Categoria: Storie

«Da piccola sognavo di migliorare la vita delle persone con la tecnologia: oggi lo faccio in EY»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Sharon Di Nepi, partner presso il gruppo EY.Ho quarantaquattro anni, sono nata a Roma dove vivo con mio marito, con cui sono sposata da diciotto anni, e con due figli: Eitan, che oggi ha quattordici anni, e Shirel che ne ha undici. Mi sono diplomata al liceo scientifico Renzo Levi e poi mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria informatica con indirizzo Automazione Industriale all'università di Roma Tre. La mia scelta nasce da lontano e può sembrare buffa, ma dimostra anche quanto i sogni dei bambini possano essere profondi... Da piccola guardavo un cartone animato, Cybernella, la cui protagonista era una ragazzina con un cuore bionico. Da lì ho capito che mi piaceva l'idea di utilizzare la tecnologia per incidere sulla qualità della vita delle persone. La scelta dell'università è stata importante: la facoltà di Ingegneria di Roma Tre era stata aperta da poco e c'era una dimensione molto umana, con diverse ore di studio in laboratorio e un grande spirito di collaborazione tra tutti. Noi donne non raggiungevamo il dieci per cento della classe, ma ormai i ragazzi ci consideravano alla pari, facevano battute come fossimo maschi... Anche grazie all'ottimo clima, mi sono laureata molto velocemente e conservo ancora le amicizie create in quel periodo.La mia famiglia è stata contenta della mia scelta e mi ha dato tutto il supporto possibile. Mi ha dato la possibilità di studiare senza dovermi preoccupare del lavoro, anche se per arrotondare e avere un minimo di indipendenza ho preso delle borse di studio all'università come responsabile dei laboratori tecnici. Sono diventata la prima laureata della mia famiglia. Io vengo da una famiglia ebraica; nessuno prima di me aveva avuto la possibilità di studiare, e questo traguardo quindi ha rappresentato un momento di gratificazione degli sforzi dei miei nonni e dei miei genitori, che sono stati un modello per me. Mio padre, commerciante di tessuti e arredamento, il giorno della mia laurea mise addirittura un cartello con scritto “Chiuso per laurea".Qualche mese prima di laurearmi, a luglio del 2001, ho partecipato a un evento promosso da una grossa società di consulenza con l'università per conoscere i giovani laureandi a Nizza, in Francia. A settembre, subito dopo la laurea, mi hanno contattato per coinvolgermi in un percorso di inserimento professionale: ho iniziato con un contratto di apprendistato, che poi si è trasformato in due anni in indeterminato. Nonostante il mio indirizzo di studi in Automazione industriale, ho chiesto di lavorare nel settore pubblico, che mi avrebbe permesso di perseguire il mio sogno: immaginare un futuro diverso e realizzarlo attraverso la tecnologia. Ho fatto una prima esperienza avendo come cliente Poste italiane e poi sono passata all'Inps, che è il cliente cui lavoro ancora oggi. Da Analyst in due anni sono diventata Consultant e poi Manager e Senior Manager: sono rimasta in questa prima azienda undici anni. È evidente che senza il supporto della mia famiglia, in particolare di mia madre e di mia nonna che mi hanno aiutato con i miei due figli, non avrei potuto raggiungere questi risultati. Inoltre con mio marito, avvocato civilista, siamo a tutti gli effetti una squadra. Sul lavoro lui mi supporta da vari punti di vista, sia direttamente che indirettamente: è il mio consulente tecnico, il mio critico, il primo spettatore dei miei convegni, il mediatore di riferimento per i conflitti interni. Ma anche la persona che mi aiuta nella cura della casa e dei bambini, dandomi la possibilità di concentrarmi al cento per cento sul lavoro quando è necessario. Questo ambiente molto sfidante, veloce e competitivo non è facilmente conciliabile con la creazione di una famiglia, se non hai a disposizione una struttura che ti supporta: la disponibilità h24 è molto spesso una regola imprescindibile.Come Senior Manager ero arrivata a un punto della mia carriera in cui sentivo il bisogno di sperimentare progetti nuovi, dove poter valorizzare al massimo il mio spirito imprenditoriale e creativo. All'epoca – era il 2012 – EY si stava affacciando all'ambito IT, firmando i primi contratti tecnici. Mi offriva quindi l'opportunità di rimanere nel settore pubblico, sfruttare le mie competenze in ambito digitale, ma allo stesso tempo avere "foglio bianco", dove poter sviluppare le mie idee ed esperienze. All'inizio è stato un percorso in salita, i progetti IT richiedono strutture specifiche, impianti contrattuali ad hoc e risorse con competenze specializzate che, infatti, ho contribuito a creare, coinvolgendo nel gruppo di lavoro: ingegneri, informatici ma anche economisti, matematici, giuristi... Il valore della diversità è da sempre per me un elemento fondante, e anche in ambito professionale si è rivelato una chiave importante per il successo di squadra. Il nostro lavoro parte dalla conoscenza dei processi del cliente e cerca di aiutarlo a progettare processi di trasformazione, collaborando con altri grandi player del mercato. Con me lavorano una trentina di persone, tutte giovanissime. C'è bilanciamento di genere, anzi le figure Executive sono a prevalenza femminile. Tre anni fa sono diventata partner EY. Ho superato un processo di valutazione iniziato due anni prima, in cui dovevo dimostrare di avere un business case adatto e maturo per sostenere la partnership e portare valore alla società. La valutazione ha compreso vari colloqui, con il coinvolgimento della società a livello global: parte tecnica, motivazionale, di sostenibilità economica. Per diventare partner bisogna anche essere un role model, rappresentare i valori di EY. Attualmente ho un duplice ruolo: sono account degli enti previdenziali, portando il meglio della società a questi enti, e sono responsabile della parte di Digital Transformation del settore pubblico, aiutando gli account dei clienti del pubblico a sviluppare i loro processi di innovazione. Oggi ho anche l'obiettivo di far crescere le persone che lavorano insieme a me, ma continuo a essere operativa e a crescere anch’io in prima persona: ad esempio recentemente abbiamo lanciato una campagna sulla tecnologia blockchain e ho dovuto studiare e approfondire il tema anche con corsi di formazione interni. Grazie a questo progetto, abbiamo aiutato l'Inps ad accreditarsi come polo di innovazione della rete europea blockchain, per l'identificazione dei lavoratori che si muovono all’interno dei paesi in Europa: è stato un obiettivo importante eallo stesso tempo emozionante.Il periodo di smart working è stato particolarmente duro, anche perché lavorando per Inps e Inail era necessario rispettare delle deadline istituzionali molto stringenti coordinando tutte le attività da remoto. A casa è difficile mantenere i confini: si stava in call dalle otto di mattina alle dieci di sera. E tutto questo si doveva conciliare con il "lavoro" di mamma. Inoltre, le nostre attività sono molto legate al team e alla collaborazione con il cliente, per questo ho cercato sempre di mantenere una certa "normalità", ad esempio condividendo il caffè pomeridiano virtuale con il mio team. Ora stiamo cominciando a tornare in sede, anche se l'indicazione aziendale continua a essere quella di fare il più possibile smart working.Ai ragazzi dico sempre, al di là delle skills, di essere curiosi e un po' visionari, di aver voglia di immaginare un mondo differente e provare a contribuire a realizzarlo. Devono sognare in grande! Alle ragazze, in particolare, dico che non devono crearsi delle barriere se non ci sono e, se ci sono, devono cercare di abbatterle senza mai farsi demotivare. E poi dico loro di farsi aiutare: in certe carriere il supporto è importante e poi è bello condividere i risultati con chi ti ha aiutato. Sicuramente sulla capacità di reagire ai preconcetti ha inciso molto anche la mia religione: come ebrea faccio parte di una comunità che nella storia è stata messa molto alla prova e questo  ci ha abituati  a reagire e a dimostrare nei fatti il nostro valore. Per questo dico che con impegno, dedizione e cuore i risultati arrivano.Oggi la consulenza può essere un buono sbocco, si può crescere velocemente, entrare in contatto con clienti importanti e avere tante gratificazioni e stimoli intellettuali. Tuttavia è una scelta da prendere con seria attenzione: la consulenza non è adatta a tutti e richiede un forte impegno. Ma io rifarei questa scelta altre cento volte!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Assunta quando ero al settimo mese di gravidanza: conciliare vita privata e carriera si può»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Alessandra Cimadom, partner presso il gruppo EY.   