Categoria: Storie

«Un'opportunità per il futuro»: le storie di due vincitrici del bando "Torno Subito" 2014

Fabiana Alessi e Gaia Mutti sono due vincitrici del bando “Torno Subito” 2014. Fabiana, 30 anni, una laurea magistrale in Architettura, ha scelto Londra per un corso intensivo di inglese di quattro settimane, associato a uno stage (che nell'ambito di questo progetto viene definito work experience) nella filiale dell’italiana “Art Container”, una società specializzata in progettazione architettonica attraverso il riciclo di container Iso marittimi. E dal 22 aprile è entrata nella seconda fase del progetto, con uno stage nell’assessorato ai Lavori pubblici del Municipio V di Roma. Gaia, invece, 24 anni e una laurea in Scienze politiche – Relazioni internazionali, dopo un master per “Esperti in sistemi di gestione aziendale (Qualità, ambiente, energia e sicurezza)” a Milano, è entrata come tirocinante in Officinae Verdi, joint venture del Gruppo Unicredit e della Fondazione Wwf, a Roma. E dopo due mesi la società le ha offerto di interrompere lo stage per offrirle un contratto di collaborazione a progetto per sei mesi.Sono solo due delle storie dei 513 vincitori del bando 2014 [nella foto in alto]: laureati per l’88% e donne per il 63%. Se Fabiana ha scelto di specializzarsi all’estero (come il 52% dei ragazzi selezionati) e ha optato per uno stage finale nel pubblico, Gaia è rimasta in Italia e ha scelto come partner per il tirocinio un’azienda privata (come il 40,35% dei vincitori 2014). Entrambe, però, hanno costruito il proprio progetto partendo da uno specifico settore di interesse. «L’opportunità che dà “Torno Subito” è quella di costruirti un percorso su misura» racconta Fabiana [nella foto a sinistra]. «Io mi ero laureata con una tesi in cui avevo progettato un polo culturale “recycle” nel Municipio V di Roma, con residenze temporanee d’artista costruite usando container Iso marittimi. E ora, nello stesso Municipio, sto lavorando alla riprogettazione dell’area del mercato di Tor Sapienza proprio con i container». Anche Gaia, dopo una tesi sulle fonti rinnovabili, ha scelto «un master molto tecnico e uno stage in una società che fornisce consulenze e servizi su efficienza energetica e energie rinnovabili» perché voleva specializzarsi nel settore. «Avevo già fatto un colloquio in quell’azienda» racconta «ma all’epoca non ero ancora laureata e stavo facendo un altro tirocinio, mentre loro cercavano laureati disponibili full-time. Includendoli come partner nel mio progetto per “Torno subito” ho avuto una seconda chance». Se Gaia era fresca di laurea, Fabiana aveva già lavorato con un contratto di sostituzione maternità in un’azienda di design. «Ero però nell’ufficio acquisti» spiega «quindi ho deciso di candidarmi per “Torno subito” sia perché alla scadenza del contratto ero rimasta senza impiego che per provare a reinserirmi nel mondo del lavoro come architetto».L’esperienza, finora, per entrambe è stata «positiva». Ma non sono mancate alcune difficoltà, legate soprattutto all’entità e all’erogazione dei fondi con le vecchie modalità. «Il bando 2014 prevedeva, prima della partenza, solo l’erogazione di un acconto del 50% dell’intero budget previsto, che non bastava per sostenere i costi all’estero. Calcolando che già gli 860 euro al mese che la Regione dà per le spese di soggiorno nel Regno Unito sono pochi e che l’anno scorso non era prevista un’indennità per la work experience all’estero» spiega Fabiana. «Per i primi mesi a Londra avevo preso una stanza in affitto in un appartamento, insieme a altri ragazzi, ma costava 660 sterline al mese. Poi, per fortuna, avevo amici lì che mi hanno ospitata per l’ultimo periodo». «Ho dovuto comunque dovuto ridurre la work experience a Londra da otto mesi a sei» Fabiana «ma è stata lo stesso un’esperienza importante, che probabilmente non avrei potuto fare senza il finanziamento della Regione». Anche per Gaia [nella foto a destra] far quadrare i conti a Milano non è stato semplice: «Per la Lombardia erano previsti 460 euro al mese per l’affitto e 220 per il vitto, riuscivo a rientrarci appena». La Regione e lo staff di “Torno Subito”, però, si sono dimostrati flessibili per quanto riguardava l’erogazione dei fondi. «A un certo punto mi sono trovata in una situazione in cui, per poter pagare il master, avevo bisogno di ricevere la seconda tranche del contributo regionale» spiega «ma, da bando 2014, la seconda tranche poteva essere erogata solo al termine del master. Ho posto il problema, come del resto altri ragazzi, e ci sono venuti incontro anticipando il secondo acconto del 30%».Anche una volta tornate nel Lazio per lo stage finale, sostenere il costo di un affitto solo con il fondo della Regione si è rivelato pressoché  impossibile. «Per fortuna la mia famiglia è di Roma» racconta Fabiana «quindi per il momento sono tornata a vivere con i miei, perché il bando 2014 prevedeva 400 euro lordi mensili di indennità e non sarebbero bastati per vitto e alloggio». Gaia, invece, che è di Vicovaro - un paese a 45 chilometri da Roma - continua a fare la pendolare: «Sto risparmiando perché anche con il nuovo contratto non potrei ancora coprire tutte le spese. Ma sono contenta perché le prospettive lavorative sembrano incoraggianti». Fabiana, invece, non nasconde la preoccupazione per settembre, quando il suo stage nel Municipio V finirà: «Il lavoro che faccio ora mi piace molto. Sarebbe il sogno di una vita perché mi sto occupando di un progetto che mi appassiona e per cui ho studiato a lungo. Ma le speranze di poter continuare poi a lavorare per il Comune di Roma purtroppo credo siano poche. E l’ansia per il futuro c’è». Certo, ammette, «ho scelto io uno stage in un’amministrazione pubblica, privilegiando il rapporto con un territorio che già conoscevo su altri fattori. Mi interessava lavorare sullo sviluppo di progetti di architettura sostenibile nel pubblico, quindi è stata una scelta consapevole. Forse però, per il futuro, si potrebbe rafforzare il ruolo della Regione nella fase di inserimento nel Lazio, nell’ottica di garantire ai candidati prospettive occupazionali più a lungo termine».Sara Grattoggi

