«Da piccola sognavo di migliorare la vita delle persone con la tecnologia: oggi lo faccio in EY»
La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Sharon Di Nepi, partner presso il gruppo EY.Ho quarantaquattro anni, sono nata a Roma dove vivo con mio marito, con cui sono sposata da diciotto anni, e con due figli: Eitan, che oggi ha quattordici anni, e Shirel che ne ha undici. Mi sono diplomata al liceo scientifico Renzo Levi e poi mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria informatica con indirizzo Automazione Industriale all'università di Roma Tre. La mia scelta nasce da lontano e può sembrare buffa, ma dimostra anche quanto i sogni dei bambini possano essere profondi... Da piccola guardavo un cartone animato, Cybernella, la cui protagonista era una ragazzina con un cuore bionico. Da lì ho capito che mi piaceva l'idea di utilizzare la tecnologia per incidere sulla qualità della vita delle persone. La scelta dell'università è stata importante: la facoltà di Ingegneria di Roma Tre era stata aperta da poco e c'era una dimensione molto umana, con diverse ore di studio in laboratorio e un grande spirito di collaborazione tra tutti. Noi donne non raggiungevamo il dieci per cento della classe, ma ormai i ragazzi ci consideravano alla pari, facevano battute come fossimo maschi... Anche grazie all'ottimo clima, mi sono laureata molto velocemente e conservo ancora le amicizie create in quel periodo.La mia famiglia è stata contenta della mia scelta e mi ha dato tutto il supporto possibile. Mi ha dato la possibilità di studiare senza dovermi preoccupare del lavoro, anche se per arrotondare e avere un minimo di indipendenza ho preso delle borse di studio all'università come responsabile dei laboratori tecnici. Sono diventata la prima laureata della mia famiglia. Io vengo da una famiglia ebraica; nessuno prima di me aveva avuto la possibilità di studiare, e questo traguardo quindi ha rappresentato un momento di gratificazione degli sforzi dei miei nonni e dei miei genitori, che sono stati un modello per me. Mio padre, commerciante di tessuti e arredamento, il giorno della mia laurea mise addirittura un cartello con scritto “Chiuso per laurea".Qualche mese prima di laurearmi, a luglio del 2001, ho partecipato a un evento promosso da una grossa società di consulenza con l'università per conoscere i giovani laureandi a Nizza, in Francia. A settembre, subito dopo la laurea, mi hanno contattato per coinvolgermi in un percorso di inserimento professionale: ho iniziato con un contratto di apprendistato, che poi si è trasformato in due anni in indeterminato. Nonostante il mio indirizzo di studi in Automazione industriale, ho chiesto di lavorare nel settore pubblico, che mi avrebbe permesso di perseguire il mio sogno: immaginare un futuro diverso e realizzarlo attraverso la tecnologia. Ho fatto una prima esperienza avendo come cliente Poste italiane e poi sono passata all'Inps, che è il cliente cui lavoro ancora oggi. Da Analyst in due anni sono diventata Consultant e poi Manager e Senior Manager: sono rimasta in questa prima azienda undici anni. È evidente che senza il supporto della mia famiglia, in particolare di mia madre e di mia nonna che mi hanno aiutato con i miei due figli, non avrei potuto raggiungere questi risultati. Inoltre con mio marito, avvocato civilista, siamo a tutti gli effetti una squadra. Sul lavoro lui mi supporta da vari punti di vista, sia direttamente che indirettamente: è il mio consulente tecnico, il mio critico, il primo spettatore dei miei convegni, il mediatore di riferimento per i conflitti interni. Ma anche la persona che mi aiuta nella cura della casa e dei bambini, dandomi la possibilità di concentrarmi al cento per cento sul lavoro quando è necessario. Questo ambiente molto sfidante, veloce e competitivo non è facilmente conciliabile con la creazione di una famiglia, se non hai a disposizione una struttura che ti supporta: la disponibilità h24 è molto spesso una regola imprescindibile.Come Senior Manager ero arrivata a un punto della mia carriera in cui sentivo il bisogno di sperimentare progetti nuovi, dove poter valorizzare al massimo il mio spirito imprenditoriale e creativo. All'epoca – era il 2012 – EY si stava affacciando all'ambito IT, firmando i primi contratti tecnici. Mi