Ho quarant'anni, sono nata a Ivrea e cresciuta nel Canavese e oggi vivo a Torino. Dopo il diploma scientifico non avevo le idee chiare su cosa volessi fare da grande. Ero piuttosto impallinata per lo sport e volevo iscrivermi a tutti i costi all’Isef, ma non mi convinceva perché non mi sembrava potesse offrirmi un futuro “solido”. Allora ho deciso di fare il test di ingresso a  Scienze politiche, internazionali e diplomatiche, dal momento che le lingue erano un’altra mia passione. L’ho superato, ma dopo qualche mese mi sono resa conto che non mi piaceva. Così i miei genitori mi hanno consigliato di trovare un lavoro, intanto che cercavo di chiarirmi le idee sul da farsi. Ho iniziato a lavorare in una software house come assistente software, mi occupavo di formazione per studi professionali.Da lì mi sono appassionata al tema e ho deciso di iscrivermi a Informatica, indirizzo Reti, all’università di Torino. Mi sembrava un ambito in forte espansione, che mi avrebbe permesso di combinare la passione per qualcosa di “matematico”, con quello che il mercato del lavoro chiedeva in termini di competenze accademiche.Era il 2000 e quello non era propriamente un corso “per donne”: eravamo solo in tre su quasi cento iscritti. Bisogna essere un po’ “maschiacci” per sopravvivere in quell’ambiente e io, in fondo, lo sono sempre un po’ stata. Sarà che ho sempre fatto sport, dalla pallavolo all’atletica alla vela. Ancora oggi non posso fare a meno di dedicarmi regolarmente all’attività sportiva: corro, vado in palestra, nuoto. È il mio modo per rimanere equilibrata, o almeno provarci, e dare ossigeno al cervello in un mondo sempre più caotico.  A fine percorso universitario ho vinto un contratto come consulente di Motorola a Swindon, in Inghilterra. Ho partecipato a un progetto di sei mesi in un gruppo internazionale che aveva l’obiettivo di ottimizzare gli algoritmi di gestione delle reti cellulari della Cina. Progetto che ho utilizzato per scrivere la mia tesi di laurea, che è valsa la valutazione di 110 e lode con menzione di stampa e il premio di miglior tesi delle facoltà scientifiche di quell’anno accademico. Consiglio a tutti un’esperienza all’estero, soprattutto in posti che all’apparenza sembrano poco attraenti: avere coraggio è uno degli ingredienti principali per la crescita professionale, bisogna fare quello che gli altri non hanno il coraggio di fare. Quando sono tornata in Italia ero letteralmente sommersa di offerte di lavoro, sia grazie a quell’esperienza all’estero sia grazie alla votazione di laurea.Ho accettato la proposta di Reply, società di consulenza nata in Italia e oggi internazionale, che tre mesi prima che mi laureassi mi ha offerto un contratto a tempo indeterminato come Analyst. Ho iniziato occupandomi di telecomunicazioni nel dipartimento Qualità di Vodafone a Ivrea: valutavamo gli impatti qualitativi del lancio di nuove offerte. Poi mi sono spostata per qualche tempo a Roma per un progetto in H3G come supporto ai cinesi di Huawei, che si affacciavano sul mercato italiano sul mercato italiano  per il lancio delle loro prime datacard. Mi chiamarono il venerdì per iniziare il lunedì: d’altronde le opportunità di crescita comportano sempre qualche sacrificio!Nel 2007 mi sono spostata in Altran, una società di consulenza più grande che già un paio di volte aveva tentato di assumermi. Lì ho iniziato a occuparmi di Energia: era l’anno della liberalizzazione del mercato elettrico e mi hanno proposto di partecipare a un progetto ambizioso, che mi permetteva di riscrivere pezzi di azienda. Così ho iniziato a specializzarmi nel mercato energetico, combinando progetti di trasformazione business e progetti di trasformazione tecnologica. In tre anni sono passata da Senior Consultant a Principal Consultant. Nel 2010 mi sono spostata in una multinazionale di consulenza a Milano: facevo progetti in Italia e in Europa, sempre in ambito Energy. Sono entrata come Manager: avevo trentun anni e mi sembrava di aver raggiunto un incredibile traguardo, entrando come dirigente, a far parte della più grande azienda di consulenza a livello mondiale. Una vera palestra professionale, dove sono stata per diversi anni e dove ho imparato tanto, diventando Senior Manager nel 2015. Nel frattempo la famiglia è cresciuta: nel 2012 è nato il mio primo figlio, Leonardo. Combinare vita professionale e vita privata si può, con qualche salto mortale, ma si può. Ho tre figli: due nati dall’unione con il mio compagno, uno acquisito dal suo precedente matrimonio. La famiglia è fonte di energia e ispirazione e non sarei riuscita a ottenere i risultati professionali senza di loro. Certo il supporto di una rete di fiducia in questo lavoro è strettamente necessario. Io ho la fortuna di averlo, sia dal mio compagno, flessibile nel venirmi incontro nei miei cambi repentini di agenda, sia dai miei genitori, che mi aiutano con i bambini insieme a due babysitter che si alternano. Purtroppo sono una madre poco presente fisicamente, la mattina esco di casa alle sette e mezza e rientro alle otto di sera. La famiglia è sicuramente penalizzata, ma il tempo che poi abbiamo a disposizione insieme è di qualità.A marzo del 2019 sono entrata in EY come Associated Partner nell’area Consulting: la società aveva l’obiettivo di rinforzare la squadra nel mondo Energy e, nonostante fossi incinta di sette mesi, mi ha voluta fortemente, dimostrando una grande apertura di pensiero che mi ha convinto ulteriormente a spostarmi. EY infatti è una società che valorizza la crescita professionale delle donne e la loro capacità di trovare un equilibrio tra vita professionale e familiare. Quando sono tornata dalla maternità a novembre 2019, ho iniziato il percorso per diventare Partner, e dallo scorso 1°ottobre lo sono ufficialmente. Un risultato importante che premia il mio percorso: oggi posso dire che rifarei tutto!Ho scelto di continuare a fare attività legate a progetti pionieristici su ambiti e tecnologie sempre diversi: è quello che mi piace di più del mio lavoro, non riuscirei mai a fare un lavoro impiegatizio. Questo nonostante lavorare a tanti progetti diversi comporti avere continua ansia da performance e necessità di imparare molto velocemente. Occorre una predisposizione innata, esercitata nel tempo e affiancata dalla soddisfazione per quello che si fa: la performance c’è solo se si riesce a esprimere serenità e passione. Nel mio gruppo di lavoro c’è equilibrio di genere. Tuttavia, quando mi sono occupata di selezionare neolaureati, ho potuto constatare che è più difficile trovare figure femminili in ambito scientifico. Si trovano più facilmente laureate in matematica o fisica, ma molto meno in ingegneria e informatica. Oggi a mio figlio – se non avesse già scelto Medicina! – consiglierei una facoltà scientifica. In particolare, nel nostro ambito si ricercano molto ingegneri specializzati in efficienza energetica, informatici, ingegneri informatici. Ai ragazzi dico di non perdere di vista il confronto diretto con le persone e di non scegliere sempre la strada più facile. Mi rendo conto che oggi si ha un concetto un po’ diverso di lungo termine e di relazione umana, che tuttavia credo che nel mondo del lavoro siano ancora valorizzati. Inoltre ritengo fondamentale il concetto di flessibilità – che non significa fare qualsiasi cosa, ma avere la capacità di saltare da un argomento all’altro senza troppe paure e preconcetti, avere la predisposizione a cogliere tutte le opportunità che la vita e il lavoro ti offrono.Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Dentro Vulcanus in Japan: studiare per un anno in Giappone, due studenti raccontano come si fa

Dal 10 gennaio al 10 febbraio 2020 sarà possibile candidarsi a partecipare a Vulcanus in Japan, il programma annuale di tirocini in aziende giapponesi del settore tecnologico finanziato dall’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation di Bruxelles e dalle stesse aziende ospitanti e destinato agli studenti europei iscritti a facoltà tecnico-scientifiche. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a due ex partecipanti di raccontare la loro esperienza: ecco le storie di Paolo Tirotta e Luca Tremamunno. Paolo Tirotta (24 anni, Trebisacce)Sono all’ultimo anno di specialistica in Statistica all’università di Bologna. Un anno fa ho fatto l’application per il Vulcanus. Durante la triennale avevo già partecipato al Double Degree, facendo un anno a Glasgow, e volevo fare un’altra esperienza all’estero, così ho iniziato a guardarmi intorno e ho trovato questo programma. Non esistono molti progetti del genere con il Giappone e, visto che era sempre stato un mio sogno andarci, non potevo non approfittarne.  A marzo ho saputo di essere rientrato nella short list di studenti che sarebbero stati contattati dalle aziende con cui erano stati accoppiati. Era possibile, nella domanda, esprimere la propria preferenza, ma io non l’avevo fatto, nella speranza di avere più possibilità. Sono stati abbinato a Ntt Data, con sede a Tokyo. Mi hanno scelto senza colloquio (altre aziende lo richiedevano): ad aprile ho ricevuto la comunicazione. Quindi ho inviato al Centro di Bruxelles i documenti necessari per il visto. Ho iniziato a settembre. Mi hanno assegnato un appartamento di circa 25 mq, piuttosto centrale e comodo per gli spostamenti, in un residence che ospitava anche gli altri due partecipanti al programma, un italiano e uno spagnolo. I primi giorni abbiamo seguito un seminario utile a fornirci informazioni pratiche, ad esempio sulla registrazione obbligatoria all’ufficio dell’area in cui risiedevamo, sulle schede telefoniche, sull’assicurazione etc. Per i primi quattro mesi, abbiamo seguito per sei ore al giorno il corso di lingua giapponese, incentrato soprattutto sulla conversazione. Io ero avvantaggiato perché già da un anno mi ero messo a studiare il giapponese. Seguivamo inoltre seminari sulla cultura del lavoro ed elementi di storia e cultura del Giappone. Nel restante tempo, avevamo la possibilità di esplorare la città e i dintorni. Il programma prevedeva un grant di circa 15mila euro totali, versati mensilmente (in cifre diverse). Non pagavamo né alloggio né bollette, quindi erano ampiamente sufficienti per le altre spese, come i trasporti e i viaggi.   