«Lo Sve in Croazia mi ha aperto nuove prospettive, ora punto ad andare in Sudamerica con il servizio civile»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Diana Cossi.Ho 24 anni e vivo a Germignaga, una graziosa cittadina alle pendici delle Prealpi lombarde sulle sponde del lago Maggiore, in provincia di Varese. Sono sempre stata molto legata ai boschi e ai corsi d’acqua del mio paese e credo sia per questo che non ho voluto trasferirmi per studiare. Così mi sono abituata alla vita da pendolare: sveglia presto la mattina e rientro la sera. Alla fine del 2012 mi sono laureata in Mediazione linguistica e culturale, un corso triennale al polo di Sesto San Giovanni dell’università degli studi di Milano. Ora sto aspettando le selezioni per un progetto di Servizio civile in America Latina, al quale ho fatto domanda quando sono tornata dal Servizio volontario europeo.  Ma partiamo dall’inizio.A quattro anni, quando mia madre mi portò a vedere il museo egizio di Torino, decisi che avrei fatto l’archeologa. Ma poi durante il liceo scientifico, con indirizzo socio-psicopedagogico, ho fatto volontariato in un doposcuola, aiutando gli alunni con i compiti e insegnando italiano agli studenti figli di immigrati. Ho così capito che il mio obiettivo era essere utile alle persone, anche se l’archeologia è rimasta una mia grande passione. Avrei potuto dedicarmi ad una professione sanitaria, come i miei genitori, ma ho deciso di diventare mediatrice culturale.Al terzo anno di università, per il tirocinio mi sono rivolta alla mia vecchia scuola, con la quale ho firmato una convenzione: ho insegnato italiano a due fratelli olandesi appena arrivati in Italia ed ho avuto la soddisfazione di vederli comunicare in un italiano stentato ma chiaro dopo solo tre mesi di lavoro.Finita la triennale ho lavorato per un anno come cameriera in un piccolo ristorante, frequentato per lo più da turisti tedeschi e olandesi, un’esperienza che mi ha permesso di migliorare l’inglese e di imparare molto sulle persone e sul mondo del lavoro. Per aumentare le possibilità di trovare un impiego come mediatrice culturale, in scuole o in sedi diplomatiche, a settembre del 2013 mi sono iscritta a un altro corso di laurea triennale a Milano: Scienze internazionali ed istituzioni europee.Intanto, però, avevo già deciso che sarei andata a fare esperienza fuori dall’Italia. Ad aprile la mia ormai ex università aveva organizzato un evento sulle opportunità all’estero. Un incontro informativo sul programma Youth in Action, quello che oggi è l’Eramus +, era tenuto dall’associazione Joint di Milano. Così ho scoperto il Servizio volontario europeo ed ho accantonato le altre idee per andare all’estero. Ho scelto con cura il progetto per cui fare domanda, visto che avevo il lavoro al ristorante e non c’era fretta. Volevo stare all’estero il più a lungo possibile e andare nei Balcani.Ho trovato il giusto progetto grazie anche all’aiuto dell’associazione Joint, che mi ha consigliato di mandare direttamente una candidatura per i progetti che mi interessavano sul database Sve, anche se le selezioni magari non erano aperte. L’importante era indicare da subito una sending organization, nel mio caso la Joint. Ho spulciato nel database tutti i progetti nei Balcani, mandando decine di mail per presentarmi e chiedere se cercassero volontari. A fine agosto mi è arrivata la tanto sperata risposta da un’associazione della Croazia, che mi ha chiesto un colloquio su Skype. Il giorno dell’appuntamento mi sono vestita di tutto punto e ho indossato la mia collana portafortuna. Ero agitatissima. Ma il colloquio è andato bene e dopo pochi giorni mi hanno comunicato che ero stata selezionata, aggiungendo che sarei partita a febbraio, ma intanto bisognava aspettare la conferma del finanziamento del progetto da parte della Commissione europea, che poi è arrivata con molto ritardo: il 23 dicembre. [Nella foto in alto, la costruzione della "casa celtica"]Il 3 febbraio del 2014 sono così partita per Gvozd, un paesino croato di circa tremila abitanti a 40 chilometri dal confine bosniaco. Sono rimasta con la mia hosting organization, l’associazione "Suncokret" (Girasole) un anno: fino al 31 gennaio scorso. Con me c’era un’altra volontaria, la spagnola Blanca, con la quale ho sviluppato un bellissimo rapporto di amicizia. Ma ho condiviso la mia avventura con molte altre persone, anche se magari solo per piccoli periodi. L’associazione infatti ha organizzato campi di lavoro estivi e ha accolto volontari Sve anche per progetti di breve termine, come Noora, un’artista finlandese piena di talento che è stata con noi per tre mesi. Una ragazza persa nel suo mondo ma dal cuore grande: vivere con lei mi ha insegnato ad essere molto paziente. La flessibilità mentale è una virtù sottovalutata.Abbiamo vissuto in una casa in un vasto terreno, di proprietà dell’associazione, dove c’era anche un’altra casa, due orti biologici, la zona per il compost e due docce solari. Con l’orto abbiamo educato i bambini al rispetto della natura attraverso laboratori di permacultura e coltivazione biologica. Come attività educativa abbiamo anche costruito un’altra casa, completamente eco-sostenibile, detta "casa celtica" perché realizzata con paglia, legno e fango, a forma tonda così come la costruivano i celti.Il nostro impegno quotidiano era nel centro giovanile dell’associazione, dove tenevamo corsi (ad esempio sull’igiene dentale, sulla lotta agli stereotipi, sui diritti del bambino) e laboratori manuali con materiali di riciclo. Inoltre aiutavamo i bambini con i compiti e giocavamo con loro. Ho anche tenuto un corso di lingua italiana e uno di danza orientale, che è riuscito ad attrarre anche le madri dei bambini al centro. Queste attività avevano l’obiettivo di creare un ambiente armonioso per i bambini: Gvozd si trova in un’area molto depressa della Croazia, fu praticamente raso al suolo durante la guerra degli anni ‘90 e i suoi abitanti, a maggioranza serba, hanno dovuto abbandonarlo e sono stati rimpiazzati dagli esuli croati espulsi dalla vicina Bosnia. Adesso i serbi stanno tornando alle loro case, ma non le trovano o le vedono occupate da altri. Il tutto è complicato dalla situazione di profonda povertà in cui versano molte famiglie, il tasso di disoccupazione è altissimo, così come i casi di alcolismo. [Nella foto in alto, Diana a Orahovica, in Croazia, per il training di medio termine con gli altri volontari Sve del Paese] In estate le attività sono state diverse perché c’erano i campi di lavoro nella proprietà dell’associazione, abbiamo accolto studenti delle scuole croate e un centinaio di ragazzi belgi. Io e Blanca abbiamo coordinato attività manuali, come nell’orto e nella cucina, e abbiamo fatto animazione. I campi ci hanno dato l’opportunità di conoscere tantissime persone, e nel frattempo sono arrivate altre volontarie per progetti di breve termine, come due ragazze turche: entrambe si chiamano Tuğçe e per distinguerle usavamo i soprannomi Uno e Due!Poi a settembre sono arrivati Tugberk e Yussuf, anche loro turchi, Elena, tedesca, Agathe e Fanny, francesi. Con queste ultime tre abbiamo vissuto in casa, ognuna di noi aveva la propria stanza ma all’inizio la "simbiosi" tra me e Blanca è stata spezzata. Ma dopo una settimana ci eravamo già abituate alla nuova situazione. Passati alcuni giorni ho vietato ad Agathe, che non sapeva l’inglese, di farsi tradurre le conversazioni: le ho detto che volevo imparare il francese e per potermelo insegnare lei aveva bisogno di quella lingua. Ha funzionato. La sua timidezza è svanita quasi magicamente. Quando io me ne sono andata, Agathe era tranquillamente in grado di parlare in inglese. E anch’io, grazie allo Sve, ho migliorato molto il mio livello, in aggiunta allo spagnolo, visto che lo parlavo con Blanca [nella foto a sinistra, Diana con le sue compagne d'avventura, a Sarajevo].Grazie ai soldi che ricevevamo come pocket money, 95 euro al mese, non ho dovuto intaccare i miei risparmi per la vita quotidiana e così ho potuto usarli per viaggiare, e molto, in tutti i Balcani. Con Elena e Agathe ho ad esempio passato il capodanno a Belgrado e poi abbiamo girato per dieci giorni guidando per più di tremila chilometri.Purtroppo la mia esperienza Sve non si è conclusa bene nei rapporti con la responsabile dell’associazione. Noi non ricevevamo soldi per il vitto, stabiliti in 115 euro al mese, ma ci facevano la spesa in base ad una nostra lista. Nessun problema fino a settembre, poi hanno iniziato a dirci che le nostre richieste erano troppo costose e così non arrivava tutto ciò che chiedevamo. A dicembre abbiamo chiesto di avere direttamente i soldi per il vitto e così è successo, ma la responsabile dell’associazione, tornata da una vacanza completamente cambiata, perché sembrava che odiasse tutti, non ha digerito la cosa. L’ultimo mese, a causa del rapporto che si era rotto con lei, è stato carico di tensione, ma anche questo alla fine mi è servito: ho imparato a controllare le mie emozioni e ad essere paziente.Dal punto di vista professionale, invece, grazie allo Sve ho anche imparato a scrivere progetti europei, come gli scambi giovanili, e questo ha cambiato le mie prospettive. Lo Sve, facendomi scoprire un altro ambito rispetto a quello verso cui ero proiettata - l’insegnamento con i bambini - mi ha aperto al mondo dell’associazionismo ed ora è in questo campo che voglio fare esperienza. Per questo al rientro in Italia mi sono candidata per un progetto di Servizio Civile in America Latina, che vedo come una prosecuzione del mio Sve, nel quale sono coinvolte le donne e i bambini in progetti di animazione ed educazione.Adesso sono in attesa della selezione, nel frattempo do ripetizioni a molti ragazzi, vado in università tre volte a settimana e partecipo a scambi giovanili con la mia ormai ex sending organization. Nelle settimane scorse sono stata in Portogallo e a Cipro. Lo Sve mi ha aperto nuove porte, per questo ne parlo con molte persone e mi sono resa disponibile con varie associazioni di Varese per fare conoscere questa grande opportunità. È un’esperienza che consiglio a tutti coloro che hanno la curiosità di scoprire ed imparare.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro  

