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Interrompere lo stage si può, ecco come si fa (e quanto spesso succede) in Toscana

Non sempre uno stage realizza le aspettative. A volte perché strada facendo si scopre che le competenze sviluppate non sono quelle sperate, a volte perché l’ambiente di lavoro risulta poco accogliente. Oppure perché nel contempo arriva un'offerta più allettante. Ed è a questo punto che lo stagista si trova davanti al dubbio tra continuare o chiedere un’interruzione anticipata. Di recente sul forum della Repubblica degli Stagisti un lettore che stava svolgendo un tirocinio in Toscana finanziato dalla regione attraverso Garanzia Giovani ha chiesto come comportarsi sia in caso di interruzione sia in caso di conclusione dello stage in corso.La Repubblica degli Stagisti ha contattato la Fondazione Sistema Toscana, la struttura regionale che gestisce e coordina il progetto, ma le nostre richieste sono state girate direttamente all’assessora regionale all’istruzione Alessandra Nardini.Quando si parla di interruzione di un tirocinio è necessario verificare quelle che sono le disposizioni delle leggi e regolamenti regionali in materia di stage, visto che ogni regione può adottare prescrizioni diverse, e nello specifico rileggere anche il contratto di stage firmato.In Toscana il quadro normativo sui tirocini è costituito dalla legge regionale 32 del 2002 , poi modificata dalla legge regionale 8/2018, e dal regolamento di esecuzione 47/R/2003 (il regolamento più recente il 6/R/2019), in cui si specifica all’articolo 86 quater che «al tirocinante è data la possibilità di interrompere il tirocinio in qualsiasi momento dandone comunicazione scritta al tutor nominato dal soggetto ospitante e al tutor nominato dal soggetto promotore». Non è però solo lo stagista a poter mettere fine allo stage. «Lo stesso regolamento prevede che il soggetto ospitante o promotore possano interrompere il tirocinio in caso di inadempienze gravi da parte di uno dei soggetti coinvolti nel rapporto di tirocinio o in caso di impossibilità a conseguire gli obiettivi formativi del progetto», spiega l’assessora Nardini. I numeri dimostrano però come nella stragrande maggioranza di casi la richiesta di interruzione anticipata arrivi dallo stagista e non dall’azienda o dal soggetto promotore, che quindi, evidentemente, non sono mai eccessivamente insoddisfatti dei propri tirocinanti.Nel caso specifico della regione Toscana, i dati disponibili non si riferiscono al solo programma Garanzia Giovani. Questo perché l’avviso per i contributi della nuova Garanzia è partito nel settembre 2020 – quindi a cavallo tra le due fasi pandemiche da Coronavirus – mentre il precedente avviso per stage finanziati sempre in Garanzia Giovani si è chiuso nel 2018. Questo vuol dire che i dati disponibili del 2019 si riferiscono a tirocini attivati tramite Giovanisì, il progetto della Regione dedicato ai giovani fino a 40 anni di età finanziato con risorse del Piano operativo regionale del Fondo sociale europeo 2014/2020 in cui ricadono sette aree di attività tra cui, appunto, anche i tirocini.Ed ecco i numeri: nel 2019 in Toscana sono stati attivati 6.464 tirocini con contributo del Fondo sociale europeo, sui 15.404 (dati del ministero del Lavoro) attivati complessivamente in Toscana nel corso di quell'anno. Un primo dato interessante, dunque, è che circa il 42% di tutti i tirocini partiti in Toscana nel 2019 poteva contare su un finanziamento europeo. «La maggioranza di questi 6.464, oltre 5.200, termina alla naturale scadenza» specifica alla Repubblica degli Stagisti l’assessora.Degli oltre 1.100 conclusi in anticipo, «nella metà dei casi l’interruzione anticipata dell’esperienza di tirocinio è una scelta del tirocinante. Solo nel tre per cento dei casi stagista e soggetto ospitante hanno concordato una risoluzione consensuale del rapporto di tirocinio o anticipato il termine fissato per la conclusione del rapporto stesso. La decisione è del soggetto ospitante solo di rado, nel due per cento dei casi», quindi solo una ventina di tirocini.Interessante analizzare anche la fascia di età più coinvolta nell’interruzione anticipata. «Poco più della metà coinvolge i soggetti tra i 20 e i 24 anni, un terzo in quella tra i 25 e i 29 anni e appena un tredici per cento tra i 18 e i 19 anni». La Regione Toscana sostiene che non esiste una casistica di interruzioni anticipate di stage che riguardino persone over 30.Guardando invece i dati con la lente del titolo di studio degli stagisti, è più alta la percentuale dei soggetti in possesso di un diploma che termina in anticipo uno stage, quasi sei su dieci; mentre c’è una sostanziale parità per quanto riguarda il genere: le interruzioni dei tirocini attivati nel 2019 con contributo del fondo sociale europeo hanno riguardato parimenti uomini e donne, con una piccola percentuale in più a favore dei maschi, 51 a 49.Diversa la situazione invece per quanto riguarda il 2020, quando la pandemia Covid ha inciso in maniera significativa anche sui tirocini con contributo Fse che hanno preso il via in Toscana. «Quelli attivati l’anno scorso sono stati 1.897» sul totale degli 8.896 tirocini extracurricolari partiti in Toscana nell'arco del 2020. Da notare dunque come l'anno corso i tirocini che hanno potuto contare su un finanziamento europeo in Toscana si siano dimezzati: solo il 21% (rispetto al 42% dell'anno prima).Tornando all'assessora Nardini: «La maggior parte dei 1.897 tirocini con contributo Fse, quasi nove su dieci, è terminata alla naturale scadenza». Un trend in crescita rispetto all’anno precedente quando erano otto su dieci. «La scelta di interrompere anticipatamente lo stage è stata degli stagisti stessi per il quaranta per cento dei casi mentre solo il quattro per cento ha trovato una risoluzione consensuale e l’uno per cento delle volte è stata, invece, una scelta del soggetto ospitante». Di quel tredici per cento di tirocini non terminati alla loro naturale scadenza, però, per più della metà non è possibile avere un’informazione specifica dalle comunicazioni obbligatorie, perché in questo documento è indicata la classe “altro” e non è quindi possibile ottenere informazioni specifiche sulle motivazioni.Interrompere un tirocinio è sempre un passo delicato; nel caso si abbiano dei problemi il primo consiglio è parlare con il proprio tutor per cercare di capire se siano risolvibili. Se però lo stagista continua ad essere insoddisfatto l’unica strada è quella dell’interruzione. L’ultimo accordo Stato – Regioni sulle linee guida in materia di tirocini e orientamento, datato 25 maggio 2017, stabilisce appunto che lo stagista possa interrompere in qualsiasi momento il tirocinio comunicando la propria volontà a soggetto ospitante e promotore. Conviene però dare sempre una lettura alla convenzione di stage firmata – e di cui è opportuno avere una copia – per controllare che non ci siano clausole particolari che regolamentino in maniera diversa questa circostanza. Un altro aspetto specificato nell’accordo è il fatto che il tirocinante debba dare motivata comunicazione scritta al tutor del soggetto ospitante e del soggetto promotore in caso di interruzione dello stage.Ci sono altre domande che i lettori della Repubblica degli Stagisti avevano avanzato e che, purtroppo, al momento non trovano risposta né da parte dell’assessora Nardini né da parte di altri funzionari della Regione Toscana. E sono quelle relative alle eventuali ripercussioni negative per uno stagista per aver interrotto anticipatamente uno stage: in particolare alla possibilità per un’azienda di scoprire se un candidato non ha completato un tirocinio interrompendolo in anticipo.In linea di massima sono informazioni riservate, quindi se non espressamente indicate nel curriculum o raccontate durante un colloquio, non sono facilmente rintracciabili: Miriana Bucalossi, funzionaria responsabile della programmazione tirocini e apprendistato della Regione Toscana, ricorda che «esiste un quadro normativo articolato a tutela del tirocinante che sin dal 2011, con l’approvazione della Carta dei tirocini e degli stage di qualità, vede la Regione impegnata a garantirne la qualità e il corretto utilizzo, ponendo a tale scopo vincoli ben definiti e precisi per la loro attuazione, scoraggiarne l’uso distorto e ricondurli alla loro naturale funzione formativa».  Ma non risponde alla domanda specifica.Il consiglio in ogni caso è quello, qualora il tirocinio non rispetti le aspettative, di parlare con il proprio tutor e di fare di tutto per rimetterlo nei giusti binari. Ma nel caso il problema sia proprio irrisolvibile, non resta altra strada se non quella di interrompere anticipatamente l'esperienza. Evitando di perdere mesi utili in attività non formative o poco in linea con i propri obiettivi, e cercando subito un'altra opportunità.Marianna Lepore

Nato, sessanta tirocini da mille euro al mese: il bando è in scadenza

Domenica 2 maggio è l’ultimo giorno utile per provare a partecipare alla 19ma edizione dei tirocini banditi dalla NATO presso la sede di Bruxelles. Destinatari giovani di età superiore a 21 anni che hanno frequentato almeno due anni di università o laureati al massimo da un anno, appartenenti a uno degli Stati membri dell’organizzazione e con una buona conoscenza di inglese e francese, lingue ufficiali della Nato.Il tirocinio ha durata di sei mesi con partenze a marzo e settembre e può essere svolto in tre sedi: presso il quartier generale di Bruxelles, a L'Aja in Olanda e a Oeiras in Portogallo. Il rimborso medio è pari a mille euro: nel dettaglio 1192 euro in Olanda, 1088 in Belgio e 944 in Portogallo. In tutti e tre i casi gli stagisti avranno attività per 38 ore alla settimana. In più è prevista la possibilità di ricevere fino a mille euro per le spese di viaggio. La candidatura si può inoltrare online dal portale dell’organizzazione. Gli ambiti di impiego spaziano dall’assistenza nella redazione e preparazione dei documenti ufficiali alla la ricerca, dall’analisi dei media ai servizi di supporto tecnico e amministrativo.Tutti i candidati saranno contattati per la preselezione nel mese di giugno, mentre tra luglio e settembre sono previste le selezioni finali, la prima tranche di tirocini è in partenza per marzo 2022, la seconda a settembre, sono circa 60 gli stage messi a bando ogni anno.Ogni anno, dice alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa dell’Organizzazione, arrivano circa 3/4mila candidature, di cui il 20% dall’Italia. «Non c’è un dato medio su quante candidature arrivano da uomini e quante da donne, i numeri variano da un’area di lavoro all’altra, ovviamente la nostra selezione si basa su capacità, competenza ed esperienza. La Nato attribuisce grande importanza all’equilibrio di genere e all’uguaglianza e le presta la dovuta attenzione come parte del suo processo di reclutamento, anche per il programma di tirocinio».Gli obiettivi principali dello stage sono quello di «fornire ai tirocinanti l’opportunità di imparare dalla comunità della Nato e ottenere una migliore comprensione dell’Organizzazione e ampliare la comprensione della Nato nei paesi dell’Alleanza». Tra i documenti necessari per lo stage l’assicurazione sanitaria e un permesso per i non residenti nel Paese, fondamentale per poter iniziare il tirocinio.Cosa succede dopo lo stage? Nonostante il tirocinio non assicuri certamente un successivo contratto presso l’Organizzazione, rappresenta comunque un’ottima opportunità per concrete possibilità professionali anche presso altre realtà internazionali. «Dopo il tirocinio – spiegano dall’ufficio stampa – i tirocinanti intraprendono una varietà di percorsi, tra cui la permanenza con un contratto di lavoro temporaneo o a tempo indeterminato oppure l’assunzione presso altre organizzazioni internazionali o amministrazioni nazionali.Sul sito della Nato sono raccolte anche alcune testimonianze di ex stagisti: «La Nato non è solo un'organizzazione militare, lavorarci è un'esperienza eccezionale», afferma Alessandro in un video realizzato insieme ad altri tirocinanti provenienti da tutto il mondo. Bodine, collega olandese di Alessandro ha lavorato in un team «composto da sole donne», in un contesto che le ha permesso di «avere tanti nuovi amici».Nell'organizzazione, insomma, sono tutti parte di una grande squadra che travalica i confini nazionali: «We Are Nato», affermano nel cartello finale. Chiara Del Priore

“Le donne devo essere presenti, e non solo metaforicamente!”: lettera aperta a Draghi sulla distribuzione dei fondi del Recovery Plan

Le associazioni e le organizzazioni mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”Lettera aperta al Presidente del Consiglio, alle Ministre e ai MinistriAlla vigilia della presentazione del Pnrr, sono alte le aspettative delle donne per un Piano che, secondo le indicazioni europee, dovrà porre le basi per un rapido assorbimento del divario di cittadinanza tra uomini e donne in ordine al lavoro, all’accesso al credito, ai sostegni all’imprenditoria, alla partecipazione ai corsi di laurea e alle professioni Stem.La via maestra per un aumento importante dell'occupazione femminile è un massiccio investimento nelle infrastrutture sociali: asili nido, servizi sanitari territoriali, strutture per l'assistenza di anziani, disabili, soggetti bisognosi, voucher transitori e universali per la cura, attività e servizi di contrasto alla violenza contro le donne, compresi centri anti violenza e case rifugio.Questi strumenti possono offrire vere opportunità, sicurezza e lavoro alle donne nel nostro Paese.I fondi ipotizzati dal Governo Conte nell' ultima versione a noi nota del PNRR, ad esempio, devono essere piu' che raddoppiati per gli asili nido, poiché al momento non coprirebbero neppure il 33% dei bambini. Lo stesso piano Colao, troppo frettolosamente accantonato, proponeva il 60% di copertura.Sono almeno 5 i miliardi necessari per l'assistenza di ad anziani e disabili, mentre i fondi per l'imprenditoria femminile andrebbero almeno triplicati, rispetto a quelli stanziati fino a oggi (800 milioni di euro).Il nostro auspicio è che le attese siano rispettate. L'occupazione femminile deve crescere. Siamo ultimi in Europa per occupazione delle giovani dai 25 ai 34 anni e penultimi per altre fasce di età.Maternità e genitorialità devono assumere un valore sociale, potenziando i congedi di paternità e aumentando la copertura dei congedi parentali.Una condizione importante affinché si vigili sull'efficacia del PNRR è la valutazione ex-ante ed ex-post sull’impatto di genere delle diverse misure, secondo una prassi sempre più diffusa in Europa, per consentire scelte strategiche fondate.Se l’Italia ha avuto la quota più alta in assoluto dei fondi europei è anche perché ritenuta meritevole di aiuti “speciali”, date le numerose fragilità che presenta. Tra queste, c’è la diseguaglianza di genere, che rende necessario concretizzare un rapido riequilibrio nei prossimi cinque anni, l’arco d’azione del PNRR.La scelta di qualificare le pari opportunità come obiettivo trasversale delle sei missioni del Piano rappresenta al tempo stesso un’opportunità e un rischio. Un’opportunità, perché teoricamente consente di costruire un’azione a tutto campo, quindi anche mediante interventi e investimenti non direttamente finalizzati alla parità di genere, come detto. Un rischio, perché sappiamo bene che gli interessi delle donne, in un confronto segmentato tra innumerevoli capitoli, possono essere marginalizzati e sottorappresentati.È di tutta evidenza che il nostro Paese non possa permettersi l’errore di non considerare le donne destinatarie prioritarie nella gestione dei fondi del Recovery plan.Il danno derivante sarebbe enorme: lo pagherebbero le giovani generazioni, condannando l’Italia a un futuro di povertà e recessione. Com’è noto, infatti, il riequilibrio di genere in ogni ambito si traduce anche in termini di aumento di PIL, oltre che di equità.Le associazioni femminili e le organizzazioni firmatarie del Manifesto Donne per la salvezza intendono continuare a “esserci” anche adesso, nella fase in cui si definiscono esplicitamente le scelte, per capire se le linee guida europee siano state condivise e rispettate nella suddivisione dei fondi, nel senso e nella portata degli interventi e degli investimenti indicati nel documento. A questo fine, nel ribadire il nostro impegno per il bene del Paese, nell’ottica di un dialogo sempre costruttivo con il nuovo Governo, reputiamo essenziale che le associazioni e le organizzazioni che operano sul fronte femminile siano pienamente coinvolte nell’analisi e nella verifica delle proposte da presentare in sede europea.Pertanto chiediamo al Governo non solo di essere informate sull’evoluzione del prossimo PNNR, ma di essere inserite tra i soggetti con i quali l’esecutivo si confronterà, nei prossimi incontri istituzionali. L’accoglimento di questa nostra richiesta significherebbe riconoscere le organizzazioni al femminile (e non solo) come realtà ricche di professionalità, competenze e spunti concreti utili alle istituzioni e attribuire finalmente a esse un ruolo di contributo fattivo e audit nelle scelte che orienteranno la vita economica, sociale e politica del Paese nei prossimi anni.È bene che le donne siano presenti, e non solo metaforicamente, là dove si decide del futuro non solo loro, ma di tutti.Le associazioni, le organizzazioni e le personalità mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”1. Politiche di genere CGIL2. Coordinamento Pari opportunità UIL 3. Dipartimento pari opportunità ALI4. Gruppo Donne Imprenditrici Confimi Industria5. Le Contemporanee6. Soroptimist International d'Italia 7. Fuori Quota8. InGenere9. Fondazione Marisa Bellisario10. Rete per la parità11. Giusto Mezzo12. Se Non Ora Quando - Libere13. Human Foundation14. Associazione Donne Banca d'Italia15. M&M – Idee per un Paese migliore16. Base Italia17. Green Italia18. UCID Coordinamento Donne19. GIO- Osservatorio Interuniversitario di Genere 20. D.i.Re - Donne in rete contro la violenza21. Differenza Donna22. Siciliane23. GammaDonna24. #DateciVoce25. Movimenta26. Assist Associazione Nazionale Atlete27. EWA- European Women Alliance28. Jump - Solution for equality at work29. Road to 50%30. Community Donne 4.031. LeD, Libertà e Diritti32. Women in Film, Television & Media Italia33. EWHR- European Women for Human Rights34. Donne & Società35. Io parlo europeo36. Telefono Rosa - Torino37. Leads - Donne leader in Sanità38. Avvocati per i Diritti Umani39. AGI - Associazione Giuriste Italiane sezione europea40. Aps SconfiniAmo41. (R) evolution Associazione42. Rebel Netwok43. One Billion Rising Italia44. Associazione Abbraccio del Mediterraneo 45. Associazione Blu Bramante46. B Women Italy47. Tlon48. Odiare ti costa49. La Repubblica degli Stagisti

Indennità mancata ai praticanti, ancora nessuna risposta: “L'Avvocatura dovrebbe dare il buon esempio, e invece...”

L'Avvocatura dello Stato dovrebbe pagare i suoi praticanti. Dovrebbe farlo per una questione etica. E nella fattispecie avrebbe dovuto farlo per legge, quantomeno per i praticanti accolti tra il 2015 e il 2017. Ma non l’ha mai fatto. La Repubblica degli Stagisti ha raccontato la storia di questi giovani, alcuni ormai più che abilitati, che da anni aspettano risposte e invece ricevono solo silenzi o rinvii. Poco più di un mese fa il senatore Riccardo Nencini ha presentato un’istanza di sindacato ispettivo al Presidente del Consiglio Draghi sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e della distribuzione delle borse. Tra il 2015 e il 2017 «centinaia di giovani laureati in giurisprudenza hanno svolto la pratica forense presso le avvocature distrettuali dello Stato assicurando un contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale e sostenendo notevoli spese e sacrifici per gli spostamenti e per lo svolgimento delle attività richieste dai procuratori e dagli avvocati», si legge nella premessa del documento. Nel testo viene precisato dettagliatamente quanto era stato disposto dalla legge del 2014, ovvero la ripartizione del 25 per cento delle spese legali a carico delle controparti recuperate dall’Avvocature e da destinare a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense. E come «a causa dei notevoli ritardi delle erogazioni, nel 2016 i praticanti di diverse articolazioni distrettuali dell’Avvocatura dello Stato avevano già sollecitato, invano, l’attuazione delle previsioni normative», ricevendo solo una replica in cui si ricordava che per applicare la disciplina era necessario «il preventivo esame della documentazione prevista dal regolamento oltre alla verifica contabile delle somme riscosse dalle avvocature, al fine di chiedere l’istituzione del nuovo capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero dell’economia dedicato al finanziamento delle borse di studio».Quel capitolo di spesa, sottolinea Nencini nella sua interrogazione, è stato poi istituito dopo due anni di silenzio specificando anche nelle note integrative del bilancio pluriennale che «La Categoria economica Trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private si riferisce alle borse di studio assegnate per lo svolgimento della pratica forense presso “Avvocatura dello Stato”». Eppure ad oggi quelle borse di studio previste dalla normativa non sono state ancora assegnate. «È assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza», perciò il senatore chiede di sapere se non si ritenga «doveroso intervenire al fine di sollecitare l’assegnazione delle borse di studio, così da colmare la grave mancanza di cui l’Avvocatura statale è responsabile».L’interrogazione è stata presentata ai primi di marzo e purtroppo non ha una scadenza entro cui ricevere una risposta. «I tempi sono imprecisati», spiega Nencini alla Repubblica degli Stagisti «ed è necessario premere sul ministero competente, ovvero il ministro della Giustizia. Quanto agli effetti che un atto di questo tipo possa avere, per prima cosa accende una luce sul problema» sconosciuto ai più, «e si iniziano a sensibilizzare Parlamento e Governo». L’iniziativa di Nencini, però non si ferma qui. Se la risposta del presidente Draghi continuasse a non arrivare, il senatore assicura «inizierei a parlarne con il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, cercando anche di allargare il cerchio dell’appoggio di altri senatori».  Nel frattempo resta ignoto il motivo di un ritardo di sette anni da parte dell’Avvocatura per scrivere un regolamento di assegnazione delle borse. «Con questa interrogazione si spinge il governo a fare in fretta. È una questione importante ed è bene che se ne discuta di faccia al parlamento».Intanto i giovani aspettano: una risposta da Draghi, una dall’Avvocatura e, per i praticanti del triennio 2015 – 2017, quel rimborso spese previsto dalla legge per cui le cui risorse sono già state stanziate. E al ritardo si aggiunge la beffa. Perché l’Avvocatura sul suo sito continua a pubblicizzare la pratica presso i suoi uffici. E a magnificare il lavoro dei praticanti. Nel Piano della performance del 2016 - 2018, del triennio 2018 – 2020 e del triennio 2019- 2021, l’Avvocatura riporta sempre lo stesso testo di elogio del lavoro dei praticanti avvocati al suo interno, «nel numero di 100 e con rapporto di presenza 1:1 con il numero di avvocati dello Stato nelle avvocature distrettuali». E ricorda che l’indagine svolta negli anni 2011-2012-2013 e conclusa nel 2015 «ha messo in risalto la diffusa stima di cui gode l’istituto e l’efficacia della funzione educativa svolta dall’Avvocatura dello Stato».Per ricavare informazioni sui suoi praticanti, peraltro, qualche anno fa l’Avvocatura mandò un questionario a 811 ex praticanti che si erano alternati tra il 2011 e il 2013, ricevendo solo 349 risposte. Il numero è però interessante, perché in una situazione in cui è difficile sapere con certezza quanti siano questi soggetti, si può partire già dal dato che in un triennio sono stati almeno 800 e che ad oggi, quindi, quel numero dovrebbe essere più che triplicato.L’attenzione per questo percorso continua anche oggi nonostante l’assenza di un rimborso spese. In tanti, ogni anno, continuano a far domanda nonostante all’atto della richiesta si debba compilare un foglio dichiarandosi anche consapevoli del fatto che questa pratica «non dà diritto al rimborso spese previsto dall’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012». Sono brillanti, con votazioni alte, una laurea entro i termini, eppure non meritano un emolumento per le prestazioni svolte. Valerio Stomeo, 30 anni, socio fondatore e referente area normativa del Coordinamento Giovani giuristi italiani, si è laureato nel febbraio 2016 e ha cominciato due mesi dopo la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale di Lecce. Il suo periodo di pratica, quindi, era nella fase in cui la legge prevedeva ancora il rimborso spese. Anche se «nella domanda che si presenta non si parlava minimamente delle borse di studio, anzi si chiedeva di dichiarare espressamente di essere consapevoli che la pratica presso l’avvocatura non dava diritto a ciò». Pur abitando in provincia di Lecce, a 40 minuti di distanza, ha speso nei mesi di pratica 440 euro solo come abbonamento ai mezzi. A questi andavano poi aggiunte le spese di cibo giornaliere. «Non avendo un reddito sono stati i miei genitori a pagare per i dodici mesi di pratica. Così per guadagnare qualcosa ho svolto in contemporanea il tirocinio ex articolo 73 presso il tribunale di Lecce». Una scelta dettata dalla speranza di ricevere un rimborso spese, che per quel tipo di stage viene assegnato al termine e in base all’Isee e alle risorse disponibili, con il rischio quindi di rimanere comunque a bocca asciutta. «Sono stato fortunato e rientrato tra quelli che hanno ricevuto 400 euro al mese per diciotto mesi, ma ricordiamo che quei soldi si prendono un anno dopo: il che significa affrontare comunque il primo anno senza alcuna entrata economica».Attenzione: i 400 euro al mese erano correlati alla sua attività di tirocinio “ex art 73” presso il tribunale del riesame di Lecce, che gli impegnava due giorni alla settimana dalle 8.30 alle 13.30, quindi circa una decina ore settimanali (che a volte diventavano quattordici). Non si riferiscono, i 400 euro, al praticantato presso gli uffici dell'Avvocatura, che gli impegnava i restanti tre giorni dalle 8.30 alle 18.30 e i due pomeriggi post tirocinio, e per le quali Stomeo come centinaia di suoi colleghi in tutta Italia in quegli anni avrebbe dovuto ricevere per legge un non meglio precisato emolumento mensile... quando in realtà, a causa del ritardo dell'Avvocatura nell'emettere il regolamento interno per l'erogazione di queste indennità – regolamento mai emesso in cinque anni! –  non percepiva nulla.Nel suo caso non è stato molto complicato conciliare le due esperienze, anche se questo significava comunque passare l’intera giornata fuori casa alternandosi tra un ufficio e l’altro. «Se la pratica presso l’Avvocatura fosse stata retribuita di sicuro non avrei deciso di fare le due esperienze contemporaneamente», spiega. E oggi non è così sicuro che ripeterebbe l’esperienza: «È stata formativa ma non ho ricavato molti vantaggi e se dopo non trovi lavoro, la formazione fine a se stessa non serve a molto».Le spese, però, possono essere anche più alte. Chiara, che preferisce non svelare il suo cognome, ha cominciato la pratica da avvocato da nemmeno un anno e dopo qualche mese in uno studio privato ha fatto domanda in Avvocatura. «Sapevo che non sarei stata retribuita e che non ci sarebbe stato un rimborso spese ma ho accettato lo stesso anche perché la mia condizione non sarebbe cambiata molto, visto che nemmeno l’avvocato presso cui stavo facendo pratica mi dava alcun rimborso». La giovane è convinta che sia «inaccettabile» che lo Stato legittimi una pratica tanto scorretta quanto ingiusta. Anche perché non ricevendo alcun rimborso, tutti i praticanti in Avvocatura sono costretti a fare anche altro. L’ipotesi più frequente – come infatti è accaduto a Valerio Stomeo – è il tirocinio ex articolo 73 che, su determinate basi, dà diritto a una borsa di studio. Anche Chiara lo sta svolgendo e sul doppio impegno dice: «Questo incide sulle prestazioni del praticante sia in termini di tempo a disposizione che di formazione personale e professionale».Come tutti quelli che hanno cominciato la pratica nel corso dell’ultimo anno, i costi sono in parte contenuti dal fatto che i praticanti, spesso, a parte le presenze in udienza non mettono piede in ufficio dal marzo 2020. Ma sono tutt’altro che esigui. Visto che ha calcolato che tra abbonamento ai mezzi pubblici per 18 mesi, «le varie quote di iscrizione ai Consigli dell’ordine degli avvocati di riferimento» e spostamenti vari, spenderà in totale più di 1.800 euro. Che nel suo caso potrebbero essere "ribilanciati" dai 400 euro al mese del tirocinio ex articolo 73, che pure sta svolgendo, e per cui proprio recentemente è stata pubblicata la graduatoria provvisoria per il 2019. «Ma l’Avvocatura, in virtù del suo ruolo e natura, dovrebbe dare il buon esempio e non contribuire a consolidare una prassi contraria ad ogni buona logica e diritto» dice Chiara, sacrosantamente. Insomma, i giovani praticanti avvocato iniziano a non tollerare più la situazione. E se anche le risposte non dovessero arrivare questo potrebbe essere l’ultimo anno di attesa. Prima di intraprendere altre strade e vedere finalmente riconosciuto il diritto a una pratica retribuita.Marianna Lepore

Covid e stage, le università si organizzano e i tirocini vanno (più o meno) avanti

L'Italia è in un nuovo, sostanziale lockdown. Come si stanno organizzando adesso le università rispetto ai tirocini di loro competenza, ovvero i curriculari e gli extracurriculari per neolaureati? A un mese dall'ultimo dpcm che ha tinto di rosso la quasi totalità delle regioni italiane, la bella notizia è che non sembrerebbe sia più in corso quella generalizzata interruzione dei percorsi a cui erano andati incontro gli stage dopo le prime chiusure a causa del Covid, quelle di marzo 2020. Neppure per i tirocini curriculari, che rientrando nell'ambito della didattica sono soggetti a essere sospesi al pari delle lezioni in aula, per proseguire ove possibile a distanza. Gli stessi sono anche quei percorsi spariti dai radar dei conteggi ufficiali purtroppo, non essendo più necessaria, dal 2007, la comunicazione obbligatoria della loro attivazione. Per questo la Repubblica degli Stagisti, secondo le cui stime i tirocini curriculari sono circa 200mila ogni anno, chiede da tempo una nuova legge che li regolamenti, non potendo bastare una norma di oltre vent'anni fa, il decreto ministeriale 142/1998, a cui tuttora si fa riferimento in assenza di un testo legale specifico per questa categoria di stage. Stando almeno agli atenei contattati dalla Repubblica degli Stagisti, la regola adesso è quella di consentire sempre il proseguimento dei tirocini ma da remoto, o tutt'al più in modalità mista, contenendo al massimo i disagi per gli studenti. A Padova però ci sono volute le proteste degli studenti per arrivare alla determinazione di non sospendere i tirocini curriculari. In un primo momento la decisione del rettore era stata infatti quella di sospenderli: «Le attività didattiche curricolari dell’università (lezioni teoriche e pratiche, esami di profitto e di laurea, tirocini curriculari) potranno essere erogate solamente a distanza» si legge in una pubblicazione sul sito dell'ateneo datata 15 marzo. Unica eccezione, le attività sanitarie, per le quali la presenza resta ammessa. Scoppiano le proteste degli studenti, e così si fa un passo indietro, due giorni dopo. Il 17 marzo sul sito compare un nuovo avviso, con cui si chiarisce che «è consentito lo svolgimento dei tirocini curriculari esterni se le attività non sono surrogabili da remoto».La decisione «è stata quella di rispettare la libera scelta di aziende e studenti» sottolinea Gilda Rota, responsabile del Career service dell'università di Padova, «e consentire il proseguimento degli stage quando possibile, nel rispetto dei protocolli sanitari». Anche perché un tirocinio a distanza non sempre è un'opzione praticabile: «Pensiamo a un ingegnere che si dovesse laureare senza aver mai visto una fabbrica in vita sua» sottolinea Rota. Oppure a chi studia per le professioni sanitarie: in quei casi il tirocinio a distanza è impossibile. Nel frattempo si sperimentano strade nuove per sopperire alla eventuale cancellazione degli stage. All'ateneo padovano ad esempio è nato per gli studenti di Economia il Virtual Stage, ovvero una piattaforma con corsi online che soppiantano i tirocini, nata «per consentire di laurearsi nelle sessioni di marzo, luglio, e ottobre 2021 senza che gli effetti della situazione sanitaria» si legge nella presentazione «possano rappresentare un ostacolo per l’ottenimento dei 10 cfu legati al tirocinio curriculare obbligatorio». Gli studenti possono così laurearsi senza perdere sessioni per colpa della mancata maturazione dei crediti formativi. Si può scegliere tra tre opzioni: seguire corsi online sulle competenze trasversali, analizzare percorsi professionali per riconoscere competenze di carattere tecnico proprie di alcune professioni, stendere una lettera motivazionale. Esiste anche un altro strumento «aperto a tutte le altre facoltà e che noi utilizzavamo già da qualche anno» dice Rota: una piattaforma «composta da quattordici moduli sulle soft skills che riguardano la transizione verso il mondo del lavoro», anche questa utilizzabile in tempi di Covid per maturare eventuali crediti mancanti. Anche all'università Bicocca la regola è quella di far proseguire gli stage curriculari «in presenza o in smart working» come chiarito sul sito. Mentre per quelli extracurriculari si va avanti «con la modalità a distanza, che è da preferire» evidenzia Vasyl Zhuk del Career service, «lasciando però la possibilità di assistere anche in presenza laddove possibile, e sempre nel rispetto dei protocolli sanitari». Il contraccolpo con la terza ondata di contagi non c'è stato, «anzi possiamo dire di essere tornati con le attivazioni dei tirocini per neolaureati quasi ai livelli pre Covid, con circa 35 nuovi stage attivati a marzo contro i 30 dello scorso anno nello stesso periodo». Identica la linea anche a Bari. Teresa Fiorentino, responsabile del placement, è netta: «Non possiamo permettere che gli studenti perdano ancora opportunità, quindi noi già dallo scorso maggio, almeno per i tirocini extracurriculari ci stiamo orientando sulla modalità mista, combinando il remoto e la presenza» spiega «anche perché le chiusure sono state fortemente penalizzanti e abbiamo avuto molti casi di studenti mai più richiamati per i tirocini una volta sospesi a causa della pandemia». Le Regioni, si sa, vanno in ordine sparso, «non c'è una linea condivisa da Nord a Sud». Il rettore dell'ateneo di Bari a un certo punto aveva perfino vietato i tirocini in presenza per le professioni sanitarie, «salvo poi tornare sui suoi passi, anche perché nel frattempo ci sono state le vaccinazioni», con il conseguente contenimento del rischio di contagio. Così, per andare avanti «noi ci atteniamo al principio per cui ciò non è vietato è consentito, come ad esempio gli stage fuori regione, che stiamo continuando a attivare» prosegue Fiorentino.Quanto a Roma, si legge sul sito della Luiss che «sono da considerarsi sospesi tutti i tirocini curriculari in presenza in corso nelle regioni in zona rossa, salvo poter proseguire nella sola formula a distanza». La zona rossa nel Lazio è stata però confermata fino al 29 marzo. «Da quel momento in poi, con il passaggio in zona arancione, non abbiamo avuto nuove indicazioni regionali circa la sospensione delle attività in presenza, che possono dunque proseguire» dice il Career service.Anche qui nel frattempo è nata un'iniziativa simile a quella di Padova, il Virtual Internship, un tirocinio a distanza che ha coinvolto finora circa 300 ragazzi e 40 aziende. Si tratta di «una opportunità di formazione della durata di cinque settimane dedicata agli studenti dell’ultimo anno di tutti i corsi di laurea magistrale e a ciclo unico» si legge sul sito. Dentro ci sono colossi come Accenture, Coca Cola, Enel, e la società di consulenza EY che fa anche parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. I tirocini virtuali vertono su progetti aziendali. «Un'alternativa al tirocinio curriculare per il conseguimento dei crediti formativi», nell'intento di preservare le opportunità formative per gli studenti nonostante il Covid. Ilaria Mariotti 

Un terzo delle opportunità di stage cancellato dal Covid, finalmente i dati inediti su tutto il 2020