offriva quindi l'opportunità di rimanere nel settore pubblico, sfruttare le mie competenze in ambito digitale, ma allo stesso tempo avere "foglio bianco", dove poter sviluppare le mie idee ed esperienze. All'inizio è stato un percorso in salita, i progetti IT richiedono strutture specifiche, impianti contrattuali ad hoc e risorse con competenze specializzate che, infatti, ho contribuito a creare, coinvolgendo nel gruppo di lavoro: ingegneri, informatici ma anche economisti, matematici, giuristi... Il valore della diversità è da sempre per me un elemento fondante, e anche in ambito professionale si è rivelato una chiave importante per il successo di squadra. Il nostro lavoro parte dalla conoscenza dei processi del cliente e cerca di aiutarlo a progettare processi di trasformazione, collaborando con altri grandi player del mercato. Con me lavorano una trentina di persone, tutte giovanissime. C'è bilanciamento di genere, anzi le figure Executive sono a prevalenza femminile. Tre anni fa sono diventata partner EY. Ho superato un processo di valutazione iniziato due anni prima, in cui dovevo dimostrare di avere un business case adatto e maturo per sostenere la partnership e portare valore alla società. La valutazione ha compreso vari colloqui, con il coinvolgimento della società a livello global: parte tecnica, motivazionale, di sostenibilità economica. Per diventare partner bisogna anche essere un role model, rappresentare i valori di EY. Attualmente ho un duplice ruolo: sono account degli enti previdenziali, portando il meglio della società a questi enti, e sono responsabile della parte di Digital Transformation del settore pubblico, aiutando gli account dei clienti del pubblico a sviluppare i loro processi di innovazione. Oggi ho anche l'obiettivo di far crescere le persone che lavorano insieme a me, ma continuo a essere operativa e a crescere anch’io in prima persona: ad esempio recentemente abbiamo lanciato una campagna sulla tecnologia blockchain e ho dovuto studiare e approfondire il tema anche con corsi di formazione interni. Grazie a questo progetto, abbiamo aiutato l'Inps ad accreditarsi come polo di innovazione della rete europea blockchain, per l'identificazione dei lavoratori che si muovono all’interno dei paesi in Europa: è stato un obiettivo importante eallo stesso tempo emozionante.Il periodo di smart working è stato particolarmente duro, anche perché lavorando per Inps e Inail era necessario rispettare delle deadline istituzionali molto stringenti coordinando tutte le attività da remoto. A casa è difficile mantenere i confini: si stava in call dalle otto di mattina alle dieci di sera. E tutto questo si doveva conciliare con il "lavoro" di mamma. Inoltre, le nostre attività sono molto legate al team e alla collaborazione con il cliente, per questo ho cercato sempre di mantenere una certa "normalità", ad esempio condividendo il caffè pomeridiano virtuale con il mio team. Ora stiamo cominciando a tornare in sede, anche se l'indicazione aziendale continua a essere quella di fare il più possibile smart working.Ai ragazzi dico sempre, al di là delle skills, di essere curiosi e un po' visionari, di aver voglia di immaginare un mondo differente e provare a contribuire a realizzarlo. Devono sognare in grande! Alle ragazze, in particolare, dico che non devono crearsi delle barriere se non ci sono e, se ci sono, devono cercare di abbatterle senza mai farsi demotivare. E poi dico loro di farsi aiutare: in certe carriere il supporto è importante e poi è bello condividere i risultati con chi ti ha aiutato. Sicuramente sulla capacità di reagire ai preconcetti ha inciso molto anche la mia religione: come ebrea faccio parte di una comunità che nella storia è stata messa molto alla prova e questo ci ha abituati a reagire e a dimostrare nei fatti il nostro valore. Per questo dico che con impegno, dedizione e cuore i risultati arrivano.Oggi la consulenza può essere un buono sbocco, si può crescere velocemente, entrare in contatto con clienti importanti e avere tante gratificazioni e stimoli intellettuali. Tuttavia è una scelta da prendere con seria attenzione: la consulenza non è adatta a tutti e richiede un forte impegno. Ma io rifarei questa scelta altre cento volte!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca