché non c'è uno sforzo che passi inosservato.Sul futuro non mi sono ancora veramente interrogata, né sento di aver messo radici fisse. Non penso che questo lavoro sarà di impedimento per costruirmi una famiglia. L'impegno va condiviso con il partner, non c'è motivo di sacrificare la carriera. Per questo alle ragazze consiglierei di fare ciò che più loro piace, indipendentemente dallo sforzo necessario per raggiungere l'obiettivo o dagli ostacoli che potranno incontrare nel loro percorso. La passione, la volontà e la determinazione nel lungo termine ripagano sempre.Testo raccolto da Ilaria Mariotti 

Flex Is Like a Big Family: My Experience as an Intern, and Now an Employee

Repubblica degli Stagisti collects the stories of young employees of those companies who have joined the RdS network. Here's Gabriella Mannara's, 28, Product Quality Engineer in Flex.I was born and raised in Cava de’ Tirreni, a little town near Salerno, and after high school I attended the University of Naples “Federico II” majoring in Biomedical Engineering. I chose that university because it was near my home town and it was possible for me to keep living at my parents' during those years. It was not so inconvenient: there were lots of students from Salerno, so we usually arranged carpooling. My parents offered to rent a house for me in Naples, but honestly, there was no need.After my first degree, in October 2015, I decided to shake things up and enroll at what's, in my opinion, the best university in Italy: Politecnico di Milano. I got my Master’s Degree in Biomedical Engineering in April 2018. During that time, I was not covered by a scholarship, so my parents supported me. If I'm here today I've got to thank them – they always helped me, economically and morally. It's not easy to live apart from your loved ones.During the first year in Milan I stayed in a student residence, 500 euro a month all included. Then I moved into a flat with other roommates. It was really not a problem to feel welcome in Milan: some high school friends also lived in the city, and I decided to be part of Svoltastudenti, one of Politecnico's Student Union. Thanks to this group I had the opportunity to organize and carry out activities and trips for students such as cultural and sporting trips, sports activities, contests and workshops. During those years I was involved in Institutional Offices at Politecnico as a Representative of the students of my course.I’ve chosen Biomedical Engineering because I wanted to be helpful to others. For the same reason since 2015 I have been an active member of AIRFA, Associazione Italiana Ricerca Anemia di Fanconi, as a volunteer: I've been responsible and coordinator for the "Gran Galà del Cuore", a charity event organized by me and a friend to raise funds for the Bambino Gesù Children's Hospital in Rome, Italy.People give a lot of importance to the most known pathologies – i.e. cancer – but they often forget the others, which are problematic too – even if they are rare. Furthermore, Fanconi anemia usually get diagnosed before patients turn 12 years old. We decided to be active and do something for them, especially for children of course. This is how “Gran Galà del Cuore” started. In March 2019 I've been elected as a member board and referent of Northen Italy for this association.The first time I heard about Flex was in 2018, thanks to Politecnico's Career Office. I submitted a spontaneous application, was called back, did two interviews in a row, and I was hired as an intern. Flex is a global design, engineering, and manufacturing company that is specialized in the design of Medical devices; it has its headquarter in San Jose in California. The internship started in August 2018 in Milan and lasted six months: I was part of the Quality Department, supporting the Senior Quality Engineer. I had the possibility to work on the whole product life cycle of medical devices, from the early stage of development through the final stages. I had the possibility to work on the whole product life cycle of medical devices, from the early stage of development through the final stages. The internship included a 1000 euro monthly stipend. I had a good relationship with my tutor, he helped me a lot in order to understand both internal procedures and project protocols. When the internship ended, Flex offered me a permanent contract with a Ral – an annual salary – of a little bit more than 26k euro.However, here in Milan rents are very high, and it is way too expensive to live by yourself; so for now, I still live with roommates and I get to spend my money on traveling – in December 2019, just before the Covid pandemic, I went to Florida! I recently got a pay raise, I now earn over 30k per year; my role has not changed, but I have more responsibilities. Today I’m a Product Quality Engineer at Flex: I mainly cooperate with customers and design teams in order to define test plans, execute test activities, coordinating operators, data analysis and release test reports; I also plan and develop methods and activities related to testing activities, following international medical standards. In the future I would like to grow and maybe change my role: I’d like to become a Project Manager. I really love Flex – it's like a big family – and I hope to continue working here, if my job aspiration will be met. Before the pandemic I thought about going abroad for a while, but now I really don’t want to go too far from my family. On the contrary, I would like one day to return to Salerno, to my city and family.Since the first case of Covid in Italy, Flex offered the possibility of working from home. It was difficult in the beginning, as I was working on the final phase of a project – so it was challenging to follow the operators that were on site. But in the end everything went well. There were a lot of online meetings with other workers: it is important to have the possibility to exchange ideas with colleagues, even if only virtually. The companies also organized many virtual events and initiatives to keep the employees engaged. I started to go back to the office in July 2020, but just periodically – when necessary. My advice to young people: try and choose an interesting internship, one that has a youth friendly and stimulating environment, one that can give you the opportunity to work with colleagues and customers from all over the world. Also, avoid the unpaid ones like the plague!Story collected by Marianna Lepore