Il Covid ha fatto calare esattamente di un terzo le opportunità di stage. Finalmente la Repubblica degli Stagisti è in grado di pubblicare i dati dell’intero 2020 e fare un confronto con l’anno precedente, per capire quanto la pandemia abbia impattato sui giovani (e meno giovani) e sulle dinamiche della transizione dalla formazione al lavoro.I numeri inediti ottenuti dal ministero del Lavoro raccontano l’andamento del 2020 trimestre per trimestre. Nel trimestre gennaio-marzo, solo parzialmente toccato dalla pandemia, il calo delle attivazioni di tirocini extracurricolari (gli unici monitorati e conteggiati a livello ufficiale) è stato pari a –18%. Poi c’è stato il vero e proprio crollo, in concomitanza con il primo grande lockdown: tra aprile e giugno gli stage in Italia sono calati del 73%. Il trimestre estivo è stato quello della ripresa, del ritorno a una parvenza di “normalità”, e quindi anche gli stage sono ripresi: infatti tra luglio e settembre il calo registrato è stato solo del 12%. E adesso sono arrivati anche i dati dell’ultimo trimestre del 2020, che fotografano una situazione in cui tra ottobre e dicembre 2020 è stato attivato quasi il 26% in meno (per la precisione, –25,7%) di stage rispetto allo stesso periodo del 2019.In numeri assoluti: 234.513 percorsi formativi extracurricolari attivati in tutta Italia nel 2020 a fronte dei quasi 356mila che erano partiti nel 2019. Il calo percentuale è dunque del 34,1%: vuol dire appunto che poco più di un terzo delle opportunità di tirocinio abitualmente disponibili in Italia sono state cancellate dal Covid.E bisogna subito dire che le donne hanno patito di più la riduzione di stage rispetto agli uomini: per loro il numero di attivazioni tra 2019 e 2020 si è ridotto di oltre il 36%, mentre il calo registrato per i maschi è rimasto appena al di sotto del 32%. Nel dettaglio, se è vero che i numeri dell’intero anno non sono disastrosi dal punto di vista del genere – dei 234.513 tirocini partiti nei 12 mesi, 114.304 pari al 48,7% ha riguardato donne, e 120.209 pari al 51,3% ha riguardato uomini – è la tendenza a preoccupare.Primo trimestre 2020, praticamente Covid-free salvo nell’ultimo dei tre mesi (marzo): il calo degli stage c’è ma è contenuto, solo grossomodo un –18%, e lo sentono lievemente più le donne (–18,1%) che gli uomini (–17,6%). Secondo trimestre, arriva la megabatosta, gli stage calano più o meno del 73%, e questa volta le donne sentono la botta ben più degli uomini, con uno “scarto di genere” di ben quattro punti percentuali: 74,7% di tirocini in meno attivati a favore di stagiste, contro il –70,9%  rilevato per i tirocini a favore di stagisti.Lo svantaggio per le donne continua anche nei numeri “in ripresa” del terzo trimestre: tra luglio e settembre il calo medio rilevato è del 12%, ma gli uomini patiscono solo un –10,3%, a fronte di un –13,7% delle donne. Lo “scarto di genere” resta oltre tre punti punti percentuali.E si arriva così al quarto trimestre, quello per cui sono ora disponibili i dati inediti. Qui la disparità di genere si fa clamorosa: a fronte di un –25,7% “generale” ci sono quasi nove punti percentuali di scarto tra le opportunità di stage andate perse per le donne (–29,9%) e quelle andate perse per gli uomini (–21,1%).    La disparità è ancor più evidente se si pensa che lo stage fino al 2019 era stranamente rimasto una “oasi” di parità di genere, con le occasioni equamente distribuite – trimestre dopo trimestre, anno dopo anno – in una misura del 50-50 tra stagisti e stagiste, o al massimo del 49-51 (e quasi sempre in favore delle donne). Nel 2019, per fare un esempio, si erano registrati 179mila stage attivati a favore di donne e poco meno di 177mila attivati a favore di uomini: insomma, parità perfetta. I dati assolutamente inediti arrivati dal ministero permettono anche di avere una qualche idea anche sull’impatto del Covid sull’efficacia del tirocinio come preludio all’assunzione. La probabilità di essere assunti dopo un’esperienza formativa è calata a seguito della pandemia, e sopratutto della crisi economica che la pandemia ha generato? Ovviamente sì.Se al ministero risulta che, delle 355.863 persone che avevano iniziato un tirocinio nel corso del 2019, ben il 43% sia poi stato assunto (nello stesso posto dove aveva svolto il tirocinio o altrove) nel corso dei primi sei mesi dopo la fine del tirocinio, questo dato scende a 17% se invece si considerano le 234.513 persone che hanno iniziato un tirocinio nel corso del 2020.Ma attenzione: questi dati sono da prendere con le pinze perché si riferiscono alle assunzioni avvenute nei sei mesi successivi alla fine del tirocinio. Dunque non bisogna dimenticare che una considerevole fetta dei tirocini attivati nel 2020 è tuttora in corso (basti pensare a quelli attivati a novembre-dicembre), e che gran parte dei i tirocini attivati nel 2020, anche se ormai terminati, non sono però terminati da molto. Per giunta i dati del ministero riportano il tasso di assunzione post tirocinio conteggiando le assunzioni realizzate “entro i sei mesi dalla fine del tirocinio ed entro il 31/12/2020”. Quindi dentro il 17% non ci sono nemmeno, per dire, le assunzioni degli stagisti 2020 realizzate in questi primi tre mesi di 2021. Ciò vuol dire che il quadro potrebbe cambiare molto quando, a fine anno, si potranno tirare le somme sulla sorte delle persone che hanno fatto uno stage cominciato nel 2020, lo hanno svolto, terminato, e rilevare cosa ne è stato di loro nei sei mesi successivi al termine del tirocinio, se sono state assunte o no, e con che tipo di contratto. È molto probabile che il 43% realizzato nel 2019 resterà un miraggio: ma quel che è sicuro è che il dato del 17% è destinato a salire (almeno un po’).L'unico confronto che potrebbe essere considerato calzante, sulla base dei dati a disposizione, è quello tra il tasso di assunzione rilevato per gli stage attivati nei primi tre mesi del 2019 e quello rilevato per gli stage attivati nei primi tre mesi del 2020. In questo caso abbiamo infatti numeri sostanzialmente omogenei, perché è verosimile che, pur con tutti i ritardi e sospensioni/riprese dovuti al lockdown, quasi tutti i tirocini attivati tra gennaio e marzo 2020 siano stati conclusi entro la fine del 2020 (è vero però che per alcuni di essi non c'è stato il tempo di "latenza" dei sei mesi, dunque la confrontabilità dei dati non è proprio perfetta neanche questo caso – ma come si dice: il meglio è nemico del bene).E vediamo allora questi dati del primo trimestre: nel 2019 erano partiti tra gennaio e marzo poco meno di 85mila tirocini. Di essi, secondo il ministero del Lavoro, il 46% ha portato a un contratto di assunzione di un qualche tipo (non necessariamente nello stesso posto di lavoro dello stage, beninteso) nei primi sei mesi dopo la fine dell'esperienza formativa. Nello stesso periodo del 2020 i tirocini avviati sono stati poco meno di 70mila, e solo il 36% ha fatto scaturire entro i sei mesi successivi un'assunzione. Dunque si può dire che, dai primissimi dati, il Covid abbia ridotto di circa un quarto le possibilità di assunzione post stage. Ma è veramente un dato “a tentoni”.Diverso sarebbe il discorso se il ministero avesse fornito i dati relativi alle assunzioni entro un mese dalla fine del tirocinio. In quel caso si registrerebbe l’efficacia immediata dello strumento del tirocinio come anticamera del lavoro (e inoltre si eviterebbe tutta l’incertezza dovuta ai sei mesi di “lasco” nel conteggio dei dati). Ma questo dato a un mese non è disponibile, almeno per ora, e dunque sull’impatto effettivo della pandemia sulle assunzioni post stage resta un punto di domanda.[La foto è di Christian Erfurt, tratta da Unsplash]

Indennità ai praticanti nelle Avvocature di Stato: promessa per legge sei anni fa, ma nessuno l'ha mai ricevuta