«Alle job fair prima da studentessa, oggi da addetta HR per Philips»: la storia di Laura

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Laura Giupponi, 26 anni, oggi assunta a tempo indeterminato nel Risorse umane di Philips Italia, a Milano.Sono di San Pellegrino Terme, un piccolo paese in provincia di Bergamo, e ho 26 anni. Ho frequentato il liceo scientifico, in virtù della formazione trasversale che offriva, ma quando nel 2007 mi sono diplomata non avevo idea di quale strada intraprendere all'università. L'indecisione è stata fortissima. Ragionandoci un bel po', ho poi identificato una strada precisa: le risorse umane. Mia madre è psicologa e mio padre è medico: l'attenzione verso le persone credo di avercela nel sangue. Essendo molto interessata al contesto aziendale, e piuttosto razionale, sentivo però che una facoltà come psicologia mi sarebbe stata stretta. Il giusto compromesso è stato scegliere un percorso di Economia con focus sulle risorse umane, e in particolare quello offerto dalla Bocconi.Pur non essendo troppo lontana da Milano e potendo fare la pendolare, mi sono comunque trasferita per vivere a pieno l'esperienza universitaria. Per coprire le spese minori - e mettermi alla prova - ho fatto lavoretti vari: babysitter, hostess, e per un paio d'anni, nel weekend, cassiera in una pizzeria d'asporto, esperienza che mi ha insegnato anche relazionarmi meglio con persone molto diverse da me. Il percorso universitario è andato avanti senza intoppi e dopo la laurea triennale ho deciso di proseguire anche con il biennio specialistico. È in questa fase che sono approdata al mio primo stage, peraltro all'estero.Tramite il Jobgate della Bocconi, la piattaforma online di incontro tra domanda e offerta riservata agli studenti dell'ateneo. Meta del mio stage: una piccola azienda di Ginevra che quota la sostenibilità ambientale e sociale di varie aziende. Qui da ottobre 2012, per tre mesi e mezzo, mi sono occupata di analisi dati, senza alcun rimborso; né i tutor avevano molto tempo per formare gli stagisti, più orientati com'erano al peer coaching. Si trattava però di un tirocinio curriculare, e mi è servito anche per scrivere la tesi. Ginevra poi è meravigliosa, un'esperienza in questa città è impagabile - per quanto trovare un alloggio è stato un incubo!Il Jobgate ha funzionato anche per il mio secondo stage, quando ormai avevo finito l'università. Inviata la candidatura a ridosso della laurea magistrale, a settembre 2013, dopo qualche settimana sono stata invitata da Philips ad un assessment di gruppo, poi a colloquio con due manager, infine con gli altri membri del management HR. Ho superato tutte le fasi e a novembre sono stata accolta nel team Risorse umane per Italia, Grecia e Israele, area Talent Acquisition e Learning, dove dopo qualche settimana di mansioni junior ho iniziato a lavorare alla selezione dei nuovi stagisti e all'organizzazione dei training. Per me un'esperienza formativa al 100%, che mi garantiva anche un rimborso di 800 euro netti al mese.A marzo 2014 poi, due mesi prima della fine pattuita dello stage, mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni, che dopo un solo anno si è trasformato a sua volta in tempo indeterminato. Quando sono entrata in Philips per la prima volta non avevo molte aspettative per il mio futuro, ma solo tanta voglia di imparare e di confrontarmi con il mondo del lavoro. Oggi invece, a 26 anni, le fiere del lavoro organizzate dalla Bocconi le vivo lato azienda! Lavoro in un settore che mi piace, in una divisione aziendale affascinante e innovativa - quella Lighting - e mi mantengo da sola a Bergamo, con uno stipendio annuo lordo di circa 30mila euro all'anno. Il mondo HR poi è in continuo movimento e mutazione, è molto interessante, anche se non escludo che mi piacerebbe testarmi in altre funzioni. Mi ritengo molto fortunata ad essere dove sono. È innegabile che un po' di fortuna serve, ma vorrei far arrivare ai miei coetanei il messaggio che chi vale prima o poi emerge, se ha umiltà e fiducia nelle proprie capacità.

«Il mondo in cui mi vedo tra 10 anni è qui, in EY»: la storia di Martina

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Martina Capriotti, 25 anni, assunta con apprendistato nella settore consulenza di EY, a Roma. Classe 1989, sono nata e cresciuta in una località balneare sulla costa romagnola che risponde al nome di Bellaria Igea Marina, dividendomi tra scuola e sport. Studentessa al liceo scientifico e pallavolista, mi sono diplomata con lode nel 2008, iscrivendomi poi a Scienze politiche, indirizzo relazioni Internazionali, alla Luiss di Roma. Ventidue esami ed un Erasmus a Copenhagen più tardi, mi sono laureata con il massimo dei voti. Era novembre 2011 e nel frattempo il sogno di una carriera diplomatica aveva già lasciato il  posto a nuove passioni, nate tra il corso di Macroeconomia e quello di Economia politica. Per la magistale infatti, iniziata il mese prima, avevo optato per il corso in General management con indirizzo International Business, insegnato in inglese. Armata di pazienza, passione e tanta curiosità, ho concluso il primo anno accademico con buoni risultati, grazie ai quali sono stata ammessa ad un programma di scambio bilaterale che mi ha portato in Canada sei mesi presso la University of Ottawa con una borsa di studio dell'università, che comunque ha coperto solo in parte i costi. Tornata in Italia, mi sono dedicata alla stesura di una tesi sperimentale sul content marketing, una branca innovativa e ancora poco studiata all’epoca. Parallelamente, da marzo 2013, ho fatto un tirocinio di tre mesi nell’ufficio Marketing di Iccrea Holding, azienda di servizi alle banche, ricevendo come compenso i buoni pasto. Mi sono laureata a novembre 2013 con 110 e lode, in quella Roma che però già avevo lasciato per trasferirmi a Milano. Il mese prima avevo infatti cominciato uno stage nell’area Advisory – Performance improvement di EY ottenuto – udite udite! – senza mandare nemmeno un cv: a maggio, quasi per gioco,  avevo partecipato alla EY Business Challenge promossa nella mia università. Dopo aver superato le prime due fasi, io e il mio team siamo approdati in quella finale da cui siamo usciti vincitori presentando un’idea imprenditoriale nell’ambito del mobile payment e portandoci a casa, oltre a tanto entusiasmo e soddisfazione, un weekend a base di innovazione con il management EY presso H-Farm, un in-company training presso gli uffici di EY Madrid, più uno stage di tre mesi nel settore consulenza, remunerato con 750 euro lordi al mese più buoni pasto da 5,16 euro.Senza aver mai considerato davvero la consulenza, mi sono sempre più appassionata a questo lavoro, fatto di sacrificio ma anche di soddisfazioni, in un ambiente giovane e dinamico in cui ho trovato tanti colleghi ed altrettanti amici. Dopo un rinnovo dello stage di ulteriori tre mesi, sono stata assunta i primi giorni di aprile 2014 con un contratto di apprendistato di due anni e una ral di di 24mila più buoni pasto. Oggi, a un anno da quel giorno, ho lavorato su diversi progetti, sia in team che in autonomia e principalmente in ambito Customer, guadagnandone in termini di sicurezza e flessibilità, nonché di competenze e di rapporti umani, che restano una delle cose più belle che il lavoro in EY mi ha regalato.Sopita la mia innata vocazione per l’estero, che non escludo di poter risvegliare grazie al network internazionale di Ernst Young, non posso che ritenermi fortunata di far parte di un gruppo che ha sempre riconosciuto il valore del mio lavoro ed in cui il concetto di stage fine a sé stesso, così comune nel nostro Paese, per le risorse meritevoli non esiste. È, con tutti i suoi difetti, il mondo in cui mi vedo tra 10 anni, sicuramente stanca e stressata ma felice e soddisfatta di dove, grazie a questo lavoro, sarò arrivata e di ciò che sarò diventata. Oggi mi trovo più matura, autonoma, sicura e ambiziosa che mai, in un ambiente che offre grandi opportunità di crescita per chi le sa riconoscere e cogliere.A questa età, per quanto il mondo là fuori si ostini a farci sentire sempre più indietro di dove dovremmo essere, abbiamo davanti a noi tutto il tempo e lo spazio necessari per metterci in gioco senza paura. Dobbiamo trovare in noi la fiducia nel fatto che ciò ci ripagherà, in un futuro più o meno prossimo, anche solo per aver avuto il coraggio di giocare e di scommettere - per quanto azzardata la scommessa potesse sembrare - sul nostro successo.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Centro per l'impiego di Trento, per combattere la disoccupazione si guarda all'estero

