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Aumentare il numero di donne nelle professioni tecnico scientifiche, Assolombarda ci prova con Steamiamoci

Ci sono ancora troppe poche donne che fanno mestieri tecnico-scientifici. Il che, con buona pace di chi è rimasto al Medioevo e vorrebbe le donne ancora solo angeli del focolare, non è un bene per l'economia e per la società. Alla fine del 2016, per incentivare le ragazze a scegliere percorsi formativi “steam” (che sta per Science, Technology, Engineering, Arts, Mathematics) Assolombarda – l'associazione confindustriale che raggruppa quasi 7mila imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza, Pavia – ha lanciato STEAMiamoci. Si tratta di un progetto che vuole essere «soggetto promotore, nonché agente catalitico e sintesi di iniziative che hanno l’obiettivo di mobilitare e valorizzare anche i talenti femminili nelle professioni tecnico scintifiche» riassume alla Repubblica degli Stagisti Anna Carmassi, tra le cinque donne di impresa – insieme a Emanuela Calderoni, Lara Botta, Laura Rocchitelli, Marzia Maiorano e Francesca Del Bo – che ha lanciato il progetto e oggi project leader di STEAMiamoci. Nel nome, «che vuole essere un’esortazione, l’acronimo STEM si completa con la A di arte, per includere ogni aspetto del sapere».Nel mondo la percentuale femminile occupata in ruoli Stem si aggira attorno al ventiquattro per cento e scende al 19 in ruoli manageriali, secondo un’indagine Linkedin. Negli Stati Uniti solo il 14 per cento di tutti gli ingegneri e un quarto di tutti i professionisti IT è donna. In Italia nell’Ict le donne impiegate sono il 15 per cento del totale, numero che scende per ruoli di direzione tecnica, ricerca, sviluppo e produzione. Quanto le scelte fatte siano motivate da una volontà e quanto invece da una consuetudine di genere influenzata da famiglia e scuola non è ancora dato sapere. E proprio progetti come questo cercano di invertire la rotta.Al tavolo di STEAMiamoci sono rappresentati i diversi comparti dell’industria e dei servizi e a questi si aggiungono atenei, pubbliche amministrazioni, enti internazionali e istituzioni diplomatiche. «È un progetto nato dal sistema Confindustria e le aziende associate possono aderire in qualsiasi momento, a titolo gratuito. In modo analogo aderiscono associazioni ed enti», spiega Carmassi. «Le attività che svolgiamo sono molteplici e in ambiti molto diversi tra loro: incontri di orientamento nelle scuole e di sensibilizzazione nelle aziende, valorizzazione di best practices e iniziative delle imprese, interviste a role model e gruppi di lavoro su progetti specifici».In pratica chi aderisce a STEAMiamoci – sono già una novantina le imprese, più quattro università e 44 altri enti – attua o ha intenzione di attuare azioni concrete orientate al superamento degli stereotipi, soprattutto nelle aree tecnico scientifiche. Ci sono gruppi di lavoro che nascono su sollecitazione di chi partecipa al tavolo e trattano tematiche diverse: dalla leadership alla didattica della matematica, alla comunicazione. «Gli obiettivi vengono stabiliti autonomamente dai gruppi stessi costituiti da donne e uomini molto collaborativi, di età ed esperienze diverse. Il prossimo 22 giugno nell’ambito della nostra riunione collegiale, ne conosceremo gli argomenti e lo stato di avanzamento», aggiunge Carmassi.STEAMiamoci alimenta le sinergie tra chi è parte di questa rete e fa da cassa di risonanza delle diverse iniziative. Il progetto non coinvolge, però, solo aziende lombarde. «Nell’aprile 2020 è nato l’asse Milano – Napoli: niente costi di adesione, disponibilità a collaborare». Un primo gemellaggio dunque tra Assolombarda e l’Unione industriali di Napoli «con l’obiettivo di replicare su quel territorio le iniziative già realizzate a Milano e confrontarci per sviluppare congiuntamente altre attività». A quelle due associazioni confindustriali oggi si sono aggiunte, della galassia confindustriale, tre rappresentanze internazionali, una rappresentanza regionale, un'associazione con perimetro regionale, dodici associazioni di territorio, una federazione di settore, una associazione di settore: «a testimoniare la voglia di essere, insieme, fattore inclusivo e accelerante di un efficace cambiamento culturale nel Paese». Ai tavoli STEAMiamoci si raggruppano aziende, atenei, istituzioni sempre con il fine di condividere idee e creare sinergie. Diverse le azioni in campo, a partire dall’erogazione di borse di studio legate a percorsi di istruzione STEM. Il progetto è attualmente in fase di revisione ma negli ultimi tre anni sul territorio di Milano sono state erogate annualmente 10 borse di studio del valore di mille euro lordi ciascuna più un premio speciale aggiuntivo all’anno di 5mila euro lordi intitolato a Maria Gaetana Agnesi – matematica milanese, prima donna autrice di un libro di matematica e prima a ottenere nel 1750 una cattedra universitaria di matematica presso l'università di Bologna – alle migliori studentesse iscritte al primo anno di informatica dell'università Bicocca. «L’assegnazione delle borse di studio è stato il primo gesto concreto per incoraggiare le ragazze a intraprendere percorsi di istruzione tradizionalmente considerati maschili, a esprimere le loro attitudini e a investire in una formazione molto richiesta dalle aziende». Inizialmente erogate sul territorio milanese, il 2021 vedrà l’assegnazione di questi premi anche ad altre realtà del territorio nazionale.Non solo borse di studio, però. A disposizione di chi abbia voglia di trovare un modello di riferimento cui ispirarsi c’è la sezione “Protagoniste del Futuro”, una raccolta di profili di donne – ad oggi sono 75 – che si distinguono nel mondo delle imprese, della ricerca, dell’accademia le cui interviste sono pubblicate sul sito e diffuse sui canali social. Testimonianze mostrate anche durante gli incontri di orientamento e diffusione delle materie STEM dedicati alle scuole di ogni ordine e grado dove parlano proprio imprenditrici, donne manager o scienziate. C’è poi la rassegna cinematografica gratuita “Dove osano le donne”, organizzata presso la sede di Assolombarda Confindustria Milano, che ha visto tra il 2017 e il 2019 la proiezione  di tredici film che raccontano storie di successo tutte al femminile e in cui prima di ogni proiezione è proposto dal vivo un intervento a tema. La pandemia ha sospeso questa attività in attesa di trovare una nuova modalità di fruizione.Tra gli aderenti a STEAMiamoci ci sono anche alcune aziende virtuose del network RdS: tra queste EY, che ha iniziato a far parte del progetto due anni fa. Il gruppo EY in Italia conta circa 5.500 dipendenti, con un’età media intorno ai 33 anni e una distribuzione di genere praticamente paritaria (51-49). «Abbiamo deciso di aderire al progetto perché crediamo che ogni singola azienda possa dare un certo contributo importante; e nel momento in cui lo si mette in comune con Assolombarda e altre aziende, e si fa “rete”, l’impatto che si può avere è decisamente maggiore», spiega Francesca Giraudo, EY Italy Talent Leader: «Abbiamo partecipato con una serie di iniziative in un percorso di investimento di EY sul tema dell’avvicinamento in particolare delle donne alle materie Stem. E tra queste l’iniziativa a cui abbiamo dedicato più energie si chiama EY4NextGeneration, un programma che stiamo facendo con Valore D e Aiesec di supporto alle nuove generazioni».L’attività di EY all’interno del progetto STEAMiamoci si concretizza in «orientamento nelle scuole, partendo dalle scuole superiori con progetti di alternanza, webinar dedicati, mentoring one to one e altre iniziative, come dei concorsi soprattutto a livello europeo in cui chiediamo alle donne di candidarsi e presentare dei progetti  che poi partecipano a un percorso di selezione, Un altro modo per incentivare le donne alle tematiche stem. E poi lavoriamo tanto sulla cultura, sulla mentalità». Steamiamoci un ulteriore tassello in un impegno quotidiano verso l’inclusione. «Il tema di riuscire ad attrarre donne che abbiano fatto un percorso stem o che siano orientate alla tecnologia è veramente un elemento che ci permette di sopravvivere sul mercato. Oggi se non sei inclusivo, se non hai orientamento al futuro, alla tecnologia e alle competenze stem, non sei competitivo e metti a rischio il tuo business».«Ai webinar abbiamo avuto 1072 iscrizioni, di cui 672 ragazze, mentre nel mentoring one to one abbiamo avuto 81 persone di cui 44 donne focalizzati su tematiche stem 24». La pandemia Covid ha logicamente rivoluzionato anche questo settore e se prima tutto si svolgeva in presenza  oggi, invece, è tutto online. «L’online però ha facilitato il mentoring one to one, perché precedentemente era troppo dispendioso. Quindi secondo me ha senso che resti tale, mentre le attività formative ritorneranno in presenza, magari non tutto il percorso. E tra i nostri target ci sarà di assumere almeno un 50% di neolaureati che provengono da atenei che non sono i principali di Roma e Milano per coprire tutta Italia».Per il futuro EY progetta di portare avanti EY4NextGeneration, «lavorando sempre più in parnership con le università». L’obiettivo è interessare le persone «a un percorso di competenza stem per non spaventare le donne verso dei percorsi che sono pienamente nelle loro corde».Tanti progetti nell’ultimo anno e mezzo sono saltati causa pandemia, ma tra i risultati più importanti raggiunti da STEAMiamoci di Assolombarda c’è anche «la scelta di affiancare il Premio ITWIIN dell’Associazione italiana donne inventrici e innovatrici, per premiare le donne più brillanti del nostro Paese e consentire alla vincitrice di accedere alla successiva competizione internazionale», come conferma Anna Carmassi: «Dopo le territoriali di Napoli e Milano, la prossima edizione, in programma per novembre 2021, potrà contare sul supporto di Unindustria Roma». Per seguire le attività di STEAMiamoci è possibile visitare il sito o  seguire i profili social su instagram o linkedin per rimanere aggiornati su iniziative e progetti. Marianna LeporeFoto di apertura: di Nasa/Goddard/Jessica Koynock da Flickr in modalità Creative CommonsFoto in basso a sinistra: di OECD/Christian Moutarde da Flickr in modalità Creative Commons