I giovani laureati in Giurisprudenza che fanno il praticantato per diventare avvocati devono ricevere una indennità mensile? Da qualche anno sì: è un loro diritto. Tranne in un caso: se svolgono il praticantato presso enti che per qualche motivo sono esonerati dal rispettare questa regola. Eh sì, perché mentre gli studi legali privati sono obbligati a rispettare questo principio (anche se ci sono, in effetti, modi per evitarlo... ma non divaghiamo) c'è chi è dispensato dal farlo. Nello specifico, l'Avvocatura dello Stato. Che quindi può ospitare praticanti senza doverli pagare. Già è triste che non ci sia un obbligo nel pagare i praticanti. Ancor più triste è la vicenda delle indennità mancate. Perché a un certo punto, sei anni fa, qualcuno si era accorto che non pagare i praticanti dell'Avvocatura era ingiusto, e aveva trovato un modo per destinare loro dei soldi. Atti, controatti, regolamenti: ma in sei anni nessuno è stato in grado di passare dalle parole ai fatti. Tanta attesa, e nemmeno un euro nelle tasche dei circa mille giovani che avrebbero avuto diritto a ricevere questa indennità.Proprio ieri un drappello di ex praticanti sarebbe dovuto scendere in piazza a Roma, sotto il ministero della Giustizia, a manifestare contro questa vergogna. Poi, causa contagi Covid tra i gruppi di partecipanti, l'evento è stato annullato. Ma l'iniziativa è stata assorbita in un'assemblea pubblica online, già prevista, che è ancora possibile visionare sulla pagina facebook del Coordinamento giovani giuristi italiani. E a inizio mese un parlamentare, il senatore Nencini, ha depositato un’interrogazione al governo Draghi in cui chiede conto dei 4 milioni di euro di soldi pubblici stanziati a suo tempo per pagare questi giovani, oggi ancora fermi, ed evidenzia come sia «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale vi sia una tale mancanza».Ricapitoliamo la vicenda: da molti anni i giovani possono svolgere il praticantato – gratuitamente – presso l’Avvocatura dello Stato, per un minimo di 20 ore settimanali, rispondendo a un bando di selezione che solitamente richiede una laurea con voto non inferiore a 105-106, votazioni alte a determinati esami, e un’età tra i 24 e i 27 anni.  A partire dal 2013 con il decreto 69 il percorso viene legittimato ai fini dell’accesso al concorso in magistratura. «Questa possibilità ha attirato un maggiore interesse per il tirocinio presso l’avvocatura dello Stato, perché oltre alla pratica forense qualificata avrebbe dato questa possibilità in più», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Antonino Cannetti, presidente del Coordinamento giovani giuristi italiani, associazione nata dall’incontro tra paraticanti ed ex praticanti delle Avvocature dello Stato. L’anno seguente la legge di conversione 114/2014 istituisce anche apposite borse di studio per i praticanti presso l’Avvocatura. E lo fa in un modo particolare. Stabilisce, infatti, che in ipotesi di sentenze favorevoli per le amministrazioni difese dall’Avvocatura, il venticinque per cento del recupero delle spese legali a carico delle controparti venga destinato alle borse di studio per la pratica forense. In poche parole «si accantonava un quarto della somma che fa parte della retribuzione accessoria del personale togato e la si faceva defluire in una sorta di fondo che serviva a finanziare le borse di studio», spiega Cannetti. C’è un problema, però: la legge 114 prevedeva anche che spettasse all’Avvocatura stabilire attraverso un suo regolamento interno le modalità, i tempi e l’erogazione delle borse. Eppure in sette anni non c’è traccia dei criteri per l’attribuzione di queste indennità mensili. Tutto questo nonostante le ripetute istanze presentate dai praticanti delle Avvocature in tutta Italia. Il motivo è facilmente intuibile: il personale togato non vuole affatto rinunciare a quella, seppur piccola, parte della sua retribuzione a favore dei praticanti. E dunque ha bloccato tutto con la tecnica dell' “ostruzionismo”, rallentando fino a paralizzare ogni passaggio e contemporaneamente agendo le vie legali per contestare il provvedimento.Ad oggi nessuno dei praticanti che si sono susseguiti dal 2015 in poi ha mai visto un emolumento. «Abbiamo fatto varie istanze di sollecito: la prima nel 2016 come Coordinamento giovani giuristi italiani al segretario generale dell’Avvocatura dello Stato» spiega Cannetti «facendo presente che la norma prevedeva dal primo gennaio 2015 l’accantonamento e l’erogazione e chiedendo spiegazioni». Il 22 dicembre 2016 l’Avvocatura generale dello Stato risponde formalmente spiegando che «era necessario aprire un capitolo di spesa presso il Ministero dell’economia e delle finanze», spiega Cannetti, per la richiesta di riassegnazione delle somme ai nuovi capitoli di spesa. L’Avvocatura spiega anche che precedentemente sarà necessario fare una verifica contabile delle somme riscosse. Solo a quel punto si potrà determinare a quanto ammonta quel venticinque per cento «dedicato al finanziamento delle borse di studio» e si potranno assegnare grazie alla «definizione di una disciplina specifica» all’epoca ancora in corso. Sono passati altri due anni per avere una risposta a una nuova istanza dei praticanti dell’Avvocatura che chiedevano i tempi di attivazione della procedura di valutazione comparativa per l’erogazione delle borse di studio. Poi il capitolo di spesa è stato approvato: nero su bianco ci sono le quote da destinare a borse di studio per la pratica forense presso l’avvocatura dello Stato, pari per l’anno 2018 a più di 2 milioni 180mila euro – da distribuire per la pratica a partire dal 2015 – e per le seguenti due annualità, 2019 e 2020, un milione di euro ciascuno. Per un totale di stanziamento già disposto con la legge del 2014 di oltre 4 milioni 180mila euro.Il 3 novembre 2018 l’Avvocatura scrive di aver iniziato «l’esame della questione dell’applicazione temporale della norma, nonché dei criteri di accesso alle borse di studio per lo svolgimento della pratica forense che dovessero istituirsi», e fa capire che non c’è alcun termine se non ipotetico entro cui debba provvedere a farlo. «I soldi sono stati accantonati, lo stanziamento è stato previsto fino al 2020 ma l’Avvocatura non ha mai emesso questo regolamento» precisa Cannetti. Per cui non si sa nemmeno alla fine a quanto dovrebbe ammontare questa borsa: se si fosse applicato un criterio simile a quello dei tirocinanti negli uffici giudiziari non sarebbe stato, come prevede la norma, più di 400 euro al mese per 18 mesi per un totale massimo di 7.200 euro a praticante. Ma questo con un criterio ripartito in base all’Isee, altrimenti se la distribuzione fosse stata più ampia, la somma sarebbe stata più bassa. Solo ipotesi, però, non essendo mai stato pubblicato un regolamento sul tema.Non solo, a un certo punto si aggiunge la beffa al danno: a fine 2017, con l’approvazione della nuova legge di bilancio, qualcuno decide di tagliare la disposizione che prevedeva l’accantonamento del venticinque per cento della retribuzione accessoria per le borse di studio che, quindi, «dal primo gennaio 2018 cadono, visto che la norma che le regola non c’è più». Quel venticinque per cento torna a far parte della remunerazione accessoria dell’avvocatura, con il personale togato «che era arrivato a portare il contenzioso in sede Tar, arrivando alla Corte costituzionale, per riavere quella cifra».Ora se da una parte può essere comprensibile che una categoria di lavoratori si mobiliti contro un taglio improvviso del proprio stipendio, è bene precisare che il personale togato non aveva visto tagli sulle mensilità fisse. Aveva subito – in teoria – una riduzione del venticinque per cento della retribuzione accessoria, quindi di quel guadagno aggiuntivo variabile che dipende dalle cause vinte. Ma, ecco, bisogna anche dire che il personale togato dell'Avvocatura è tutto tranne che mal pagato: anzi, l'importo annuo lordo è – o almeno, era una decina di anni fa – di 160mila euro all'anno di media. E dunque quei soldi destinati ai praticanti non avrebbero fatto una differenza così grande nella retribuzione complessiva dei 300 avvocati e 70 procuratori dello Stato. C’è poi un’altra precisazione da fare: la norma di fine 2017 non è retroattiva, per cui se anche dal 2018 l’Avvocatura fosse stata legittimata a non pagare i suoi praticanti, restano i tre anni precedenti per cui c’era una norma in vigore che prevedeva un pagamento e che non è stata rispettata.Per tre anni una legge dello Stato ha stabilito che questi praticanti andassero pagati, lasciando a un organo del nostro ordinamento giuridico il compito di decidere le modalità per distribuire questi rimborsi. In tre anni l’Avvocatura non è stata in grado di produrre questo regolamento e nel frattempo è arrivata una nuova legge che ha soppresso il pagamento (ma non retroattivamente). Eppure passati altri tre anni – in totale sei dall’inizio della storia – non si è ancora stati in grado di produrre un testo per distribuire queste somme – dovute – che sono già a bilancio. «Hanno un preciso vincolo di spesa», eppure sono ancora ferme lì, inutilizzate. Del regolamento non c’è traccia e una delle ultime richieste di accesso agli atti è stata respinta perché «materia potenzialmente oggetto di contenzioso». Il Coordinamento ha fatto anche un esposto alla procura della Corte dei Conti competente per il Lazio, ma non ha avuto risposta.Nel frattempo, oggi, chi sceglie la strada del praticantato presso l’Avvocatura dello Stato non percepisce alcun rimborso spese visto che non c’è una norma che obblighi a farlo. Anche perché, spiega Cannetti, «questo praticantato si muove anche in deroga rispetto alle previsioni e agli obblighi della legge forense. Quindi se negli studi privati dopo sei mesi è possibile pattuire un emolumento dell’attività del praticante, per l’avvocatura dello Stato non è così».Oggi i praticanti tra il 2015 e il 2017 sono abilitati, «alcuni addirittura lavorano come procuratori presso l’Avvocatura». Quelle risorse a loro destinate non sono state ancora distribuite. «Fino al 31 dicembre 2017 c’è anche una violazione della norma applicabile pro tempore. E poi ci sono dei soldi stanziati fino al 2020 per questo scopo, e visto che sono stanziati al di là della previsione e della norma, nulla vieta di destinarli per ciò per cui erano fin dall’inizio destinati. Basterebbe un passaggio formale coordinandosi con gli uffici del Mef e con la presidenza del Consiglio» spiega Cannetti, «se lo volessero non avrebbero difficoltà a erogare le borse fino alla fine dello scorso anno». Eppure, continua, «Qui ancora parliamo del regolamento che disciplina come distribuirle».Sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e nella distribuzione delle borse punta, come detto, anche l’interrogazione del senatore Nencini, che sottolinea il contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale svolto da questi praticanti che hanno dovuto anche sostenere notevoli spese e «chiede di sapere se non si ritenga doveroso intervenire per sollecitare l’assegnazione delle borse di studio», visto che è «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza». Questi giovani non hanno intrapreso vie legali per veder tutelati i propri diritti, nonostante gli estremi per agire in giudizio fossero presenti. «Abbiamo un bel ricordo del nostro praticantato, un’attività che abbiamo svolto con rispetto e non c’è volontà da parte nostra di porre in essere un contenzioso che abbiamo cercato in tutti i modi di risolvere». Per questo hanno cercato di ottenere risposte, senza risultato. La misura, però, ormai è colma. «Il 2021 per noi sarà l’ultimo anno di attesa delle risposte, prima di decidere di intraprendere anche un contenzioso». Marianna Lepore   Foto di apertura: di Sergio D'Afflitto da Wikipedia in modalità Creative Commons

Covid, che succede se lo stagista risulta positivo?

A un anno dallo scoppio della pandemia l'Italia sembra vivere un secondo semi-lockdown, ma per fortuna è anche in atto una campagna di vaccinazione. A questo punto vale la pena chiedersi: quali sono le tutele per gli stagisti in caso di contagio da Covid?Per prima cosa un chiarimento: il contagio da Coronavirus è considerato e quindi trattato come infortunio sul lavoro e non come malattia. La Repubblica degli Stagisti ha interpellato l’Inail per avere chiarimenti sulla situazione contagio da Coronavirus sul luogo di lavoro per quanto riguarda la categoria dei tirocinanti, ma è bene chiarire subito che le risposte – arrivate dopo quasi un mese e mezzo di attesa – si riferiscono quasi sempre al “lavoratore” e non al caso specifico degli stagisti. Anche i numeri a disposizione, utili per farsi un'idea generale della diffusione del fenomeno, sono relativi esclusivamente ai lavoratori. Secondo gli ultimi dati, riferiti fino al 31 gennaio 2021, i contagi sul lavoro da Covid denunciati all’Inail sono stati poco meno di 150mila (per la precisione 147.875), pari a circa un quarto delle denunce complessive di infortunio pervenute all’Inail dall’inizio del 2020. Quasi sette su dieci provenivano, come intuibile, dal settore della sanità e assistenza sociale. Secondo per numero di contagi il settore della pubblica amministrazione – ovvero Asl, amministrazioni regionali, provinciali e comunali – con poco più del nove per cento di denunce. Nessun dato disponibile, invece, sulla casistica dei tirocinanti contagiati. Leggendo i numeri si sa solo che i soggetti fino a 34 anni hanno denunciato un infortunio da Covid sul lavoro all’Inail sono stati 28.429, di cui cinque sono morti. Sono, però, tutti giovani lavoratori: il dato sugli stagisti, come detto, manca. A questo punto, vediamo nel dettaglio cosa succede in caso di positività al Covid sui luoghi di lavoro. Se un dipendente fa un test e risulta positivo, viene messo in quarantena e vengono attivate misure di contenimento, procedendo all’isolamento di tutte le altre persone che lavorano negli stessi locali. Ma se a risultare positivo è uno stagista?Innanzi tutto è bene ricordare che ogni volta che si firma una convenzione di stage c’è sempre l’obbligo assicurativo presso l’Inail, a carico del soggetto ospitante o del soggetto promotore, proprio per tutelare il tirocinante in caso di infortuni. E questo vale sia per i tirocini curriculari, previsti all’interno di un percorso di studi, sia per quelli extracurriculari, svolti per l’inserimento nel mondo del lavoro grazie a un periodo di formazione in un’azienda o studio professionale. Per entrambe le tipologie «sussiste l’obbligo assicurativo presso l’Inail e, di conseguenza, la relativa tutela, inquadrando per l’aspetto assicurativo il contagio da Covid 19 avvenuto in occasione di lavoro nella categoria degli infortuni sul lavoro, in quanto in questi casi la causa virulenta è equiparata a quella violenta», spiega alla Repubblica degli Stagisti Fausta Savone dell’ufficio stampa Inail.C’è però una differenza tra i due tipi di stage in fatto di assicurazione, che esisteva già prima della pandemia. Se infatti per i tirocinanti extracurriculari «è prevista la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro di tutte le attività rientranti nel progetto formativo, comprese quelle eventualmente svolte al di fuori dell’azienda, e quindi anche gli infortuni in itinere, lo stesso non può dirsi per i tirocinanti curriculari, per i quali quest’ultima tutela è da ritenersi esclusa». Questo significa che se all’interno dello stesso ufficio ci sono due stagisti, uno extracurriculare e uno curriculare, ed entrambi dovessero avere un infortunio – o, nel caso specifico della pandemia in atto, venire a contatto con un soggetto positivo al Coronavirus – nel tragitto verso l’azienda solo il tirocinante extracurriculare avrebbe diritto alla copertura assicurativa. Questo perché la tutela in itinere è esclusa per i tirocini curriculari visto che, si legge anche dal sito Inail, «gli infortuni devono essere ammessi a tutela nei limiti e alle condizioni previste per gli alunni e gli allievi dei corsi professionali e cioè quando si verifichino in occasione delle esperienze tecnico scientifiche, pratiche e di lavoro». In ogni caso, stabilire se il contagio sia avvenuto nel tragitto casa – ufficio o a contatto con altri lavoratori in ufficio è pressoché impossibile.  E infatti la risposta dell'Inail è sibillina: «l’accertamento del nesso causale viene effettuato caso per caso esaminando le cause e le circostanze dell’evento denunciato dal datore di lavoro, ricorrendo nei casi più complessi anche ad indagine ispettiva», il tutto secondo «orientamenti consolidati dalla scienza medico legale». La circolare Inail del 3 aprile 2020 fa un po' di chiarezza: vi si legge che «sono tutelati dall’Istituto anche i casi di contagio da nuovo Coronavirus avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere». Su questo punto l’Istituto ha fatto anche un’ulteriore precisazione scrivendo che «poiché il rischio di contagio è molto più probabile a bordo di mezzi pubblici affollati, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza è considerato necessitato l’uso del mezzo privato fino al termine dell’emergenza epidemiologica». Non solo, «la tutela assicurativa si estende anche ai casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti più difficoltosa. In tali casi la circolare spiega che si dovrà fare ricorso agli elementi epidemiologici, clinici, anamnestici e circostanziali, al fine di garantire la piena tutela». Ma si parla comunque solo di lavoratori.Bisogna poi vedere cosa succede se lo stagista è positivo al Coronavirus o sia entrato in contatto con un soggetto positivo e di conseguenza sia obbligato alla quarantena. L’ufficio stampa precisa che «la tutela Inail nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro presuppone una inabilità temporanea assoluta al lavoro fino alla guarigione clinica» e che, come stabilito dalla circolare 13 del 2020, «nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro il medico certificatore redige il certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail». Inoltre il datore di lavoro «una volta appreso dell’infortunio deve avvertire l’Inail mediante la comunicazione di infortunio attraverso il servizio denuncia/comunicazione d’infortunio, entro due giorni da quando il lavoratore gli ha fornito notizia dell’evento assieme agli estremi del certificato medico, con l’eventuale documentazione sanitaria allegata».Le prestazioni Inail nel caso accertato di infezione da Coronavirus sono erogate anche per il periodo di quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria con conseguente astensione dal lavoro. Savone precisa che «la tutela assicurativa Inail spettante nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, opera anche nei casi di infezione da nuovo coronavirus contratta in occasione di lavoro per tutti i lavoratori assicurati all’Inail, compresi tirocinanti e stagisti». Tutela che decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro attestato dal certificato medico di avvenuto contagio o coincidente con l’inizio della quarantena sempre a causa di Coronavirus.In caso accertato di infezione da Covid in occasione di lavoro l'Inail prevede l’inabilità temporanea assoluta al lavoro fino alla guarigione clinica. All’Istituto deve quindi arrivare la documentazione utile per l’apertura del caso di malattia – infortunio che è indispensabile per la verifica della regolarità sanitaria e l’ammissione del caso alla tutela Inail.A quel punto, una volta accertata la malattia e la conseguente inabilità al lavoro, chi paga il lavoratore? «Nel caso di soggetti assicurati che hanno contratto il contagio da Covid 19 in occasione di lavoro, la tutela assicurativa è a carico dell’Inail che provvede a erogare le relative indennità per il periodo di astensione dal lavoro». Se quindi, come l'Inail afferma, «la tutela assicurativa opera per tutti i lavoratori assicurati, compresi tirocinanti e stagisti» allora anche questi soggetti dovrebbero di fatto ricevere l'indennità a carico dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro durante l'astensione dal tirocinio. Ma la Repubblica degli Stagisti non ha ancora dati a supporto.Cosa fare invece per tornare in ufficio a svolgere lo stage una volta guariti? «Per il rientro/reintegro al tirocinio è necessario che si presenti al datore di lavoro il certificato di avvenuta negativizzazione e in caso di stagisti che siano stati ricoverati, che vi sia stata la visita del medico competente per verificare l’idonetà alla mansione specifica», spiega Savone, come stabilito anche dalla circolare ministeriale del 12 ottobre 2020. Fin qui le risposte dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. A queste va aggiunto quanto stabilito nel Dpcm del 3 novembre 2020 all’articolo 1 comma nn in riferimento alle attività professionali per cui si raccomanda «che siano attuate mediante modalità di lavoro agile, ove possano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza» e che «siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio». Questo significa che ai tirocini che si svolgono in presenza o in modalità mista è necessario applicare i protocolli di sicurezza anti contagio e che l’ente ospitante deve dichiarare all’università di assicurare anche nei confronti del tirocinante l’applicazione del Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e la prevenzione dal Covid 19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile dello scorso anno tra Governo e parti sociali. Come già detto, le risposte arrivate dall’Inail fanno quasi sempre riferimento al “lavoratore” e non al caso specifico dello stagista. E infatti, nella pratica, ad oggi in ambito di tirocinio si sta optando per altre modalità piuttosto che per la sospensione assoluta dal lavoro. Per quanto lo stagista sia equiparato al lavoratore e venga nei suoi confronti applicato il protocollo, fin quando possibile si continua con lo svolgimento dello stage in modalità a distanza.Prendendo, infatti, ad esempio le indicazioni dell’università Bocconi, se il tirocinante è risultato positivo al Covid durante lo svolgimento dello stage e questo si sta svolgendo in presenza o in modalità mista e le condizioni di salute del giovane lo consentono, allora «è possibile proseguire senza interruzioni in modalità a distanza durante il periodo di isolamento del tirocinante». Stessa cosa se lo stagista è in quarantena in attesa di tampone o perché contatto stretto di un positivo.Se, invece, le condizioni di salute non lo permettono «è possibile sospendere lo stage per il tempo necessario, con facoltà dell’azienda di recuperare la sospensione alla guarigione del tirocinante». Se, invece, il tirocinante «è entrato in contatto con persone dell’azienda si deve fare riferimento al Protocollo aziendale prevenzione Covid19». Sospensioni e modifiche devono sempre essere confermate dallo stagista e approvate dall’Università.Tenendo presente quindi le indicazioni Inail, conviene sempre farsi dare copia del Protocollo aziendale prevenzione Covid e allo stesso tempo dare un’occhiata alle indicazioni della propria università – o altro soggetto promotore – e a quelle adottate dalle singole Regioni. Nel Lazio, per esempio, il tirocinio va sospeso in caso di quarantena o isolamento, adottando la causale della sospensione per malattia lunga. La tutela Inail resta la stessa ovunque, ma la possibilità eventualmente di procedere con il tirocinio a distanza – soprattutto se asintomatici – dipende dalle singole situazioni.Ad oggi però, come detto, non è dato conoscere il numero degli stagisti infortunati Covid e i dettagli sul trattamento economico che hanno ricevuto e stanno ricevendo dall’Inail come indennizzo. Non appena l'Inail ce li fornirà, torneremo a occuparci di stagisti con il Coronavirus sulle pagine della Repubblica degli Stagisti.  Marianna Lepore

Stagisti "anziani": raddoppiati in otto anni quelli tra i 35 e i 54 anni, triplicati gli over 55

Il dato sull'età media degli stagisti del terzo trimestre 2020, con il calo significativo degli under 25 (per loro le attivazioni di stage tra luglio e settembre sono diminuite del 17%, facendo un confronto con lo stesso periodo dell'anno precedente) e il balzo in avanti della classe degli over 55, aumentati addirittura del 20%, ha riacceso i riflettori sul fenomeno degli stagisti avanti con l'età.Ed effettivamente siamo di fronte a una crescita che negli anni è stata costante e addirittura clamorosa. Qui sulla Repubblica degli Stagisti già nel 2016 avevamo dato l'allarme nell'articolo “A cinquant'anni non è giusto essere stagisti, per almeno cinque ragioni”, riprendendo poi il tema nel 2018 (“Sempre più stagisti in Italia, e sempre più vecchi”). Da allora la situazione non è cambiata, anzi: in otto anni, tra il 2012 e il 2019, il numero di  persone tra 35 e 54 anni coinvolte in esperienze di tirocinio extracurricolare è aumentato di quasi il 90% – cioè è quasi raddoppiato, passando da poco meno di 26mila a poco meno di 49mila. E il numero di persone di oltre 55 anni è più che triplicato, da poco più di 3mila a quasi 10mila.Nel dettaglio, andando indietro di quasi un decennio a compulsare i numeri riportati nei vari Rapporti annuali sulle Comunicazioni obbligatorie del Ministero del lavoro, si scopre che nel 2012 erano stati attivati 25.807 tirocini su persone tra 35 e 54 anni, più 3.139 su persone di oltre 55 anni; tali numeri erano saliti rispettivamente a 28.077 e 3.405 nel 2013 e a 29.979 e 4.077 nel 2014.E hanno continuato a salire negli anni, tanto che l’ultimo Rapporto sulle CO, quello pubblicato nel 2019, si legge che nel 2018 sono partiti 46.126 tirocini a favore di persone tra 35 e 54 anni più 9.430 a favore di persone di oltre 55 anni; nel 2019 questi numeri sono arrivati a 48.613 e 9.733.Chi sono questi stagisti anzianotti? Cosa cercano – e cosa trovano – negli stage? È davvero ragionevole ridurre una persona di cinquant'anni, che magari ha già vent'anni di esperienza lavorativa alle spalle, al rango di stagista, come se fosse un giovane alle prime armi?Ormai è automatico, quando si parla di questo tema, pensare alla faccia del grande Robert De Niro sorridente e incravattato stagista nell'azienda ipertecnologica della giovane startupper Anne Hathaway nel film del 2015 The Intern (titolo tradotto ne “Lo stagista inaspettato”). Attenzione però: lì De Niro interpretava il ruolo di un neopensionato vedovo, benestante, con figli e nipoti lontani, tanto tempo libero e poca voglia di passare le sue giornate davanti alla tv o al parco a dar da mangiare ai piccioni. L'internship rappresentato nel film era più un periodo di volontariato, una sorta di programma di inclusione di pensionati ad alto potenziale di esperienza lavorativa in azienda: al punto che nella versione inglese uno dei payoff del film era “Experience never gets old”, l'esperienza non invecchia mai.. Insomma De Niro non aveva bisogno dello stage né per guadagnarsi da vivere né per reinserirsi nel mondo del lavoro. Era, per lui, un hobby.Ma non è così per le quasi 10mila persone over 55 coinvolte in tirocini extracurricolari in Italia nel 2019. Ben più probabile che si tratti di persone in grande difficoltà, disposte a tutto pur di poter ottenere un compenso mensile – e pace se, anziché una vera e propria retribuzione, sarà solo una indennità di stage – nella speranza di riqualificarsi e riuscire a ottenere un nuovo lavoro, per non restare disoccupati per gli ultimi dieci o dodici anni prima di raggiungere l'età della pensione. Allora bisogna chiedersi: qual è, in ultima analisi, il fine principale degli stage? È addestrare a una specifica mansione oppure orientare una persona inesperta verso il mondo del lavoro, permettendole di fare una esperienza on the job e di sviluppare quelle soft skills che sono trasversali rispetto a tutte le mansioni lavorative – come comportarsi sul posto di lavoro, come interagire con colleghi e superiori, come rispettare le deadline, come rapportarsi con clienti e fornitori...?Perché se concordiamo che la finalità degli stage sia questa seconda, allora utilizzarli su persone già molto avanti con l'età, già avvezze alle interazioni nel mondo del lavoro è completamente inappropriato.La verità è che molto spesso gli stage per persone over 35 e specialmente per persone over 55 sono stati considerati degli ammortizzatori sociali di ultima istanza, impropri, una sorta di extrema ratio quando tutte le altre misure (dalla cassa integrazione ai sussidi di disoccupazione) erano state esaurite. Nelle normative vigenti in Italia – che sono ben ventuno: una per Regione e addirittura due diverse per le Province autonome di Trento e di Bolzano – non sta scritto da nessuna parte che uno stage extracurricolare non possa essere attivato per persone oltre una certa età. Non vi sono limiti anagrafici, e dunque questi quasi 60mila stage attivati nel corso del 2019 per persone di oltre 35 anni non hanno infranto nessuna normativa.A parte, forse, il principio etico che vorrebbe che a ogni età della vita venissero offerte opportunità adeguate; e che una persona di cinquant'anni, che magari ha anni di esperienza lavorativa alle spalle conclusi malamente, oppure ha lavorato in casa crescendo qualche figlio, non fosse costretta a ripartire dalla casella del via, fianco a fianco con ventenni appena usciti dalle superiori o dall'università. La questione dell'umiliazione psicologica di fare un tirocinio in tarda età viene raramente considerata. A torto.E non andrebbero nemmeno ignorate le diverse esigenze economiche delle varie età della vita: non percepire contributi – cosa che accade, naturalmente, per gli stage dato che essi non sono contratti di lavoro e non valgono nulla ai fini pensionistici – può non essere drammatico per un 22enne alle prime armi; per un 40enne invece creare un buco nel suo profilo contributivo è ben più problematico. Allo stesso modo, percepire poche centinaia di euro al mese come indennità può essere già un buon trattamento economico per il nostro 22enne, che fino a quel momento è stato mantenuto dalla sua famiglia; lo stagista 40enne invece come farà a farci stare la rata del mutuo, le bollette e magari il dentista per i figli?Questo è solo un accenno a tutta la miriade di motivi per cui utilizzare lo strumento dello stage su persone adulte – o addirittura quasi anziane – non è una buona idea. Certo, ci sono le eccezioni. Certo, ci sono i 50enni entusiasti che giurano che fare uno stage ha cambiato la loro vita, permettendo un cambio di carriera altrimenti inimmaginabile. Questi casi esistono. Solo che sono una esigua minoranza. Il resto dei 30enni, dei 40enni, dei 50enni non vorrebbe uno stage. Vorrebbe un lavoro, grazie mille.Eleonora Voltolina

Stage da 1.200 al Comitato delle regioni UE, malgrado il Covid «cerchiamo di assicurare un tirocinio memorabile»

Sono circa 50 in totale, suddivise in due tornate, le opportunità di tirocinio con indennità che offre ogni anno il Comitato delle Regioni europeo (CoR) di Bruxelles. L'organo, composto da 329 membri rappresentanti dei 27 Paesi europei, conta su 525 dipendenti e opera in rappresentanza delle comunità regionali e locali «facendosi loro portavoce». La pandemia sembra aver avuto un qualche effetto sul numero totale delle application pervenute. Sono state solo 2.795 quelle per la sessione della primavera 2021 (dunque per il ciclo di stage appena iniziato), secondo i numeri forniti dall'ufficio tirocini, a fronte delle 3.150 depositate per la sessione primaverile 2020 e delle 3.120 per la sessione autunnale dello stesso anno. Una leggera flessione – un dieci per cento in meno – che non si riflette però nelle application provenienti dagli italiani, che nello stesso arco temporale sono cresciute invece del 25%: rispettivamente 1.112,  1.169 e infine 1.424 per l'ultima tornata. Tanto che anche gli italiani selezionati sono cresciuti da due a sei. Un trend, quello dei nostri connazionali, che si verifica per quasi tutti i programmi di tirocinio delle agenzie europee e degli organismi internazionali, e che sembra confermarsi a ogni bando.Le candidature aperte al momento sono quelle per la sessione autunnale, che si svolgerà dal 16 settembre al 15 febbraio 2022: la deadline è fissata per mercoledì 31 marzo. Cinque mesi di tirocinio accompagnati da una borsa di studio di circa 1200 euro mensili, «tassabili a seconda delle diverse legislazioni di appartenenza del candidato», e con supplementi «del 10 per cento in caso di tirocinanti con coniugi disoccupati o con figli a carico» come chiariscono le faq.La particolarità di quest'anno – non potrebbe essere altrimenti per via della pandemia in corso – è quella della possibilità di svolgere lo stage sì da casa, «ma nella città Bruxelles» specifica alla Repubblica degli Stagisti Marcel Lysoněk dell'ufficio tirocini. «Il telelavoro è la norma al momento» specifica, nel senso che è già applicato per i tirocini in corso: «Il Comitato delle Regioni fornisce a tutti i tirocinanti un laptop aprendo l'accesso alla rete di lavoro interna». E come per ogni altro membro dello staff del CoR, prosegue Lysoněk, «il telelavoro non può essere svolto dal Paese di provenienza a meno di circostanze eccezionali, quali situazioni difficili per motivi familiari, forme severe di lockdown, assenza di collegamenti aerei o ferroviari».  Solo in questi casi, «la questione va sottoposta all'ufficio tirocini il prima possibile, in modo da trovare una soluzione appropriata». Il viaggio a Bruxelles, sia di andata che di ritorno, rimane comunque coperto, come avviene nella maggioranza dei casi dei tirocini Ue, sempre che si completino almeno tre mesi di stage dei cinque totali. In più è riconosciuta anche una copertura per gli spostamenti con i mezzi pubblici nella capitale belga. I requisiti per fare domanda corrispondono alle consuete condizioni poste dai bandi delle istituzioni Ue. Vale a dire la cittadinanza europea, una laurea almeno triennale, una conoscenza eccellente di una delle lingue europee e una conoscenza anche solo 'sufficiente' di inglese o francese. Escluso dalla possibilità di candidarsi è invece chi abbia avuto oltre otto settimane di incarichi presso qualche istituzione della Ue. La procedura per la candidatura è tutta online. Per la lettera di motivazione, specificano le faq, «meglio non inserire dati personali». Questo per «assicurare che il processo di selezione sia il più possibile obiettivo, anonimo e basato sul merito». Ragion per cui, proseguono le faq, «il database non consente ai dipartimenti di effettuare ricerche indicando nomi o dati personali come per esempio le foto». Per i candidati attuali la selezione finale sarà a giugno, con intervista telefonica inclusa, a cui si accederà dopo una mail che avvisa dell'inserimento nella lista dei finalisti e la richiesta eventuale di spedizione di documenti a supporto della propria domanda.Ma non finire nella lista finale «non significa non essere abbastanza qualificati» tranquillizzano le faq: «Ci teniamo a sottolineare che non si tratta di una valutazione negativa del vostro percorso accademico o professionale» scrivono. Il significato è solo che «è stato trovato un migliore abbinamento tra candidato e esigenze delle varie unità, e non un migliore candidato». Bisogna indicare almeno tre dipartimenti presso i quali si vorrebbe lavorare. La struttura del CoR è indicata qui. La scelta può cadere sugli uffici legali, le aree comunicazione, le direzioni risorse umane e finanza, la logistica, gli uffici per le traduzioni; ma sono poi i diversi dipartimenti a filtrare i candidati a seconda delle posizioni vacanti del momento. E sulle diverse attività del Comitato potrebbero esserci variazioni dovute al Covid: «Come per tutti i Paesi Ue, le misure sanitarie di contenimento dei contagi potrebbero avere un impatto sulle attività pensate per gli stagisti» sottolinea Lysoněk «quali conferenze o altri eventi, che potrebbero tenersi esclusivamente online». La speranza è che la pandemia il prossimo autunno sia già scemata, ma – proseguono dall'ufficio tirocini – per le restrizioni in corso al momento, «le opportunità di incontrare di persona colleghi o altri tirocinanti sono giocoforza limitate». Benché il CoR «stia facendo il possibile per accogliere gli stagisti e assicurare loro un tirocinio interessante e degno di essere ricordato».Ilaria Mariotti