A Trento l’iscrizione alle liste di disoccupazione si può fare da anni direttamente online, comodamente seduti a casa propria. Uno strumento per evitare le code che spesso intasano gli sportelli dei centri per l’impiego di altre parti d’Italia che però anche nell’attivo nord est ancora in pochi usano. E il gap tecnologico non investe solo i lavoratori stranieri o gli “stagionali”, ma anche i più giovani. «La digitalizzazione è meno diffusa di quanto pensiamo» spiega Antonella Chiusole, dirigente dei Centri per l’impiego trentini. «Abbiamo avuto problemi anche con i ragazzi che volevano iscriversi alla Garanzia Giovani, in cui la procedura è tutta online. A volte purtroppo diamo per scontato cose che non lo sono affatto».A Trento e provincia sono attivi 12 centri per l’impiego che dipendono dall’Agenzia per il  lavoro, una struttura provinciale autonoma sia dal punto di vista della governance (il presidente è un soggetto esterno alla Provincia e nel cda siedono rappresentanti pubblici e delle associazioni di categoria), sia  dal punto di vista amministrativo, contabile e gestionale. Nonostante i numeri non siano nemmeno paragonabili ai 150mila iscritti a Cpi come quelli di Siracusa, anche nel produttivo Trentino gli effetti della crisi si stanno facendo sentire: se, infatti, nel 2010 quasi il 29% dei circa 21mila nuovi iscritti nell’area di Trento trovava lavoro nell’arco di un anno, l’anno scorso la percentuale è scesa a poco più del 18%, mentre il numero di nuovi iscritti nel corso del 2014 è aumentato sfiorando i 27mila e facendo arrivare il totale a quasi 45mila posizioni. Per far fronte alla crisi oltre ai normali ammortizzatori, a Trento da ottobre 2014 è stato istituito il “Reddito di attivazione”, che prolunga le indennità statali. Una misura pensata in una prima fase a favore degli over 54 e dei precari (mini aspi) e che da gennaio 2015 si estenderà agli under 50. I requisiti riguardano la residenza in Trentino e il rispetto del patto di servizio. Complessivamente la Provincia ha stanziato 28 milioni di euro fino al 2016 che andranno a beneficio di circa 36mila lavoratori. Il reddito di attivazione viene concesso dall’Agenzia del lavoro ed è erogato dall’Inps in via automatica. Nel 2014 sono stati autorizzati 172 beneficiari di cui 21 a termine del periodo di Aspi e 151 al termine del periodo di MiniAspi per un totale di 379.464 euro.Ma qui ai confini dell’Italia più che altrove, le risposte messe in campo contro la disoccupazione guardano all’Europa. «Abbiamo dei progetti a sostegno dell’imprenditorialità e della mobilità dei disoccupati all’estero» sottolinea Chiusole, ricordando che si tratta di iniziative attivate con dei finanziamenti europei a cui partecipano soprattutto i giovani. «Facciamo una prima selezione sul livello linguistico minimo perché abbiamo visto che se non si ha una certa conoscenza della lingua, il percorso difficilmente funziona. Poi dopo un colloquio, i candidati selezionati trascorrono un tirocinio all’estero che va dalle 5 alle 15 settimane». E i risultati si vedono. «A distanza di 12 mesi il 79% dei ragazzi ha trovato un lavoro in Italia o all’estero». Numeri che fanno ben sperare anche per la Garanzia Giovani, il programma straordinario per la lotta alla disoccupazione giovanile finanziato dal Fondo sociale europeo, rivolto ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. «Secondo la nostra esperienza il tirocinio è essenziale per trovare lavoro», spiega Chiusole. In Trentino, che beneficia di circa 8 milioni e 300mila euro stanziati dall'Unione europea, fino ad oggi sono state raccolte più o meno 7500 adesioni «circa la metà di residenti nella nostra regione», sottolinea la dirigente, spiegando che il programma è stato articolato su quattro percorsi, due basati su tirocini, uno per l’apprendistato e il quarto per il servizio civile. Il primo percorso è il più gettonato: prevede un'attività di orientamento individuale, seguita da una di formazione breve e quindi dal tirocinio in aziende provinciali o nazionali.  Il secondo percorso invece prevede una formazione specialistica più un tirocinio di durata variabile. C’è poi l’apprendistato per il conseguimento di qualifica o diploma che prevede 460 ore di formazione, di cui 100 in azienda. Infine il percorso sul Servizio civile. Si sta poi ragionando su altre proposte ed eventualmente altri percorsi oltre ai quattro già avviati. Tra le ipotesi di lavoro, le esperienze all’estero con tirocinio o il potenziamento dell'incontro domanda-offerta attraverso specifici progetti di accompagnamento al lavoro.Un lavoro a parte viene svolto sul fronte delle imprese a cui i Centri per l’impiego non offrono solo una bacheca per l’incontro di domanda e offerta. «Dall’anno scorso, stiamo cercando di potenziare l’interazione con le aziende» riferisce Chiusole «andando direttamente negli uffici a spiegare i nostri servizi. Diamo anche la possibilità di pubblicare sul nostro sito annunci anonimi e, se il datore di lavoro vuole, lo affianchiamo nei colloqui preliminari o ci incarichiamo direttamente noi di svolgerli. Per le collaboratrici domestiche o le badanti, ad esempio, è un meccanismo molto apprezzato». Anche in un’isola felice i problemi restano legati alla carenza di risorse e al carico di lavoro degli operatori, che non sempre riescono a seguire al meglio ogni caso. Nei 12 centri per l’impiego trentini lavorano attualmente 131 operatori (di cui 102 a tempo indeterminato), che seguono in media 342 iscritti a testa. «Le regole in questo momento vanno bene, bisogna solo applicarle con rigore» sottolinea Chiusole «certo, bisogna investire perché dove i servizi per l’impiego funzionano ci sono molti meno disoccupati che altrove». E in questo quadro, forse, il sistema di accentramento delle politiche attive previsto nel Jobs Act «non è detto che sia il migliore» conclude la dirigente «anche perché il mercato del lavoro è molto diverso da regione a regione».

Erasmus, servizio civile, servizio volontario europeo, stage e ora lavoro e volontariato: l'enplein di Alessia