Dopo i quattro mesi di corso, è iniziato il tirocinio. In Ntt Data ho lavorato presso il Dipartimento Research and Development, occupandomi di modelli, in particolare di question answering e riassunti di testi giapponesi. Per i primi due mesi, prima del Coronavirus, andavamo in azienda tutti i giorni ed eravamo inoltre coinvolti in numerosi eventi di team building. In più, ogni mese facevamo un meeting in cui parlavamo di come andava il programma. Se si avevano problemi con la lingua, si trovava sempre qualcuno che parlava inglese. C’era un bel clima, anche se lì bisogna essere molto proattivi per relazionarsi con i colleghi. Da marzo abbiamo iniziato lo smart working, sono tornato non più di tre volte in ufficio. Tuttavia con il mio supervisore e il collega ci sentivamo ogni giorno e settimanalmente si tenevano meeting con tutto il dipartimento. Fortunatamente il Giappone non è mai stato tra i paesi più colpiti, non c’è mai stato lockdown. Poi qui la cultura della mascherina esisteva già e inoltre c’è di base un forte rispetto delle regole e delle persone, tra le cose che più apprezzo rispetto al mio paese e che mi hanno spinto a decidere di ritornare in Giappone.Ad agosto sono rientrato in Italia, ma ho già fatto un colloquio con Ntt Data per ritornare da settembre prossimo, dopo che avrò terminato gli ultimi due esami e la tesi. Mi hanno offerto un contratto, per mia scelta per ora a tempo determinato (un anno), ma con uno stipendio molto più alto di quelli entry level in Italia.Il Giappone per me è sempre stato un sogno: da quando avevo 14 anni amo gli anime e i videogiochi giapponesi. Poi, attraverso la piattaforma di scambi culturali Workaway, avevo già trascorso due mesi lì, a Osaka, lavorando presso un ostello. Tornandoci per Vulcanus mi sono piaciuti sia il lavoro sia le persone, quindi quella di rimanere è stata una scelta tutto sommato “facile”. Consiglio a tutti il programma Vulcanus: è organizzato davvero bene. L’unico aspetto che migliorerei è il supporto in caso di disagi, com’è capitato ad esempio con l’annullamento dei voli durante la pandemia. Alcuni hanno chiesto una proroga del visto, ma gli è stato risposto di partire prima che scadesse. Per il resto un’esperienza da fare! Luca Tremamunno (25 anni, Ravenna)Durante la triennale in Ingegneria e scienze informatiche a Cesena, per caso, ho sentito parlare del programma Vulcanus da un amico. Mi è rimasto in mente e, al primo anno di magistrale, il primo utile per fare domanda, ho deciso di candidarmi. Come tanti altri partecipanti, anch’io avevo già fatto l’Erasmus, ero stato in Danimarca. Mi era piaciuto molto e volevo fare un’altra esperienza all’estero, magari più lontano. A questo si è aggiunta la mia passione per il Giappone e per la cultura giapponese. Così ho iniziato a preparare le carte. Non è stato facile, anche perché l’università mi ha fornito la documentazione tutta insieme, mentre il Centro la richiedeva separata, infatti sono stato ammesso nella shortlist  “con riserva”. Gli organizzatori sono molti pignoli e l’università non è stata molto cooperativa. Per fare la domanda ci sono voluti circa 50 euro di marche da bollo e ho dovuto fare successivamente delle integrazioni. Dalla mia esperienza, consiglio di muoversi per tempo, già adesso, anche per valutare le aziende preferite (c’è una lista provvisoria di offerte di tirocinio) e preparare la lettera motivazionale. Io avevo espresso due preferenze: una per Square Enix, azienda di video giochi, una mia passione; l’altra per Ntt Data, di cui mi interessava il progetto, “Program synthesis da esempi di input e output”, che mi sembrava affine alla mia tesi triennale, che richiedeva di lavorare sulla struttura di un linguaggio di programmazione. Tra le competenze richieste, infatti, c’era una buona conoscenza di come funzionano i linguaggi di programmazione, compilatori etc. Penso che la mia tesi abbia aiutato, insieme al fatto che a quell’argomento non fossero interessati in tanti. Sono stato selezionato senza colloquio: è bastata la lettera motivazionale. A febbraio ho saputo di essere nella shortlist, composta da circa 150 persone, e ad aprile di essere fra i 30 selezionati. A luglio si è tenuto l’incontro preparatorio a Bruxelles. È stato utile per conoscere gli altri ragazzi con cui avrei condiviso l’esperienza e per apprendere informazioni e piccole curiosità: ad esempio ci è stato detto che in Giappone, quando si viene assunti, è usanza portare dei souvenir, come prodotti tipici del proprio paese o città. Il Centro richiedeva di essere a Tokyo preferibilmente non prima del 1° settembre, per la copertura assicurativa e logistica. Il primo giorno siamo stati in hotel, mentre il secondo ci hanno accompagnati negli appartamenti assegnatici. Quindi abbiamo iniziato subito con il seminario sul Giappone e poi il corso intensivo di lingua. Io non avevo mai studiato giapponese: solo, dopo il meeting di luglio, ci era stato detto che la scuola richiedeva di arrivare già con la conoscenza di due alfabeti semplici. Fortunatamente chi ci ha accolti conosceva l’inglese, inoltre il mio collega e vicino di appartamento lo aveva già studiato per un anno e, condividendo molto tempo con lui, mi ha aiutato parecchio. Poi il corso ci ha messi nelle condizioni di comunicare decentemente. Io, quando possibile, evitavo di parlare giapponese, nel mio team in genere parlavamo in inglese, anche se questo probabilmente mi ha limitato nello stringere rapporti più profondi con i colleghi. Ne ho frequentato qualcuno al di fuori del lavoro, ma per la maggior parte del tempo sono stato con il gruppo del Vulcanus. Durante il periodo della scuola di giapponese si usciva molto, inoltre c’erano molte feste nazionali e si riusciva a fare uscite di tre giorni: abbiamo fatto anche viaggi di 15-20 persone. Io consiglio di non tornare a casa per Natale, ma di approfittarne per andare in posti particolarmente belli da visitare con la neve, come Nagano e Sapporo. Da non perdere poi Kyoto: ci sono stato due volte. L’arrivo del Coronavirus certo ha condizionato la mia esperienza, visto che da marzo ho dovuto lavorare in smart e ridurre le uscite: è stato un peccato. Ma i contagi in Giappone sono sempre stati davvero pochi: si pensi che a Tokyo, una città di 10 milioni di abitanti, non si sono superati i 500 positivi al giorno. Certo un po’ di panico c’è stato: la gente all’inizio si è precipitata al supermercato e sono spariti cibo istantaneo (cup noodles) e carta igienica! L’ambiente è estremamente diverso sia dall’Italia che dall’Europa. Ma varia di città in città: ad esempio a Tokyo, molto turistica, la gente è più diffidente verso gli stranieri, mentre nelle altre città, soprattutto se dimostri di conoscere un po’ di giapponese, sono stupiti e diventano amichevoli. Rispetto all’esperienza fatta in Italia in un’azienda informatica, mi aspettavo di subire più pressioni e lavorare molto di più, ma non è stato così. Lavoravo sette ore e mezza per cinque giorni a settimana e non mi è mai stato chiesto di più. Certo l’approccio verso i tirocinanti è diverso, tuttavia anche confrontandomi con dei dipendenti dell’azienda ho scoperto che sì la maggior parte fa molti straordinari, ma si è liberi di scegliere di lavorare otto ore e poi smettere. Il futuro? L’azienda mi aveva già fatto capire che sarebbe stata disposta ad assumermi, e sicuramente lì guadagnerei di più e farei più carriera. Se fosse più vicino, ci tornerei, ma la distanza sarebbe dura da gestire. Sicuramente ci tornerò in vacanza. Dopo la tesi, un professore mi ha offerto di partecipare a un progetto di ricerca di un anno. Poi cercherò lavoro in Europa, magari in Belgio, dove sono attualmente a studiare, con la didattica a distanza, per stare vicino alla mia compagna. Mi mancano tante cose del Giappone: il cibo, la vita serale… In generale le città grandi non mi piacciono, infatti ero preoccupato, invece Tokyo è diversa dalle altre metropoli. I trasporti sono semplicissimi, qualunque posto è facile da raggiungere e ce n’è per tutti i gusti: città dello shopping, quartiere dei videogiochi, aree verdi per il relax. Le persone rispettano gli spazi personali e non ho mai visto una metropoli così pulita! Unica pecca, il trasporto pubblico dura solo fino a mezzanotte e, se vuoi rientrare con un taxi, la spesa è molto alta!All’inizio ero pessimista: non sono una persona molto socievole e credevo che mi sarei annoiato e avrei finito solo per lavorare. Nonostante questo, volevo viaggiare e conoscere com’era il Giappone da un punto di vista diverso da quello turistico. E poi credevo che fosse un’esperienza utile per il mio curriculum. Anche perché gli argomenti trattati avrei potuto trovarli in pochi posti al mondo: solo un’azienda gigante come Ntt Data può permettersi di fare ricerca e sperimentare così tante cose nuove. Invece alla fine, e non solo per il lavoro, si è rivelata l’esperienza più bella della mia vita finora e il gruppo è diventato la mia seconda famiglia: peccato sia durato solo un anno! Lo consiglio a tutti coloro a cui l’Erasmus non è bastato e che vogliono vivere qualcosa di completamente diverso, che ti stravolge la vita. L’unica pecca: per me in futuro non ci sarà mai niente di così bello!Testimonianze raccolte da Rossella Nocca