Girl Power, assunta ancor prima della laurea: «Studiare statistica aiuta a trovare lavoro»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Valeria Spano, Sas consultant per T4V, società di consulenza ICT specializzata in progetti di Big Data Analytics con specifica focalizzazione nelle tecnologie e nelle piattaforme SAS, Cloudera e Microsoft Azure.Ho 26 anni e vengo da Bari. Sin da piccola ho sempre avuto una forte passione per le materie scientifiche. Un'attitudine del tutto innata perché vengo da una famiglia che fa tutt'altro, sono commercianti nell'ambito dell'arredamento. Ma era una propensione da subito spiccata tanto che già alle medie correggevo i miei compagni mentre facevano equazioni e la professoressa di matematica non mi interrogava mai, diceva di non sapere cosa chiedermi! Nonostante ciò mi sono iscritta al liceo classico, anche se non mi piacevano per nulla le materie umanistiche, tanto che il mio punteggio finale è stato di 75. Ma sono riuscita a costruire basi solide per la mia formazione, ed è una scelta di cui non mi pento, perché mi ha reso capace di studiare qualsiasi cosa. Ho perfino dato ripetizioni di latino mentre studiavo all’università! Ricordo con grande affetto anche una docente, che mi ha trasmesso l’amore per la cultura in tutte le sue forme, ma soprattutto il concetto che l’impegno ripaga sempre. All'università ho avuto un percorso non lineare, che ho svolto interamente nella mia città, all'università di Bari. Mi sono inizialmente immatricolata alla facoltà di Economia. Ultimata la triennale, affascinata dal mondo della Data Science, ho deciso di concludere con il corso di Statistica. Il motivo per cui non ho scelto subito Statistica è stato che non sapevo dell’esistenza degli sbocchi lavorativi che potesse dare. In questo senso l'orientamento formativo al termine del liceo è stato piuttosto carente. Così, alla magistrale mi sono ritrovata in un piccolo gruppo di una quindicina di persone, di cui la maggior parte donne, un fatto certo non comune. Ma la spiegazione è che il mio era un piccolo ateneo, dunque non rappresentativo di quello che potrebbe succedere in una più grande università di Roma o Milano, dove sarebbe più raro trovare una maggioranza di ragazze in una facoltà scientifica.Ho scelto di scrivere la tesi di laurea in Machine Learning, nonostante questa non fosse una materia del corso, ottenendo un voto finale di 110 e Lode. Ma ancora prima di discutere la tesi, avevo già firmato il contratto di stage in Business Intelligence & Data Visual Management presso T4V a Milano, che prevedeva un rimborso di 1000 euro mensili. Avevo ricevuto anche un'altra proposta da parte di un'altra azienda, ma ho fatto questa scelta perché durante il colloquio ho avvertito di avere una maggiore comunanza di valori con la mia attuale azienda. E quindi lo scorso anno, a 25 anni, sono partita per Milano. Era gennaio 2020. Due mesi dopo il lockdown, e l'inizio dello smart working. Lo stage è durato quattro mesi, e subito dopo sono stata assunta come consulente in Business Intelligence & Data Visual Management con contratto a tempo indeterminato e una ral di 23mila euro. In questo anno, grazie alla mia costante curiosità e voglia di imparare e spingermi sempre oltre, e grazie a T4v che ha saputo coltivare queste qualità, ho lavorato a numerosi progetti, in diversi settori, quali Retail, Luxury e Bancari, dai quali ho cercato di apprendere ogni giorno qualcosa che potesse arricchire il mio bagaglio personale e professionale. Ad oggi, infatti, lavoro a un progetto di cui sono entusiasta, per il quale in genere sono richiesti più anni di esperienza rispetto ai miei. Di ciò sono onorata e spero di esserne all’altezza. Purtroppo a mancare è la vita di azienda, al momento infatti sono in smart working e lavoro da casa a Bari. Il lavoro a distanza ha reso più distante la collaborazione in team, in quanto la conoscenza delle persone è ormai virtuale. E ha anche complicato la comunicazione. Penso a chi come me è agli inizi della propria carriera. Agli stagisti in smart working, che si ritrovano nella condizione di affrontare “da soli” quelle difficoltà o perplessità che si incontrano agli inizi di un nuovo lavoro; non perché non si è seguiti, ma semplicemente perché si tende a  evitare di chiamare per non disturbare. Speriamo che in futuro si possa tornare alla normalità, perché una delle cose che mi piacerebbe fare è parlare in modo diretto con i colleghi, raggiungendoli quando necessario alla scrivania, senza passare per il telefono. La mia più grande aspirazione, e lo è sempre stata, è quella di essere una “donna in carriera”. Termine che per me implica soddisfazione e eccellenza nel lavoro svolto. Inoltre, ciò che ho sempre desiderato è che il lavoro rispecchiasse la mia più grande passione, e il mio sogno sarebbe diventare Data scientist. Ma non è qualcosa che arriva dal nulla, perché bisogna lavorarci su. La mia è stata una strada fatta di lunghe giornate di studio, anche dieci ore durante l'università. E ho sempre creduto nell'indipendenza economica, per cui all'università arrotondavo con lavoretti come baby sitter e ripetizioni a studenti di medie e liceo. Fortunatamente nella realtà aziendale in cui sono capitata e nei progetti sui quali ho lavorato, non ho mai incontrato difficoltà legate alla disparità di genere, sebbene la maggior parte dei colleghi è rappresentata da uomini. E di ciò posso ritenermi fortunata. Di sicuro Statistica mi ha facilitato nel trovare lavoro e altresì mi ha avvantaggiata da un punto di vista contrattuale ed economico. Ormai sempre più di frequente le donne ricoprono ruoli prima riservati esclusivamente alla figura maschile. E noi donne siamo altrettanto capaci, quindi ritengo più che giusto che ci sia uguaglianza anche a livello retributivo fra i due sessi. Va contrastato il fenomeno del gender pay gap, che personalmente non ho mai subito.  Il consiglio più grande che mi sento di dare è di credere sempre in sé stesse e non abbattersi ai primi ostacoli che si incontrano lungo il cammino, bensì di trarne sempre un insegnamento, anche minimo, e di farne tesoro. È proprio tramite gli errori o gli ostacoli che avviene la crescita di ognuno di noi. Inoltre vorrei suggerire di coltivare la propria passione e non trascurarla mai. E, perché no, fare di essa il proprio lavoro. Ilaria Mariotti 

«Assunta dopo entrambi i miei stage, sono stata fortunata: mai smettere di cercare la propria strada!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Elisa Peinetti, 35 anni, oggi con un contratto a tempo indeterminato in Giappichelli.Sono cresciuta in un paesino della provincia torinese. Ho sempre fatto, già da quando ero adolescente, vari lavoretti – ma sicuramente senza l’aiuto economico dei miei genitori sarebbe stato tutto più difficile. Finite le superiori ho deciso di iscrivermi all’università: una scelta fatta in particolare per far felice mio nonno, che sognava tanto una nipote laureata. Da piccola pensavo di fare l’infermiera, ma crescendo ho realizzato di avere seri problemi con la vista del sangue altrui... così ho scelto una facoltà che mi permettesse di entrare nel mondo del lavoro velocemente e che avesse a che fare con i numeri, cosa che adoro. Dopo il diploma scientifico quindi mi sono iscritta ad Economia e gestione del turismo presso l’università di Torino. Ho però poi cambiato facoltà scegliendo Direzione delle imprese, sempre nello stesso ateneo, quindi fra cambio corso di laurea – con la conseguenza di non avere tutti gli esami riconosciuti – e lavoretti vari sono andata fuori corso. Mi sono laureata nel settembre 2010 seguendo sempre le lezioni da pendolare, viaggiando in auto. Non è stato faticoso: chi abita fuori città è abituato a spostarsi per qualsiasi cosa e rimanere imbottigliato nel traffico nelle ore di punta, quindi era una normale routine. Riuscivo comunque ad organizzarmi fra lezioni, spostamenti, studio e lavori: quando si è giovani bastano poche ore di sonno per essere riposati!I lavoretti, per esempio babysitter o ripetizioni a studenti, mi servivano per avere un po’ di indipendenza economica ma a un certo punto sono riuscita a trovare qualcosa di un po’ più stabile. Nel marzo 2010, infatti, ho cominciato uno stage con un rimborso spese di circa 500 euro al mese presso una finanziaria, la Pitagora spa, e a settembre dello stesso anno sono passata a un contratto di sostituzione maternità che è durato fino ad agosto dell’anno successivo con una Ral di circa 19mila euro lordi. Il lavoro era molto interessante e ricco di sfaccettature: richiedeva molta precisione e organizzazione, è stata un’esperienza molto istruttiva. Terminata la sostituzione maternità mi è stato proposto, sempre con la stessa retribuzione, un contratto a tempo determinato di dieci mesi, che ho accettato. Inizialmente mi occupavo della gestione delle polizze assicurative legate ai finanziamenti e della gestione del controllo dei documenti per l’invio in banca. Successivamente ho cominciato a preparare le pratiche di cessione del quinto e deleghe per prestiti di dipendenti privati, pubblici e pensionati. Ho capito però che non era quella la mia strada e alla fine ho deciso di lasciare il posto, ancora prima di scoprire se l’azienda mi avrebbe rinnovato il contratto.A quel punto ho iniziato a guardarmi intorno per cercare un nuovo lavoro e per non rimanere senza nulla da fare ho iniziato a frequentare vari corsi online come ad esempio per correttore di bozze ed editing, ma anche da wedding planner. Può sembrare strano, ma saper organizzare nel miglior modo un matrimonio è un’ottima scuola per imparare a gestire lo stress e i problemi sia organizzativi sia economici.Poi a inizio 2014 un conoscente mi ha informata che in Giappichelli stavano cercando nuovo personale: così ho deciso di mandare il mio curriculum. Era febbraio, ho fatto subito un colloquio e sono stata presa per uno stage di sei mesi a partire da marzo con un rimborso spese di circa 650 euro mensili. All’inizio mi occupavo solo di compiti che non richiedessero troppa conoscenza della casa editrice, lavorando nell’ufficio amministrativo e occupandomi per esempio anche di solleciti pagamento, rinnovo abbonamenti, archivio. Poi finito lo stage mi è stato proposto un contratto di apprendistato cominciato a ottobre 2014 con una Ral iniziale di circa 16mila euro. Ma poco prima che scadesse il contratto, nel gennaio 2017 sono stata assunta a tempo indeterminato!I compiti che ho oggi sono la normale evoluzione di quelli cominciati in tirocinio e via via ampliati: gestione della fatturazione attiva e passiva, contatti con le pubbliche amministrazioni e gestione delle pratiche contributi pubblici. È stato un percorso in crescita, supportato sia dal tutor sia dai colleghi che mi hanno assegnato via via lavori con crescente responsabilità. Poi dopo una riorganizzazione aziendale ho cominciato, invece, ad occuparmi di back office, help desk interno e data entry su sistemi informatici supportando i colleghi editoriali fino ad arrivare a testare applicazioni gestionali, assistere la direzione e infine occuparmi dell’analisi e controllo delle performance dei libri e analisi del mercato e competitors. Negli anni la responsabilità è aumentata, così come la categoria e lo stipendio che ora è arrivato a circa 24mila 500 euro lordi l’anno a tempo pieno. E ancora oggi, dopo sette anni, il mio percorso lavorativo continua ad evolversi: sono arrivata a occuparmi sempre più di controllo della gestione e analisi dei dati. Dal 2015 mi sono trasferita a Torino: un cambiamento che non sarebbe stato possibile senza uno stipendio fisso. I costi per la gestione della casa sono tanti e inizialmente tra affitto, rata dell’auto, varie spese e mancanza in una buona base, mi capitava di arrivare a fine mese con qualche sacrificio. Per questo devo ringraziare i miei genitori che mi hanno aiutata anche solo con i pranzi nei fine settimana e la spesa fatta anche per me.Da poco ho ripreso la formazione personale attraverso un master breve online alla 24ore Business School sul controllo e strategia d’impresa. Ho scelto proprio questo perché può essermi d’aiuto con quello che faccio. Ho messo i soldi da parte per poter riprendere la formazione e ci tengo molto a pagarmi interamente questo master: è una cosa “mia” e l’intenzione è non fermarmi ma farne anche altri in futuro per capire in cosa sono più predisposta. Quindi per avere più tempo per seguire e studiare per il master da alcuni mesi ho cominciato a lavorare in part time all’80 per cento e non ho ancora deciso fino a quando avrò questa modalità. Viviamo in un mondo in continua evoluzione e bisogna cercare di non farsi mai prendere impreparati, per questo credo che continuare a formarsi il più possibile sia molto importante per i lavoratori di oggi e per i giovani che si apprestano a entrare nel mondo del lavoro.La pandemia Covid ha impattato anche il mio settore lavorativo, e infatti a marzo dello scorso anno abbiamo cominciato a lavorare in smartworking, visto l’aumento dei contagi. Sono stata fortunata perché sono stata fra le prime a poter usufruire del lavoro da casa. A partire dalla fine del mese di aprile abbiamo lentamente ripreso tutti a lavorare in ufficio e praticamente a settembre eravamo di nuovo a pieno organico. Non mi è dispiaciuto lavorare da casa, mi sono trovata molto bene e forse anche a causa del mio carattere introverso non ho avuto problemi per la mancanza di contatto umano. Anche perché ci sono le chiamate, le videochiamate, le mail. Ora che sono in part time vado in ufficio solo due giorni a settimana e gli altri lavoro da casa – così guadagno tempo per gli spostamenti.Riguardando indietro al mio percorso lavorativo posso dire di essere stata fortunata: ho avuto esperienze concrete durante i miei stage grazie ai quali ho cominciato molto presto ad avere contatto diretto con il modo di lavorare aziendale. Cosa che in realtà non succede molto spesso: il grosso problema dello stage è che spesso, purtroppo, non aiuta a capire veramente come funziona il mondo del lavoro, mentre dovrebbe aiutare a prendersi delle responsabilità “imparando” la realtà – che è ben diversa da quella scolastica.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Da piccola sognavo di migliorare la vita delle persone con la tecnologia: oggi lo faccio in EY»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Sharon Di Nepi, partner presso il gruppo EY.Ho quarantaquattro anni, sono nata a Roma dove vivo con mio marito, con cui sono sposata da diciotto anni, e con due figli: Eitan, che oggi ha quattordici anni, e Shirel che ne ha undici. Mi sono diplomata al liceo scientifico Renzo Levi e poi mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria informatica con indirizzo Automazione Industriale all'università di Roma Tre. La mia scelta nasce da lontano e può sembrare buffa, ma dimostra anche quanto i sogni dei bambini possano essere profondi... Da piccola guardavo un cartone animato, Cybernella, la cui protagonista era una ragazzina con un cuore bionico. Da lì ho capito che mi piaceva l'idea di utilizzare la tecnologia per incidere sulla qualità della vita delle persone. La scelta dell'università è stata importante: la facoltà di Ingegneria di Roma Tre era stata aperta da poco e c'era una dimensione molto umana, con diverse ore di studio in laboratorio e un grande spirito di collaborazione tra tutti. Noi donne non raggiungevamo il dieci per cento della classe, ma ormai i ragazzi ci consideravano alla pari, facevano battute come fossimo maschi... Anche grazie all'ottimo clima, mi sono laureata molto velocemente e conservo ancora le amicizie create in quel periodo.La mia famiglia è stata contenta della mia scelta e mi ha dato tutto il supporto possibile. Mi ha dato la possibilità di studiare senza dovermi preoccupare del lavoro, anche se per arrotondare e avere un minimo di indipendenza ho preso delle borse di studio all'università come responsabile dei laboratori tecnici. Sono diventata la prima laureata della mia famiglia. Io vengo da una famiglia ebraica; nessuno prima di me aveva avuto la possibilità di studiare, e questo traguardo quindi ha rappresentato un momento di gratificazione degli sforzi dei miei nonni e dei miei genitori, che sono stati un modello per me. Mio padre, commerciante di tessuti e arredamento, il giorno della mia laurea mise addirittura un cartello con scritto “Chiuso per laurea".Qualche mese prima di laurearmi, a luglio del 2001, ho partecipato a un evento promosso da una grossa società di consulenza con l'università per conoscere i giovani laureandi a Nizza, in Francia. A settembre, subito dopo la laurea, mi hanno contattato per coinvolgermi in un percorso di inserimento professionale: ho iniziato con un contratto di apprendistato, che poi si è trasformato in due anni in indeterminato. Nonostante il mio indirizzo di studi in Automazione industriale, ho chiesto di lavorare nel settore pubblico, che mi avrebbe permesso di perseguire il mio sogno: immaginare un futuro diverso e realizzarlo attraverso la tecnologia. Ho fatto una prima esperienza avendo come cliente Poste italiane e poi sono passata all'Inps, che è il cliente cui lavoro ancora oggi. Da Analyst in due anni sono diventata Consultant e poi Manager e Senior Manager: sono rimasta in questa prima azienda undici anni. È evidente che senza il supporto della mia famiglia, in particolare di mia madre e di mia nonna che mi hanno aiutato con i miei due figli, non avrei potuto raggiungere questi risultati. Inoltre con mio marito, avvocato civilista, siamo a tutti gli effetti una squadra. Sul lavoro lui mi supporta da vari punti di vista, sia direttamente che indirettamente: è il mio consulente tecnico, il mio critico, il primo spettatore dei miei convegni, il mediatore di riferimento per i conflitti interni. Ma anche la persona che mi aiuta nella cura della casa e dei bambini, dandomi la possibilità di concentrarmi al cento per cento sul lavoro quando è necessario. Questo ambiente molto sfidante, veloce e competitivo non è facilmente conciliabile con la creazione di una famiglia, se non hai a disposizione una struttura che ti supporta: la disponibilità h24 è molto spesso una regola imprescindibile.Come Senior Manager ero arrivata a un punto della mia carriera in cui sentivo il bisogno di sperimentare progetti nuovi, dove poter valorizzare al massimo il mio spirito imprenditoriale e creativo. All'epoca – era il 2012 – EY si stava affacciando all'ambito IT, firmando i primi contratti tecnici. Mi offriva quindi l'opportunità di rimanere nel settore pubblico, sfruttare le mie competenze in ambito digitale, ma allo stesso tempo avere "foglio bianco", dove poter sviluppare le mie idee ed esperienze. All'inizio è stato un percorso in salita, i progetti IT richiedono strutture specifiche, impianti contrattuali ad hoc e risorse con competenze specializzate che, infatti, ho contribuito a creare, coinvolgendo nel gruppo di lavoro: ingegneri, informatici ma anche economisti, matematici, giuristi... Il valore della diversità è da sempre per me un elemento fondante, e anche in ambito professionale si è rivelato una chiave importante per il successo di squadra. Il nostro lavoro parte dalla conoscenza dei processi del cliente e cerca di aiutarlo a progettare processi di trasformazione, collaborando con altri grandi player del mercato. Con me lavorano una trentina di persone, tutte giovanissime. C'è bilanciamento di genere, anzi le figure Executive sono a prevalenza femminile. Tre anni fa sono diventata partner EY. Ho superato un processo di valutazione iniziato due anni prima, in cui dovevo dimostrare di avere un business case adatto e maturo per sostenere la partnership e portare valore alla società. La valutazione ha compreso vari colloqui, con il coinvolgimento della società a livello global: parte tecnica, motivazionale, di sostenibilità economica. Per diventare partner bisogna anche essere un role model, rappresentare i valori di EY. Attualmente ho un duplice ruolo: sono account degli enti previdenziali, portando il meglio della società a questi enti, e sono responsabile della parte di Digital Transformation del settore pubblico, aiutando gli account dei clienti del pubblico a sviluppare i loro processi di innovazione. Oggi ho anche l'obiettivo di far crescere le persone che lavorano insieme a me, ma continuo a essere operativa e a crescere anch’io in prima persona: ad esempio recentemente abbiamo lanciato una campagna sulla tecnologia blockchain e ho dovuto studiare e approfondire il tema anche con corsi di formazione interni. Grazie a questo progetto, abbiamo aiutato l'Inps ad accreditarsi come polo di innovazione della rete europea blockchain, per l'identificazione dei lavoratori che si muovono all’interno dei paesi in Europa: è stato un obiettivo importante eallo stesso tempo emozionante.Il periodo di smart working è stato particolarmente duro, anche perché lavorando per Inps e Inail era necessario rispettare delle deadline istituzionali molto stringenti coordinando tutte le attività da remoto. A casa è difficile mantenere i confini: si stava in call dalle otto di mattina alle dieci di sera. E tutto questo si doveva conciliare con il "lavoro" di mamma. Inoltre, le nostre attività sono molto legate al team e alla collaborazione con il cliente, per questo ho cercato sempre di mantenere una certa "normalità", ad esempio condividendo il caffè pomeridiano virtuale con il mio team. Ora stiamo cominciando a tornare in sede, anche se l'indicazione aziendale continua a essere quella di fare il più possibile smart working.Ai ragazzi dico sempre, al di là delle skills, di essere curiosi e un po' visionari, di aver voglia di immaginare un mondo differente e provare a contribuire a realizzarlo. Devono sognare in grande! Alle ragazze, in particolare, dico che non devono crearsi delle barriere se non ci sono e, se ci sono, devono cercare di abbatterle senza mai farsi demotivare. E poi dico loro di farsi aiutare: in certe carriere il supporto è importante e poi è bello condividere i risultati con chi ti ha aiutato. Sicuramente sulla capacità di reagire ai preconcetti ha inciso molto anche la mia religione: come ebrea faccio parte di una comunità che nella storia è stata messa molto alla prova e questo  ci ha abituati  a reagire e a dimostrare nei fatti il nostro valore. Per questo dico che con impegno, dedizione e cuore i risultati arrivano.Oggi la consulenza può essere un buono sbocco, si può crescere velocemente, entrare in contatto con clienti importanti e avere tante gratificazioni e stimoli intellettuali. Tuttavia è una scelta da prendere con seria attenzione: la consulenza non è adatta a tutti e richiede un forte impegno. Ma io rifarei questa scelta altre cento volte!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Assunta quando ero al settimo mese di gravidanza: conciliare vita privata e carriera si può»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Alessandra Cimadom, partner presso il gruppo EY.   Ho quarant'anni, sono nata a Ivrea e cresciuta nel Canavese e oggi vivo a Torino. Dopo il diploma scientifico non avevo le idee chiare su cosa volessi fare da grande. Ero piuttosto impallinata per lo sport e volevo iscrivermi a tutti i costi all’Isef, ma non mi convinceva perché non mi sembrava potesse offrirmi un futuro “solido”. Allora ho deciso di fare il test di ingresso a  Scienze politiche, internazionali e diplomatiche, dal momento che le lingue erano un’altra mia passione. L’ho superato, ma dopo qualche mese mi sono resa conto che non mi piaceva. Così i miei genitori mi hanno consigliato di trovare un lavoro, intanto che cercavo di chiarirmi le idee sul da farsi. Ho iniziato a lavorare in una software house come assistente software, mi occupavo di formazione per studi professionali.Da lì mi sono appassionata al tema e ho deciso di iscrivermi a Informatica, indirizzo Reti, all’università di Torino. Mi sembrava un ambito in forte espansione, che mi avrebbe permesso di combinare la passione per qualcosa di “matematico”, con quello che il mercato del lavoro chiedeva in termini di competenze accademiche.Era il 2000 e quello non era propriamente un corso “per donne”: eravamo solo in tre su quasi cento iscritti. Bisogna essere un po’ “maschiacci” per sopravvivere in quell’ambiente e io, in fondo, lo sono sempre un po’ stata. Sarà che ho sempre fatto sport, dalla pallavolo all’atletica alla vela. Ancora oggi non posso fare a meno di dedicarmi regolarmente all’attività sportiva: corro, vado in palestra, nuoto. È il mio modo per rimanere equilibrata, o almeno provarci, e dare ossigeno al cervello in un mondo sempre più caotico.  