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Alessia Bruni.Sono nata 27 anni fa a Torino, dove mi sono laureata prima in Lettere moderne per la triennale e poi, nel 2013, in Culture moderne comparate per la specialistica. Oggi, dopo lo Sve, uno stage e una collaborazione per il doposcuola con una cooperativa, lavoro per Citywin, un’azienda di consulenza per enti pubblici e privati. Questo impiego è il risultato di molte esperienze di formazione e lavoro che ho fatto negli ultimi anni. Partiamo allora dall’inizio.La prima fondamentale esperienza per la mia formazione è stata con gli Scout del gruppo Torino 22, nel quale sono entrata a otto anni e sono rimasta per quattordici. Durante il secondo anno di laurea triennale, tra il 2007 e il 2008, sono stata sette mesi in Erasmus in Scozia, a Glasgow. Poco dopo ho svolto il Servizio civile nazionale alle Biblioteche civiche torinesi, per un progetto che si chiamava "Biblioteca in ospedale" e aveva l’obiettivo di portare in luoghi non convenzionalmente adibiti alla lettura i servizi offerti dalle biblioteche. Ho iniziato a novembre del 2008 e ho finito un anno dopo.Il Servizio civile ha influito enormemente sulla mia crescita personale, formandomi come cittadina: grazie ai corsi obbligatori ho potuto conoscere l’ambito delle pari opportunità, come la questione femminile, i diritti Lgtb e quelli degli stranieri. Inoltre sono stata coinvolta in un progetto di volontariato del Comune, intervistando di notte i senza fissa dimora. Grazie al Servizio civile ho avuto le prime informazioni sulle opportunità offerte ai giovani dall’Unione europea, quindi ho scoperto cosa fosse il Servizio volontario europeo.Nel secondo anno della laurea specialistica ho svolto un importante stage; non era obbligatorio per il piano di studi, ma io credo che durante l’università siano essenziali le esperienze concrete in azienda. Così a marzo del 2011 ho mandato una candidatura per un annuncio di stage alla Rai di Torino, pubblicato dall’università. Sono stata selezionata e ho iniziato lo stage a novembre: è durato cinque mesi. Il tirocinio prevedeva lo sviluppo di una ricerca multidisciplinare sui cataloghi Rai: io sono partita con una ricerca sulla cultura yiddish, poi ho studiato la narrazione televisiva italiana e questa ricerca è stata poi l’argomento della mia tesi di laurea.A ottobre del 2012 ho frequentato un master in Europrogettazione di Eurogiovani a Torino. Il corso è durato solo una settimana ma mi ha fornito importanti conoscenze sull’Unione europea. E guarda caso, poco dopo la fine del master, sono stata selezionata per il progetto di Sve in Romania per cui avevo mandato domanda qualche mese prima. Era già da più di un anno che pensavo allo Sve. Navigando su Internet avevo scoperto l’associazione Scambieuropei, alla quale avevo mandato molte candidature per diversi progetti. Scambieuropei è stata così la mia organizzazione di invio per la Romania, a Braila, per il progetto Linking generations dell’associazione Anmrf.Sono partita per la Romania il 3 giugno del 2013 e ci sono rimasta fino all’ultimo giorno dell’anno. Con me c’erano altri volontari: Svetlana, bulgara; Yana, armena; e Laurent, francese, che poi ha finito il suo progetto e al suo posto è arrivata Valeria, una ragazza lucana emigrata in Francia. Con tutti loro ho condiviso sia il volontariato sia la casa. Inoltre l’associazione aveva anche un altro progetto attivo, per cui c’erano i volontari spagnoli Alfredo e Gisela. Quest’ultima per tre mesi ha vissuto con noi, e questo ha portato a un po’ di problemi: per esempio abbiamo dormito a turno a casa della responsabile dell’associazione. Ma le discussioni sono state utili, alla fine, per unirci.A parte qualche inconveniente con la casa, tutto è andato bene. Ad esempio il pagamento è sempre stato regolare: 40 euro per il cibo e 60 di pocket money. I soldi sono bastati, ho attinto dai miei risparmi solo perché ho viaggiato per il Paese. Purtroppo sono dovuta tornare anche a casa per risolvere alcune questioni relative alla morte di mio padre, che è mancato un mese prima della mia laurea.Durante il progetto Sve abbiamo svolto molte attività. Ad esempio ho tenuto un laboratorio di lingua e cultura italiana in biblioteca, abbiamo fatto incontri di lettura in una casa di riposo, lavorato in due asili, ho coordinato nella sede dell’associazione un gruppo di discussione sui temi della pace e degli Obiettivi del millenio, ho curato il blog del nostro progetto. Inoltre abbiamo pubblicato un libro, A sunny village, con le interviste raccolte de me, Valeria, Yana e Svetlana agli anziani della città [in alto a destra, Alessia con uno degli anziani che ha intervistato], su quattro temi diversi: vita nel periodo post bellico, amore, infanzia e multiculturalismo.L’organizzazione non ci ha fatto mancare il corso linguistico rumeno e un corso sulle generazioni, cioè la formazione sull’oggetto del nostro progetto: che cosa sono le generazioni e quali le caratteristiche psicologiche e sociali dei bambini, degli adolescenti e degli anziani. Lo Sve è stata senza alcun dubbio un’esperienza positiva, non solo perché mi ha fatto conoscere un paese affascinante come la Romania, ma perché ho avuto l’opportunità di riflettere molto sulle differenze e somiglianze tra popoli, e ho potuto sperimentare ciò che ho studiato all’università. L’unica critica che posso fare al progetto è che si è insistito poco sul dialogo tra generazioni, perché abbiamo lavorato per lo più a compartimenti stagni, con solo bambini, o giovani o anziani.A proposito di dialogo tra i popoli, tra i ricordi più cari dello Sve c’è un episodio di cui sono stata testimone al primo training per tutti i volontari della Romania. Quando un ragazzo turco si è avvicinato per presentarsi alla mia coinquilina Yana, le ha chiesto innanzitutto scusa per il genocidio armeno (che la Turchia si rifiuta ancora oggi di riconoscere, ndr). Oppure ricordo una ragazza conosciuta in treno, mentre andavo a Timisoara a salutare un’amica che avevo conosciuto in Erasmus. È stato strano perché alla ragazza ho chiesto il nome, e lei mi ha risposto dicendomi l’età: eravamo nate lo stesso giorno. Inoltre lei faceva ancora gli Scout. Questo incontro mi ha colpito perché gli ideali dello scoutismo, basati sul  proposito di “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”, sono la motivazione di ogni mia scelta.Quando a gennaio del 2014 mi sono ritrovata a casa a Moncalieri, in provincia di Torino, ho iniziato a cercare lavoro in ogni ambito. A metà aprile una cooperativa mi ha offerto una sostituzione in un doposcuola. Poi a maggio sono stata contattata dal Centro per l’impiego di Moncalieri, dove ero andata per un colloquio: al Metro cash & carry, un supermercato all’ingrosso, cercavano stagisti. A giugno ho così iniziato il mio tirocinio a 600 euro al mese, nello sportello dell’accoglienza clienti. Poi ho fatto anche la cassiera. Lo stage si è concluso il 2 dicembre scorso. È stata una bella esperienza perché ho scoperto il mondo della vendita, entrando in contatto con ristoratori e liberi professionisti. Ho avuto anche l’occasione di parlare rumeno con diversi clienti.Ora invece lavoro per Citywin, un’azienda torinese di consulenza per enti pubblici e privati. Ho iniziato poco più di un mese fa. Avevo trovato un annuncio in Internet in cui tra i contatti c’era un numero di telefono: ho chiamato e mi hanno chiesto di parlare di me, così ho raccontato delle mie lauree, dell’esperienza in Romania e degli stage. Dopo un colloquio in azienda e un periodo di prova, mi hanno offerto un contratto di procacciatore d’affari che mi garantisce un fisso più provvigioni per le transazioni che riesco a concludere: mi occupo di acquisire nuovi clienti per un’importante società energetica.Sono contenta perché credo che l’azienda voglia investire su di me, noto interesse per le mie proposte e le procedure di monitoraggio del lavoro svolto che presento, una tecnica che ho imparato durante il Servizio volontario europeo. D’altronde  dello Sve parlo sempre molto, nei colloqui che ho fatto da quando sono tornata dalla Romania c’era sempre attenzione da parte dei selezionatori per questo programma, che non conoscevano.L’esperienza Sve in qualche modo per me continua. Dallo scorso gennaio faccio parte dell'’associazione culturale Plasmabile, che aiuta i giovani a realizzare le proprie idee artistiche: ora stiamo lavorando su "Sipari di carta", un concorso per drammaturghi che finanzierà un’opera. Inoltre curo un mio blog personale, dove scrivo riflessioni in cui invito ad andare sempre oltre le apparenze e a non fermarsi mai nella ricerca di conoscenze. Spero un giorno, con l’associazione con cui collaboro, di riuscire a realizzare un progetto di Servizio volontario europeo sul tema delle generazioni, lo stesso che ho affrontato io in Romania.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

«Stage, non bisogna farsi abbagliare dagli specchietti per le allodole»: invece ad Alessandro con Infocert è andata bene