Manager a soli 28 anni: «Le donne sono carri armati. Il segreto? Essere preparate»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma anche in altri ambiti considerati tradizionalmente "maschili", come Audit e revisione di bilanci aziendali. In Italia le donne manager rappresentano ancora solo il 24,7 per cento del totale (Unioncamere, 2019), ma sono in aumento. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontare alcune delle loro storie attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne convinte che in certi campi, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Nadia Abu Ne' Meh, Audit Senior Manager presso il gruppo EY.Ho 34 anni, sono nata a Monza da madre italiana e padre originario della Giordania e fino a quattro anni fa ho vissuto a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Dal 2016 invece vivo a Roma. Mi sono diplomata in ragioneria e poi ho frequentato l'università Bicocca di Milano: prima la triennale in Economia e Amministrazione delle imprese e poi la specialistica in Amministrazione, Auditing e Controllo. Sin da piccola mi ha sempre affascinato il mondo dei numeri e dell'organizzazione, e poi mi piacevano le lingue: ho studiato l'inglese e il francese.Quando ancora frequentavo l'università mi si è presentata la possibilità di svolgere uno stage curriculare presso EY, multinazionale con cui avevo avuto modo di entrare in contatto durante un business game che mi era stato consigliato dal docente di Economia aziendale. I manager che avevo conosciuto mi avevano fatto un'ottima impressione: erano persone giovani, brillanti, accoglienti. Lo stage a Milano è durato da ottobre a dicembre, e da allora non sono più andata via. A gennaio mi hanno offerto un contratto di apprendistato: il mio primo vero lavoro – prima di EY avevo svolto solo due stage durante il liceo presso la Banca di credito cooperativo e l'Agenzia delle entrate, oltre ad altri piccoli lavori saltuari.Nei primi mesi di lavoro ho scritto la tesi, ispirandomi al progetto con un cliente che stavo seguendo per analizzare i lati positivi e negativi dei sistemi di controllo imposti dalle disposizioni americane alle società quotate. Il mio primo team è stata la mia prima famiglia lavorativa: sono stati gli anni più belli. Il primo ruolo al momento dell’ingresso in EY è rappresentato dalla figura dello staff: un ruolo di supporto al team per le mansioni più operative, ma già di responsabilità. Può capitare di essere mandati da soli a parlare e a richiedere informazioni ai referenti o di fare l'inventario in un'azienda, rappresentando in quel momento la società: un'esperienza sfidante e formativa.Dopo due anni sono diventata senior e poi, al secondo anno in questo ruolo – io ne solo avevo 28! – mi hanno proposto di anticipare il passaggio a manager, che solitamente avviene dopo tre anni. Per me ha significato molto, perché è stato assolutamente meritocratico, ma ha portato anche un carico di responsabilità in più. Una persona mi disse: “Stai in guardia, molto spesso i referenti vogliono vedere una persona con i capelli bianchi”: stava a significare che la mia giovane età poteva “spaventare”, in quanto la maggior parte delle persone in azienda si aspetta di interloquire con persone di esperienza. Essere manager significa dover dividere il tempo tra i vari team – una quindicina. Occorrono capacità organizzative e di gestione dei clienti ma anche delle risorse: un aspetto che mi è sempre piaciuto. Io lavoro nel settore industriale, con aziende produttive dalla piccola e media impresa fino alla società quotata in Borsa. Entrare in un mondo così importante a meno di trent'anni, avere a che fare con referenti molto più grandi dai quali puoi imparare anche solo stando seduta allo stesso tavolo è molto sfidante. Il vero valore di questo lavoro è proprio poter confrontarsi con persone molto preparate e competenti, vedere come funzionano le cose in un'azienda dalla A alla Z, cosa che mi ha sempre appassionato.Noi ci occupiamo in particolare di revisione dei conti, certifichiamo il bilancio delle aziende: il rapporto con ciascun cliente dura tra i tre e i nove anni e in taluni casi anche oltre, laddove sia previsto dalla legge che il contratto possa essere rinnovato. Si inizia con la fase di rilevazione dei processi aziendali e poi, dopo la chiusura del bilancio al 31 dicembre, si procede alla sua analisi secondo i principi di revisione allo scopo di formulare un giudizio. Un passaggio molto importante per le aziende.A settembre 2016, a tre anni dalla promozione a manager, ho chiesto il trasferimento a Roma per ricongiungermi con il mio fidanzato – ora, da due anni, marito – che lavorava lì in proprio come geometra. Il mio lavoro è rimasto lo stesso, e alla fine dell'anno sono stata promossa senior manager: ora sono al decimo anno in EY.Sebbene si lavori tanto, questa società lascia lo spazio per costruirsi una propria vita – si va sempre di più verso una conciliazione tra vita privata e lavorativa. Certo all'inizio mio marito non concepiva i miei orari o il mio lavorare anche nel weekend, ma poi ha capito. Non mi spaventa l'idea della maternità, anche se l'azienda corre veloce e per stare al passo so che dovrò riuscire a tornare operativa in tempi brevi – non perché mi sia richiesto, ma per la volontà di tornare appena possibile dai miei team di lavoro e dai clienti che seguo.Da marzo fino all'estate siamo stati in smart working: abbiamo lavorato molto, noi i mezzi per gestire il lavoro in remoto li avevamo da tempo, un po' meno preparate erano le aziende piccole nostre clienti. Inevitabilmente è mancato il contatto umano, che nelle situazioni complicate "ammorbidisce": al telefono è molto più facile che si arrivi allo scontro, l'empatia un po' si perde. Ma alla fine i risultati li abbiamo portati comunque a termine. Ora stiamo cominciando a tornare dai clienti, laddove esistono le condizioni di sicurezza per farlo. Ci viene data la libertà di organizzarci tra lavoro da remoto e in sede.Nel mio percorso ho sempre ricevuto il sostegno della mia famiglia: di mia madre, impiegata comunale, e di mio padre, medico. Inoltre di grande ispirazione sono stati la mia professoressa e relatrice di tesi – una donna decisa, senza compromessi – e il mio primo capo, che aveva soli tre anni più di me, ma voleva "mordere" il lavoro, sembrava che tutto gli riuscisse con facilità.Solo un paio di volte, con i referenti, ho avvertito la sensazione di non essere la persona che volevano avere di fronte a discutere di alcune tematiche. Si trattava di persone molto grandi di età, condizionate da una certa forma mentis, quindi un po' spiazzate dal confrontarsi con una donna di ventott'anni. Questo si può combattere solo dimostrando di essere persone preparate: su tutto il resto si può discutere, sulla preparazione no.Quindi alle ragazze consiglio di non farsi spaventare dalle situazioni: le persone preparate non devono temere nulla. Io cerco di essere di esempio: se non so una cosa, mi riprometto di approfondire e, solo dopo, di dare una risposta. Non bisogna mai essere superficiali e approssimativi, ma avere basi solide. E poi ci vuole un pizzico di coraggio per affrontare i cambiamenti e crescere. Le ragazze sono dei carri armati, precise, affidabili: io ho avuto anche team completamente al femminile e, quando si capisce che si può lavorare bene insieme, nasce una squadra vincente!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Dalla Bce a Prometeia: «Tornare in Italia una scelta difficile, ma non sono pentita»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Annalisa Molino, Economist in Prometeia.Sono figlia di una laureata in biologia e insegnante di matematica, dunque forse il fatto che abbia finito per laurearmi proprio in matematica potrebbe sembrare “ovvio”... Ma non è così. La mia famiglia mi ha lasciato sempre libera di scegliere: e io alle superiori ho voluto fare il liceo classico. Ma proprio lì, in mezzo a greco e latino, mi sono appassionata alle materie scientifiche, e in particolare alla matematica. Quando è stato il momento di scegliere l'università mi sono iscritta a Ingegneria, ma mi sono accorta quasi subito che non faceva per me. Quindi ho virato sulla facoltà di Matematica a Tor Vergata restando quindi sempre nella mia città, Roma.L'inizio è stato difficile: avendo un background umanistico, ho dovuto recuperare molto per mettermi al passo con gli altri – e una grossa mano, lo ammetto, me l'ha data mia madre! Quell'esperienza mi ha aiutato nell’imparare ad affrontare gli ostacoli. Inoltre la matematica, prima che darti contenuti, ti forma la mente, anche per questo ti offre un sacco di sbocchi. Durante gli studi ho capito che non ero interessata al lato teorico e all'insegnamento, ma alla matematica applicata: analisi numerica, statistica e probabilità. Finita l'università, ho quindi intrapreso un dottorato in Econometria, nella facoltà di Economia. Anche qui un'altra sfida, non possedendo un background economico. Nel terzo anno di dottorato, il mio supervisor mi ha prospettato la possibilità di fare un'esperienza in Germania presso un centro di ricerca a Francoforte, come assistente di ricerca part time in un team che si occupava di cryptocurrency e bitcoin in particolare. Una bellissima esperienza: era il 2014 e si trattava di uno dei primi studi su un tema che sarebbe poi esploso. Nell'altra metà del tempo portavo avanti la mia tesi di dottorato sulle misure di rischio di mercato. Dopo un anno e mezzo, terminato il progetto, ho avuto la possibilità di svolgere un tirocinio presso il Dipartimento di statistica della Banca centrale europea (Bce), in un team che si occupa di ricezione, processing e analisi statistica di dati su strumenti derivati raccolti sotto l'European Market Infrastructure Regulation (Emir). Il tirocinio si è poi trasformato in un contratto di lavoro a tempo determinato, durato fino a gennaio 2019. Nel frattempo avevo anche finito la mia tesi di dottorato e avevo avuto modo di tornare in Italia, a Verona, per partecipare a un incontro dei dottorandi con delle aziende: lì avevo fatto un colloquio con la società di consulenza Prometeia, sulla quale dei colleghi a Francoforte mi avevano dato ottimi feedback. L'azienda aveva manifestato interesse verso il mio profilo così, terminata l'esperienza alla Bce, mi sono rimessa in contatto con loro e mi hanno proposto subito un contratto a tempo indeterminato. Da Francoforte mi sono trasferita direttamente a Bologna, dove mi trovo molto bene, anche perché è più vivibile di Roma. Certo sono stata tentata di rimanere in Germania: tornare in Italia non è stata una scelta facile, ma oggi sono felice e soddisfatta di averla fatta.  In Prometeia lavoro nel Dipartimento di analisi dei mercati e degli intermediari finanziari, e in particolare nel team dedicato al mercato del risparmio, che si occupa di statistica ed econometria, ma anche di sviluppo regolamentare. Inoltre faccio parte di un gruppo che si occupa dello sviluppo di web app. Non avevo mai lavorato prima sul tema del risparmio, e ho dovuto sviluppare la mente ad esso, ma mi sono subito appassionata. Lavorare qui mi piace perché c'è un ambiente dinamico e ognuno ha la possibilità di esprimersi e di cambiare il corso delle cose, portando innovazione. È un lavoro mai ripetitivo, dove c'è sempre spazio per nuove idee. Inoltre qui non c'è mai stata discriminazione di genere e c'è grande equilibrio: il mio manager è donna e il mio capo dipartimento anche! Attualmente siamo in smart working al 100 per cento. Fortunatamente nel mio dipartimento non ci sono particolari difficoltà, in quanto abbiamo poco contatto diretto con il cliente. Quindi da marzo a oggi siamo sempre riusciti a mantenere i nostri impegni. Certo manca il contatto umano con i colleghi e, in genere, si lavora di più, pur avendo maggiore flessibilità organizzativa.  Alle ragazze e ai ragazzi che amano le materie Stem dico di non lasciarsi spaventare: quello della matematica e delle materie scientifiche è un percorso a ostacoli, ma può dare grandi soddisfazioni. Bisogna essere ostinati nel seguire le proprie aspirazioni, avere la mente aperta ed essere elastici nel cogliere le opportunità che si presentano. Io ad esempio non mi sono preclusa nulla e mi sono fatta trovare pronta a partire da un momento all'altro. E poi bisogna fare di tutto per far coincidere i propri interessi con il proprio lavoro: nella mia esperienza questo ha fatto la differenza!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

A 28 anni manager in EY a Roma: «Magari nella mia Sicilia ci fossero più opportunità»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Federica Lo Monaco, manager presso il gruppo EY.Ho trent'anni, vengo da Palermo e dopo il liceo scientifico ho studiato Ingegneria gestionale all'università della mia città.Inizialmente avevo valutato di intraprendere un percorso universitario fuori sede, magari all'estero come sarebbe piaciuto ai miei genitori. Ma non mi sentivo pronta e oggi non sono pentita, anzi. A Palermo ho trovato il mio ambiente e un corso di laurea ben strutturato, con docenti di alto livello professionale. Nonostante non abbia frequentato un'università "blasonata", la mia formazione mi ha permesso di raggiungere le mie soddisfazioni.Al liceo ho cambiato molte volte idea sul mio futuro: ho sempre avuto un forte interesse per lo studio e l'approfondimento in generale. L'ultimo anno è venuta fuori la mia preferenza verso un percorso scientifico-matematico e ho ritenuto che l'ingegneria gestionale potesse permettermi di conciliare l'aspetto scientifico con le esigenze del mercato. Notavo infatti che gli ingegneri gestionali trovavano lavoro in tempi record ed è un percorso che ho sempre più che consigliato a tutti.Otto mesi prima di laurearmi, a luglio del 2014, ho iniziato uno stage in EY a Roma, dove attualmente lavoro. Avevo partecipato a un business game a Bari finanziato dalla mia università e, fra le società presenti, EY mi aveva colpito particolarmente per la sua presentazione. Così ho deciso di candidarmi per una posizione di stage, convinta che i tempi di selezione sarebbero stati lunghi e avrei fatto in tempo a concludere gli studi. In realtà dopo una settimana sono stata contattata per fissare un colloquio a Roma e in pochi giorni mi hanno comunicato l'esito positivo. I primi di settembre mi sono trasferita a Roma. Certo non è stato facile dopo 24 anni vissuti nella mia "comfort zone". Tuttavia, nonostante avessi scelto di studiare nella mia terra, mentalmente ero già pronta al fatto che prima o poi avrei dovuto abbandonarla perché, per il mio tipo di laurea, avrei trovato più opportunità lontano dalla Sicilia. Mi ha aiutato particolarmente, in quel periodo, il fatto che il trasferimento sia avvenuto insieme a vecchi amici e colleghi, con i quali ho anche condiviso la casa. Qui a Roma si vive bene: certo è confusionaria, ma del resto anche Palermo lo è!Sarebbe bellissimo se la Sicilia potesse inglobare la stessa capacità di forza lavoro. Se trovassi un'opportunità simile a quella attuale, tornerei per mettere a frutto quello che ho imparato e far crescere un settore, quello della consulenza e della gestione finanziaria delle piccole e medie imprese, che lì è ancora carente. Ma per ora opportunità del genere non ne vedo all'orizzonte. Tornando al mio stage, l'ho iniziato come Junior Consultant presso l'unità “IT Risk & Assurance”, caratterizzata da un'anima consulenziale e di supporto alle società nell'individuazione del rischio IT e un'anima di supporto loyalty alle attività di assurance e revisione del bilancio. È stato un periodo faticoso – studiavo di notte! – ma non me ne sono mai pentita. Sei mesi e mezzo dopo mi sono laureata e dallo stage sono passata a un contratto di apprendistato. La mia responsabilità da operativa è diventata sempre più di coordinamento delle attività e di revisione del lavoro delle figure junior. EY ha una struttura piramidale che permette di crescere in responsabilità, con una visione di insieme che allinea gli obiettivi di ciascun dipendente. Se si dimostrano volontà di crescere e capacità, si riescono a raggiungere obiettivi importanti rapidamente. Io a soli ventotto anni, con quattro anni di anzianità, sono passata da Senior consultant a Manager. Ora mi auguro di raggiungere l'apice della piramide e di continuare, spero per tutta la vita, a dare il mio contributo a una società che ha creduto e sta credendo in me.Amo il mio lavoro perché ti fa vedere continuamente cose nuove, si cambia attività con una frequenza elevatissima e ogni progetto è a se stante: non ci si annoia mai. Certo ci sono ritmi assurdi, ma se si ha voglia di fare e non ci si abbatte alla prima difficoltà la consulenza è il mondo perfetto. Io non ho immaginato e non immagino ancora per un bel po' di tempo di svolgere un'attività routinaria, con gli stessi obiettivi giornalieri.Attualmente lavoro ancora in smart working. Nonostante la nostra società adottasse già questa modalità, nessuno aveva mai vissuto un contesto di perenne smart working e, dopo il primo mese, sono emerse alcune difficoltà, ma abbiamo imparato a gestirle. Il rapporto umano, soprattutto nei grandi gruppi di lavoro, fa la differenza. Per questo mi auguro che questa modalità di lavoro si cominci ad adottare sì con più semplicità ma non in modo continuativo.Rispetto al gap di genere, il ramo gestionale ha sempre rappresentato un'eccezione, quindi non mi sono mai ritrovata in "minoranza", né ho mai avvertito discriminazioni. Lo stesso vale per la mia esperienza lavorativa: EY è una società che non fa differenze, non c'è un limite alla crescita causato dal genere. C'è semmai una componente sociale per cui non tutte le donne sono pronte a sacrificare il percorso familiare per quello lavorativo. La consulenza non è un ambiente che permette di raggiungere un compromesso con semplicità, tuttavia conosco tantissime donne, anche Senior manager, che hanno famiglia e figli. Io nell'immediatezza non ho progetti di costruzione di una famiglia, ma non mi sento preclusa in tal senso, anche se comporterà sforzi in più.Alle ragazze dico quello che ripeto ogni giorno a me stessa: di credere in se stesse e nelle proprie capacità. Purtroppo le donne spesso peccano in autostima, invece hanno un grande potere. Non a caso un gruppo di lavoro misto rende molto più di un gruppo solo al maschile. Nel 2020 non possiamo pensare di lasciarci ostacolare da barriere di genere. Laddove esistono, dobbiamo sforzarci di abbatterle. E non dobbiamo avere paura di sbagliare: un errore è un'opportunità se genera un insegnamento, una crescita. Inoltre alle ragazze dico che non esiste un corso di laurea migliore degli altri, ma solo quello giusto per ciascuno di noi. Non c'è niente di peggio che fare un lavoro che non si ama: io ogni mattina mi sveglio consapevole che sarà una giornata difficile ma felice di quello che faccio!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

Stage al Comitato delle Regioni di Bruxelles, «Non va considerato una "seconda scelta" rispetto al Parlamento e alla Commissione!»