A fine percorso universitario ho vinto un contratto come consulente di Motorola a Swindon, in Inghilterra. Ho partecipato a un progetto di sei mesi in un gruppo internazionale che aveva l’obiettivo di ottimizzare gli algoritmi di gestione delle reti cellulari della Cina. Progetto che ho utilizzato per scrivere la mia tesi di laurea, che è valsa la valutazione di 110 e lode con menzione di stampa e il premio di miglior tesi delle facoltà scientifiche di quell’anno accademico. Consiglio a tutti un’esperienza all’estero, soprattutto in posti che all’apparenza sembrano poco attraenti: avere coraggio è uno degli ingredienti principali per la crescita professionale, bisogna fare quello che gli altri non hanno il coraggio di fare. Quando sono tornata in Italia ero letteralmente sommersa di offerte di lavoro, sia grazie a quell’esperienza all’estero sia grazie alla votazione di laurea.Ho accettato la proposta di Reply, società di consulenza nata in Italia e oggi internazionale, che tre mesi prima che mi laureassi mi ha offerto un contratto a tempo indeterminato come Analyst. Ho iniziato occupandomi di telecomunicazioni nel dipartimento Qualità di Vodafone a Ivrea: valutavamo gli impatti qualitativi del lancio di nuove offerte. Poi mi sono spostata per qualche tempo a Roma per un progetto in H3G come supporto ai cinesi di Huawei, che si affacciavano sul mercato italiano sul mercato italiano  per il lancio delle loro prime datacard. Mi chiamarono il venerdì per iniziare il lunedì: d’altronde le opportunità di crescita comportano sempre qualche sacrificio!Nel 2007 mi sono spostata in Altran, una società di consulenza più grande che già un paio di volte aveva tentato di assumermi. Lì ho iniziato a occuparmi di Energia: era l’anno della liberalizzazione del mercato elettrico e mi hanno proposto di partecipare a un progetto ambizioso, che mi permetteva di riscrivere pezzi di azienda. Così ho iniziato a specializzarmi nel mercato energetico, combinando progetti di trasformazione business e progetti di trasformazione tecnologica. In tre anni sono passata da Senior Consultant a Principal Consultant. Nel 2010 mi sono spostata in una multinazionale di consulenza a Milano: facevo progetti in Italia e in Europa, sempre in ambito Energy. Sono entrata come Manager: avevo trentun anni e mi sembrava di aver raggiunto un incredibile traguardo, entrando come dirigente, a far parte della più grande azienda di consulenza a livello mondiale. Una vera palestra professionale, dove sono stata per diversi anni e dove ho imparato tanto, diventando Senior Manager nel 2015. Nel frattempo la famiglia è cresciuta: nel 2012 è nato il mio primo figlio, Leonardo. Combinare vita professionale e vita privata si può, con qualche salto mortale, ma si può. Ho tre figli: due nati dall’unione con il mio compagno, uno acquisito dal suo precedente matrimonio. La famiglia è fonte di energia e ispirazione e non sarei riuscita a ottenere i risultati professionali senza di loro. Certo il supporto di una rete di fiducia in questo lavoro è strettamente necessario. Io ho la fortuna di averlo, sia dal mio compagno, flessibile nel venirmi incontro nei miei cambi repentini di agenda, sia dai miei genitori, che mi aiutano con i bambini insieme a due babysitter che si alternano. Purtroppo sono una madre poco presente fisicamente, la mattina esco di casa alle sette e mezza e rientro alle otto di sera. La famiglia è sicuramente penalizzata, ma il tempo che poi abbiamo a disposizione insieme è di qualità.A marzo del 2019 sono entrata in EY come Associated Partner nell’area Consulting: la società aveva l’obiettivo di rinforzare la squadra nel mondo Energy e, nonostante fossi incinta di sette mesi, mi ha voluta fortemente, dimostrando una grande apertura di pensiero che mi ha convinto ulteriormente a spostarmi. EY infatti è una società che valorizza la crescita professionale delle donne e la loro capacità di trovare un equilibrio tra vita professionale e familiare. Quando sono tornata dalla maternità a novembre 2019, ho iniziato il percorso per diventare Partner, e dallo scorso 1°ottobre lo sono ufficialmente. Un risultato importante che premia il mio percorso: oggi posso dire che rifarei tutto!Ho scelto di continuare a fare attività legate a progetti pionieristici su ambiti e tecnologie sempre diversi: è quello che mi piace di più del mio lavoro, non riuscirei mai a fare un lavoro impiegatizio. Questo nonostante lavorare a tanti progetti diversi comporti avere continua ansia da performance e necessità di imparare molto velocemente. Occorre una predisposizione innata, esercitata nel tempo e affiancata dalla soddisfazione per quello che si fa: la performance c’è solo se si riesce a esprimere serenità e passione. Nel mio gruppo di lavoro c’è equilibrio di genere. Tuttavia, quando mi sono occupata di selezionare neolaureati, ho potuto constatare che è più difficile trovare figure femminili in ambito scientifico. Si trovano più facilmente laureate in matematica o fisica, ma molto meno in ingegneria e informatica. Oggi a mio figlio – se non avesse già scelto Medicina! – consiglierei una facoltà scientifica. In particolare, nel nostro ambito si ricercano molto ingegneri specializzati in efficienza energetica, informatici, ingegneri informatici. Ai ragazzi dico di non perdere di vista il confronto diretto con le persone e di non scegliere sempre la strada più facile. Mi rendo conto che oggi si ha un concetto un po’ diverso di lungo termine e di relazione umana, che tuttavia credo che nel mondo del lavoro siano ancora valorizzati. Inoltre ritengo fondamentale il concetto di flessibilità – che non significa fare qualsiasi cosa, ma avere la capacità di saltare da un argomento all’altro senza troppe paure e preconcetti, avere la predisposizione a cogliere tutte le opportunità che la vita e il lavoro ti offrono.Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Dentro Vulcanus in Japan: studiare per un anno in Giappone, due studenti raccontano come si fa

Dal 10 gennaio al 10 febbraio 2020 sarà possibile candidarsi a partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle stesse aziende ospitanti e destinato agli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare la loro esperienza: ecco le storie di Paolo Tirotta e Luca Tremamunno. Paolo Tirotta (24 anni, Trebisacce)Sono all’ultimo anno di specialistica in Statistica all’università di Bologna. Un anno fa ho fatto l’application per il Vulcanus. Durante la triennale avevo già partecipato al Double Degree, facendo un anno a Glasgow, e volevo fare un’altra esperienza all’estero, così ho iniziato a guardarmi intorno e ho trovato questo programma. Non esistono molti progetti del genere con il Giappone e, visto che era sempre stato un mio sogno andarci, non potevo non approfittarne.  A marzo ho saputo di essere rientrato nella short list di studenti che sarebbero stati contattati dalle aziende con cui erano stati accoppiati. Era possibile, nella domanda, esprimere la propria preferenza, ma io non l’avevo fatto, nella speranza di avere più possibilità. Sono stati abbinato a Ntt Data, con sede a Tokyo. Mi hanno scelto senza colloquio (altre aziende lo richiedevano): ad aprile ho ricevuto la comunicazione. Quindi ho inviato al Centro di Bruxelles i documenti necessari per il visto. Ho iniziato a settembre. Mi hanno assegnato un appartamento di circa 25 mq, piuttosto centrale e comodo per gli spostamenti, in un residence che ospitava anche gli altri due partecipanti al programma, un italiano e uno spagnolo. I primi giorni abbiamo seguito un seminario utile a fornirci informazioni pratiche, ad esempio sulla registrazione obbligatoria all’ufficio dell’area in cui risiedevamo, sulle schede telefoniche, sull’assicurazione etc. Per i primi quattro mesi, abbiamo seguito per sei ore al giorno il corso di lingua giapponese, incentrato soprattutto sulla conversazione. Io ero avvantaggiato perché già da un anno mi ero messo a studiare il giapponese. Seguivamo inoltre seminari sulla cultura del lavoro ed elementi di storia e cultura del Giappone. Nel restante tempo, avevamo la possibilità di esplorare la città e i dintorni. Il programma prevedeva un grant di circa 15mila euro totali, versati mensilmente (in cifre diverse). Non pagavamo né alloggio né bollette, quindi erano ampiamente sufficienti per le altre spese, come i trasporti e i viaggi.   Dopo i quattro mesi di corso, è iniziato il tirocinio. In Ntt Data ho lavorato presso il Dipartimento Research and Development, occupandomi di modelli, in particolare di question answering e riassunti di testi giapponesi. Per i primi due mesi, prima del Coronavirus, andavamo in azienda tutti i giorni ed eravamo inoltre coinvolti in numerosi eventi di team building. In più, ogni mese facevamo un meeting in cui parlavamo di come andava il programma. Se si avevano problemi con la lingua, si trovava sempre qualcuno che parlava inglese. C’era un bel clima, anche se lì bisogna essere molto proattivi per relazionarsi con i colleghi. Da marzo abbiamo iniziato lo smart working, sono tornato non più di tre volte in ufficio. Tuttavia con il mio supervisore e il collega ci sentivamo ogni giorno e settimanalmente si tenevano meeting con tutto il dipartimento. Fortunatamente il Giappone non è mai stato tra i paesi più colpiti, non c’è mai stato lockdown. Poi qui la cultura della mascherina esisteva già e inoltre c’è di base un forte rispetto delle regole e delle persone, tra le cose che più apprezzo rispetto al mio paese e che mi hanno spinto a decidere di ritornare in Giappone.Ad agosto sono rientrato in Italia, ma ho già fatto un colloquio con Ntt Data per ritornare da settembre prossimo, dopo che avrò terminato gli ultimi due esami e la tesi. Mi hanno offerto un contratto, per mia scelta per ora a tempo determinato (un anno), ma con uno stipendio molto più alto di quelli entry level in Italia.Il Giappone per me è sempre stato un sogno: da quando avevo 14 anni amo gli anime e i videogiochi giapponesi. Poi, attraverso la piattaforma di scambi culturali Workaway, avevo già trascorso due mesi lì, a Osaka, lavorando presso un ostello. Tornandoci per Vulcanus mi sono piaciuti sia il lavoro sia le persone, quindi quella di rimanere è stata una scelta tutto sommato “facile”. Consiglio a tutti il programma Vulcanus: è organizzato davvero bene. L’unico aspetto che migliorerei è il supporto in caso di disagi, com’è capitato ad esempio con l’annullamento dei voli durante la pandemia. Alcuni hanno chiesto una proroga del visto, ma gli è stato risposto di partire prima che scadesse. Per il resto un’esperienza da fare! Luca Tremamunno (25 anni, Ravenna)Durante la triennale in Ingegneria e scienze informatiche a Cesena, per caso, ho sentito parlare del programma Vulcanus da un amico. Mi è rimasto in mente e, al primo anno di magistrale, il primo utile per fare domanda, ho deciso di candidarmi. Come tanti altri partecipanti, anch’io avevo già fatto l’Erasmus, ero stato in Danimarca. Mi era piaciuto molto e volevo fare un’altra esperienza all’estero, magari più lontano. A questo si è aggiunta la mia passione per il Giappone e per la cultura giapponese. Così ho iniziato a preparare le carte. Non è stato facile, anche perché l’università mi ha fornito la documentazione tutta insieme, mentre il Centro la richiedeva separata, infatti sono stato ammesso nella shortlist  “con riserva”. Gli organizzatori sono molti pignoli e l’università non è stata molto cooperativa. Per fare la domanda ci sono voluti circa 50 euro di marche da bollo e ho dovuto fare successivamente delle integrazioni. Dalla mia esperienza, consiglio di muoversi per tempo, già adesso, anche per valutare le aziende preferite (c’è una lista provvisoria di offerte di tirocinio) e preparare la lettera motivazionale. Io avevo espresso due preferenze: una per Square Enix, azienda di video giochi, una mia passione; l’altra per Ntt Data, di cui mi interessava il progetto, “Program synthesis da esempi di input e output”, che mi sembrava affine alla mia tesi triennale, che richiedeva di lavorare sulla struttura di un linguaggio di programmazione. Tra le competenze richieste, infatti, c’era una buona conoscenza di come funzionano i linguaggi di programmazione, compilatori etc. Penso che la mia tesi abbia aiutato, insieme al fatto che a quell’argomento non fossero interessati in tanti. Sono stato selezionato senza colloquio: è bastata la lettera motivazionale. A febbraio ho saputo di essere nella shortlist, composta da circa 150 persone, e ad aprile di essere fra i 30 selezionati. A luglio si è tenuto l’incontro preparatorio a Bruxelles. È stato utile per conoscere gli altri ragazzi con cui avrei condiviso l’esperienza e per apprendere informazioni e piccole curiosità: ad esempio ci è stato detto che in Giappone, quando si viene assunti, è usanza portare dei souvenir, come prodotti tipici del proprio paese o città. Il Centro richiedeva di essere a Tokyo preferibilmente non prima del 1° settembre, per la copertura assicurativa e logistica. Il primo giorno siamo stati in hotel, mentre il secondo ci hanno accompagnati negli appartamenti assegnatici. Quindi abbiamo iniziato subito con il seminario sul Giappone e poi il corso intensivo di lingua. Io non avevo mai studiato giapponese: solo, dopo il meeting di luglio, ci era stato detto che la scuola richiedeva di arrivare già con la conoscenza di due alfabeti semplici. Fortunatamente chi ci ha accolti conosceva l’inglese, inoltre il mio collega e vicino di appartamento lo aveva già studiato per un anno e, condividendo molto tempo con lui, mi ha aiutato parecchio. Poi il corso ci ha messi nelle condizioni di comunicare decentemente. Io, quando possibile, evitavo di parlare giapponese, nel mio team in genere parlavamo in inglese, anche se questo probabilmente mi ha limitato nello stringere rapporti più profondi con i colleghi. Ne ho frequentato qualcuno al di fuori del lavoro, ma per la maggior parte del tempo sono stato con il gruppo del Vulcanus. Durante il periodo della scuola di giapponese si usciva molto, inoltre c’erano molte feste nazionali e si riusciva a fare uscite di tre giorni: abbiamo fatto anche viaggi di 15-20 persone. Io consiglio di non tornare a casa per Natale, ma di approfittarne per andare in posti particolarmente belli da visitare con la neve, come Nagano e Sapporo. Da non perdere poi Kyoto: ci sono stato due volte. L’arrivo del Coronavirus certo ha condizionato la mia esperienza, visto che da marzo ho dovuto lavorare in smart e ridurre le uscite: è stato un peccato. Ma i contagi in Giappone sono sempre stati davvero pochi: si pensi che a Tokyo, una città di 10 milioni di abitanti, non si sono superati i 500 positivi al giorno. Certo un po’ di panico c’è stato: la gente all’inizio si è precipitata al supermercato e sono spariti cibo istantaneo (cup noodles) e carta igienica! L’ambiente è estremamente diverso sia dall’Italia che dall’Europa. Ma varia di città in città: ad esempio a Tokyo, molto turistica, la gente è più diffidente verso gli stranieri, mentre nelle altre città, soprattutto se dimostri di conoscere un po’ di giapponese, sono stupiti e diventano amichevoli. Rispetto all’esperienza fatta in Italia in un’azienda informatica, mi aspettavo di subire più pressioni e lavorare molto di più, ma non è stato così. Lavoravo sette ore e mezza per cinque giorni a settimana e non mi è mai stato chiesto di più. Certo l’approccio verso i tirocinanti è diverso, tuttavia anche confrontandomi con dei dipendenti dell’azienda ho scoperto che sì la maggior parte fa molti straordinari, ma si è liberi di scegliere di lavorare otto ore e poi smettere. Il futuro? L’azienda mi aveva già fatto capire che sarebbe stata disposta ad assumermi, e sicuramente lì guadagnerei di più e farei più carriera. Se fosse più vicino, ci tornerei, ma la distanza sarebbe dura da gestire. Sicuramente ci tornerò in vacanza. Dopo la tesi, un professore mi ha offerto di partecipare a un progetto di ricerca di un anno. Poi cercherò lavoro in Europa, magari in Belgio, dove sono attualmente a studiare, con la didattica a distanza, per stare vicino alla mia compagna. Mi mancano tante cose del Giappone: il cibo, la vita serale… In generale le città grandi non mi piacciono, infatti ero preoccupato, invece Tokyo è diversa dalle altre metropoli. I trasporti sono semplicissimi, qualunque posto è facile da raggiungere e ce n’è per tutti i gusti: città dello shopping, quartiere dei videogiochi, aree verdi per il relax. Le persone rispettano gli spazi personali e non ho mai visto una metropoli così pulita! Unica pecca, il trasporto pubblico dura solo fino a mezzanotte e, se vuoi rientrare con un taxi, la spesa è molto alta!All’inizio ero pessimista: non sono una persona molto socievole e credevo che mi sarei annoiato e avrei finito solo per lavorare. Nonostante questo, volevo viaggiare e conoscere com’era il Giappone da un punto di vista diverso da quello turistico. E poi credevo che fosse un’esperienza utile per il mio curriculum. Anche perché gli argomenti trattati avrei potuto trovarli in pochi posti al mondo: solo un’azienda gigante come Ntt Data può permettersi di fare ricerca e sperimentare così tante cose nuove. Invece alla fine, e non solo per il lavoro, si è rivelata l’esperienza più bella della mia vita finora e il gruppo è diventato la mia seconda famiglia: peccato sia durato solo un anno! Lo consiglio a tutti coloro a cui l’Erasmus non è bastato e che vogliono vivere qualcosa di completamente diverso, che ti stravolge la vita. L’unica pecca: per me in futuro non ci sarà mai niente di così bello!Testimonianze raccolte da Rossella Nocca