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alessandro Capobianco, 28 anni, oggi assunto nel settore legale di Infocert, a Roma. Sono nato ad Assisi nel 1986 e ho sempre vissuto a Perugia, dove ho anche frequentato l'università. In totale autonomia decisionale - i miei genitori sono dipendenti pubblici - mi sono iscritto a Giurisprudenza, frequentando il terzo anno in Spagna, a La Coruna, grazie a un Erasmus di nove mesi che si è rivelato una bella esperienza di vita e di studio. A Perugia ci sono rimasto anche dopo la laurea, a fine 2010, per fare la pratica forense. E no, non sono stato pagato: mi è stato dato un piccolo contributo ma sono riuscito a malapena a rientrarci con le spese. E sono uno che durante tutta la fase universitaria  ha sempre fatto piccoli lavori, per altro abbastanza diversi tra loro, per avere un po' di autonomia economica: consegna pizze, fotografo in un'agenzia, delegato in materia di appalti.Finita la pratica poi mi sono trasferito a Roma per frequentare un master in consulenza legale di impresa alla Luiss, master che poi mi ha portato al mio primo stage: sei mesi, da marzo a settembre 2013, presso Nissan Italia. L'inizio è stato turbolento per la verità: ero stato assegnato all'ufficio legale, ma dopo tre settimane la dirigenza del settore è venuta meno e, con il reparto in subbuglio - più qualche divergenza con il tutor - ho dovuto proseguire il mio percorso nel customer service. Percevivo un buon rimborso, 800 euro al mese più servizio mensa. Però le speranze di essere assunto, dopo, erano minime: il ricircolo di stagisti era serrato, né la mia esperienza era stata esaltante.Sconsiglierei a chiunque di fare un'esperienza fine a se stessa, è bene informarsi prima su come l'azienda si comporta con gli stagisti e, se si viene a sapere di speranza di assunzione basse, meglio lasciar perdere. Si corre il rischio concreto di passare da stage a stage per anni senza trovare mai un vero lavoro. Personalmente ritengo il fattore rimborso meno importante, fin tanto che si sta imparando sul serio. Rimane comunque il fatto che in fatto di lavoro siamo piuttosto fantasiosi: i vari cococo, lavoro a chiamata, finte partitita Iva eccetera, continuano e prestarsi come modi efficaci per sfruttare le giovani leve giocando sulla disperazione di una generazione schiacciata da un tasso di disoccupazione prossimo al 50%. Spesso lo stage è uno specchio delle allodole che nasconde l'ennesimo strumento di precarizzazione.Spesso ma non sempre, come mi ha insegnato il mio secondo stage: tutt'altra musica. L'ho iniziato subito dopo il primo, a ottobre 2013, sempre a Roma ma questa volta in Infocert, la multinazionale di servizi informatici. È stato uno stage piuttosto lungo, sei mesi più altri sei di proroga, ma è stato un anno di grande crescita per me, e le persone che ci ho trovato ora sono ben più che colleghi. Ho percepito sin da subito questo splendido ambiente umano e professionale. Eppure prima non conoscevo l'azienda, mi era stata segnalata da un amico. Così mi ero candidato ad una posizione legale tramite il loro portale di recruiting: una settimana dopo era arrivata la chiamata delle risorse umane per un primo colloquio, poi un secondo - entrambi abbastanza informali -  poi ancora una settimana ed era arrivata la telefonata più importante: ero stato scelto io.In Infocert ho collaborato nell'ufficio gare e ho dato un supporto giuridico sui contratti con i clienti, ricevendo un rimborso di 500 euro per il primo semestre e di 600 per il secondo, più ticket restaurant da 9 euro al giorno. Cosa più importante di tutte, dopo mi è stato offerto un contratto a tempo determinato di 18 mesi con una Ral - retribuzione annua lorda - di circa 20.500 euro, che mi permette di mantenermi da solo a Roma senza l'aiuto dei miei genitori. Ora mi occupo di compliance normativa e di progettazione dei processi da implementare verso i clienti di InfoCert e confrontandomi con i colleghi giuristi della stessa età non sento di potermi lamentare.Insomma, il messaggio che vorrei lanciare a tutti è di non farsi abbagliare dallo specchio per le allodole: lo stage deve servire per avvicinare i giovani al lavoro, con tutte le responsabilità e i diritti che ne derivano.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

"Io Lavoro", la job fair di Torino: ottima per chi cerca lavori manuali, ma poco utile per i laureati

Gianni e Luca hanno 27 anni e sono entrambi laureati in architettura al Politecnico di Torino. Come tanti coetanei, faticano a trovare un impiego: solo lavoretti sporadici, utili a mettere da parte qualche spicciolo, ma lontani anni luce dal loro percorso di studi. Eppure hanno dei curriculum ben fatti: in formato europeo, la foto in alto, curati dal punto di vista grafico. Quando hanno deciso di trascorrere il pomeriggio a "Io Lavoro", la fiera organizzata qualche giorni fa al Lingotto di Torino, giunta alla diciottesima edizione, ne hanno stampati una decina ciascuno, da lasciare a eventuali aziende interessanti e, soprattutto, interessate ai loro profili. Peccato che dopo un'ora trascorsa a girare fra gli stand, i cv dentro la cartellina siano sempre gli stessi. «Qui per noi non c'è nulla» confessano scoraggiati alla Repubblica degli Stagisti: «La maggior parte delle offerte riguarda altri settori, credevamo ci fossero agenzie diverse, queste non ci servono». In effetti, basta guardarsi intorno per capire che la maggior parte degli stand offre colloqui ad aspiranti animatori, estetisti, parrucchieri. O a soggetti interessati alla ristorazione, con decine di annunci rivolti a baristi, camerieri, cuochi, addetti alla cassa. La sensazione è che per tanti laureati non ci sia molto. Forse questa fiera non è pensata per loro o, più probabilmente, le aziende interessate ai cosiddetti "alti profili" preferiscono utilizzare canali diversi per la selezione. «Dopo aver consegnato il curriculum ho parlato delle mie esperienze, di quello che mi piacerebbe fare, dei miei interessi, speriamo vada bene» dice Mario, 33 anni, originario del sud Italia, laureatosi anche lui al Politecnico. Ad ascoltarlo sono due ragazze più giovani di lui, neolaureate. Si dicono tutti sorpresi - e in effetti è sorprendente - dalla giovane età di chi ha il compito di scegliere. Mario è ingegnere e quando è arrivato a Torino credeva che con una laurea al "Poli" non ci sarebbe stato nessun problema a trovare lavoro. Purtroppo per lui fino ad oggi le cose non sono andata così bene. Una fila lunghissima attira l'attenzione, è lo stand dell'Ascom Torino. I cartelli incollati con lo scotch ai pannelli che formano la struttura mostrano annunci, anche in questo caso, per baristi, camerieri, segretarie. «Ho fatto il barman per tre anni, poi il locale ha chiuso e sono rimasto disoccupato» racconta Lorenzo, 32 anni, della provincia di Torino. «Con i clienti me la cavo bene e conosco il mio mestiere, spero di trovare qualcosa. A mio parere il Salone è utile, soprattutto per chi cerca lavori dove conta la manualità. Inviare un curriculum a bar e ristoranti non serve, meglio andare di persona. Qui ci sono molti datori di lavoro, alcuni importanti, si risparmia molto tempo, in un pomeriggio fai tutto». A fare la coda insieme a lui c'è la fidanzata, impiegata in un negozio di abbigliamento come commessa. «Sono venuta anch'io, magari trovo qualcosa, mi piacerebbe lavorare con i trucchi, ne capisco di makeup». L'ultima edizione di "Io Lavoro" prima di questa di fine marzo si era tenuta lo scorso novembre al Pala Alpitour, e per gli organizzatori era stato un grande successo: più di 10mila partecipanti, 15mila colloqui offerti e un candidato su quattro che ha trovato una qualche forma di impiego. Molti nelle agenzie di animazione, che adesso in vista dell'estate offrono lavori stagionali a giovani profili. Questa dunque potrebbe rivelarsi una buona occasione per Paola, che si è diplomata l'anno scorso e ora è disoccupata. «Mi piacciono i bambini, potrei lavorare nei mini club dei villaggi turistici e magari fare anche un po' di vacanza». Sono davvero tanti in fila nell'area dedicata all'animazione. Chi esamina i candidati ha solo qualche anno in più e indossa magliette colorate. Quando Paola termina il colloquio sembra soddisfatta. «Credo sia andata bene, oltre a vedere il mio curriculum, mi hanno chiesto cosa mi piace fare, che tipo sono. Magari non è il lavoro della mia vita, ma sarebbe comunque una buona soluzione, l'importante è non stare fermi». Che l'animazione a "Io Lavoro" vada forte lo dimostrano i numeri della vigilia. I profili ricercati in questo settore, infatti, sono più di 6mila su 8mila opportunità di impiego complessive offerte dalla fiera. Un dato significativo che fa riflettere e che, in qualche modo, fotografa la situazione lavorativa del nostro Paese, sempre più frammentaria, incerta, da vivere alla giornata.  "Io Lavoro" per tanti va bene, è comunque un evento gratuito (nessun biglietto d'ingresso, basta iscriversi), mentre per altri non è utile perché taglia fuori alcuni mestieri importanti, come i due giovani architetti, o l'ingegnere. Rimane comunque una possibilità. Provare non costa niente e per l'esercito dei giovani in cerca di occupazione è comunque un tentativo.