C’è tempo fino al 30 settembre per candidarsi alla sessione primaverile dei tirocini presso il Comitato europeo delle Regioni. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Giulia Traversi, 27 anni, tirocinante della sessione autunnale 2019, che oggi lavora a Bruxelles nelle Risorse umane della Confederazione internazionale dei sindacati.Ho 27 anni, sono nata e Brescia e cresciuta in Franciacorta. Ho frequentato il ragioneria con indirizzo linguistico, dove studiavo tre lingue, inglese, spagnolo e francese, cui ho aggiunto poi il portoghese. Dopo le superiori mi sono iscritta alla facoltà di Economia a Brescia, facendo la mia prima esperienza di stage presso Coopcooperative. A fine percorso, ho trascorso due mesi in Irlanda per scrivere la tesi. La prima di tante esperienze all'estero, cui sarebbe seguito un mese di volontariato in Ecuador. Consiglio a tutti di fare un periodo all'estero, perché arricchisce tantissimo.La magistrale l'ho frequentata a Milano, ma in lingua inglese: il corso era in Management of Human Resources and Labour Studies e prevedeva sei mesi all'estero. Io sono stata in Belgio all'Université catholique de Louvain, un campus universitario a un'ora di distanza da Bruxelles. Ho terminato gli studi nel giugno 2019. Successivamente tramite un'associazione studentesca sono stata due mesi a Salvador, in Brasile. Alcuni miei familiari hanno vissuto e lavorato in America Latina e ci sono particolarmente legata. In Brasile ho lavorato nel Dipartimento delle Risorse umane e delle politiche sociali di una ngo, Teto, il cui obiettivo è quello di costruire case per persone svantaggiate che vivono nelle favelas. Vivevo in una host family, a stretto contatto con la comunità locale: è stato il momento più bello della mia vita. Una volta rientrata ho continuato a collaborare con loro – infatti oggi sono ambasciatrice in Europa dei loro progetti.Dopo il Brasile sono tornata in Belgio, dove mi sono candidata per un tirocinio al Comitato delle Regioni. Sono una persona molto curiosa e, vivendo in Belgio, mi ero avvicinata alle relazioni internazionali e alla Comunità europea e volevo conoscerla dall'interno. In particolare ho scelto il Comitato perché durante l'università avevo fatto per quattro anni la consigliera comunale e la Regione era l'istituzione che dava voce ai politici locali. Così mi interessava conoscere la sua ripercussione a livello europeo e il modo in cui il Comitato poteva aiutare la politica locale. Ho superato la selezione dopo un colloquio telefonico in lingua inglese e francese – quest'ultima era particolarmente richiesta per le Risorse umane – sia motivazionale sia sulle mie esperienze precedenti con quelli che sarebbero stati il mio supervisore e il responsabile della mia unità. Spesso il Comitato viene considerato una "seconda scelta" rispetto a Parlamento e Commissione europea, quindi ci tengono molto a capire la reale motivazione.Ho svolto il mio tirocinio da settembre 2019 a febbraio 2020 presso il Dipartimento delle Risorse umane, il più affine alla mia formazione: mi sono occupata di condizioni di lavoro, gestione degli stagisti e comunicazioni con le risorse umane delle altre istituzioni europee per organizzare eventi e così via. Fra le varie attività, ho contribuito alla compilazione di un codice etico del Comitato e ho partecipato al Y Factor, progetto che gli stagisti possono fare su base volontaria. Con i miei colleghi abbiamo deciso di concentrarci sulle politiche di riciclo e abbiamo presentato una proposta per armonizzarle a livello europeo, realizzando anche un libricino sul nostro policy briefing, che è stato preso in considerazione dal Comitato: una bella soddisfazione!Il tirocinio al Cdr mi ha dato una visione a trecentosessanta gradi di come funzionano le cose in un'istituzione europea. Essendo solo in ventidue, eravamo molto seguiti, e con il mio tutor, Marcel, avevo un rapporto molto bello. In generale, veniva data molta importanza allo stagista, per lui le porte erano sempre aperte e si aveva la possibilità, su richiesta, di partecipare a riunioni o plenarie e specializzarsi in determinati temi. Inoltre ci tenevano molto, durante e dopo, a raccogliere i nostri feedback per ricalibrare in base ad essi le modalità di tirocinio. Era anche disponibile un supporto socio-psicologico per i tirocinanti. Un altro lato bello era che, in un solo giorno, poteva capitarti di parlare cinque lingue diverse e conoscere storie completamente differenti. Nella mia sessione eravamo quattro italiani, poi c'erano tedeschi, bulgari, polacchi...Se un giorno dovessi lavorare nelle istituzioni, mi piacerebbe entrare in una delegazione dell'Unione europea o nell'European External Action Service, l'organizzazione che si occupa delle relazioni esterne dell'Ue, che dovrebbe a breve pubblicare un bando.Subito dopo la fine del tirocinio, è iniziato il lockdown ed ero indecisa se rientrare in Italia. Alla fine ho trovato un'opportunità di lavoro qui a Bruxelles, come recruiter presso un'azienda. Avevo un contratto di immersione professionale da 1.900 euro al mese, che si sarebbe trasformato in indeterminato. Ho lavorato in smartworking, ma rispetto all'Italia, dove sentivo con apprensione i miei genitori – mio padre è anche un medico – ho avvertito molto meno il peso della la situazione. Qui, anche se era tutto chiuso, non ci è mai stato impedito di uscire. Tuttavia a mio avviso le misure adottate in Italia si sono rivelate più efficaci, mentre qui i casi sono aumentati e la mascherina ora è obbligatoria tutto il giorno.A luglio ho deciso di licenziarmi: volevo uscire dall'ambiente aziendale e riprendere a occuparmi di politiche sociali. Sono tornata per un po' in Italia e ora sono di nuovo a Bruxelles, dove ho appena iniziato a lavorare per la Confederazione internazionale dei sindacati. Mi occupo sempre di recruitment ma in un progetto a sfondo sociale: una piattaforma in collaborazione con vari paesi asiatici che valuta la correttezza del reclutamento dei lavoratori immigrati. Qui sono partita da uno stage, ma spero si trasformi presto in un contratto di lavoro.Qui in Belgio il salario minimo è di circa 1.600 euro e la vita non è più cara che a Milano. Io ho una stanza singola in un appartamento centrale, condiviso con due ragazze francesi, e pago un affitto di 550 euro spese incluse. A parte il clima, che influisce molto sul mio stato d'animo, a Bruxelles si vive bene: è una città in cui puoi camminare nel verde perché ha tanti parchi, vivere i quartieri internazionali: ognuno può trovare la sua dimensione. Io seguo un corso di danza brasiliana, faccio tandem italiano/portoghese, faccio volontariato con associazioni locali.Il tirocinio in un'istituzione europea è un'esperienza che consiglio a chi ha la curiosità di capire come funziona una realtà europea. Suggerisco però di non pensare che Bruxelles sia l'Ue e basta: spesso la bolla dell'Unione europea ti aliena un po' e finisci per frequentare solo le persone che ci lavorano. Invece Bruxelles è una città piena di bellezze e contraddizioni ed è interessante viverla pienamente, conoscere i vari quartieri, fare volontariato...L'Italia? La connessione c'è sempre, cerco di mantenere i rapporti con i gruppi di volontariato e con l'attività politica, e poi c'è la mia famiglia. Ad oggi la vedo come un punto di arrivo: non me ne sono andata perché l'Italia non mi piaceva, ma perché sentivo la curiosità di sperimentare altri stili di vita. Per ora il mio focus è ancora fuori, mi piacerebbe tornare in America latina, ma amo l'Italia e nel cuore ho sempre la speranza di ritornarci. Per adesso appena possibile prendo un volo per vedere il sole!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Lo stage al Consiglio dell’Unione europea, una delle esperienze più belle che abbia mai fatto»

Il Consiglio dell'Unione europea offre ogni anno un centinaio di posti per tirocinanti europei con almeno la laurea di primo livello, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. E mette a disposizione anche alcuni posti per studenti senza rimborso spese ma con assicurazione medica e rimborso spese di viaggio. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 28 settembre, e verrà selezionato, è previsto per febbraio 2021. Matteo Casalboni, 25 anni, ha partecipato al progetto per studenti universitari da settembre 2017 a gennaio 2018 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Bruxelles.La mia esperienza al Consiglio dell’Unione europea non è stata né il primo impatto con il mondo del lavoro né la mia prima volta all’estero. Durante l’estate del secondo e terzo anno di liceo, infatti, ho svolto lavori di volontariato aderendo ad un programma proposto dal comune della mia città, Cesena, facendo l’animatore presso un centro estivo. E nell’estate fra il quarto e quinto anno di liceo, nel 2013, sono andato a Los Angeles per imparare l’inglese. Non ho partecipato a un programma di scambio, ma sono andato per conto mio e ho frequentato l’EC English School a Santa Monica, un quartiere di LA, seguendo un corso di inglese per due mesi. Tornato in Italia ho preso il diploma al liceo scientifico e mi sono iscritto al corso di informatica presso l’università di Bologna. Dopo un mese ho capito che non faceva per me e deciso di ritirarmi. Ho preso un gap year per potenziare la lingua inglese e sono andato in Inghilterra, a Salisbury, per quattro mesi, da gennaio ad aprile 2015, durante i quali ho frequentato una scuola locale di lingua inglese. Finita l'esperienza in Inghilterra ho frequentato un po’ di lezioni presso varie facoltà dell’università di Bologna per capire cosa studiare l’anno successivo. E ho scoperto che economia era la facoltà adatta a me! Dopo aver superato il test d’ingresso, nel settembre di quell’anno, ho iniziato il corso Business and Economics da studente fuorisede. Avevo preso in affitto un bilocale con un amico, anche lui al primo anno. Ovviamente, non lavorando, le spese erano sostenute dalle nostre famiglie. Ci siamo subito integrati bene, anche frequentando seminari organizzati dall’università. L’affitto non era troppo alto, pagavamo trecento euro a testa tutto compreso, mentre oggi i costi a Bologna sono quasi raddoppiati. Durante l’estate fra primo e secondo anno di università ho lavorato presso una famiglia facendo il babysitter per mettere da parte qualche soldo e iniziare ad approcciarmi al mondo lavorativo.Durante il secondo anno di studi dovevo inserire un tirocinio come attività curricolare e ho iniziato a informarmi per stage all’estero. Così ho scoperto l’application form sul sito del Consiglio dell’Unione Europea e ho subito mandato la domanda. Dopo circa tre mesi, a metà maggio del 2017, mi è arrivata la comunicazione che ero stato preso per uno stage da settembre a gennaio e pochi giorni dopo mi è stato inviato il contratto da firmare. Ho quindi cominciato a cercare casa a Bruxelles attraverso vari siti internet e affittato una camera singola nel quartiere di Ixelles per quattro mesi al costo di 500 euro al mese tutto compreso. Gli affitti sono molto costosi ed è stato difficile trovare una sistemazione. Ma in Belgio non è caro solo l’affitto, costa tutto di più: la spesa, i ristoranti, i mezzi di trasporto. La mia camera era in un appartamento dove ho vissuto con altri nove ragazzi e senza l’aiuto dei miei genitori non sarei stato capace di sostenere le spese. Mi sono trasferito a Bruxelles e ho cominciato il tirocinio presso il Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea il primo settembre 2017 fino al 31 dicembre.Ricordo molto bene il primo giorno: arrivato al Consiglio dopo i controlli ci hanno portato in una sala per farci conoscere tutti e spiegato le cose generali da sapere e le attività organizzate dal traineeships office. Poi ci hanno accompagnato nelle nostre unità per presentarci i responsabili e colleghi. Durante lo stage ho cercato di apprendere il più possibile e partecipare a quante più riunioni, workshop e attività.Il mio tirocinio era per studenti universitari, quindi senza il classico rimborso spese mensile. Il Consiglio, però, ci garantiva ugualmente dei benefit: ho ricevuto un rimborso spese di 450 euro per gli spostamenti, cifra che cambia in base alla distanza della propria residenza da Bruxelles, e un buono da 120 euro al mese per la mensa. Certo, per mantenermi ho dovuto attingere ai miei risparmi e chiedere aiuto ai miei genitori. A parte il rimborso spese, comunque, non c’era differenza con gli altri stagisti: ci ritrovavamo tutti insieme e svolgevamo le stesse attività e compiti. Sono stato assegnato a due unità, la DGG2A Budget and Financial Regulations e la DGG1A Economic policy. Con la prima unità ho seguito i lavori del processo di budget relativi all’approvazione del bilancio dell’Unione Europea dell’anno passato e alla stesura del budget dell’anno successivo. Seguivo la mia responsabile aiutandola con i verbali e la preparazione dei power point per le varie riunioni. Ho partecipato in qualità di assistente alle riunioni ECON, BUDG e CONT committees tenute presso il Parlamento europeo. Aiutavo la mia unità a preparare le riunioni, cercando di seguire il loro lavoro e apprendere il più possibile. Ho imparato a fare verbali, a capire il procedimento per l’assegnazione del budget, ho assistito a negoziazioni fra i vari Member States. Il lavoro con l’unità di Economia politica era meno analitico. Ho partecipato a molte più riunioni, al Consiglio, in Commissione e al Parlamento dell’Unione Europea. Aiutavo il mio responsabile in molte ricerche e a preparare le riunioni cercando di apprendere i procedimenti di politica economica.Sono stato seguito da tutti i componenti delle due unità e ho appreso delle skills che vanno al di là del puro lavoro, come rapportarmi con gente con una cultura diversa dalla mia e interagire con gli altri in ambito lavorativo. Per gli stagisti una parte fondamentale dell’integrazione all’interno dell’ambiente del Consiglio è stato svolto dal traineeships office. Sono state organizzate varie attività: riunioni, visite ad altre istituzioni europee e momenti di gruppo dove poter interagire. Ho stretto molte amicizie e sono in contatto con gli altri tirocinanti: ogni anno organizziamo un ritrovo a Bruxelles per rivederci tutti. Certamente questo tirocinio mi ha creato una rete di contatti con persone di molti Paesi diversi che sono sempre disponibili a darmi dei consigli professionali.Grazie a questo stage ho consolidato la mia padronanza dell’inglese e imparato altre lingue, tra cui lo spagnolo che di lì a poco mi sarebbe stato molto utile in Argentina. Nello stesso periodo in cui avevo fatto domanda per il tirocinio al Consiglio, infatti, avevo anche fatto richiesta di andare in overseas durante il secondo semestre del terzo anno universitario in Argentina, a Buenos Aires: un’opportunità offerta dal mio corso di studi. Finito lo stage al Consiglio sono tornato in Italia un paio di settimane, il tempo di ripartire alla volta del Sud America per sei mesi. Il mio corso di studi, infatti, dà la possibilità a sessanta studenti del terzo anno (trenta ogni sei mesi) di frequentare un semestre a Buenos Aires presso il campus Unibo in collaborazione con l’università locale UADE. L’università non dà alcun sostegno economico quindi ho dovuto coprire interamente i costi. Gli affitti in Argentina costano circa 300 euro al mese e la vita non è cara, spendevo circa 150-200 euro al mese. A parte però c’è il viaggio aereo tra 600 e mille euro. A Buenos Aires mi sono trasferito ai primi di febbraio del 2018 e ho seguito lezioni di spagnolo, imparato a Bruxelles, e partecipato a progetti con altre università locali: il più lungo durava tre mesi e abbiamo fatto un Business Plan per il lancio di una nuova azienda. All'inizio di luglio anche quel programma è finito e sono rientrato in Italia. Senza dimenticare i bellissimi luoghi come la Patagonia e le cascate Iquazu che sono riuscito a visitare anche grazie all’economicità del Paese. Tornato a Bologna ho dato gli ultimi esami e mi sono laureato. Subito dopo mi sono iscritto alla laurea magistrale in Business and Administration. Quest’ultimo semestre, causa Coronavirus, ho seguito tutti i corsi online e ho trovato molto comoda questa modalità, che credo dovrebbe rimanere anche post emergenza Covid. Il prossimo anno mi piacerebbe fare un altro stage all’estero per poi continuare a lavorare lì, e penso proprio che utilizzerò la Repubblica degli Stagisti per le prossime possibilità di tirocinio! Credo che il problema principale dello stage in Italia sia che viene ancora percepito dai datori di lavoro come un’occasione per far svolgere mansioni basilari a un bassissimo costo, senza insegnare nulla. All’estero, invece, hanno tutti voglia di insegnare e spiegare come svolgere il lavoro. Qui le aziende pensano che i tirocinanti debbano già saper fare il lavoro, dimenticando che sono lì per impararlo.L’esperienza di stage al Consiglio dell’Unione europea è stata una delle esperienze più belle che abbia mai fatto. Non è possibile, però, improvvisarsi ma è necessario prepararsi perché c’è tanta concorrenza. Per questo bisogna prima cercare di fare altre esperienze sia all’estero sia in Italia in ambito lavorativo, di volontariato, formativo. Quante più possibili per cercare di arricchire il proprio curriculum. Oltre ad avere una buona conoscenza dell’inglese. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Lavorare in Meta System? Significa non annoiarsi mai»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alessandro Rapiti, 27 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Meta System.Vengo dalla provincia di Viterbo e dopo la maturità mi sono iscritto alla laurea triennale in Economia presso l’università degli studi della Tuscia. Presa la laurea di primo livello, nel 2016, ho deciso di continuare con la specialistica in Marketing e Qualità, un bel mix tra analisi dei dati, management e qualcosa di psicologia, laureandomi nel febbraio dello scorso anno. Durante l’ultimo anno della specialistica ho partecipato al progetto Erasmus andando a vivere per sei mesi a Varsavia. Ero coperto da una borsa di studio di circa 400 euro al mese che è stata sufficiente per coprire tutte le spese in città: Varsavia è perfetta per gli studenti, ottima nei servizi pubblici, con molti eventi e attività e si spende veramente poco per qualsiasi cosa. Ho vissuto in un appartamento con due camere da letto, per tre mesi con un ragazzo tedesco e altri tre con un francese. Il complesso di appartamenti, infatti, era interamente affittato a studenti Erasmus ed ero l’unico italiano. Ho fatto tantissime amicizie in quel periodo: con alcuni di quei ragazzi sono ancora in contatto ed è già capitato di rivederci in gruppo.Sempre durante l’ultimo periodo universitario ho fatto uno stage di sei mesi dal luglio al dicembre 2018 presso Golden Moments, un’azienda inglese, nella città di Portsmouth. Le mie attività erano di gestione delle campagne pubblicitarie, analisi dei KPI e coordinamento di un gruppo di ragazzi per la creazione di nuovi prodotti. Ho trovato lo stage grazie alla mia università e il rimborso spese ricevuto è stato sufficiente per coprire tutte le spese. In queste città universitarie all’estero si vive bene, ci si diverte molto e sono esperienze che consiglio a tutti di fare almeno una volta nella vita.Entrambe le esperienze all’estero mi hanno consentito di migliorare il modo di relazionarmi con gli altri e consolidare l’inglese: due skills che a mio avviso sono fondamentali per entrare nel mondo del lavoro. Non penso, però, in futuro di trasferirmi all’estero: per vivere e lavorare, infatti, preferisco rimanere in Italia.Durante gli studi universitari ho avuto anche piccole esperienze di lavoro, tra queste la più importante in un ufficio di consulenza fiscale e contabile: non era una mansione prettamente inerente al mio percorso di studi, ma mi ha permesso di avere un’autonomia economica e di formarmi negli atteggiamenti.Non ho trovato grandi differenze tra gli stage svolti all’estero e quelli svolti in Italia: in entrambi finivo il pomeriggio dopo le cinque con uno spacco di un’ora per il pranzo, però certo erano diverse le responsabilità, correlate al fatto che fossero attività completamente diverse.Mentre stavo scrivendo la tesi di laurea ho iniziato a mandare curriculum in giro e dopo aver ricevuto alcune offerte, alcune serie e altre al limite della decenza, ho deciso di partecipare anche al Talent Day proposto da Meta System. Avevo scoperto questa iniziativa leggendone su Linkedin e oggi posso dire di aver fatto la scelta giusta!Al Talent Day partecipano di solito una quindicina di giovani già preselezionati che dopo la giornata con visita all’azienda e discussione di un caso con assessment di gruppo vengono ulteriormente selezionati. Sono rientrato tra i cinque giovani scelti quell’anno e ho così cominciato il tirocinio di sei mesi con un rimborso spese di 800 euro mensili. Era il marzo 2019 e mi sono dovuto, quindi, trasferire a Reggio Emilia. Non ho avuto grandi difficoltà e mi sono ambientato abbastanza bene con i colleghi. La particolarità del percorso iniziato con il Talent Day è quella di cambiare dipartimento ogni mese e mezzo, così in sei mesi sono passato per quality fornitori, logistica, pm, quality clienti. Tutti i ruoli sono stati interessanti e il percorso mi ha consentito di conoscere molti colleghi e il loro modo di lavorare.Abbiamo cominciato in cinque stagisti: l’ambiente di lavoro è stato ottimo fin dall’inizio, molto stimolante e con colleghi competenti, sempre disposti a darti una mano quando necessario. Siamo stati confermati tutti e cinque tramite apprendistato, cominciato nell’ottobre del 2019, con una Ral di circa 26mila euro. Questo percorso durerà due anni per poi trasformarsi in un rapporto a tempo indeterminato. Oggi ricopro il ruolo di Customer Quality Engineer e sono soddisfatto del mio percorso. In Meta System non ci si annoia mai: iniziare un percorso di stage qui significa mettersi subito in gioco, lavorare sodo e sentirsi una risorsa al pari degli altri.Da metà marzo, dopo il diffondersi dell'emergenza Coronavirus, anche il nostro lavoro si è dovuto adeguare a i nuovi tempi: così ho iniziato a lavorare in smart working, appunto da casa, ma fortunatamente ci sono molte attività da portare avanti lo stesso, quindi non è cambiato molto. Con il suo network la Repubblica degli Stagisti fa un valido lavoro perché consente di avere un’idea di chi ci invia le proposte di lavoro, evitando di perdere tempo e consentire, invece, di investire tempo e impegno in aziende che se lo meritano. Come quelle del suo network!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Contro il maschilismo sul lavoro serve caparbietà, e il coraggio di chiedere riconoscimenti

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Isabella De Biase, Insurance Operation Leader per Marsh, società di servizi professionali globale specializzata nell'intermediazione assicurativa e nella gestione dei rischi.Ho 47 anni, lavoro a Milano e vivo a Pavia, ma sono di origini calabresi. Dopo il liceo scientifico, ho studiato Economia aziendale all’Unical, l’università della Calabria, a Cosenza.Inizialmente volevo iscrivermi a Ingegneria gestionale, via di mezzo tra Ingegneria ed Economia. Mio padre era un po’ spaventato, in quanto considerava difficile il percorso e l’inserimento di una donna in un mondo al maschile. Allo stesso tempo in me era forte il desiderio di realizzarmi subito nel lavoro, quindi non faticò a convincermi. Il mio interesse era legato all’organizzazione aziendale, all’ambito concernente le soft skills, la formazione e lo sviluppo delle risorse umane e la gestione del cambiamento. Ho avuto la fortuna di avere dei docenti della Bocconi di Milano, che hanno portato molta innovazione nel nostro territorio e nella nostra università. Il problema poi è stato trovare una coerente applicazione di quanto avevamo studiato in termini pratici. Inizialmente ho supportato la mia relatrice nell’ambito della formazione universitaria, ma dopo un po’ lei mi disse che ero “un cavallo che scalpitava”. All’epoca l’ambiente universitario era molto politicizzato e con tempi molto lunghi di ingresso. Così lei, che aveva fatto esperienza in Accenture, mi indirizzò verso la consulenza, che mi avrebbe permesso di aggiungere consapevolezza su quello che avrei voluto fare da grande. Allora avevo bisogno di lavorare: ero la prima di tre figlie e mio padre era l’unico percettore di reddito. Grazie alla lettera referenziata della professoressa, fui contattata da EY, quindi decisi a malincuore di lasciare la mia terra per Milano. Iniziai a lavorare, dapprima con un contratto a tempo determinato e poi dopo 12 mesi indeterminato, nell’ambito dell’implementazione di sistemi ERP e di reingegnerizzazione dei processi. Un’esperienza molto formativa, grazie alla possibilità di vedere tante aziende e progetti diversi. Si lavorava dalle 10 alle 12 ore al giorno, ma per noi era una “palestra di vita”, visto che l’università non ti preparava al lavoro. L’azienda investiva molto sul training: full immersion d’inglese, sei mesi di formazione presso il Knowledge Center di EY a Dorking (UK) per apprendere le metodologie da utilizzare e fare esperienza trasversale con altri team EY europei.Dopo quasi tre anni in EY, mi è stata offerta la posizione di Senior Specialist in Zurich Financial Services, dove mi sono occupata di organizzazione e sviluppo del personale per altri tre anni. Quindi sono stata contattata da una società di head hunters, in quanto un ingegnere di Marsh era alla ricerca di persone con le mie competenze e con esperienza in ambito consulenziale. I colloqui sono durati quasi un anno, anche perché inizialmente cercavano... un uomo! Venni finalmente convocata e all'inizio di marzo del 2003 mi assunsero con contratto a tempo indeterminato con sei mesi di prova: avevo 29 anni e una qualifica di quadro. L’idea era fare 3-5 anni e cambiare per un settore diverso dall’Insurance... invece dopo diciassette anni sono ancora qui. Pur rimanendo nella stessa azienda, si sono avvicendati modelli organizzativi completamente diversi e non mi sono mai annoiata. Dapprima mi sono occupata di Organization, poi di un progetto di creazione funzione Operations, per il quale siamo diventati case study per altri paesi a livello europeo. Oggi sono Insurance Operation Leader per l’Italia e ho trentacinque persone sotto la mia responsabilità. Un team quasi completamente al femminile, con soli cinque uomini, con un’età media di trentasette anni e molto dinamico e trasversale, in quanto supporta le varie linee di business e i ruoli sono interscambiabili. La nostra attività è di back office (gestione amministrativa-contabile delle polizze assicurative, reminder e sollecito pagamenti e attività operative a supporto del business), e i nostri interlocutori sono: team di business, aziende e compagnie, con cui ci interfacciamo per la gestione documentale delle polizze e dei pagamenti.In questi anni ho avuto la possibilità di essere una professionista, ma anche di diventare mamma di tre bambini, che oggi hanno dodici, undici e sei anni. E non sono mai stata né penalizzata né tantomeno bloccata da questo, anzi le sfide a ogni maternità diventavano più alte. Considero Marsh come la mia seconda casa e le ricambio la fiducia in me riposta dando il massimo. Mi ha permesso di raggiungere un equilibrio che mi consente di essere una persona serena sia da un punto di vista professionale che personale. Equilibrio che è il mio asse vitale e che cerco di riportare anche nel mio team.  Nei primi anni di percorso lavorativo ho dovuto constatare che era difficile imporsi: soprattutto quando  penso ai meeting, in qualità di consulente, giovane e donna. Ma le mie origini calabresi mi hanno ben supportata nel mio percorso: ho la “testa dura” e  questa caparbietà è diventata con il tempo resilienza, consentendomi di trasformare le minacce in opportunità. Anche la retribuzione inizialmente non era equiparabile a quella di un collega maschio, ma non me ne sono mai curata: mi interessava solo che il lavoro continuasse a farmi sentire viva, a farmi svegliare con il piacere di andare a lavorare. Una pecca delle donne è che non chiedono mai: quello che mi è stato dato è stato sempre per riconoscimento interno. Oggi le cose sono molto cambiate: il nuovo management spinge verso una  leadership al femminile.  Il  concetto di Diversity & Inclusion è molto sentito e praticato attraverso la creazione di un ambiente di lavoro con pari opportunità dove persone di ogni età, genere e background culturale sono coinvolte nel processo decisionale.Nella mia esperienza quello che posso confermare è che noi donne siamo molto orientate al conseguimento degli obiettivi, anche se poi nel corso della carriera può intervenire un rallentamento, riscontrando difficoltà nella crescita professionale a causa delle problematiche relative alla gestione degli impegni familiari e professionali. È opportuno, allora, chiedersi quali siano i fattori che incidono su questi aspetti, ma anche cosa si può fare per superare gli elementi che ostacolano le pari opportunità relative al genere. Anche perché le donne sono costrette a scegliere ancora tra il sogno di costruire una famiglia e il desiderio di fare carriera. Le aziende hanno un ruolo fondamentale nel creare condizioni favorevoli affinché i dipendenti possano avere la serenità mentale che consenta loro di essere realmente produttivi. Per fortuna strumenti e condizioni di flessibilità fanno parte del nostro modello culturale-aziendale:  la pratica dello smart working, inserita da tempo in azienda, ha fatto sì che l’emergenza Covid-19 non ci cogliesse impreparati, anzi. Tutti eravamo dotati di portatili e lavorare con modalità di gestione per obiettivi è sempre stato il nostro mantra: le performance non hanno subito il minimo declino. Marsh è un’azienda in cui ruoli e competenze sono legati a un sistema di meritocrazia che rappresenta uno dei fattori critici di successo. Le lauree ricercate vanno da Economia a Giurisprudenza, passando per Ingegneria gestionale, ambientale e civile, in quanto si spazia tra moltissimi ambiti: attività di vendita e di sviluppo commerciale, gestione tecnica a supporto del cliente, analisi e mappatura dei rischi e implementazione di soluzioni atte a contenerli.La mia ambizione? Visto il mio amore iniziale per l’ambito soft skills, il mio sogno nel cassetto è diventare HR manager, coniugando gli aspetti della selezione, della gestione della formazione e dello sviluppo della competenza. Le donne che mi hanno ispirato? Nel mio sistema familiare sicuramente mia madre: una donna molto tenace e forte, che ha sempre considerato l’istruzione e l’umiltà come i “driver” che permettono di distinguersi nella vita e sul lavoro. Invece, pensando all’ambiente lavorativo, mi vengono in mente Donne con la D maiuscola come Alessandra Giacoma Bottalat, che è Risk Incoming Director.Alle ragazze e ai ragazzi dico di non avere fretta volendo conseguire nel breve un certo ruolo senza pensare di costruire prima un percorso di competenza. A volte manca la sana umiltà di affrontare le attività a tutto tondo. Il che non vuol dire non avere ambizione, ma accompagnarla con sana curiosità. Provare tutto, per avere sempre più un bagaglio culturale che possa sviluppare la flessibilità di commisurarsi in maniera diversa a seconda dell’occasione. Occorre avere tanta buona volontà, guardarsi intorno e avere l’ambizione di crescere in maniera costruttiva, sempre. Testimonianza raccolta da Rossella Nocca