Rapporto Giovani, quota dei Neet lievitata a causa della pandemia

La pandemia ha aggravato le condizioni di vita dei giovani italiani, in particolare dei Neet. La denuncia arriva dall'ultima edizione del Rapporto Giovani, nona indagine sui Millennials nati tra i 1980 e il 2000 realizzata dall'Istituto Toniolo in collaborazione con università Cattolica, Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo. Secondo il rapporto, gli inattivi sotto i 34 anni sono passati da una incidenza del 28,9 del 2019 per cento al 30,7, con un divario dalla media Ue salito dall'11,6 ai 12,3 punti percentuali. «Per i giovani non c'è mai stata una ripresa a partire dalla punta più elevata della crisi economica italiana registrata nel 2012» commenta Alessandro Rosina [nella foto sotto], demografo e coordinatore dell'Osservatorio Giovani che edita il rapporto, al webinar di presentazione del volume nei giorni scorsi. «L'indicatore dei Neet è stato introdotto nel 2010» sottolinea, «e da allora l'Italia è rimasta il Paese con il record negativo della loro presenza nella popolazione, con un divario rispetto alla Ue mai ridotto nel tempo». Avevamo la maglia nera in tempi normali, «e siamo stati quelli che sono peggiorati di più in anni di crisi»: si tratta di un fardello «che non possiamo più portarci dietro: in assenza di politiche adeguate il rischio è la cronicizzazione di tale condizione e diventare destinatari passivi del reddito di cittadinanza» chiosa Rosina.La conseguenza sarà l'esclusione sociale permanente, «con rinuncia definitiva a solidi progetti di vita» tra cui la genitorialità, è l'allarme lanciato dal rapporto. Soprattutto per la fascia più adulta dei Neet, quelli over 30, che nell'ottanta per cento dei casi si dichiarano insoddisfatti della propria vita, contro una quota pari a circa alla metà degli altri coetanei. Lascia allibiti anche il dato sulla scarsa conoscenza di uno dei mezzi introdotti a livello europeo, nel 2014, per contrastare proprio il fenomeno dell'inattività giovanile, ovvero Garanzia Giovani. Quasi la metà dei 18-24enni dice di non saperne nulla. In totale un terzo non conosce lo strumento e chi lo conosce afferma di averne solo una vaga idea, segno che «a scuola non si parla dei mezzi che riguardano il lavoro e le nuove generazioni» conclude Rosina. Ulteriore affondo per un orientamento già di suo poco applicato. Anche se, da parte sua, la ministra per le Politiche giovanili intervenuto al webinar Fabiana Dadone ricorda la recentissima apertura di «una piattaforma, Giovani 2030, aggregatore di tutte le opportunità destinate ai giovani, nazionali e internazionali, per evitare che i giovani a caccia di opportunità si disperdano tra i vari siti». Il malessere sociale dà poi manforte allo sfruttamento, perché tra chi naviga in cattive acque economiche ben il 41,7 per cento si dice disposto a accettare un qualsiasi lavoro, contro il 33,3 per cento di chi sta economicamente meglio. E i progetti di vita si sospendono. Tra gli intervistati che vivono ancora con i propri genitori, al di là di chi sta ancora studiando, a prevalere decisamente nelle motivazioni sono le difficoltà oggettive: oltre uno su tre non è in grado di affrontare i costi di un’abitazione, contro uno su cinque che dichiara di stare bene così. Chi risponde di non potersi permettere una casa arriva al 49 per cento nel caso dei Neet, contro il 27 per cento di chi ha un lavoro stabile. «Mancano le condizioni per realizzare progetti di vita» evidenzia Rosina: «Fino alla fine del secolo scorso la metà di chi restava a casa dichiarava di non andarsene perché a proprio agio in quella sistemazione; oggi quei giovani sono diventati uno su cinque, quindi solo una minoranza». A precipitare sono anche le finanze dei giovani, «che rappresentano un dei gruppi maggiormente colpiti da condizioni di vulnerabilità e fragilità economica» secondo il report. Gli effetti della pandemia sono al momento ancora accennati, ma lo studio «segnala il reale rischio di un ulteriore peggioramento» si legge nel comunicato. Il 42 per cento degli intervistati tra i 18 e i 34 anni afferma di vivere in una situazione economica «non buona», e uno su quattro fornisce la stessa valutazione per la famiglia in cui vive.La crisi sanitaria ha reso ancora più dipendenti dalla famiglia di origine. Se si considera che nelle famiglie che percepiscono il reddito di cittadinanza, la percentuale di chi ha un titolo di studio basso sfiora la metà contro un terzo del resto dei giovani, «l'esito potrebbe essere quello di rafforzare le disuguaglianze e porre ancora un freno alla mobilità sociale» è scritto nel rapporto. «Solo il cinque per cento della popolazione gode del novanta per cento della ricchezza e una persona su quattro è a rischio povertà» secondo i dati forniti nel webinar dal sociologo dell'università di Genova Mauro Migliavacca, curatore all'interno del Rapporto Giovani del capitolo sulla povertà, la cui incidenza «è in crescente aumento», per cui fondamentale sarà «supportare il reddito dei giovani». E creare un salto di qualità attraverso il Next Generation Ue, «risorsa principale che l'Italia ha per tornare a crescere e essere competitiva» rilancia Rosina. E che «dovrà coinvolgere i giovani, senza lasciarli sullo sfondo», auspica Dadone. È importante «che si sentano parte di qualcosa». Ilaria Mariotti 

La scienza non è per soli uomini: in Lazio ora c'è una proposta di legge per incentivare le ragazze a studiare le STEM

«Le ragazze vengono dissuase dallo studio delle materie scientifiche fin dall’età di undici anni». E' l'allarme lanciato da Michela di Biase, consigliera regionale PD nel Lazio e prima firmataria di una proposta di legge relativa al sostegno della formazione e dell’inserimento lavorativo delle donne in ambito Stem. I numeri parlano chiaro. Secondo dati Censis 2019 le laureate in Italia sono pari al 56 per cento del totale e sono la maggioranza anche negli studi post-lauream: quasi sei su dieci iscritti a corsi di dottorato, master o corsi di specializzazione. Eppure continuano ad essere minoranza nei percorsi di studio in scienza, tecnologia, ingegneristica e matematica, nonostante siano proprio gli ambiti in cui è più facile trovare poi un’occupazione.E ancora: il rapporto AlmaLaurea 2018 sul profilo dei laureati attesta che gli uomini che nel 2017 hanno conseguito un titolo universitario in un percorso Stem sono quasi sei su dieci e in alcuni settori, come quello ingegneristico, più di sette su dieci. La proposta di legge di Di Biase prende lo spunto anche da altri numeri, come quelli dell’indagine Pisa 2018, che ogni tre anni valuta le competenze dei quindicenni rispetto alle capacità di lettura, la matematica e le scienze. Indagine che racconta un paese in cui esiste uno dei divari di genere più profondi riguardo alle abilità matematiche. In Italia la differenza tra ragazzi e ragazze sui risultati in matematica è di 16 punti contro una media Ocse di soli cinque punti. Dietro l’Italia ci sono solo il Costa Rica e la Colombia. Dati che si rivelano drammatici se poi se ne vedono i risvolti occupazionali. Quasi otto lavoratori su dieci in ambito Stem è maschio, con una presenza ancora più alta ai vertici delle società Ict, che arriva al 97 percento nei ruoli di presidente di società.Il percorso del testo di legge è cominciato da poco in Commissione lavoro, formazione e pari opportunità, presieduta da Eleonora Mattia che alla Repubblica degli Stagisti spiega: «È appena iniziato il 22 aprile il ciclo di audizioni che mira a coinvolgere i vari stakeholder e costruire un dialogo condiviso per arricchire il testo base. Abbiamo inaugurato questo percorso con la Rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, il Rettore dell’università Roma Tre Luca Pietromarchi e il Rettore di Tor Vergata Orazio Schillaci». Una presenza che Mattia giudica un «segnale importante rispetto a quella alleanza tra istituzioni e agenzie educative e formative, tra la società civile e la politica, oggi più che mai urgente per far fronte alle sfide che la pandemia e la ripresa ci impongono».È ancora presto per conoscere i tempi di approvazione, «Ora si proseguirà con un altro ciclo di audizioni» spiega alla Repubblica degli Stagisti Michela Di Biase, «È una legge di cui donne e uomini hanno bisogno, perché parliamo di diritti e di civiltà, per guardare a un mondo più moderno, lontano dagli stereotipi che hanno segnato il passato e spesso relegato le donne a percorsi di studio o carriere lavorative per le quali non erano portate a scapito degli studi scientifici».«Tutti i dati ci mostrano come a soffrire di più gli effetti della crisi odierna sono le donne e i giovani» dice Mattia: «Nel 2020 tra gli under 24 abbiamo registrato un calo dell’occupazione pari al sette per cento nel Lazio e non meno preoccupante il dato sulle lavoratrici con un calo di 33mila unità a fronte di una flessione degli uomini di sole 14mila». E il motivo per cui gli effetti della crisi pesino di più sulle donne: «è legato alla natura stessa dell’occupazione femminile, tendenzialmente più precaria e aggravata da un carico di lavoro di cura non retribuito assolutamente sbilanciato a loro sfavore. Tra gli elementi che contribuiscono al gap di genere c’è sicuramente la segregazione formativa ossia la tendenza delle ragazze ad evitare percorsi formativi altamente specializzati come quelli in materie tecnico scientifiche perché considerati appannaggio maschile».La diversità di scelta negli studi e di interesse verso la matematica non avviene però solo dalle scuole superiori in poi ma è qualcosa di trasversale a tutti gli ordini scolastici. «Differenze significative si rilevano già a sette anni ed aumentano con l’età» e sono poi responsabili delle scelte scolastiche e universitarie finendo per riflettersi nell’occupazione e relativa retribuzione delle donne. Perciò è importante incidere sulla fascia di età a partire dalle scuole medie: la causa più importante del gap in questo settore sta infatti negli stereotipi che involontariamente genitori e insegnanti e soprattutto la società trasmettono alle bambine.La proposta di legge è ancora più importante se si considera che non ha precedenti in altre regioni italiane. Di Biase si spinge oltre: «Intanto è una battaglia di civiltà e di parità. I dati poi ci dicono che questa è la strada giusta: l’80 per cento delle professioni del prossimo futuro richiederà competenze di tipo digitale e le Stem sono il settore occupazionale che registrerà la maggiore crescita. È importantissimo non tenere fuori le donne da questi percorsi. E non è solo un problema di parità nel mercato del lavoro: escludere le donne dall’innovazione, dalla progettazione e dalla gestione tecnologica riproduce le disparità esistenti tra i generi limitando le possibilità dello stesso sistema economico di utilizzare appieno le risorse potenzialmente a disposizione». Più donne al lavoro non deve essere solo uno slogan, perché Bankitalia ha dimostrato come far salire l’occupazione femminile al sessanta per cento farebbe aumentare il Pil di ben sette punti percentuali.Destinatari diretti delle risorse della proposta di legge saranno enti locali, università, scuole, enti di ricerca con sede nella regione Lazio per le iniziative e i progetti che attueranno tra quelli previsti dalla legge e indicati nel Piano che sarà poi predisposto dalla Giunta regionale. Quindi non direttamente le studentesse. Tra gli utilizzi dei fondi ci sono anche le borse di studio, anche per i dottorati, di cui beneficeranno le giovani donne. Bisognerà, quindi, leggere in un secondo momento i bandi dei singoli progetti per verificare se la residenza in regione sarà un fattore discriminante o meno. È ancora presto, invece, per conoscere le disposizione finanziarie perché solo una volta conclusa la discussione e il voto sugli articoli si trasmette il testo in commissione bilancio dove si elaborano le risorse da stanziare. In pratica prima di questo passaggio non è possibile sapere quanto si investirà se la legge dovesse essere approvata.L’obiettivo della proposta è favorire e incentivare azioni a favore delle donne nel Lazio, promuovendo e finanziando programmi, progetti e interventi per la promozione dell’uguaglianza e delle pari opportunità e focalizzandosi in particolare nella diffusione della passione fin dall’infanzia per le materie scientifiche e della consapevolezza delle opportunità anche professionali che proprio le discipline Stem possono offrire.Nel 2020 la ricerca «Perché i giovani italiani non studiano informatica?» ideata da Repubblica degli Stagisti e Spindox, società di consulenza informatica aderente all’RdS network, in collaborazione con l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo aveva raccontato come le giovani donne italiane avrebbero intrapreso altri studi se informate sugli sbocchi lavorativi. Quasi quattro donne su dieci, infatti, tornerebbero sulla decisione di non studiare materie informatiche, con un dato ancora maggiore al Sud. Anche perché la richiesta di professioni nel settore ICT cresce ogni anno mediamente del 26%, con picchi del 90% per nuove professioni come Business Analyst e specialisti dei Big Data – i dati provengono dall'Osservatorio delle Competenze Digitali – e i profili contrattuali e retributivi che le aziende del settore ICT offrono ai propri stagisti e dipendenti sono di qualità molto superiore alla media. Ma pochi giovani – e pochissime donne – possono cogliere queste opportunità, semplicemente perché non hanno le competenze necessarie.La proposta di legge Di Biase è «fondamentale per contrastare pregiudizi e promuovere la formazione e occupazione delle donne in settori in cui la loro presenza è fortemente limitata» assicura Mattia alla Repubblica degli Stagisti, e illustra quali potranno essere i provvedimenti: «Penso a interventi previsti per le studentesse della scuola secondaria di primo e secondo grado per stimolare la passione e l’apprendimento delle discipline tecnico-scientifiche, favorire la consapevolezza e la valorizzazione delle competenze oltre che percorsi di orientamento che promuovano le carriere scientifiche». Ci sono poi borse di studio dedicate, percorsi di tirocinio formativo e i corsi di istruzione e formazione tecnica superiore rivolti prevalentemente alle ragazze nel campo della programmazione, sviluppo digitale e data analysis.La proposta prevede che la Regione «promuova e sostenga progetti e interventi per la promozione dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Vogliamo che le istituzioni favoriscano le studentesse verso le materie Stem, incoraggiandole fin dalla più giovane età. È prevista anche l’istituzione di un osservatorio regionale sulle pari opportunità e la violenza sulle donne», aggiunge Di Biase «che monitori la situazione nel Lazio sugli stereotipi di genere e in particolare al gap di conoscenze e occupazione tra le donne e gli uomini rispetto alle materie scientifiche».Se la legge dovesse quindi essere approvata saranno finanziate iniziative per stimolare l’apprendimento delle materie Stem «rivolte alle alunne della scuola secondaria di primo grado, programmi di orientamento allo studio per le studentesse delle superiori, oltre a borse di studio e dottorati industriali dedicati alle ragazze e formazione per i docenti sugli stereotipi di genere» spiega la consigliera regionale. A queste politiche si aggiungono anche tirocini e corsi di formazione professionalizzanti per fornire competenze in campo scientifico alle giovani donne. Al momento non esiste ancora una previsione sull'investimento che la Regione intende fare su questa proposta di legge - elemento non indifferente per capire nella sostanza quanto sia importante il tema - perché è una valutazione che farà il bilancio soltanto una volta che il testo verrà votato in commissione. Marianna LeporeFoto in basso a destra: da Flickr in modalità Creative Commons di NASA/Goddard/Jessica Koynock 

Your First Eures Job, ultimo biennio: 3,5 milioni di euro per aiutare 1.300 giovani a trovare lavoro in Europa

Tira le somme Your First Eures Job, programma della Commissione Ue per la mobilità professionale dei giovani under 35 anni in cerca di occupazione, gestito da Anpal, agenzia per le politiche attive, e Eures, rete di cooperazione europea dei servizi per l’impiego, con il finanziamento del fondo europeo Easi per un importo pari a 3 milioni e 555mila euro per gli ultimi due anni di attività. Ed ecco i risultati dell'ultimo biennio chiuso proprio pochi giorni fa, il 30 aprile. I giovani coinvolti sono stati 1.730, donne per oltre la metà dei casi, mentre il tasso di placement raggiunto ha toccato quota 1.276. «Il traguardo prefisso di 1.500 è stato sfiorato di poco» si legge nel comunicato, «nonostante gli ostacoli imposti dall’emergenza epidemiologica» iniziata a febbraio 2020, proprio a metà dell'ultima edizione. Più dei due terzi dei partecipanti «hanno ottenuto un contratto di lavoro, il 79 per cento, anche a tempo indeterminato: 39 per cento» fa sapere Catia Mastracci, coordinatrice nazionale Eures-Anpal. I tirocini attivati sono stati invece «il dodici per cento del totale, mentre gli apprendistati il nove». Al progetto hanno partecipato giovani di ventisette nazionalità, nella quasi metà dei casi italiani (sono stati il 28 per cento del totale), e spagnoli (il 48 per cento), uno su tre di età compresa tra i venti e i trent'anni, e concentrati soprattutto nella fascia 23-26 anni. E ancora, di questi un terzo «aveva un'istruzione di tipo terziario», mentre i Paesi di destinazione sono stati soprattutto «Germania, Bulgaria, Olanda». Le aziende partecipanti sono state 366, per lo più piccole e medie imprese operanti «in settori economici tra cui spiccano sanità, informazione e comunicazione, attività amministrative e di supporto» prosegue Mastracci. Ma per farsi un'idea più precisa dei profili ricercati si può curiosare nella sezione Hot Jobs del sito: ci sono per esempio al momento offerte per un transport manager in Austria, come cameriera in un ristorante giapponese ad Amsterdam, e ancora come baby sitter in Germania. Per le aziende, così come per i giovani candidati, sono previste diverse tipologie di finanziamento, ed è proprio questa una delle particolarità del progetto. Ai datori di lavoro vanno infatti contributi fino a 2mila euro per la formazione di ogni giovane – ad esempio attraverso un programma di integrazione come l'apprendimento della lingua. Per i giovani invece sono erogati contributi per le prime spese di spostamento: 2mila euro per pagare un corso di lingua, 600 euro per andare a sostenere un colloquio all'estero, 1400 euro per il trasferimento, 400 euro per il riconoscimento di titoli. Per i tirocini, «per i quali a volte i rimborsi non raggiungono cifre sostenibili»  precisa Mastracci, «sono stanziati contributi fino a 600 euro per tre mensilità». «Ognuno dei 1.730 giovani coinvolti ha ricevuto almeno uno di questi benefit» sottolinea ancora la coordinatrice, «mentre per le pmi, sono state in 176 a usufruire dei contibuti, per un totale di 408 giovani formati».  Le difficoltà legate al Covid hanno pesato. «Con la chiusura dei confini nazionali si è creato il paradosso della mobilità bloccata» ha spiegato Mastracci, «e per molti giovani all'estero si sono verificate sospensioni o interruzioni dei percorsi». Visto il momento inoltre, «è stata sospesa nella fase di emergenza la possibilità di reclutare fuori dall'Italia figure mediche o di infermieri». Possibilità «che è stata adesso riaperta». L'iniziativa, rivolta ai giovani tra i diciotto e i trentacinque anni, punta a combinare offerta e domanda di lavoro proveniente dai Paesi Ue coinvolti. Il tutoraggio avviene da ambedue i fronti. Si caricano i curriculum su una piattaforma, e i consulenti Eures si occupano della prima scrematura e del matching con le offerte di lavoro. Sulle aziende che reclutano si realizzano dei «check di qualità», specifica Mastracci, «per verificarne la credibilità», e alle stesse si viene in aiuto con un supporto pre-selezione nella ricerca di un profilo specifico non presente nel proprio Paese. Your First Eures Job cambierà pelle in futuro. È infatti stata lanciata l’iniziativa Eures Targeted Mobility Scheme, il nuovo programma mirato di mobilità che unifica l’esperienza dei progetti Your first Eures job e Reactivate, rivolto agli over 35. La linea di finanziamento continuerà a essere quella di Easi, ma «fornirà, uniformando la platea dei destinatari, misure di sostegno a tutte le persone di età superiore ai 18 anni in cerca di lavoro o di un nuovo lavoro, a tirocinanti e apprendisti e lavoratori di ritorno». Scompare insomma il tetto massimo di età fissato a 35 anni. E tra le novità è prevista anche l’estensione delle misure ai cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso di soggiorno Ue di lunga durata. «La sfida per il futuro sarà contribuire a sviluppare mercati del lavoro sempre più inclusivi» si legge nel comunicato. Lo scopo sarà «sostenere una mobilità professionale equa, sulla base di un mercato del lavoro trasparente dove venga garantito facile accesso alle informazioni e piena condivisione delle offerte di lavoro».Ilaria Mariotti 

Lombardia, oltre 500 tirocini attivati durante lo stop: ACTL Sportello Stage e gli altri che non hanno rispettato le regole

Questa è la storia di qualcosa che è successo l’anno scorso, ma che viene alla luce solo adesso. Una vicenda accaduta in Lombardia che riguarda il “mercato degli stage”: a qualcuno questa espressione non piace, ma che quello degli stage sia un mercato per molti versi simile al mercato del lavoro è innegabile. Il fulcro della vicenda è che la Regione a un certo punto, per un mese e mezzo, aveva vietato di attivare tirocini extracurricolari: eppure in quel periodo qualcuno ha continuato ad attivarne – venendo meno alle indicazioni regionali, realizzando in qualche caso anche profitto dalla “disobbedienza”, e creando una situazione di concorrenza sleale verso gli altri soggetti promotori che invece avevano scelto di rispettare il divieto.Nella primavera del 2020, appena dopo lo scoppio della pandemia, la Regione Lombardia aveva deciso di sospendere la possibilità di attivare nuovi percorsi di tirocinio. La situazione era molto difficile da gestire, il Covid dilagava, il governo aveva appena decretato il lockdown totale, le aziende arrancavano per continuare a lavorare, attrezzandosi per lo smart working. Con tutto quello che c’era a cui pensare, gli stagisti erano l’ultima delle priorità. Anzi, un grattacapo in più.Dunque: niente più avvii di nuovi tirocini extracurricolari tra il 31 marzo e il 18 maggio 2020. Ne avevamo dato notizia subito, il 1° aprile, qui sulla Repubblica degli Stagisti nell’articolo «Stop all'attivazione di nuovi tirocini dalla Regione Lombardia “fino al permanere delle restrizioni”». Ma, in realtà, in quel periodo di attivazioni ce ne sono state. Era risultato chiaro fin da subito: alcuni soggetti promotori rispettavano il divieto, altri invece no. Per averne conferma, già l’8 maggio del 2020 il consigliere regionale Pietro Bussolati del Partito Democratico aveva avanzato una istanza: una “richiesta di accesso agli atti” in cui chiedeva informazioni rispetto a quanti tirocini extracurricolari risultavano «essere stati attivati sul territorio della Regione Lombardia a partire dal 1° aprile 2020 (dunque successivamente al comunicato della Regione datato 30/03/2020) secondo i dati delle Comunicazioni Obbligatorie (CO)» e rispetto a chi fossero «i soggetti promotori che dal 1° aprile hanno attivato tirocini sul territorio della Regione Lombardia».La Regione non ha risposto per oltre dieci mesi. Qualche settimana fa è arrivata, finalmente, la replica ufficiale con i dati richiesti. In quel periodo di divieto sono stati attivati in Lombardia oltre 500 tirocini, per la precisione 529. La risposta è firmata da Sabrina Sammuri, direttrice generale della Direzione Lavoro della Regione Lombardia. Nel testo Sammuri specifica che «l’ufficio competente ha avviato verifiche puntuali, ancora in corso, sull’effettività e sulle motivazioni che hanno portato gli operatori a scostarsi dagli indirizzi regionali» e che «i primi riscontri di tali verifiche consentono di ricondurre il fenomeno a due casistiche essenziali».La prima di queste casistiche sarebbe quella dell’errore umano, cioè della imprecisione nel compilare le scartoffie: «in alcuni casi, le comunicazioni di avvio di tirocinio sono riferite in realtà a proroghe di tirocini sospesi che, per errore materiale, sono state inserite come comunicazioni di nuovo avviamento». Ma quante sviste potranno esserci state, oggettivamente? Confondere un nuovo avvio con una proroga non è così frequente.La seconda casistica sembra più consistente: «In altri casi, si tratta effettivamente di nuovi avvii per i quali il piano formativo ha previsto lo svolgimento dell’esperienza formativa con modalità “a distanza” e per i quali l’operatore – riferendosi ad un precedente comunicato regionale  – ha interpretato in senso estensivo gli indirizzi regionali, intendendo ammissibili nella modalità “a distanza” anche nuove esperienze di tirocinio».La spiegazione della direttrice Sammuri sembra però un po' debole. Non c’era, in realtà, posto per dubbi. A maggior ragione considerando il fatto che la Regione aveva anche pubblicato il 18 aprile un ulteriore documento per chiarire eventuali fraintendimenti, e la FAQ numero 4 rispondeva proprio alla domanda “È possibile attivare nuovi tirocini?” con un inequivocabile “NO. Non è possibile attivare nuovi tirocini fino al permanere delle attuali restrizioni. Il divieto di attivazione di nuovi tirocini si applica durante il periodo di emergenza indipendentemente dal settore di attività economica della azienda”, e specificando anche che “le opzioni per lo svolgimento delle attività indicate nel comunicato del 12 marzo  (tra queste le modalità alternative alla presenza in azienda), riguardano i tirocini avviati prima del periodo di emergenza Covid – 19”. Più chiaro di così.Ma quali sono i soggetti promotori che invece hanno deciso di non fermarsi, e di continuare ad attivare tirocini anche in quel mese e mezzo in cui la Regione Lombardia l’aveva vietato? In cima alla lista c’è ACTL Sportello Stage, che da solo ha attivato oltre un quarto dei “tirocini proibiti”.137 dei 529 tirocini avviati in Lombardia tra il 31 marzo e il 18 maggio del 2020 risultano infatti essere stati attivati proprio da questo soggetto promotore. Oltre ad ACTL Sportello Stage, ma con numeri decisamente inferiori, vi sono poi quattro università che risultano in quel periodo avere fatto partire tirocini extracurricolari a favore dei propri neolaureati: 57 attivazioni attribuite alla Bocconi, 48 al Politecnico di Milano, 29 alla Cattolica, 15 alla Bicocca. Tra gli “eretici”, anche se con numeri molto contenuti, risultano anche Aliseo (17 tirocini attivati), Recruit srl (15), il Comune di Milano (13), Future Management Recruitment srl (anche qui 13) e Career Paths srl (11).L’elenco comprende in tutto una novantina di soggetti promotori. Complessivamente le realtà autorizzate a promuovere tirocini su suolo lombardo sono molto più numerose: l’elenco fornito dalla Regione Lombardia in questo caso però comprende, ovviamente, solo quelle per le quali risultano una o più “occorrenze” in quel periodo in cui le attivazioni erano interdette. Ma la maggior parte delle realtà citate nella tabella risultano avere attivato solo pochissimi tirocini nel periodo di blocco – molte solamente uno o due. Qual è il problema? Oltre al fatto di violare una indicazione dettata dal legislatore competente in materia di tirocini, cioè? Il problema sta nel fatto che alcuni di questi soggetti promotori guadagnano dall’attivazione di stage. Il che, di per sé, non è un male naturalmente. Si tratta di un servizio. Ma se viene a un certo punto stabilito formalmente uno stop alle attivazioni di stage, e qualcuno sceglie di non rispettarlo, si crea una situazione di concorrenza sleale. Perché, non rispettando il divieto, si realizzano dei guadagni quando gli altri competitor invece sono forzatamente fermi. Paradossalmente le aziende clienti dei soggetti promotori “ligi” alle regole sono state penalizzate (le loro richieste di attivazione di stage congelate, rimandate), mentre le aziende clienti dei soggetti promotori “indisciplinati” sono state avvantaggiate, e hanno visto soddisfatte le loro richieste di attivazione di tirocini.C'è poi la questione pecuniaria. Le aziende clienti di ACTL Sportello Stage, che hanno potuto continuare ad accogliere tirocinanti in violazione delle indicazioni regionali, hanno pagato per il servizio di attivazione di ciascun percorso formativo un corrispettivo. Poniamo che sia anche solo 100 euro (si tratta di una cifra verosimile ma puramente indicativa, dato che non si dispone qui dell’informazione precisa sul tariffario che Sportello Stage applica ai suoi clienti). Attivare 137 tirocini durante il periodo di divieto, ipotizzando appunto che per ciascuna di queste prestazioni ci sia stato un corrispettivo di 100 euro, significa che Sportello Stage nell'intervallo temporale in cui i suoi competitor erano fermi perché rispettavano le indicazioni regionali ha invece guadagnato quasi 14mila euro.Nel caso delle università il discorso è un po’ diverso, perché qui l’attivazione degli stage non è una fonte di guadagno. Sia i tirocini curricolari (a favore di studenti) sia quelli extracurricolari (a favore di neolaureati nei primi 12 mesi dopo il conseguimento del titolo di studio) vengono avviati gratuitamente, senza che il soggetto ospitante debba pagare una fee. Certo, rimane la “macchia” di non aver rispettato una indicazione regionale, generando per i propri neolaureati un vantaggio a scapito dei neolaureati di università più “ligie” alla regola. Ma non vi è il risvolto della concorrenza sleale né del guadagno accumulato svolgendo una attività in quel momento interdetta.  La nostra posizione come Repubblica degli Stagisti, qualcuno lo ricorderà, è sempre stata che il blocco degli stage fosse una decisione sbagliata. Ci siamo pubblicamente espressi, nell’articolo «Il paradosso: aziende pronte a dare opportunità e soldi ai giovani, le Regioni mettono il veto» e nell’editoriale «Coronavirus e mercato del lavoro, la scellerata scelta delle Regioni di vietare gli stage», chiedendo alla Regione Lombardia (e a tutte le altre che avevano preso la medesima decisione) di togliere quel blocco, perché ci sembrava assurdo che – in un momento economicamente  così difficile! – le aziende che avevano la possibilità e l’intenzione di accogliere stagisti e offrire opportunità ai giovani venissero bloccate da un divieto regionale.Ma che la decisione della Regione Lombardia non fosse saggia, o sensata, non elimina il fatto che fosse una indicazione formale, messa nero su bianco. E a questo divieto i soggetti promotori operanti sul territorio lombardo avrebbero dovuto assoggettarsi. Ora, a quasi un anno di distanza, è arrivata la conferma: mentre la maggior parte delle realtà che attivano tirocini ha rispettato le indicazioni della Regione Lombardia, ve ne sono state alcune – e una sopra tutti: ACTL Sportello Stage, appunto – che hanno scelto invece di contravvenire. Verosimilmente non ci sarà alcuna sanzione. Ma era una vicenda che andava raccontata.

New entry nel network delle imprese virtuose: «Lo stage è la forza propulsiva per iniziare assieme il viaggio»

È la prima nuova azienda che entra nell'RdS network da quando è scoppiata la pandemia: anzi, sono due. La prime che, in un periodo in cui l'economia è sotto pressione e anche molti grandi player tirano i remi in barca, riducendo gli investimenti e congelando le assunzioni, hanno invece scelto di puntare su un progetto che valorizza l'occupazione giovanile. Si tratta di NWG Italia e NWG Energia, attive nel campo delle energie rinnovabili. E c'è di più: entrambe sono società benefit e B-Corp. Qualche mese fa avevamo raccontato qui di un'altra azienda dell'RdS network, Danone, che aveva fatto la scelta di abbracciare la scelta “benefit”: con l'ingresso delle due realtà NWG nel network si conferma la grande affinità che c'è tra i valori che stanno alla base del movimento delle benefit corporation e quelli che sorreggono da ormai un decennio l'attività della Repubblica degli Stagisti.«La scelta di essere Società Benefit e azienda certificata B-Corp conferma il committment da parte dei vertici aziendali e l’impegno nel portare avanti un business etico, positivo e coerente con i valori che da sempre ci contraddistinguono in nome della sostenibilità» spiega Claudia Ravera, 46 anni, nelle aziende da dieci e oggi responsabile CSR e Sostenibilità sia per NWG Italia sia per NWG Energia: «In questi diciotto anni di storia abbiamo perseguito obiettivi concreti in tema di sostenibilità economica, ambientale e sociale che naturalmente ci pongono come azienda ingaggiata sugli SDG dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Non ci sono tante aziende in Italia che, come noi, possano vantare di aver messo il profitto a fianco alla sostenibilità, sin dalla nascita».Le due società – NWG, l'acronimo che condividono, sta per “New World in Green” – hanno entrambe sede a Prato, in Toscana, e a oggi danno lavoro complessivamente a circa centoventi dipendenti: «Di questi oltre il 50% sono donne» specifica Irene Ramalli, pratese doc, quarantenne e responsabile Risorse Umane di NWG Energia: «La fascia di età media si attesta nel range 30-40 anni con una percentuale di oltre il 15% di under 30 per entrambe le aziende. Ma il dato che ci rende più orgogliosi è relativo alla presenza significativa delle donne nelle posizioni apicali dei singoli reparti, tanto più trattandosi di un settore tipicamente tecnico e storicamente con una forte presenza maschile». Una vera e propria oasi per le donne esperte di Stem che qui raccontiamo, ormai da anni, nella rubrica “Girl Power” per contribuire a demolire gli stereotipi di genere e sostenere le ragazze che sognano mestieri scientifico-tecnologici e magari si sentono dire “ma quelle son cose da maschi!”.Per un'azienda sbarcare qui sulla Repubblica degli Stagisti, nell'elenco delle “imprese virtuose”, è una dichiarazione pubblica di responsabilità sociale. Significa dare un messaggio di attenzione al tema dell'occupazione giovanile di qualità. Che in questo caso si lega alla “tradizionale” attività comunicativa, concentrata sui temi della sostenibilità ambientale e dell'ecologia: «Noi abbiamo un grande obiettivo: diffondere la cultura delle energie rinnovabili e della sostenibilità attraverso tutte le vie di comunicazione di cui disponiamo» conferma Ludovica Pinto, 43 anni, romana e “new entry” nell'ecosistema della rete di imprese NWG New World in Green, in cui è entrata nell'aprile del 2020 con il compito di gestire l’area Brand, Corporate, CSR & Sustainability Communication: «Il rispetto per gli altri e per il mondo che ci circonda è una predisposizione che abbiamo nel nostro dna e in quello dei nostri dipendenti e collaboratori. Le nuove generazioni già nascono con questa sensibilità che siamo bel felici di coltivare e nutrire con progetti e programmi dedicati».E proprio alle nuove generazioni è dedicata l'adesione di NWG Energia e NWG Italia all'RdS network. Le due società non hanno l'abitudine di ospitare un gran numero di stagisti – nel 2019, per esempio, ce n'è stato solamente uno – ma quelli che accolgono vengono seguiti da vicino, con un'attenzione forte alla qualità della formazione, oltre a vedersi garantito un rimborso spese di 500 euro al mese, senza differenziazione tra tirocinanti curricolari e tirocinanti extracurricolari, buoni pasto e notebook aziendale. «Oggi come non mai troviamo nei giovani i principi e valori in cui crediamo e ci sembra fondamentale accoglierli in un percorso di crescita personalizzato all’interno del nostro ecosistema aziendale» dice ancora Ramalli, condividendo la "vision" in merito allo strumento del tirocinio formativo: «Riteniamo che sia la forza propulsiva per iniziare assieme il “viaggio” volto a valorizzare i talenti in azienda. Abbiamo fortemente voluto questa partnership con la Repubblica degli Stagisti così da rassicurare i giovani che, unendosi alla nostra famiglia, saranno rispettati nei loro diritti».

Interrompere lo stage si può, ecco come si fa (e quanto spesso succede) in Toscana

Non sempre uno stage realizza le aspettative. A volte perché strada facendo si scopre che le competenze sviluppate non sono quelle sperate, a volte perché l’ambiente di lavoro risulta poco accogliente. Oppure perché nel contempo arriva un'offerta più allettante. Ed è a questo punto che lo stagista si trova davanti al dubbio tra continuare o chiedere un’interruzione anticipata. Di recente sul forum della Repubblica degli Stagisti un lettore che stava svolgendo un tirocinio in Toscana finanziato dalla regione attraverso Garanzia Giovani ha chiesto come comportarsi sia in caso di interruzione sia in caso di conclusione dello stage in corso.La Repubblica degli Stagisti ha contattato la Fondazione Sistema Toscana, la struttura regionale che gestisce e coordina il progetto, ma le nostre richieste sono state girate direttamente all’assessora regionale all’istruzione Alessandra Nardini.Quando si parla di interruzione di un tirocinio è necessario verificare quelle che sono le disposizioni delle leggi e regolamenti regionali in materia di stage, visto che ogni regione può adottare prescrizioni diverse, e nello specifico rileggere anche il contratto di stage firmato.In Toscana il quadro normativo sui tirocini è costituito dalla legge regionale 32 del 2002 , poi modificata dalla legge regionale 8/2018, e dal regolamento di esecuzione 47/R/2003 (il regolamento più recente il 6/R/2019), in cui si specifica all’articolo 86 quater che «al tirocinante è data la possibilità di interrompere il tirocinio in qualsiasi momento dandone comunicazione scritta al tutor nominato dal soggetto ospitante e al tutor nominato dal soggetto promotore». Non è però solo lo stagista a poter mettere fine allo stage. «Lo stesso regolamento prevede che il soggetto ospitante o promotore possano interrompere il tirocinio in caso di inadempienze gravi da parte di uno dei soggetti coinvolti nel rapporto di tirocinio o in caso di impossibilità a conseguire gli obiettivi formativi del progetto», spiega l’assessora Nardini. I numeri dimostrano però come nella stragrande maggioranza di casi la richiesta di interruzione anticipata arrivi dallo stagista e non dall’azienda o dal soggetto promotore, che quindi, evidentemente, non sono mai eccessivamente insoddisfatti dei propri tirocinanti.Nel caso specifico della regione Toscana, i dati disponibili non si riferiscono al solo programma Garanzia Giovani. Questo perché l’avviso per i contributi della nuova Garanzia è partito nel settembre 2020 – quindi a cavallo tra le due fasi pandemiche da Coronavirus – mentre il precedente avviso per stage finanziati sempre in Garanzia Giovani si è chiuso nel 2018. Questo vuol dire che i dati disponibili del 2019 si riferiscono a tirocini attivati tramite Giovanisì, il progetto della Regione dedicato ai giovani fino a 40 anni di età finanziato con risorse del Piano operativo regionale del Fondo sociale europeo 2014/2020 in cui ricadono sette aree di attività tra cui, appunto, anche i tirocini.Ed ecco i numeri: nel 2019 in Toscana sono stati attivati 6.464 tirocini con contributo del Fondo sociale europeo, sui 15.404 (dati del ministero del Lavoro) attivati complessivamente in Toscana nel corso di quell'anno. Un primo dato interessante, dunque, è che circa il 42% di tutti i tirocini partiti in Toscana nel 2019 poteva contare su un finanziamento europeo. «La maggioranza di questi 6.464, oltre 5.200, termina alla naturale scadenza» specifica alla Repubblica degli Stagisti l’assessora.Degli oltre 1.100 conclusi in anticipo, «nella metà dei casi l’interruzione anticipata dell’esperienza di tirocinio è una scelta del tirocinante. Solo nel tre per cento dei casi stagista e soggetto ospitante hanno concordato una risoluzione consensuale del rapporto di tirocinio o anticipato il termine fissato per la conclusione del rapporto stesso. La decisione è del soggetto ospitante solo di rado, nel due per cento dei casi», quindi solo una ventina di tirocini.Interessante analizzare anche la fascia di età più coinvolta nell’interruzione anticipata. «Poco più della metà coinvolge i soggetti tra i 20 e i 24 anni, un terzo in quella tra i 25 e i 29 anni e appena un tredici per cento tra i 18 e i 19 anni». La Regione Toscana sostiene che non esiste una casistica di interruzioni anticipate di stage che riguardino persone over 30.Guardando invece i dati con la lente del titolo di studio degli stagisti, è più alta la percentuale dei soggetti in possesso di un diploma che termina in anticipo uno stage, quasi sei su dieci; mentre c’è una sostanziale parità per quanto riguarda il genere: le interruzioni dei tirocini attivati nel 2019 con contributo del fondo sociale europeo hanno riguardato parimenti uomini e donne, con una piccola percentuale in più a favore dei maschi, 51 a 49.Diversa la situazione invece per quanto riguarda il 2020, quando la pandemia Covid ha inciso in maniera significativa anche sui tirocini con contributo Fse che hanno preso il via in Toscana. «Quelli attivati l’anno scorso sono stati 1.897» sul totale degli 8.896 tirocini extracurricolari partiti in Toscana nell'arco del 2020. Da notare dunque come l'anno corso i tirocini che hanno potuto contare su un finanziamento europeo in Toscana si siano dimezzati: solo il 21% (rispetto al 42% dell'anno prima).Tornando all'assessora Nardini: «La maggior parte dei 1.897 tirocini con contributo Fse, quasi nove su dieci, è terminata alla naturale scadenza». Un trend in crescita rispetto all’anno precedente quando erano otto su dieci. «La scelta di interrompere anticipatamente lo stage è stata degli stagisti stessi per il quaranta per cento dei casi mentre solo il quattro per cento ha trovato una risoluzione consensuale e l’uno per cento delle volte è stata, invece, una scelta del soggetto ospitante». Di quel tredici per cento di tirocini non terminati alla loro naturale scadenza, però, per più della metà non è possibile avere un’informazione specifica dalle comunicazioni obbligatorie, perché in questo documento è indicata la classe “altro” e non è quindi possibile ottenere informazioni specifiche sulle motivazioni.Interrompere un tirocinio è sempre un passo delicato; nel caso si abbiano dei problemi il primo consiglio è parlare con il proprio tutor per cercare di capire se siano risolvibili. Se però lo stagista continua ad essere insoddisfatto l’unica strada è quella dell’interruzione. L’ultimo accordo Stato – Regioni sulle linee guida in materia di tirocini e orientamento, datato 25 maggio 2017, stabilisce appunto che lo stagista possa interrompere in qualsiasi momento il tirocinio comunicando la propria volontà a soggetto ospitante e promotore. Conviene però dare sempre una lettura alla convenzione di stage firmata – e di cui è opportuno avere una copia – per controllare che non ci siano clausole particolari che regolamentino in maniera diversa questa circostanza. Un altro aspetto specificato nell’accordo è il fatto che il tirocinante debba dare motivata comunicazione scritta al tutor del soggetto ospitante e del soggetto promotore in caso di interruzione dello stage.Ci sono altre domande che i lettori della Repubblica degli Stagisti avevano avanzato e che, purtroppo, al momento non trovano risposta né da parte dell’assessora Nardini né da parte di altri funzionari della Regione Toscana. E sono quelle relative alle eventuali ripercussioni negative per uno stagista per aver interrotto anticipatamente uno stage: in particolare alla possibilità per un’azienda di scoprire se un candidato non ha completato un tirocinio interrompendolo in anticipo.In linea di massima sono informazioni riservate, quindi se non espressamente indicate nel curriculum o raccontate durante un colloquio, non sono facilmente rintracciabili: Miriana Bucalossi, funzionaria responsabile della programmazione tirocini e apprendistato della Regione Toscana, ricorda che «esiste un quadro normativo articolato a tutela del tirocinante che sin dal 2011, con l’approvazione della Carta dei tirocini e degli stage di qualità, vede la Regione impegnata a garantirne la qualità e il corretto utilizzo, ponendo a tale scopo vincoli ben definiti e precisi per la loro attuazione, scoraggiarne l’uso distorto e ricondurli alla loro naturale funzione formativa».  Ma non risponde alla domanda specifica.Il consiglio in ogni caso è quello, qualora il tirocinio non rispetti le aspettative, di parlare con il proprio tutor e di fare di tutto per rimetterlo nei giusti binari. Ma nel caso il problema sia proprio irrisolvibile, non resta altra strada se non quella di interrompere anticipatamente l'esperienza. Evitando di perdere mesi utili in attività non formative o poco in linea con i propri obiettivi, e cercando subito un'altra opportunità.Marianna Lepore

Nato, sessanta tirocini da mille euro al mese: il bando è in scadenza

Domenica 2 maggio è l’ultimo giorno utile per provare a partecipare alla 19ma edizione dei tirocini banditi dalla NATO presso la sede di Bruxelles. Destinatari giovani di età superiore a 21 anni che hanno frequentato almeno due anni di università o laureati al massimo da un anno, appartenenti a uno degli Stati membri dell’organizzazione e con una buona conoscenza di inglese e francese, lingue ufficiali della Nato.Il tirocinio ha durata di sei mesi con partenze a marzo e settembre e può essere svolto in tre sedi: presso il quartier generale di Bruxelles, a L'Aja in Olanda e a Oeiras in Portogallo. Il rimborso medio è pari a mille euro: nel dettaglio 1192 euro in Olanda, 1088 in Belgio e 944 in Portogallo. In tutti e tre i casi gli stagisti avranno attività per 38 ore alla settimana. In più è prevista la possibilità di ricevere fino a mille euro per le spese di viaggio. La candidatura si può inoltrare online dal portale dell’organizzazione. Gli ambiti di impiego spaziano dall’assistenza nella redazione e preparazione dei documenti ufficiali alla la ricerca, dall’analisi dei media ai servizi di supporto tecnico e amministrativo.Tutti i candidati saranno contattati per la preselezione nel mese di giugno, mentre tra luglio e settembre sono previste le selezioni finali, la prima tranche di tirocini è in partenza per marzo 2022, la seconda a settembre, sono circa 60 gli stage messi a bando ogni anno.Ogni anno, dice alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa dell’Organizzazione, arrivano circa 3/4mila candidature, di cui il 20% dall’Italia. «Non c’è un dato medio su quante candidature arrivano da uomini e quante da donne, i numeri variano da un’area di lavoro all’altra, ovviamente la nostra selezione si basa su capacità, competenza ed esperienza. La Nato attribuisce grande importanza all’equilibrio di genere e all’uguaglianza e le presta la dovuta attenzione come parte del suo processo di reclutamento, anche per il programma di tirocinio».Gli obiettivi principali dello stage sono quello di «fornire ai tirocinanti l’opportunità di imparare dalla comunità della Nato e ottenere una migliore comprensione dell’Organizzazione e ampliare la comprensione della Nato nei paesi dell’Alleanza». Tra i documenti necessari per lo stage l’assicurazione sanitaria e un permesso per i non residenti nel Paese, fondamentale per poter iniziare il tirocinio.Cosa succede dopo lo stage? Nonostante il tirocinio non assicuri certamente un successivo contratto presso l’Organizzazione, rappresenta comunque un’ottima opportunità per concrete possibilità professionali anche presso altre realtà internazionali. «Dopo il tirocinio – spiegano dall’ufficio stampa – i tirocinanti intraprendono una varietà di percorsi, tra cui la permanenza con un contratto di lavoro temporaneo o a tempo indeterminato oppure l’assunzione presso altre organizzazioni internazionali o amministrazioni nazionali.Sul sito della Nato sono raccolte anche alcune testimonianze di ex stagisti: «La Nato non è solo un'organizzazione militare, lavorarci è un'esperienza eccezionale», afferma Alessandro in un video realizzato insieme ad altri tirocinanti provenienti da tutto il mondo. Bodine, collega olandese di Alessandro ha lavorato in un team «composto da sole donne», in un contesto che le ha permesso di «avere tanti nuovi amici».Nell'organizzazione, insomma, sono tutti parte di una grande squadra che travalica i confini nazionali: «We Are Nato», affermano nel cartello finale. Chiara Del Priore

“Le donne devo essere presenti, e non solo metaforicamente!”: lettera aperta a Draghi sulla distribuzione dei fondi del Recovery Plan

Le associazioni e le organizzazioni mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”Lettera aperta al Presidente del Consiglio, alle Ministre e ai MinistriAlla vigilia della presentazione del Pnrr, sono alte le aspettative delle donne per un Piano che, secondo le indicazioni europee, dovrà porre le basi per un rapido assorbimento del divario di cittadinanza tra uomini e donne in ordine al lavoro, all’accesso al credito, ai sostegni all’imprenditoria, alla partecipazione ai corsi di laurea e alle professioni Stem.La via maestra per un aumento importante dell'occupazione femminile è un massiccio investimento nelle infrastrutture sociali: asili nido, servizi sanitari territoriali, strutture per l'assistenza di anziani, disabili, soggetti bisognosi, voucher transitori e universali per la cura, attività e servizi di contrasto alla violenza contro le donne, compresi centri anti violenza e case rifugio.Questi strumenti possono offrire vere opportunità, sicurezza e lavoro alle donne nel nostro Paese.I fondi ipotizzati dal Governo Conte nell' ultima versione a noi nota del PNRR, ad esempio, devono essere piu' che raddoppiati per gli asili nido, poiché al momento non coprirebbero neppure il 33% dei bambini. Lo stesso piano Colao, troppo frettolosamente accantonato, proponeva il 60% di copertura.Sono almeno 5 i miliardi necessari per l'assistenza di ad anziani e disabili, mentre i fondi per l'imprenditoria femminile andrebbero almeno triplicati, rispetto a quelli stanziati fino a oggi (800 milioni di euro).Il nostro auspicio è che le attese siano rispettate. L'occupazione femminile deve crescere. Siamo ultimi in Europa per occupazione delle giovani dai 25 ai 34 anni e penultimi per altre fasce di età.Maternità e genitorialità devono assumere un valore sociale, potenziando i congedi di paternità e aumentando la copertura dei congedi parentali.Una condizione importante affinché si vigili sull'efficacia del PNRR è la valutazione ex-ante ed ex-post sull’impatto di genere delle diverse misure, secondo una prassi sempre più diffusa in Europa, per consentire scelte strategiche fondate.Se l’Italia ha avuto la quota più alta in assoluto dei fondi europei è anche perché ritenuta meritevole di aiuti “speciali”, date le numerose fragilità che presenta. Tra queste, c’è la diseguaglianza di genere, che rende necessario concretizzare un rapido riequilibrio nei prossimi cinque anni, l’arco d’azione del PNRR.La scelta di qualificare le pari opportunità come obiettivo trasversale delle sei missioni del Piano rappresenta al tempo stesso un’opportunità e un rischio. Un’opportunità, perché teoricamente consente di costruire un’azione a tutto campo, quindi anche mediante interventi e investimenti non direttamente finalizzati alla parità di genere, come detto. Un rischio, perché sappiamo bene che gli interessi delle donne, in un confronto segmentato tra innumerevoli capitoli, possono essere marginalizzati e sottorappresentati.È di tutta evidenza che il nostro Paese non possa permettersi l’errore di non considerare le donne destinatarie prioritarie nella gestione dei fondi del Recovery plan.Il danno derivante sarebbe enorme: lo pagherebbero le giovani generazioni, condannando l’Italia a un futuro di povertà e recessione. Com’è noto, infatti, il riequilibrio di genere in ogni ambito si traduce anche in termini di aumento di PIL, oltre che di equità.Le associazioni femminili e le organizzazioni firmatarie del Manifesto Donne per la salvezza intendono continuare a “esserci” anche adesso, nella fase in cui si definiscono esplicitamente le scelte, per capire se le linee guida europee siano state condivise e rispettate nella suddivisione dei fondi, nel senso e nella portata degli interventi e degli investimenti indicati nel documento. A questo fine, nel ribadire il nostro impegno per il bene del Paese, nell’ottica di un dialogo sempre costruttivo con il nuovo Governo, reputiamo essenziale che le associazioni e le organizzazioni che operano sul fronte femminile siano pienamente coinvolte nell’analisi e nella verifica delle proposte da presentare in sede europea.Pertanto chiediamo al Governo non solo di essere informate sull’evoluzione del prossimo PNNR, ma di essere inserite tra i soggetti con i quali l’esecutivo si confronterà, nei prossimi incontri istituzionali. L’accoglimento di questa nostra richiesta significherebbe riconoscere le organizzazioni al femminile (e non solo) come realtà ricche di professionalità, competenze e spunti concreti utili alle istituzioni e attribuire finalmente a esse un ruolo di contributo fattivo e audit nelle scelte che orienteranno la vita economica, sociale e politica del Paese nei prossimi anni.È bene che le donne siano presenti, e non solo metaforicamente, là dove si decide del futuro non solo loro, ma di tutti.Le associazioni, le organizzazioni e le personalità mobilitate nella campagna “Donne per la salvezza”1. Politiche di genere CGIL2. Coordinamento Pari opportunità UIL 3. Dipartimento pari opportunità ALI4. Gruppo Donne Imprenditrici Confimi Industria5. Le Contemporanee6. Soroptimist International d'Italia 7. Fuori Quota8. InGenere9. Fondazione Marisa Bellisario10. Rete per la parità11. Giusto Mezzo12. Se Non Ora Quando - Libere13. Human Foundation14. Associazione Donne Banca d'Italia15. M&M – Idee per un Paese migliore16. Base Italia17. Green Italia18. UCID Coordinamento Donne19. GIO- Osservatorio Interuniversitario di Genere 20. D.i.Re - Donne in rete contro la violenza21. Differenza Donna22. Siciliane23. GammaDonna24. #DateciVoce25. Movimenta26. Assist Associazione Nazionale Atlete27. EWA- European Women Alliance28. Jump - Solution for equality at work29. Road to 50%30. Community Donne 4.031. LeD, Libertà e Diritti32. Women in Film, Television & Media Italia33. EWHR- European Women for Human Rights34. Donne & Società35. Io parlo europeo36. Telefono Rosa - Torino37. Leads - Donne leader in Sanità38. Avvocati per i Diritti Umani39. AGI - Associazione Giuriste Italiane sezione europea40. Aps SconfiniAmo41. (R) evolution Associazione42. Rebel Netwok43. One Billion Rising Italia44. Associazione Abbraccio del Mediterraneo 45. Associazione Blu Bramante46. B Women Italy47. Tlon48. Odiare ti costa49. La Repubblica degli Stagisti

Indennità mancata ai praticanti, ancora nessuna risposta: “L'Avvocatura dovrebbe dare il buon esempio, e invece...”

L'Avvocatura dello Stato dovrebbe pagare i suoi praticanti. Dovrebbe farlo per una questione etica. E nella fattispecie avrebbe dovuto farlo per legge, quantomeno per i praticanti accolti tra il 2015 e il 2017. Ma non l’ha mai fatto. La Repubblica degli Stagisti ha raccontato la storia di questi giovani, alcuni ormai più che abilitati, che da anni aspettano risposte e invece ricevono solo silenzi o rinvii. Poco più di un mese fa il senatore Riccardo Nencini ha presentato un’istanza di sindacato ispettivo al Presidente del Consiglio Draghi sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e della distribuzione delle borse. Tra il 2015 e il 2017 «centinaia di giovani laureati in giurisprudenza hanno svolto la pratica forense presso le avvocature distrettuali dello Stato assicurando un contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale e sostenendo notevoli spese e sacrifici per gli spostamenti e per lo svolgimento delle attività richieste dai procuratori e dagli avvocati», si legge nella premessa del documento. Nel testo viene precisato dettagliatamente quanto era stato disposto dalla legge del 2014, ovvero la ripartizione del 25 per cento delle spese legali a carico delle controparti recuperate dall’Avvocature e da destinare a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense. E come «a causa dei notevoli ritardi delle erogazioni, nel 2016 i praticanti di diverse articolazioni distrettuali dell’Avvocatura dello Stato avevano già sollecitato, invano, l’attuazione delle previsioni normative», ricevendo solo una replica in cui si ricordava che per applicare la disciplina era necessario «il preventivo esame della documentazione prevista dal regolamento oltre alla verifica contabile delle somme riscosse dalle avvocature, al fine di chiedere l’istituzione del nuovo capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero dell’economia dedicato al finanziamento delle borse di studio».Quel capitolo di spesa, sottolinea Nencini nella sua interrogazione, è stato poi istituito dopo due anni di silenzio specificando anche nelle note integrative del bilancio pluriennale che «La Categoria economica Trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private si riferisce alle borse di studio assegnate per lo svolgimento della pratica forense presso “Avvocatura dello Stato”». Eppure ad oggi quelle borse di studio previste dalla normativa non sono state ancora assegnate. «È assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza», perciò il senatore chiede di sapere se non si ritenga «doveroso intervenire al fine di sollecitare l’assegnazione delle borse di studio, così da colmare la grave mancanza di cui l’Avvocatura statale è responsabile».L’interrogazione è stata presentata ai primi di marzo e purtroppo non ha una scadenza entro cui ricevere una risposta. «I tempi sono imprecisati», spiega Nencini alla Repubblica degli Stagisti «ed è necessario premere sul ministero competente, ovvero il ministro della Giustizia. Quanto agli effetti che un atto di questo tipo possa avere, per prima cosa accende una luce sul problema» sconosciuto ai più, «e si iniziano a sensibilizzare Parlamento e Governo». L’iniziativa di Nencini, però non si ferma qui. Se la risposta del presidente Draghi continuasse a non arrivare, il senatore assicura «inizierei a parlarne con il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, cercando anche di allargare il cerchio dell’appoggio di altri senatori».  Nel frattempo resta ignoto il motivo di un ritardo di sette anni da parte dell’Avvocatura per scrivere un regolamento di assegnazione delle borse. «Con questa interrogazione si spinge il governo a fare in fretta. È una questione importante ed è bene che se ne discuta di faccia al parlamento».Intanto i giovani aspettano: una risposta da Draghi, una dall’Avvocatura e, per i praticanti del triennio 2015 – 2017, quel rimborso spese previsto dalla legge per cui le cui risorse sono già state stanziate. E al ritardo si aggiunge la beffa. Perché l’Avvocatura sul suo sito continua a pubblicizzare la pratica presso i suoi uffici. E a magnificare il lavoro dei praticanti. Nel Piano della performance del 2016 - 2018, del triennio 2018 – 2020 e del triennio 2019- 2021, l’Avvocatura riporta sempre lo stesso testo di elogio del lavoro dei praticanti avvocati al suo interno, «nel numero di 100 e con rapporto di presenza 1:1 con il numero di avvocati dello Stato nelle avvocature distrettuali». E ricorda che l’indagine svolta negli anni 2011-2012-2013 e conclusa nel 2015 «ha messo in risalto la diffusa stima di cui gode l’istituto e l’efficacia della funzione educativa svolta dall’Avvocatura dello Stato».Per ricavare informazioni sui suoi praticanti, peraltro, qualche anno fa l’Avvocatura mandò un questionario a 811 ex praticanti che si erano alternati tra il 2011 e il 2013, ricevendo solo 349 risposte. Il numero è però interessante, perché in una situazione in cui è difficile sapere con certezza quanti siano questi soggetti, si può partire già dal dato che in un triennio sono stati almeno 800 e che ad oggi, quindi, quel numero dovrebbe essere più che triplicato.L’attenzione per questo percorso continua anche oggi nonostante l’assenza di un rimborso spese. In tanti, ogni anno, continuano a far domanda nonostante all’atto della richiesta si debba compilare un foglio dichiarandosi anche consapevoli del fatto che questa pratica «non dà diritto al rimborso spese previsto dall’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012». Sono brillanti, con votazioni alte, una laurea entro i termini, eppure non meritano un emolumento per le prestazioni svolte. Valerio Stomeo, 30 anni, socio fondatore e referente area normativa del Coordinamento Giovani giuristi italiani, si è laureato nel febbraio 2016 e ha cominciato due mesi dopo la pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale di Lecce. Il suo periodo di pratica, quindi, era nella fase in cui la legge prevedeva ancora il rimborso spese. Anche se «nella domanda che si presenta non si parlava minimamente delle borse di studio, anzi si chiedeva di dichiarare espressamente di essere consapevoli che la pratica presso l’avvocatura non dava diritto a ciò». Pur abitando in provincia di Lecce, a 40 minuti di distanza, ha speso nei mesi di pratica 440 euro solo come abbonamento ai mezzi. A questi andavano poi aggiunte le spese di cibo giornaliere. «Non avendo un reddito sono stati i miei genitori a pagare per i dodici mesi di pratica. Così per guadagnare qualcosa ho svolto in contemporanea il tirocinio ex articolo 73 presso il tribunale di Lecce». Una scelta dettata dalla speranza di ricevere un rimborso spese, che per quel tipo di stage viene assegnato al termine e in base all’Isee e alle risorse disponibili, con il rischio quindi di rimanere comunque a bocca asciutta. «Sono stato fortunato e rientrato tra quelli che hanno ricevuto 400 euro al mese per diciotto mesi, ma ricordiamo che quei soldi si prendono un anno dopo: il che significa affrontare comunque il primo anno senza alcuna entrata economica».Attenzione: i 400 euro al mese erano correlati alla sua attività di tirocinio “ex art 73” presso il tribunale del riesame di Lecce, che gli impegnava due giorni alla settimana dalle 8.30 alle 13.30, quindi circa una decina ore settimanali (che a volte diventavano quattordici). Non si riferiscono, i 400 euro, al praticantato presso gli uffici dell'Avvocatura, che gli impegnava i restanti tre giorni dalle 8.30 alle 18.30 e i due pomeriggi post tirocinio, e per le quali Stomeo come centinaia di suoi colleghi in tutta Italia in quegli anni avrebbe dovuto ricevere per legge un non meglio precisato emolumento mensile... quando in realtà, a causa del ritardo dell'Avvocatura nell'emettere il regolamento interno per l'erogazione di queste indennità – regolamento mai emesso in cinque anni! –  non percepiva nulla.Nel suo caso non è stato molto complicato conciliare le due esperienze, anche se questo significava comunque passare l’intera giornata fuori casa alternandosi tra un ufficio e l’altro. «Se la pratica presso l’Avvocatura fosse stata retribuita di sicuro non avrei deciso di fare le due esperienze contemporaneamente», spiega. E oggi non è così sicuro che ripeterebbe l’esperienza: «È stata formativa ma non ho ricavato molti vantaggi e se dopo non trovi lavoro, la formazione fine a se stessa non serve a molto».Le spese, però, possono essere anche più alte. Chiara, che preferisce non svelare il suo cognome, ha cominciato la pratica da avvocato da nemmeno un anno e dopo qualche mese in uno studio privato ha fatto domanda in Avvocatura. «Sapevo che non sarei stata retribuita e che non ci sarebbe stato un rimborso spese ma ho accettato lo stesso anche perché la mia condizione non sarebbe cambiata molto, visto che nemmeno l’avvocato presso cui stavo facendo pratica mi dava alcun rimborso». La giovane è convinta che sia «inaccettabile» che lo Stato legittimi una pratica tanto scorretta quanto ingiusta. Anche perché non ricevendo alcun rimborso, tutti i praticanti in Avvocatura sono costretti a fare anche altro. L’ipotesi più frequente – come infatti è accaduto a Valerio Stomeo – è il tirocinio ex articolo 73 che, su determinate basi, dà diritto a una borsa di studio. Anche Chiara lo sta svolgendo e sul doppio impegno dice: «Questo incide sulle prestazioni del praticante sia in termini di tempo a disposizione che di formazione personale e professionale».Come tutti quelli che hanno cominciato la pratica nel corso dell’ultimo anno, i costi sono in parte contenuti dal fatto che i praticanti, spesso, a parte le presenze in udienza non mettono piede in ufficio dal marzo 2020. Ma sono tutt’altro che esigui. Visto che ha calcolato che tra abbonamento ai mezzi pubblici per 18 mesi, «le varie quote di iscrizione ai Consigli dell’ordine degli avvocati di riferimento» e spostamenti vari, spenderà in totale più di 1.800 euro. Che nel suo caso potrebbero essere "ribilanciati" dai 400 euro al mese del tirocinio ex articolo 73, che pure sta svolgendo, e per cui proprio recentemente è stata pubblicata la graduatoria provvisoria per il 2019. «Ma l’Avvocatura, in virtù del suo ruolo e natura, dovrebbe dare il buon esempio e non contribuire a consolidare una prassi contraria ad ogni buona logica e diritto» dice Chiara, sacrosantamente. Insomma, i giovani praticanti avvocato iniziano a non tollerare più la situazione. E se anche le risposte non dovessero arrivare questo potrebbe essere l’ultimo anno di attesa. Prima di intraprendere altre strade e vedere finalmente riconosciuto il diritto a una pratica retribuita.Marianna Lepore