Lezioni di stage dal Libano: «Si fa solo durante lo studio ed è pagato»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Mohamad Ghaddar, libanese, oggi consulente SAP per Indra a Roma.Ho 29 anni e sono nato e cresciuto in Libano, a El Ghazieh. Ho frequentato una scuola superiore ad indirizzo socio economico e al termine, nel 2003, mi sono iscritto alla facoltà di Economia dell'università del Libano. Al terzo ed ultimo anno ho svolto due stage consecutivi, per un totale di tre mesi, occupandomi in entrambi i casi di accounting. Il primo, pagato e con il riconoscimento di crediti formativi, l'ho fatto in una banca, tramite l’università. Il secondo, di due mesi, invece è stata una mia iniziativa: sono stato ospitato in un’azienda di generatori per lavorare ai bilanci d’azienda e ai pagamenti dei fornitori, stavolta senza crediti ma sempre con un rimborso. La somma varia: trattandosi di studenti, alcune aziende rimborsano solo le spese di trasporto, altre invece corrispondono una cifra che va dai 200 ai 400 euro. A luglio 2007 ho ottenuto l'equivalente della laurea triennale italiana e ho subito trovato lavoro. Prima in una ong inglese con una sede nel sud del Libano, dove traducevo conversazioni e testi dall'arabo all'inglese e viceversa, stilavo report e gestivo la documentazione; il tutto per circa 800 euro al mese. Poi dopo un anno ho cambiato e sono passato al ruolo di sales associate in un'altra azienda di generatori, occupandomi di intermediazione acquisti-vendita, relazioni con clienti e fornitori, fatturazione... E dopo un altro anno ancora eccomi al terzo lavoro, stavolta come Research Analyst in una multinazionale di financial news and analysis, dove sono rimasto per tre anni. A differenza dell’Italia, il percorso lavorativo dei giovani libanesi non inizia con uno stage. Lo stage si fa solo durante lo studio per acquisire esperienza e crediti formativi. Si comincia subito con un contratto di lavoro, di solito dopo tre mesi di prova. Rimane vero però che il mercato del lavoro in Libano è piccolo e competitivo, e con la crisi molti laureati hanno iniziato a guardare al Golfo Persico, e oltre.Nonostante il lavoro andasse bene, dopo cinque anni ho preso una decisione importante: riprendere gli studi, e farlo all'estero, con la rassicurazione che il mio posto in azienda sarebbe stato ancora disponibile una volta laureato. A  settembre 2012 quindi mi sono trasferito in Italia e ho iniziato un MBA a Roma Tor Vergata - uno dei pochi che prevedeva lo svolgimento dei corsi in inglese. Tornare all’università, per di più in un Paese straniero, è stato un po’ uno shock, ma piano piano ho preso il ritmo, ho migliorato l'italiano e mi sono integrato al nuovo contesto. Tra i due sistemi universitari ci sono comunque grosse differenze: le università italiane sono molto focalizzate sulla teoria rispetto alla pratica, invece in quelle libanesi c'è più equilibrio, per questo lo stage è obbligatorio durante lo studio. Poi l'interesse principale degli studenti italiani è il voto: ripeterebbero un esame più di due volte, anche copiando, solo per avere un voto più alto. E il fatto che possono riprovarci finché vogliono, anche solo per migliorare il voto, secondo me rende meno oggettivo il sistema di valutazione. In Libano invece lo studente ripete l’esame solo nel caso in cui non l’ha passato, e non può rifiutare il voto. Né ci sono, in tema di diritto allo studio, agevolazioni su alloggio e mensa universitaria come in Italia, che ho trovato di grande aiuto.    Il mio primo e unico stage italiano è arrivato nell'ultimo semestre del master, a febbraio 2014, quando l'università mi ha proposto di candidarmi per una posizione semestrale in area consulting a Roma, presso Indra, multinazionale di consulenza e servizi tecnologici alle aziende. Dopo un paio di settimane dall'invio del cv sono stato contattato per un primo colloquio, in ateneo, poi per un secondo più approfondito in sede. Ho ricevuto la risposta definitiva a metà aprile e il 12 maggio ho iniziato lo stage come SAP consultant, con un rimborso di 500 euro netti al mese e buoni pasto. Ho lavorato su progetti internazionali per gruppi italiani occupandomi principalmente del modulo di cost control di SAP, all'inizio con un po' di difficoltà legate alla lingua, ma tutti si sono dimostrati molto pazienti nelle spiegazioni. Intanto portavo avanti anche il master, che poi ho concluso a ottobre 2014, un mese prima che finisse anche lo stage.Non ero sicuro cosa aspettarmi dopo, ma quando mi è stato proposto un contratto di apprendistato di tre anni  ho accettato volentieri [l'80% degli stagisti Indra viene assunto al termine dello stage, ndr]: avrei continuato a lavorare in un'azienda che permette di crescere, con un buon clima di lavoro e con uno stipendio di 1600 euro lordi più buoni pasto, che mi consente di essere del tutto autonomo – divido un appartamento non lontano dalla metro con altri due lavoratori.  Vista la buona possibilità che mi è stata data, per il momento non ho intenzione di lasciare l’Italia: aspiro a continuare il mio percorso di consulente e spero un giorno di ricoprire la qualifica di Project manager. Insomma, non sapendo molto di come si svolge uno stage in Italia, ma giudicando solo la mia esperienza, per me l'ingresso nel mondo del lavoro è stato del tutto indolore.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo   

