Collaborazioni a partita iva per tappare i buchi di organico, il ministero della Cultura così «camuffa altri tipi di contratto»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 07 Dic 2021 in Notizie

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Altro giro, altra corsa: il ministero della cultura in chiusura d’anno pubblica l’ennesima selezione volta a colmare le carenze di personale con figure a tempo senza alcuna politica di lungo termine. È successo con l’ultimo bando, scaduto lo scorso 25 novembre, per 150 incarichi di collaborazione per selezionare archivisti esperti che firmeranno un contratto di collaborazione della durata massima di 24 mesi e che non potrà protrarsi oltre il 31 dicembre 2023. Ultimo di una lunga serie di selezioni di questo tipo rivolte non solo ad archivisti.

In questo caso la giustificazione era quella di rientrare tra gli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, per assicurare il funzionamento degli Archivi di Stato e delle soprintendenze archivistiche grazie all’inserimento di nuove risorse. Per colmare il vuoto, però, solo due anni di collaborazione, a partita Iva per giunta, per 130 ore mensili e per un massimo di due anni. Con un compenso previsto per 25mila euro annui, oltre cassa previdenziale ed iva, quindi circa 2mila euro al mese. Poi tanti saluti e ognuno a casa sua.

«Il bando presenta diverse criticità», spiega Federica Pasini, 27 anni, laureata in storia dell’arte e attualmente operatrice museale, componente dell’associazione Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali nata a fine 2015 per ottenere dignità ed eque retribuzioni per tutti i lavoratori e professionisti del settore culturale. «Innanzitutto chiedere una collaborazione a partita Iva per un lavoro continuativo come questo con un monte ore molto importante serve a camuffare altri tipi di contratto. La partita Iva serve per chi ha collaborazioni occasionali in cui magari tratta il proprio tariffario e impone il monte ore, ma per un’archivista sicuramente no. I 25mila euro, poi, sono lordi, si richiede una specializzazione molto alta e non si ripaga tutta la professionalità. Si richiede uno sforzo incredibile e lo può fare solo chi ha le spalle già coperte da un punto di vista economico».

Si tratta dell’ennesima richiesta da parte del ministero nel corso di quest’anno di figure altamente specializzate a cui affidare compiti importanti con contratti provvisori, come la partita iva, nonostante le carenze di organico. Un allarme lanciato anche dall’Associazione nazionale archivistica italiana, Anai, che ha scritto – insieme ad altri enti e società che trovano negli archivi e nelle sovrintendenze archivistiche risorse preziose – un appello  ai ministri della cultura e dell’università, Dario Franceschini e Maria Cristina Messa, per portare alla loro attenzione la situazione di imminente collasso degli istituti archivistici statali. «Una crisi strutturale, in rapida evoluzione da molti anni», alla cui base c’è il mancato turn over del personale a partire dal 2012: «Ancora una volta si sconta il colpevole ritardo con cui si affronta la drammatica carenza di personale nel settore degli archivi con un provvedimento di assunzione temporanea, diventato ormai costume nel Ministero, che attribuisce poco più di un funzionario ad ogni istituto», spiega Micaela Procaccia, presidente Anai, alla Repubblica degli Stagisti. «Questo tipo di assunzioni non risolve affatto i problemi, perché la durata delle collaborazioni consente appena di introdurre il personale assunto nel lavoro concreto degli Istituti per poi estrometterlo, una volta formato ad affrontare le specificità del lavoro in Archivio di Stato e Soprintendenza».

Il bando scaduto a fine novembre «è veramente assurdo» secondo Federica Pasini soprattutto perché con contratti temporanei colma una carenza di personale notevole su cui in tanti hanno lanciato l’allarme. Prima fra tutte proprio l’Anai che nell’appello di pochi giorni fa ha segnalato un possibile peggioramento nel corso del prossimo anno. Perché all’interno di Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche «l’organico è ormai ridotto a meno della metà».
 
«I dati a suo tempo forniti dalla stessa Direzione generale archivi del Ministero prospettano una carenza di personale che si avvia ad essere al di sotto del cinquanta percento dell’organico previsto nel prossimo anno», continua Procaccia, «e non parliamo solo degli archivisti ma di tutti i profili: dagli amministrativi ai custodi, indispensabili per un funzionamento delle sale di studio». In pratica archivi, musei, pinacoteche si svuotano dei propri dipendenti con conseguenze non solo nella tenuta e gestione del materiale ma con ricadute evidenti anche nella possibilità dei cittadini di poter visitare questi luoghi. Perché allora il ministero non riesce a colmare questa carenza di personale? «Bisognerebbe chiederlo al ministero. Quando fu deciso il blocco del turn over per i dipendenti pubblici non fu prevista un’eccezione per il settore, che sarebbe stata doverosa da parte di governi che trasversalmente si sono vantati del patrimonio culturale italiano, come invece fu previsto per forze dell’ordine e vigili del fuoco».

Non solo non si pensò di introdurre una deroga, ma in tutti questi anni il ministero non ha pensato nemmeno di coprire queste carenze di personale con contratti degni di tal nome: «La partita iva sembra essere la moda degli ultimi 12 mesi, quest’anno sono usciti molti bandi di questo tipo», osserva Federica Pasini. E infatti il 2021 è stato il periodo dei bandi a tempo del Ministero della cultura: si è partiti con quello pubblicato a fine 2020 che chiedeva fino a 15 anni di esperienza per collaborare a partita iva pochi mesi con le Soprintendenze di tutta Italia, poi a gennaio è stata la volta dei tirocinanti ultraspecializzati, a marzo il turno è stato per 80 collaborazioni, di cui 49 catalogatori, per la Direzione generale biblioteche e diritto d’autore e ora questo per 150 archivisti.

Un uso spregiudicato di tirocini e partite iva in un settore in cui mancano proprio gli impiegati. «In passato non era prevista la partita Iva per la selezione degli esperti, basti pensare a quella avvenuta nel 2016», osserva la presidente Anai Procaccia. «Le ragioni che hanno determinato questa scelta sono, forse, relative alle procedure di controllo contabile ma certamente penalizzano professionisti qualificati che, per partecipare, devono dotarsi di partita Iva e affrontare le conseguenze economiche di questa scelta».

E quando non sono contratti a tempo o tirocini ecco che arrivano nuovi accordi tra ministeri per riempire i vuoti di organico, sempre per trovare qualcuno che faccia il lavoro per cui sarebbero necessari dei dipendenti. L’ultimo accordo è di inizio novembre tra il Mic e il ministero della giustizia per far lavorare i detenuti nei luoghi della cultura: dalla Reggia di Caserta alla Pinacoteca di Bologna o al Palazzo Ducale di Mantova o in decine di biblioteche e di archivi. «Ci siamo già espressi in merito: non ha senso. Prima di tutto perché è necessaria una professionalità e competenza che non tutti hanno e soprattutto perché se c’è carenza di personale, un funzionario deve già gestire da solo l’archivio e non può certo garantire un percorso formativo adeguato a queste persone. Bisogna prima colmare i vuoti di organico e poi dedicarsi a progetti di questo tipo. Invece si fa il contrario, si sostituisce il personale con queste categorie più fragili. Non ha alcun senso», osserva ancora Pasini. «L’uso di detenuti in attività di digitalizzazione di documentazione è già accaduto per la realizzazione di alcuni progetti anche importanti, come per i processi relativi al rapimento e uccisione di Aldo Moro, con la rigorosa condizione che l’intero lavoro fosse preceduto da un riordinamento delle carte realizzato da archivisti professionisti e che tutto avvenisse sotto la direzione di archivisti di Stato», spiega la presidente Anai Micaela Procaccia. «Dove questo non è accaduto il risultato è stato talmente carente da consigliare di rifare il lavoro dall’inizio. E quindi si torna al problema principale: se non ci sono archivisti di Stato chi indirizzerà il lavoro e lo controllerà?»

In un Paese che di cultura potrebbe vivere tranquillamente, si tamponano solo le mancanze senza pensare a un progetto di lungo termine. «Le nostre battaglie vanno avanti» spiegano dall’associazione Mi Riconosci? «dalla regolamentazione dell’abuso del volontariato all’introduzione di un salario minimo. Cerchiamo stabilità e miglioramenti delle condizioni lavorative». Anche se, di questi tempi, il ministero sembra voler seguire tutta un’altra strada.

Marianna Lepore

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