Categoria: Storie

Laurea in psicologia, ma con qualcosa in più: il cinese. La storia di Alessandro, «cool hunter» tra Pechino e Shangai

La passione per il «cool hunting» è nata nel 1996, ancora prima del diploma. Il termine inglese significa «cacciatore di tendenze» ed è un vero e proprio lavoro: il lavoro perfetto per chi è curioso e ama rincorrere  – anzi, precorrere  – le novità e i cambiamenti culturali. Proprio per questo Alessandro De Toni  [nella foto, insieme a un gruppo di bambini cinesi] a diciott'anni ha deciso di iscriversi a Psicologia all'università Cattolica di Milano. Una facoltà che, secondo le statistiche, non offre molte opportunità di lavoro – a meno che non te lo inventi usando le tue passioni e le esperienze che sei riuscito a mettere insieme durante gli anni universitari. Come ha fatto lui, che oggi a 31 anni ha una carriera di cool hunter ben avviata. «Lo studio e l'analisi delle tendenze di consumo mi hanno sempre incuriosito moltissimo» racconta alla Repubblica degli Stagisti «un interesse cresciuto all'università durante i corsi di psicologia sociale». Accanto alle materie previste dal piano di studi, Alessandro frequenta anche lezioni di mandarino: e proprio parlare il cinese si rivelerà l'arma vincente per supportare una laurea che, forse, da sola non sarebbe bastata per fargli trovare subito un lavoro, diventare un cacciatore di tendenze e per schiudergli le porte del Far East. Oggi gira il mondo per lavoro, fiutando ciò che  sarà di moda tra qualche anno. Ha vissuto a Pechino come borsista dell'Hsk, Chinese Profiency Test, per migliorare la lingua e la conoscenza del Paese. «Moda, design e food sono le mie passioni e così ho cominciato a fare questo mestiere: conoscere il cinese è stato il mio vantaggio competitivo per entrare nel settore». Un lavoro nato per gioco che si è trasformato in un'occupazione a tempo pieno: «Viaggio tra Pechino, Shangai e Milano analizzando le nuove tendenze. Ma non basta saper intuire cosa accade, fotografare e scegliere» aggiunge «è fondamentale saper costruire un report che si basi sulla sistematizzazione dei dati raccolti, la suddivisione in categorie e tag delle immagini raccolte, l'analisi dei temi correnti, le specificità locali e influenze internazionali». Un metodo scientifico, insomma, per il quale sono fondamentali le basi di psicologia sociale studiate all'università. Mentre la conoscenza della cultura cinese è stata importante per lavorare e integrarsi: «Si devono capire i punti di riferimento di questa società per poterla analizzare da un punto di vista antropologico e di mercato» conclude Alessandro «La differenza con la cultura occidentale è forte ed anche i modelli di riferimento sono diversi: va vissuta da dentro per riuscire a capirla». Eleonora Della RattaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?

Stage all'estero senza assicurazione sanitaria: le storie di chi ci è passato

Per approfondire il tema degli stage al di fuori dell'Unione europea e in particolare di cosa succede se malauguratamente ci si ammala – o si ha un incidente – senza essere coperti da un'assicurazione sanitaria, la Repubblica degli Stagisti ha raccolto alcune storie di ex stagisti costretti a pagarsi da soli le spese mediche o a stipulare assicurazioni private. Lo ha fatto Cesare, 27 anni di Melzo, in provincia di Milano, che con il progetto Mae-Crui è andato a Los Angeles da aprile ad agosto del 2007 in quella che si può definire la Camera di commercio italiana per la California. «Gran bella esperienza di vita, un po' meno dal punto di vista professionale». Cesare ha pagato duecento euro per garantirsi una copertura sanitaria («un mese sono rimasto scoperto, ma avrei dovuto pagare ancora di più») attingendo ai cinquemila euro del prestito d'onore col quale si è finanziato lo stage negli Usa. Soldi che adesso sta restituendo con un lavoro precario alla Camera di commercio di Lodi. Dice che è chiaro che «chi va negli Stati Uniti la prima cosa che deve fare è l'assicurazione sanitaria». Ricorda però di un'altra «stagista dell'istituto di cultura di Los Angeles che ha avuto dei problemi di salute e non aveva coperture. S'è vista recapitare un conto di duemila euro».A Clarissa, trentenne di Roma, è andata meglio. Nell’aprile del 2005, appena arrivata a New York per uno stage di tre mesi all’Istituto di cultura conosce per caso la coppia che di lì a poco l’avrebbe aiutata a curarsi. Dopo pochi giorni nella Grande  Mela,  infatti, viene colpita da un’otite. È senza assicurazione, cerca aiuto e lo trova in proprio in quei due ragazzi conosciuti qualche giorno prima. La portano in un ospedale a Brooklyn, la fanno visitare da un amico medico che scarica su uno di loro le spese del controllo e quelle dei farmaci. «Non ricordo bene perché non feci l’assicurazione – racconta oggi la giovane romana – forse perché ero troppo ottimista. Ricordo però che il bando non diceva nulla a riguardo. Invece credo che sia importante che i ragazzi vengano informati prima, così da potersi organizzare».Di questi e altri problemi si discute – e non poteva essere altrimenti – anche su Facebook, che ospita due gruppi che parlano di stage all’estero: “Teste di M.A.E.” e “Stagisti ed ex stagisti Mae-Crui”.Tanti i commenti entusiasti e tante le richieste di consigli da parte di chi deve partire. Sul primo, tra gli ultimi post c’è anche quello di Elena che scrive: «Sono stata presa x la rappresentanza permanente presso l'UE a Bruxelles, ma leggendo questi wall mi sto scoraggiando… davvero é un'esperienza così inutile cm sembra leggendo i vostri post?».Giuseppe VespoPer saperne di più su questo argomento, leggi anche l'articolo «Stage all'estero, Mae-Crui ma non solo: attenzione all'assicurazione sanitaria»

Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Claudia Girolametto, alla Corte dei conti tra magistrati e udienze

Mi sono laureata in Giurisprudenza nel 2005, a ventiquattro anni non ancora compiuti, all'università di Trento. Durante gli studi avevo fatto le 150 ore presso l'Opera universitaria; poi ho svolto il biennio di pratica forense, il primo anno presso uno studio legale di Bassano e il secondo a Venezia, dapprima all'Avvocatura di Stato e poi alla Corte dei Conti. Qui una dirigente mi accennò  alla possibilità di effettuare uno stage presso la sezione giurisdizionale della Corte: non avevo mai fatto un'esperienza simile e quindi decisi di prendere l'occasione al volo. Lo stage era promosso da Veneto Lavoro e inserito nel progetto GoTraining, per cui percepivo anche dalla Fondazione di Venezia una borsa lavoro di 400 euro al mese. Inizialmente il tirocinio doveva durare sei mesi, dal dicembre del 2007 al giugno del 2008: poi però mi fu prorogato fino alla fine del 2008, con un cambio di progetto e di tutor. In totale un anno: a dispetto di quel che si potrebbe pensare, in Corte dei Conti si lavora sempre, anche durante i mesi estivi! Però il vantaggio è che avevo la possibilità di gestirmi l'orario, 36 ore settimanali, con assoluta discrezionalità. Durante lo stage collaborai con i magistrati della sezione e i funzionari addetti alla preparazione delle udienze relative ai giudizi in materia pensionistica, e anche con il funzionario responsabile della procedura per i ricorsi per equa riparazione ex legge 89/2001. In più effettuavo ricerche giurisprudenziali mirate, predisponevo le relazioni sui fascicoli processuali e assistivo alle udienze. Fu stata un'esperienza positiva e interessante soprattutto dal punto di vista professionale, anche grazie al vivace clima di collaborazione che si era instaurato con il personale della segreteria e con i magistrati.Oggi ho un contratto a tempo determinato con la Camera di commercio di Venezia presso la sede di Marghera: ho trovato questo lavoro rispondendo al bando pubblicato sul sito della Camera di Commercio.  Insieme ad altre colleghe gestisco l'albo dei Promotori finanziari del Veneto, del Friuli e della provincia di Trento: un'attività a livello impiegatizio, che mi impegna dalle otto e mezza del mattino alle cinque e mezza del pomeriggio. Lo stipendio che prendo mi basta, anche perchè vivo ancora coi miei: da Bassano del Grappa a Marghera sono 75 km, un'oretta di viaggio all'andata e un'oretta al ritorno. Per spostarmi uso il treno, come quando facevo lo stage in Corte dei Conti, perchè è il mezzo più economico. E intanto continuo a studiare per l'esame di Stato: dovrò ritentarlo a dicembre perchè quest'anno la commissione di Firenze non è stata clemente coi candidati!Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, vedi anche gli articoli:- «GoStage e GoTraining, le opportunità di stage promosse da Fondazione di Venezia e Veneto Lavoro»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Elena Bovolenta e la biblioteca della Venice International University»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Aureliano Mostini, lo stage mi ha aperto la strada del lavoro»

Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Aureliano Mostini, lo stage mi ha aperto la strada del lavoro

Sono originario della provincia di Novara e ho frequentato l'università Statale di Milano, dove mi sono laureato nel luglio del 2004 in storia medievale. Come spesso accade, finita l'università - soprattutto se di indirizzo umanistico - uno non sa bene cosa fare. Io avevo venticinque anni e volevo andare via un po' da casa: cercando su Internet ho visto la possibilità di fare uno stage a Venezia con il progetto GoTraining. Ho mandato il mio curriculum a Veneto Lavoro e sono stato chiamato una prima volta per un colloquio e una seconda per cominciare lo stage.Mi sono trasferito quindi in laguna per caso, con l'idea di fare una breve esperienza e tornare subito a casa. Invece poi sono rimasto abbagliato non solo dalla bellezza della città ma anche dallo stile di vita, dalla continua e stimolante presenza dei turisti, dalla facilità con la quale è possibile fare nuove conoscenze: in breve tempo mi sono creato un gruppo di amici con i quali esco ancora oggi. Tornando allo stage: feci sei mesi, dall'ottobre del 2004 al marzo del 2005, presso la biblioteca di archeologia di Ca' Foscari. Il mio compito era affiancare una signora che si occupava della gestione delle pratiche dei dottorandi e dell'organizzazione di eventi. Il lavoro non mi dispiaceva - anche perchè, appena laureato, avevo voglia di fare qualsiasi cosa -  ma ritenevo che come esperienza fosse troppo poco formativa. Così chiesi al direttore e al mio tutor interno di poter affiancare, in alcuni momenti, i bibliotecari in modo da imparare a catalogare e a effettuare servizio al pubblico. Cominciai a studiare catalogazione, i bibliotecari mi insegnarono gli standard e l'utilizzo del software: in pochi mesi divenni autonomo. Come rimborso spese percepivo circa 100 euro al mese, che mi venivano erogati dall'università [Aureliano ha avuto un pizzico di sfortuna: il suo stage è capitato in un periodo in cui  la convenzione di collaborazione annuale tra Veneto Lavoro e la Fondazione di Venezia non era ancora stata rinnovata, e quindi non ha potuto godere della borsa di studio, ndr].Questo è stato il mio unico stage. Alla fine inviai molti curricula, e nel settembre del 2005 mi contattò una cooperativa che mi propose di lavorare nella biblioteca di architettura di Venezia, presso la quale loro avevano un appalto per i servizi al pubblico. Un lavoro che svolgo tuttora a tempo pieno: non richiede una grande specializzazione, ma a me piace molto. Ora sono socio della cooperativa e ho un contratto a tempo inderminato. Sono fortunato perchè la cooperativa è piccola ma solida: sono regolarmente versati i contributi, abbiamo ferie e malattie pagate e anche la tredicesima. La retribuzione oraria non è molto alta, ma con la catalogazione riesco ad arrivare  ad uno stipendio che mi permette di vivere decorosamente, anche se sono ancora costretto a condividere l'appartamento. La fortuna è stata che da ormai due anni, grazie alla cooperativa, svolgo - seppur non in modo continuativo - attività di catalogazione del libro antico presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia.  Il lavoro mi piace, e l'obiettivo è quello di essere assunto in qualche biblioteca universitaria. Ma  non è facile trovare lavoro nel campo, e soprattutto entrare negli enti tramite concorso! Comunque, tirando le somme,  sono contento di aver fatto l'esperienza di GoTraining: oggi posso dire di fare una cosa che mi piace proprio grazie allo stage.Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, vedi anche gli articoli:- «GoStage e GoTraining, le opportunità di stage promosse da Fondazione di Venezia e Veneto Lavoro»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Elena Bovolenta e la biblioteca della Venice International University»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Claudia Girolametto, alla Corte dei conti tra magistrati e udienze»

Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Elena Bovolenta e la biblioteca della Venice International University

Ho preso la laurea triennale in Lettere a Bologna nel 2007. Come molti, ho fatto tantissimi lavori per potermi mantenere all’università: cameriera, telefonista,  hostess ai congressi, educatrice ai centri estivi. Appena laureata ho cominciato uno stage di sei mesi in una piccola emittente radiofonica locale, dove scrivevo testi per pubblicità. Fortunatamente era retribuito con un rimborso spese di 700 euro al mese… Ma intendiamoci: io lavoravo otto ore al giorno, non mancavo mai e per me era un lavoro vero e proprio. Anzi, a dire il vero inizialmente mi era stato proposto come lavoro, non come tirocinio: poi si sa come vanno le cose, parlando con il proprio commercialista a volte un'azienda scopre delle possibili modalità di "assunzione esentasse" – poco importa se il riciclo del personale (anche bravo, può succedere!) deve poi essere continuo…E comunque, il lavoro alla radio non realizzava pienamente le mie attitudini. Per una serie di circostanze fortunate, esattamente alla fine di quello stage ricevetti una proposta da Veneto Lavoro, a cui avevo inviato un cv seguendo il link dal sito della Regione Veneto. Venni contattata per uno stage di sei mesi alla Venice International University, un consorzio di università straniere situato su una piccolissima isola della laguna, San Servolo. Ero entusiasta, ma anche spaventata: accettare avrebbe significato, per me che provengo da un paesino della provincia di Rovigo, un trasferimento (affitto, spese, ecc.) con un sostegno di 400 euro mensili. Decisione difficile da prendere, ma l’istinto diceva che era l’occasione giusta, così accettai – grazie anche all’ennesimo sacrificio di una famiglia fantastica che ha sempre scelto di appoggiarmi e aiutarmi in questi mesi. Venezia è una città difficile, io non la conoscevo per nulla, non sapevo come muovermi e arrivare in pieno inverno con acqua alta, freddo, pioggia e tutto grigio non aiutò di certo... Poi pian piano tutto iniziò ad avere un senso. VIU è un ambiente giovane, coi colleghi ho instaurato un bellissimo rapporto, le mie idee per migliorare la biblioteca sono state accolte con entusiasmo e a poco a poco ho iniziato ad abituarmi ai vaporetti, ai labirinti, all’acqua alta e rilassandomi ho imparato a provare la magia che solo  questa città riesce a trasmettere.Lo stage è durato sei mesi, dal gennaio al luglio del 2008. Le mie mansioni erano gestire la biblioteca e affiancare la responsabile del front office. Ho imparato molte cose indispensabili per qualsiasi lavoro impiegatizio di amministrazione: gestione di documenti, utilizzo del pc, ma soprattutto opportunità di migliorare la conoscenza dell’inglese, lingua franca in un ente che ospita in media duecento studenti all’anno, provenienti da varie parti del mondo. Per quanto riguarda la biblioteca, ho potuto avvicinarmi per la prima volta in maniera pratica alla catalogazione di libri e di materiale multimediale, alla gestione del prestito e soprattutto ho potuto sviluppare un progetto ideato proprio durante il periodo di stage. VIU mi ha dato infatti la possibilità di cercare un software più adeguato alle esigenze della sua piccola biblioteca che però possiede un particolarissimo patrimonio di libri – circa 4mila volumi – tutti in lingua inglese. Da questa idea è scaturito un contratto a progetto di un anno. Un’occasione per mettermi in gioco e per avere il tempo di realizzare qualcosa a cui tengo: al giorno d’oggi è forse quanto di meglio una giovane laureata in lettere possa aspettarsi come inizio, no? Devi abbassare il tiro, essere umile, crearti aspettative che durino il tempo di un contratto e prendere tutto ciò che questa condizione ti può offrire, il buono e il meno buono.  Ovviamente lo stipendio è appena sufficiente a coprire le spese, soprattutto in una città come Venezia dove tutto ha prezzi alti. Non ce la faccio da sola: i miei genitori mi “coprono le spalle” perché alcuni mesi me la cavo, altri devo chiedere “l’aiuto a casa” – ma sono convinta di voler arrivare fino in fondo.È difficile descrivere in breve i sogni, le speranze, le delusioni, le prospettive di una normale ragazza di ventott'anni. Il tirocinio è stata un’esperienza positiva e mi ha anche cambiato la vita: trasferirsi in una città nuova, iniziare un nuovo lavoro, riuscire a vivere con uno stipendio che non arriva ai mille euro non è sfida da poco! A parte questo però sono molto felice e mi ritengo fortunata. Ora, oltre a seguire il mio progetto, sono iscritta alla laurea magistrale in biblioteconomia. Il mio contratto scadrà alla fine di questo mese; da settembre dovrei averne un altro, di circa 11 mesi. Non durerà per sempre: io userò questo anno per guardarmi intorno, di sicuro però più forte di due anni fa e molto più sicura di me stessa e delle mie capacità.La mia è una di quelle storie che non vengono mai raccontate perché non ci sono particolari drammatici o episodi miracolosi, ma sono sicura che in molti si ritroveranno e capiranno cosa io abbia voluto trasmettere: semplicemente la voglia di una straordinaria quotidiana normalità, fatta di un lavoro che ti piace e per cui hai sudato, e tutto ciò che questo di conseguenza ti permette di realizzare.Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, vedi anche gli articoli:- «GoStage e GoTraining, le opportunità di stage promosse da Fondazione di Venezia e Veneto Lavoro»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Aureliano Mostini, lo stage mi ha aperto la strada del lavoro»- «Progetto GoTraining, le voci degli «ex»: Claudia Girolametto, alla Corte dei conti tra magistrati e udienze»

Proroghe allo stage, maneggiare con cura: la durata massima non è un'opinione

Quanto può durare al massimo uno stage? Secondo la normativa di riferimento, il decreto ministeriale 142 del 1998, ci sono quattro casi di durata massima a seconda di chi è lo stagista. Il limite più breve è per gli studenti delle scuole superiori: per loro la durata massima è fissata a 4 mesi. Poi si passa a 6 mesi: questo è il limite per i disoccupati, gli allievi di scuole professionali o di corsi di formazione post-diploma o post-laurea. Il gradino successivo è quello più affollato: durata massima di 12 mesi per gli studenti universitari, i dottorandi e masterizzandi, i neolaureati, i soggetti svantaggiati. E infine 24 mesi per i disabili.Sì, ma c’è la proroga – dirà qualcuno. Attenzione: la proroga certamente può esserci, ma deve rientrare in quei limiti. La legge lo dice chiaramente: «Le eventuali proroghe del tirocinio sono ammesse entro i limiti massimi di durata indicati nel presente articolo». E se qualcuno cerca di stiracchiare il concetto, intendendo che è la durata della proroga che, a sua volta, deve rispettare i tempi massimi, prende una cantonata. Insomma, gli stage di 12 mesi non ammettono proroghe, quelli di 6 ammettono proroghe solo di 6, e così via.«A me invece è capitato che, dopo uno stage di un anno, l’impresa proponesse una proroga di altri 6 mesi» racconta Giulio, 23enne laureato in Biotecnologie mediche. Il tirocinio l’aveva fatto da studente, per la tesi di laurea, presso una piccola azienda – una quindicina di dipendenti – operante nel settore della diagnosi allergologica. Compiti complessi, gran mole di lavoro, e nemmeno un minimo di rimborso spese: ma lui aveva stretto i denti pensando alla tesi. Quando però l’azienda invece di fargli un contratto gli ha detto “Abbiamo ancora bisogno di te per finire il progetto, dai, resta altri 6 mesi in stage…” non ci ha visto più: anche perché per lui avrebbe significato dover posticipare la laurea. E così ha detto di no. Trovando poi poco dopo un’occasione migliore: uno stage con un buon rimborso spese – 600 euro per i primi tre mesi, 800 per gli altri tre – al termine del quale ha ottenuto un contratto di collaborazione.Insomma, più di 12 mesi in stage non si può stare. Nella stessa azienda, quantomeno.

Partire è un po' morire? Qualche volta, per i giovani italiani invece è l'unico modo per vivere

Andare, restare. Tanti giovani italiani si trovano di fronte a questa scelta. Alcuni preferiscono rimanere qui, accettando le magre offerte del mercato del lavoro italiano o impegnandosi per cambiare la situazione. Altri partono.Scrive la 29enne Matilde in una lettera a Beppe Severgnini pubblicata oggi su Italians: «A 24 anni mi sono laureata in economia a Roma con il massimo dei voti e lì è iniziata la mia avventura come stagista: ho totalizzato più di due anni di contratti di stage, in tre aziende diverse, a 300 euro al mese, lavorando accanto a incompetenti, dirigenti annoiati e anziani che guardandomi la scollatura mi chiedevano dove fosse il tasto per accendere il pc. Mentre loro si guadagnavo i loro 5 mila euro al mese» racconta amara la ragazza «io facevo le loro telefonate e scrivevo le loro email». Matilde a un certo punto si ribella, va all'estero e fa uno master. Ora vive e lavora a Parigi: con «un lavoro fantastico e uno stipendio che nessun mio coetaneo rimasto in patria si sognerebbe mai di guadagnare». E a tornare in Italia non ci pensa neppure.Matilde non è sola. Per le pagine della Repubblica degli Stagisti sono passati e passano tanti altri come lei, cervelli in fuga. Olimpia, 24enne volata in Olanda per afferrare un contratto da 37mila euro all'anno - quando qui in Italia continuavano a offrirle solo stage. Riccardo, a cui dopo un anno e mezzo di regolari contratti l'azienda propose di tornare a fare lo stagista e che oggi, a 26 anni, ha un bel tempo indeterminato in Germania che gli permette di mantenersi da solo e anche di affrontare serenamente il grande passo del matrimonio. Vito, vincitore del Master dei Talenti nel 2007, che dopo lo stage si sentì offrire un contratto da 2800 euro al mese e quindi decise di rimanersene in Finlandia invece che tornare in Italia a racimolare qualche contratto a progetto da milleurista.Sono i più bravi? Chissà. Sicuramente sono i più intraprendenti. Prendono in mano la loro vita e scappano da questa Italia che non sa offrire opportunità e retribuzioni adeguate alle loro competenze. Certo però non è accettabile che la situazione rimanga questa: dobbiamo lavorare, tutti, per invertire la tendenza. Per far venire a Matilde e a Riccardo e a Vito la voglia di tornare, con la loro grinta e la loro intelligenza e il loro bagaglio di esperienza.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Non è un paese per giovani», fotografia di una generazione (e appello all'audacia)- Trentenni italiani, la sottile linea rossa tra umili e umiliati nel libro «Giovani e belli»

Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Francesco Imberti, dalla Cina con amore (per il cibo italiano)

«Mi sono laureato in Agraria nell’estate del 2005, a ventiquattro anni. Durante l’università ho fatto l’animatore turistico e la pratica in studi tecnici agronomici; dopo ho lavorato per un periodo anche in università, come borsista. Ho scelto di partecipare al Master dei Talenti perchè da sempre ricerco esperienze all’estero – già all’università avevo fatto un Erasmus di 9 mesi a Siviglia, e poi avevo passato due mesi in Guatemala a raccogliere dati per la tesi di laurea sul costo di produzione del caffè. Per il MdT ero stato selezionato per due tirocini, quello Slow Food a Montpellier e quello dell’Istituto culinario italiano per stranieri a Shanghai: e subito, istintivamente, mi ha attirato maggiormente l’appeal del pianeta Cina rispetto alla vicina Francia… Sono arrivato quindi a Shanghai nell’aprile 2006 per partecipare alle attività di promozione dei prodotti enogastronomici italiani organizzati dall’Icif nell'ambito dell’anno dell’Italia in Cina 2006. L’attività principale dell’Icif è promuovere corsi di cucina italiana per professionisti stranieri e organizzare attività di promozione dei prodotti enogastronomici italiani; io davo una mano nel lavoro d'ufficio e nella gestione degli eventi, percependo dalla Fondazione CRT una borsa di studio di circa 2500 euro al mese. Al termine dello stage ho viaggiato un mese nel sud est asiatico e poi ho passato sei mesi a Pechino a studiare il mandarino; durante questo periodo ho svolto lavoretti saltuari – comunque stare lì non costava molto, spendevo 180 euro al mese di affitto e 50 euro al mese per i corsi. Sono tornato in Italia nell’estate del 2007, con un rocambolesco viaggio via terra passando per Mongolia, Siberia e prendendo poi il treno della ferrovia Transiberiana. Dopo due mesi come supplente alle scuole superiori, sono tornato in Cina a fare il restaurant manager di un ristorante italiano sull'isola di Hai Nan, nella Cina meridionale: lì guadagnavo 10mila rmb al mese (circa mille euro), più vitto e alloggio pagati. Sono dovuto tornare in Italia a giugno 2008 perchè il mio visto non era più rinnovabile: dopo i disordini del Tibet e con l’avvicinarsi delle Olimpiadi, c’era stato un giro di vite burocratico. Di nuovo in Italia, ho scoperto che stava per partire un master in ambito agroalimentare organizzato dalla Ferrero di Alba con l’università di Torino e mi sono iscritto. La mia speranza per il futuro? Che il prossimo lavoro mi permetta di unire la formazione accademica con quella linguistica e "di vita" che ho avuto parallelamente».Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Master dei Talenti CRT, Angelo Miglietta: «Quest'anno è stato boom di candidature: ecco perché»- Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Paola Laiolo, da Torino a Bruxelles inseguendo l'Europa- Master dei Talenti 2009, è boom di richieste per gli stage a 5 stelle

Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Paola Laiolo, da Torino a Bruxelles inseguendo l'Europa

«Ho 28 anni e sono originaria di Canelli, in provincia di Asti. Ho fatto Scienze internazionali e diplomatiche all’università di Torino: sognavo un lavoro che mi permettesse di viaggiare e di entrare a contatto con nuove culture. Mentre studiavo ho fatto i lavoretti più disparati: cameriera, hostess alle fiere, ripetizioni private, tutoraggio e assistenza in università. Ho fatto anche due esperienze all’estero: un paio di mesi a Londra presso una famiglia inglese come ‘au pair’ e un Erasmus di 8 mesi a Parigi. Dopo la laurea ho vinto un assegno dell’università di Torino come assistente presso il dipartimento di Economia, durato 3-4 mesi, durante i quali ho mandato decine di cv e fatto svariati colloqui... All’inizio non è stato facile!Il primo bando Master dei Talenti è stato pubblicato nel 2004, poco dopo la mia laurea: l’ho saputo attraverso Internet. Mi è sembrata subito una grande opportunità: erano disponibili alcune posizioni all’estero per cui era richiesto un profilo molto simile al mio, e, incredibile ma vero, erano ben remunerate. Mi sono candidata per il tirocinio presso la Regione Piemonte (6 mesi a Torino e 6 mesi a Bruxelles) e per quello presso Comune di Torino / Unioncamere Piemonte (rappresentanza di Bruxelles). Sono stata selezionata per il secondo.I primi tre mesi li ho passati al settore Relazioni internazionali del Comune, con l’obiettivo di mappare le esigenze e le problematiche in materia di finanziamenti europei. I successivi sei mesi sono stata all'ufficio di rappresentanza di Bruxelles di Unioncamere Piemonte, analizzando e monitorando le politiche comunitarie di interesse dei vari settori del Comune e raccogliendo informazioni per consentire una partecipazione tempestiva ai programmi di finanziamento dell’UE. Il tirocinio sarebbe dovuto durare nove mesi, ma l’ho interrotto prima della fine: ero stata presa all’ufficio Affari internazionali di Banca Intesa a Bruxelles, anche lì con uno stage retribuito circa 1400 euro. Ho avuto così l’opportunità – dopo l’esperienza nella pa – di lavorare nel privato e vedere come gli affari europei ed internazionali erano gestiti da una grande banca. Presso Banca Intesa a Bruxelles ho fatto i primi cinque mesi come stagista, poi ho avuto un contratto da un anno e successivamente un contratto a tempo indeterminato. Complessivamente, ho lavorato per loro tre anni e mezzo, durante i quali ho conseguito un master in Management alla Solvay Business School (durato 2 anni e svolto part-time).Nell'estate del 2008, una volta terminato il master, Banca Intesa (nel frattempo diventata Intesa Sanpaolo) mi ha proposto di trasferirmi a Milano presso la sede centrale del gruppo. Qui oggi sono project analyst e continuo ad occuparmi di affari europei: in particolare seguo i rapporti con le aziende clienti interessate ad accedere ai finanziamenti dell'Unione Europea per la ricerca e sviluppo e l'innovazione tecnologica. È un lavoro molto dinamico, che ha poco a che vedere con i ruoli bancari più tradizionali e che mi permette di viaggiare molto e di venire a contatto con alcune delle realtà imprenditoriali più innovative ed interessanti del panorama italiano.La scelta di tornare in Italia è stata dettata principalmente dall'opportunità lavorativa ed economica – aumento di posizione e stipendio! – ma anche dal desiderio di riavvicinarmi un po’ a casa dopo quattro anni di lontananza…».Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Occupati e ben pagati: ecco l'identikit di chi ha partecipato al Master dei Talenti della Fondazione CRTE anche altre storie di ex tirocinanti CRT:- Francesco Imberti, dalla Cina con amore (per il cibo italiano)- Chiara Santi, grazie alla CRT ho scoperto la sicurezza sul lavoro e me ne sono innamorata- Antongiuseppe Stissi, un ingegnere piemontese sul treno per Pechino- Nicola Rivella, un anno alla World Bank di Washington per studiare i paesi in via di sviluppo

Serena Carbone: una proposta al consiglio regionale per valorizzare davvero noi superstagisti

Serena ha bruciato le tappe: laureata col massimo dei voti in Lettere a soli 22 anni, finita la scuola di specializzazione in Storia dell’arte a Bologna tre anni dopo, oggi ha 27 anni ma non è certo una “neolaureata”.«Sono tornata due anni fa perché avevo avuto un contratto di un anno come catalogatore presso la Direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici della Calabria. Guadagnavo circa 800 euro al mese. Non pensavo che sarei rimasta qui definitivamente, e invece… Per lavorare nel mio ambito al sud in teoria ci sarebbero molte occasioni: purtroppo sono misconosciute, e vengono talvolta gestite da persone poco competenti. Il patrimonio culturale qui è forte, noi potremmo davvero vivere di turismo e cultura: se questi elementi però venissero valorizzati e adattati all’oggi». Al Programma Stages è arrivata per caso: «Un amico mi ha detto, pochi giorni prima che scadesse il bando, che esisteva questo progetto. All’inizio ho subito pensato che mi sarebbe servito per il concorso per entrare al ministero dei beni culturali; così ho fatto richiesta». E ha vinto – però ora c’è un problema. «Pare che nessun ente purtroppo abbia fatto richiesta per uno storico dell’arte, a parte Marina di Gioiosa Jonica dove c’è una pinacoteca. Però chiaramente per me sarebbe molto disagevole arrivare tutti i giorni fino a lì [la cittadina è distante oltre 100 km da Reggio Calabria, ndr], quindi credo che se mi destinassero a quell’ente non potrei accettare!».Serena riflette poi sul futuro del Programma Stages: «È importante che sia chiaro che noi non dobbiamo dire grazie al consiglio regionale: ci siamo tutti laureati con 110, tra noi ci sono persone che hanno master e dottorati, andremo a dare un servizio alla regione, per dirla tutta: andremo a lavorare in questi enti. Abbiamo di fronte due anni, un periodo molto lungo: è importante che ognuno di noi venga messo in un ente dove possa davvero crescere professionalmente». E lancia una proposta: «Per non chiudere tutto il progetto allo scadere dei due anni, sarebbe bello che al termine degli stage il consiglio regionale bandisse un concorso per noi 500, e assumesse i migliori. In questo modo noi saremmo incentivati a lavorare meglio, daremmo il massimo in questi due anni, e alcuni potrebbero avere l’opportunità di ottenere un lavoro vero e proprio. Non dico tutti: magari i migliori cento. Così si valorizzerebbero davvero le risorse umane».Eleonora Voltolina