«In Svezia per lo Sve ho scoperto il mio spirito di adattamento: se ora non trovo lavoro in Italia, ripartirò senza paura»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Antonella Fasana.Ho 29 anni e sono di Rivarolo Canavese, in provincia di Torino. Dopo la maturità linguistica mi sono laureata nel 2009 in Scienze del Turismo e poi ho frequentato sempre all’università di Torino un master di primo livello in "Viaggi Mediterranei. Itinerari turistici, comunicazione e culture", che ho concluso nel 2010. Ho fatto la pendolare per tutto il percorso di studi e ho sempre lavorato. Già al liceo sono stata istruttrice di nuoto nella piscina del mio Comune e poi durante l’università ho cominciato a fare la babysitter, a dare ripetizioni di inglese e francese e a lavorare nei weekend come hostess per eventi e promoter nei centri commerciali.A gennaio del 2010, approfittando del fatto che il master era quasi finito e non dovevo più andare a lezione, ho iniziato il Servizio civile nazionale all’Acli provinciale di Torino. Per un anno sono stata impegnata nel progetto "Fusi Orari 2" , che coinvolgeva donne straniere immigrate, organizzando momenti di incontro e gite, offrendo supporto alla segreteria Acli per le pratiche burocratiche e la consulenza sul lavoro.Il Servizio civile si è poi trasformato in una collaborazione part-time durata due anni, attraverso la stipula di tre contratti: fino a dicembre 2012 sono stata la segretaria del Centro turistico Acli di Torino. Non ho solo svolto mansioni di segreteria, ma ho organizzato e promosso attività turistiche, facendo anche da accompagnatrice durante le gite. Inoltre ho dato supporto linguistico e logistico per la dodicesima edizione dei Campionati mondiali Fska di karate, che nel 2011 sono stati organizzati a Torino dall’Unione sportiva Acli. Mi sono trovata molto bene, all’Acli c’è sempre stato un bel clima di collaborazione, peccato che per l’aggravarsi della crisi, nonostante all’inizio sembrava ci fossero prospettive, non sono potuta rimanere lì a lavorare. Nel frattempo ho comunque continuato a fare la babysitter, l’hostess e la promoter, e a dare ripetizioni.Il Servizio volontario europeo l’ho scoperto per caso cercando su Internet progetti di mobilità internazionale, prima che mi scadesse il contratto con l’Acli. Non avevo mai sentito parlare dello Sve. Dopo avere letto che per partire era necessario trovare un’organizzazione di invio, mi sono informata sulle realtà locali scoprendo che il Comune di Torino, attraverso il suo Ufficio relazioni internazionali, era una sending organisation. Ho dunque partecipato ad un incontro informativo organizzato da loro, in cui tra l’altro hanno presentato gli enti con cui collaboravano.Così a inizio 2013 ho cominciato a mandare molte candidature, una quarantina, finché a maggio sono stata contattata dal Comune di Kungälv, una cittadina svedese di quarantamila abitanti, a pochi chilometri a nord di Göteborg. Ho fatto un colloquio su Skype e dopo due mesi di attesa mi è stato comunicato di essere stata scelta. Prima della partenza, il primo ottobre, il Comune di Torino ha organizzato due incontri di formazione.All’aeroporto di Göteborg mi ha accolto Annali, la mentor con la quale avrei poi collaborato moltissimo [foto a sinistra]. Mi ha portato a cena e poi siamo andate a conoscere la padrona della casa in cui avrei alloggiato durante i nove mesi del progetto, in cui io sarei stata l’unica volontaria. La hosting organisation aveva affittato per me una stanza molto spaziosa all’interno di una bella villetta con giardino, a  due passi dai boschi (in Svezia se non si sta in centro è un po’ dappertutto così), raggiungibile in dieci minuti di bus dalla sede principale del mio servizio. Oltre alla stanza avevo il bagno privato. Gun, la padrona di casa con cui condividevo cucina e sala, era una vedova di 75 anni, giovanile e in gamba. Questa convivenza è stata molto positiva, ho avuto la mia indipendenza ma allo stesso tempo ho sempre potuto contare su Gun e posso dire ormai di avere una nonna adottiva laggiù.Il mio progetto si chiamava "Young dimension on art & culture" e prevedeva l’organizzazione di attività ed eventi culturali per i giovani. Principalmente ho lavorato in un centro culturale di nome Mimers Hus, di proprietà del Comune, una struttura molto grande divisa in settori, che oltre ai vari uffici comprende il liceo del paese, la biblioteca, il teatro e la palestra. Durante la settimana ho lavorato però anche in altri centri giovanili e nelle scuole.In sostanza ero l’assistente della mia mentor Annali, responsabile per il Comune del settore cultura per bambini e ragazzi. Abbiamo organizzato insieme attività nelle scuole di grado inferiore e superiore e nei centri giovanili - come laboratori manuali per i bambini, giochi, organizzazione di mostre, festival, concorsi, spettacoli e cineforum. In particolare io mi sono occupata di corsi di danza, perché quando ero piccola ho fatto per più di dieci anni danza classica e hip hop. Questo è uno dei motivi per cui ero stata selezionata, e come progetto personale ho proprio sviluppato workshop di danza nei centri giovanili, oltre a un corso di italiano per stranieri nella biblioteca comunale.L’esperienza più emozionante è però nata per caso. Un’amica di Gun, la padrona di casa, mi ha chiesto se volessi visitare un liceo pubblico in cui studiano ragazzi affetti da disturbi mentali e fisici più o meno gravi. Così è stato organizzato un incontro, in cui mi sono state rivolte un sacco di domande sull’Italia, e poi sono stata invitata alla recita scolastica, a feste, alla cerimonia del giorno del diploma. Ed io ho offerto un paio di lezioni di hip hop durante le ore di educazione fisica, oltre ad un aiuto per preparare attività come gli spettacoli teatrali.A Kungälv ero l’unica volontaria ma ho avuto modo di conoscere molti altri colleghi durante i training  comuni che i volontari devono frequentare nel Paese in cui si trovano durante lo Sve, all’inizio dell’esperienza e poi a metà del percorso. A Göteborg mi sono ritrovata con ragazzi proveniente da molti Paesi, come Portogallo, Spagna, Georgia, Francia e Romania. Insomma non mi sono sentita sola, anzi a Kungälv ho vissuto in un contesto molto stimolante grazie all’alto numero di giovani coinvolti nel mio progetto. E poi con la mia organizzazione ci sono sempre stati molto dialogo e collaborazione, e mi è sempre stata data carta bianca sulle attività a cui volevo partecipare. Grazie alla cordialità intorno a me, mi hanno fatto sentire parte di un team.Certo all’inizio non è stato proprio facile, innanzitutto con la lingua, perché lo svedese è difficile e nonostante abbia trascorso là nove mesi sono riuscita ad assorbire solo una conoscenza di base. Ma per fortuna in Svezia l’inglese è sfruttabile praticamente con tutti. Così dopo un po’ non ho avuto difficoltà a stringere amicizie. Sono anche riuscita a gestire l’alto costo della vita svedese con il pocket money di 120 euro e i 300 euro per le spese alimentari. I miei risparmi personali li ho usati solo per i viaggi: ho visitato gran parte della Svezia e anche un po’ di Danimarca e Norvegia.Lo Sve per me non è stata solo una grande esperienza di vita che mi ha reso più indipendente, ma ha rappresentato anche una crescita professionale, perché ho lavorato in squadra, con obiettivi comuni da rispettare e un alto grado di versatilità da garantire. Inoltre ho migliorato nettamente l’espressione orale della lingua inglese e ho molta più fiducia nelle mie capacità, perché per me l’organizzazione di laboratori con i giovani hanno rappresentato una piccola sfida. Ho raccontato mese dopo mese la mia esperienza su Il Giro del Mondo in 80 Giovani, un blog del Comune di Torino che raccoglie varie testimonianze di ragazzi all’estero.Consiglio assolutamente di vivere l’esperienza dello Sve: serve a crescere a livello personale ma anche ad aumentare il proprio bagaglio professionale, oltre che quello culturale. Per questo credo che per scegliere lo Sve non si debba fossilizzarsi sul paese ospitante, ma piuttosto valutare la qualità del progetto e la serietà dell’organizzazione ospitante. È importante capire cosa l’organizzazione si aspetta da noi e quello che noi vogliamo ottenere dallo Sve. E se qualcosa non funziona bisogna dirlo, per valorizzare al meglio questa esperienza. Io ad esempio non mi trovavo molto bene in un centro giovanile e parlando con la mia mentor ho cambiato le attività, passando a lavorare da un gruppo misto di ragazzi dai 16 anni in su, ad uno di ragazze dai 12 ai 15 anni in condizioni di disagio. Certo io sono stato fortunata, la mia mentor era sempre presente. Parlando con altri volontari, invece, mi sono resa conto che ci sono organizzazioni ben meno serie.Dopo lo Sve sono tornata a vivere a Rivarolo con i miei genitori. Poco dopo il rientro, lo scorso settembre, sono ripartita, andando in Croazia come group leader per uno scambio giovanile su stili di vita, sport ed alimentazione. Poi ho ricominciato i miei lavoretti per essere economicamente indipendente, e nel frattempo ho iniziato a mandare decine e decine di curriculum. Vorrei lavorare nel settore turistico, per tour operator che si occupano in particolare di turismo sostenibile. Ho fatto recentemente qualche colloquio e spero di avere notizie positive: durante i colloqui ho notato molto interesse per lo Sve, di cui i selezionatori non sapevano nulla, e spero che questo rappresenti una possibilità in più per essere assunta.Mi do ancora qualche mese di tempo, e se in Italia non trovo nulla, cercherò lavoro all’estero. Ancora non so dove, ma non ho paura, deciderò al momento opportuno. In Svezia ho capito che non avrei problemi a vivere fuori dall’Italia per lungo tempo: grazie allo Sve ho scoperto di essere una persona che si adatta facilmente. Considerato ciò che questo progetto ha rappresentato per me, spero che dello Sve si parli sempre più spesso, a partire dalle scuole, per dare l’opportunità a quanti più giovani possibile di vivere un’esperienza unica.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro