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Quasi il 70% degli universitari italiani abita ancora coi genitori: e se con il Recovery Fund si aumentassero i fondi per gli alloggi?

In questi giorni il mondo della politica sta raccogliendo suggerimenti e proposte in merito al Recovery Fund, cioè al “Piano italiano di Ripresa e Resilienza” che dettaglia come il governo ha intenzione di spendere i 210 miliardi in arrivo dall’Europa. Attraverso l’acquisizione di memorie scritte oppure di audizioni la Camera dei deputati sta raccogliendo materiale che sarà messo a disposizione dei parlamentari per il delicato lavoro delle prossime settimane. Oltre alle “solite” parti sociali - sindacati, associazioni di categoria - vi sono anche realtà meno scontate: tra i soggetti chiamati a dire la loro c’è stata anche la Repubblica degli Stagisti; la Commissione Lavoro ha chiesto poi contributi, tra gli altri, anche alla Consulta nazionale per il servizio civile universale, al movimento Donne per la salvezza - Half of it, alla Conferenza nazionale enti servizio civile...    Una delle memorie arriva dal think-tank Tortuga, un “collettivo” di una cinquantina di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell’economia e delle scienze sociali che dal 2015 svolge attività di ricerca e redige proposte di policymaking; l’anno scorso Tortuga ha anche firmato il libro Ci pensiamo noi, sottotitolo «Dieci proposte per far spazio ai giovani in Italia», pubblicato da Egea Editore, con una prefazione dell'ex presidente Inps Tito Boeri e di Vincenzo Galasso (già autori insieme, nel 2007, del pamphlet Contro   i   giovani   – come   l’Italia   sta   tradendo   le   nuove   generazioni).All’interno della memoria, lunga una trentina di pagine,  c’è un capitoletto dedicato al diritto allo studio universitario. I ricercatori di Tortuga inquadrano il tema a partire da un dato: l’Italia presenta uno dei più bassi tassi di studenti fuori-sede rispetto al panorama europeo. «Il 69% degli studenti universitari abita con i genitori, contro il 36% della media europea» si legge nel documento: «Per quanto riguarda gli alloggi per studenti, in Italia ci sono poco più di 48mila posti, un numero di gran lunga inferiore rispetto ai 165mila disponibili in Francia e ai 192mila della Germania, anche tenendo conto della differenza nella popolazione studentesca complessiva». E dunque praticamente da noi quasi nessun fuori sede può contare su un alloggio universitario: «In Italia solo il 3% della popolazione universitaria riesce a trovare posto in uno studentato, contro una media europea del 18%». Risultato: gli studenti universitari fuorisede italiani si devono accollare spese molto più alte di vitto e alloggio, che si mangiano infatti il 54% del loro intero budget secondo l’Indagine Eurostudent.Senza dimenticare il caso tutto italiano degli «idonei non beneficiari» di borse di studio e la recentissima presa di posizione della Corte dei Conti in merito: «Si tratta di un’anomalia ancora sussistente: sono studenti che, per mere ragioni legate alla insufficienza dei fondi, non si vedono riconosciuti i benefici, pur rientrando pienamente in tutti i requisiti di eleggibilità per l’accesso agli stessi». «Sanare questo problema risulta fondamentale per garantire a coloro che hanno diritto ad un sostegno pubblico la certezza di poterlo ricevere» scrive il Think-tank Tortuga, ricordando come il problema sia già in via di risoluzione: «Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un progressivo miglioramento su questo fronte: ci sembra importante ora un ultimo sforzo per chiudere il gap».E dunque la proposta è quella di «incrementare le risorse destinate agli investimenti in alloggi per studenti e nelle borse di studio». Come? Spostando «integralmente su questi capitoli di spesa le risorse attualmente destinate all’incremento della c.d. no-tax area (una spesa, tra l’altro, di natura ricorrente). Il Governo potrebbe inserire come target di questi interventi l’azzeramento degli idonei non beneficiari e il raddoppiamento dei posti disponibili per alloggi universitari nell’orizzonte temporale di spesa del PNRR» [che sta per Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ndr].E non si tratta solo di trovare le risorse adeguate, ma anche di erogarle in maniera tempestiva. Perché un altro annoso problema relativo al diritto allo studio consiste nel fatto che le borse, quando arrivano, arrivano troppo spesso in ritardo. Costringendo le famiglie ad anticipare le spese: peccato che non tutte possano farlo. «La certezza di ricevere in tempo la borsa di studio aumenterebbe le chances che la famiglia sostenga il percorso di studi, soprattutto quando questo avvenga al di fuori della propria città natale» scrivono i ricercatori di Tortuga: «La certezza che le spese possano essere coperte adeguatamente risulta, infatti, fondamentale nella scelta». Ricevere la borsa di studio all’inizio dell’anno funzionerebbe anche da incentivo alla performance universitaria: «Considerando gli alti tassi di abbandono, si potrebbe fornire la borsa di studio all’inizio dell’anno accademico per poi richiederne indietro una parte nel caso in cui lo studente non fosse stato in grado di raggiungere gli obiettivi richiesti dal punto di vista accademico».Anche perché non di rado capita che la mancanza di liquidità sia il motivo di un abbandono universitario: «La ricezione della borsa di studio all’inizio e non verso la fine dell’anno sarebbe chiaramente benefica a livello di organizzazione familiare», dunque, «perché ridurrebbe le necessità di “anticipare” fondi allo studente per i primi mesi di studi. Si risolverebbe quindi il problema di liquidità, che spesso è reale quanto la disponibilità vera e propria». L’Italia ha da anni un problema con l’istruzione universitaria. L’Istat attesta che la quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6% contro il 33,2% della media europea. In particolare i 30-34enni con istruzione universitaria in Italia erano il 19,2% nel 2008, e sono cresciuti di soli otto punti percentuali in oltre dieci anni, raggiungendo il 27,6% nel 2019. Nello stesso anno 2019 la media registrata di 30-34enni laureati nell’Unione europea era pari a 41,6%: siamo indietro di ben quattordici punti percentuali.Quindi il fatto che si debba trovare un modo per stimolare gli italiani a fare l’università è incontrovertibile. In questo contesto il freno rappresentato dal denaro non va sottovalutato: «Le famiglie con meno risorse potrebbero desistere dall’iscrivere un figlio o una figlia all’università consapevoli che se anche la borsa venisse assegnata, arriverebbe dilazionata nel tempo creando eccessivo disagio per un determinato periodo di tempo». E dunque dare i soldi all’inizio dell’anno accademico potrebbe convincere le famiglie più refrattarie a permettere ai propri figli di fare l’università. [La foto della Casa dello studente è di Alessandro Scarcella, tratta da Flickr in modalità Creative Commons]

Il congedo di paternità passa a 10 giorni retribuiti al 100%, ma ancora non basta: per scardinare gli stereotipi ci vorrebbero tre mesi

Novità per il congedo obbligatorio di paternità con la legge di Bilancio entrata in vigore lo scorso primo gennaio. Con la nuova disposizione i giorni lavorativi di astensione obbligatoria dal lavoro per i neopapà passano da 7 dello scorso anno a 10, a cui si aggiunge uno da prendere in alternativa alla madre. Il congedo deve essere utilizzato nei primi cinque mesi di vita del neonato ed è retribuito al 100 per cento.«Quanto stabilito dalla legge di Bilancio anticipa la disposizione della direttiva europea che tutti i paesi dovranno recepire entro il 2022» spiega alla Repubblica degli Stagisti Titti Di Salvo, sindacalista, ex deputata e da tempo impegnata sui temi della tutela della genitorialità. Il riferimento è al provvedimento approvato a luglio 2019, che dà agli Stati membri dell’Unione Europea tre anni per adeguarsi. «Per finanziare la misura sono stati stanziati 151 milioni, calcolando un costo giornaliero della misura in 15 milioni di euro: «Da una prima stima iniziale di 10 milioni al giorno, dunque un costo per lo Stato di 70 milioni l’anno per una settimana di congedo di paternità, la Ragioneria dello Stato  si è corretta ed è passata a una stima più alta, quantificando appunto 15 milioni al giorno il costo della misura». Di qui i 150 milioni necessari per fare stare a casa i neopapà per dieci giorni.Nonostante il passo in avanti, quella da poco entrata in vigore è una misura non strutturale, che quindi necessita di un rinnovo di anno in anno: «Siamo di fronte a un traguardo parziale, non scontato, raggiunto attraverso una lenta marcia iniziata nel 2012 e una petizione popolare promossa nel 2018».Il congedo di paternità in Italia è storia molto recente: fino al 2012 questa misura era assente (fino a quel momento i neopapà potevano usufruire soltanto del congedo parentale, ossia l'astensione facoltativa dal lavoro fino all'ottavo anno di età del bambino per un periodo di tempo continuativo o frazionato e una retribuzione al 30% dello stipendio; una misura che peraltro non è riservata ai genitori di sesso maschile, ma può essere richiesta da entrambi). Inizialmente erano solo due giorni, una sorta di contentino. Nel 2016 sono diventati quattro, ma poi improvvisamente hanno rischiato di sparire: tanto che tre anni fa è stato necessario lanciare una petizione per evitare che i giorni di congedo obbligatori sparissero dalla Legge di bilancio. Titti Di Salvo ne era stata promotrice insieme ad a personalità come il demografo Alessandro Rosina, docente dell'università di Cattolica di Milano e all’imprenditrice Riccarda Zezza, che con il suo progetto Maam sostiene l'empowerment delle mamme (e dei papà) in azienda, e anche la founder della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina.Negli anni il numero di beneficiari del congedo è aumentato, passando dai 73mila del 2015 ai 135mila del 2019 secondo i dati dell'Inps. Restano attualmente esclusi i dipendenti pubblici per i quali le disposizioni approvate sono valide ma non in vigore, in quanto per loro non è stata ancora emanata circolare applicativa. Una fetta non banale, che contempla più di un milione di lavoratori su un totale di 3 milioni e 300mila dipendenti pubblici. Su questo fronte Alessandro Fusacchia, deputato e fondatore della piattaforma Movimenta che ha avanzato una proposta di legge per istituire tre mesi di congedo obbligatorio, evidenzia però un paradosso: «Per i dipendenti pubblici, per cui prevediamo la stessa disciplina dei tre mesi obbligatori, c’è un nodo delicato da sciogliere: in alcuni passaggi informali che abbiamo fatto per il conteggio degli oneri della nostra proposta di legge per un congedo lungo per i dipendenti pubblici, la risposta che ci è stata data finora è stata: nessun onere. Non costa. Perché lo stipendio di quel papà assunto a tempo determinato nel pubblico è già contabilizzato nel bilancio dello Stato. Attenzione, però. Se vai tre mesi in congedo di paternità lo Stato deve sostituirti, non possiamo pensare che la macchina amministrativa in cui si sta prestando lavoro faccia finta che non esisti per tre mesi e rimpiazzi male il lavoro che fai, riorganizzando l’ufficio in qualche modo improvvisando o peggio ancora lasciando indietro per mesi le pratiche che seguivi tu. Quindi, il costo di sostituzione temporanea secondo me è un costo che un Paese civile deve prevedere, perché deve prevedere quella sostituzione anche breve». «Il congedo obbligatorio di paternità è tra le misure possibili quella più efficace per scardinare gli stereotipi nella divisione dei ruoli tra madre e padre» ribadisce Di Salvo. E scardinare gli stereotipi è la condizione necessaria per rimuovere le discriminazioni di genere che hanno penalizzato l’intero Paese perché hanno tenuto le donne fuori dal mercato del lavoro: «La condivisione delle responsabilità genitoriali è anche molto importante per l’equilibrio dei bambini. Qualcosa sta cambiando nelle nuove generazioni. Nei giovani padri è sicuramente più grande il desiderio di vivere la paternità nella quotidianità della cura. Anche se durante il periodo di lockdown in smartworking non parrebbe si sia modificato in maniera significativa il carico del lavoro di cura, che rimane per il 74 % a carico delle donne». «Che il congedo di paternità obbligatorio passi a 10 giorni è ovviamente una buona notizia, non c’è alcun dubbio. Si tratta di un segnale sostanziale e simbolico molto forte. Detto questo, è abbastanza e va bene così?» si chiede Fusacchia: «Assolutamente no. Una misura di questo tipo non è adeguata alle esigenze del Paese e non corrisponde alle nostre ambizioni rispetto alla costruzione di un congedo di paternità lungo. Un congedo di paternità obbligatorio di tre mesi come quello che proponiamo noi come Movimenta e su cui nei prossimi giorni depositeremo una proposta di legge formale molto articolata su più aspetti permetterebbe di costruire la genitorialità, di far fiorire la paternità, che non è mettere al mondo un figlio, ma crescerlo. Inoltre ridurrebbe drasticamente il rischio di discriminazione sul lavoro per le donne e quindi aiuterebbe a ristabilire parità effettiva tra uomini e donne: questo perché salterebbe il disincentivo a discriminare per le aziende, sapendo che sia la neo mamma sia il neo papà sarebbero off per un periodo di tempo significativo. Emerge anche un aspetto culturale: dobbiamo sottolineare che il tema dei congedi in generale e il fatto di poter conciliare la crescita dei figli con il lavoro è esploso durante la pandemia, soprattutto con il lockdown. Se qualcuno si deve magari temporaneamente sacrificare in famiglia non può essere automaticamente la donna. Noi dobbiamo capire come lavorare e occuparci dei figli, come evitare che le donne facciano passi indietro. Nel dramma totale della pandemia probabilmente c’è stato un piccolo elemento di maggiore consapevolezza rispetto al ruolo dei congedi e questi temi di cui stiamo discutendo possono aiutare a costruire una società più aperta, più equa, più giusta e andare nella direzione che noi chiediamo».All’estero la situazione è, come spesso accade, un po’ diversa: «Dal primo gennaio in Spagna è entrato in vigore il decreto legge del 2019 che prevede gradualmente per i padri le stesse 16 settimane di congedo, individuali e non trasferibili, retribuite al 100 per 100, previste per la madre. In Islanda sono previsti tre mesi per entrambi i genitori, in Francia il congedo di paternità è di 28 giorni, di cui però solo sette obbligatori» ricorda Di Salvo.  E lo scorso settembre in Svizzera è stata votata l'introduzione di un congedo di paternità di due settimane, con un referendum che ha vinto con oltre il 60% delle preferenze. Nel frattempo la legge di Bilancio italiana contiene anche altre novità per le famiglie, come «l’assegno universale per i figli, a partire dal settimo mese di gravidanza fino alla maggiore età» ricorda Di Salvo: «Avrà carattere universale e questa è la prima novità significativa. Perché fino ad oggi misure come gli assegni familiari erano previsti soltanto per i lavoratori dipendenti, così come le detrazioni familiari, erano possibili solo per le persone capienti – cioè in grado di presentare la dichiarazione dei redditi, con il paradosso di escludere dal beneficio proprio le famiglie più fragili con un reddito talmente basso, sotto i 7.500 euro l’anno, da non rendere possibile la dichiarazione fiscale senza poter godere così delle detrazioni!». Lo stesso paradosso che si era presentato al momento dell'attuazione della misura degli “80 euro” voluta dal governo Renzi: in quel caso potevano accedere ai famosi 80 euro solo le persone con un reddito tra 8mila e 26mila euro all'anno, escludendo dunque chi aveva redditi più bassi.«L’assegno universale è una buona misura ovviamente» commenta Fusacchia:  «Sarà differenziato per soglie di reddito affrontando anche il tema della disabilità. Inoltre dà un messaggio chiaro e cioè che c’è un riconoscimento nell’accompagnamento dei genitori e della crescita. L’assegno però non sostituisce in nessun modo il bisogno e la necessità di un congedo di paternità obbligatorio lungo di tre mesi. È un pezzo che si inserisce in un quadro generale, che va nella giusta direzione, ma ci sono ancora tanti tasselli che dobbiamo mettere insieme per costruire una politica a tutto tondo che punti sulla genitorialità, che scommetta sui bambini e sulle bambine e che veramente scommetta sulla parità di genere».Titti Di Salvo spiega che «l’assegno unico avrà anche carattere strutturale e sostituirà i diversi bonus previsti precedentemente, come il bonus bebè, il premio alla nascita, il bonus baby sitter, che comunque in parte verranno confermati per quest’anno perché l’assegno unico entrerà in vigore soltanto nel secondo semestre del 2021, dal primo luglio. Nella legge di bilancio sono state stanziate le risorse e i caratteri generali dell’assegno e un provvedimento successivo ne definirà la misura e i criteri». Si va quindi in un’ottica di semplificazione e ampliamento, mentre sul tavolo ci sono altri disegni di legge sul tema congedo, conclude Di Salvo: «La condivisione delle responsabilità genitoriali è anche molto importante per l’equilibrio dei bambini. Lo è anche per i padri. Perché la paternità, come la maternità, sono “master” per usare le parole di Riccarda Zezza. Da molti punti di vista è decisivo andare verso lo stesso tempo di congedo obbligatorio per le madri e per i padri. Ci sono in Parlamento alcuni disegni di legge che vanno proprio in quella direzione».  Chiara Del Priore

In scadenza bando Mibact per stage da mille euro: finiti i sei mesi, però, tutti a casa

Sei mesi di tirocinio con un rimborso spese di mille euro al mese, in un settore spesso sottopagato come quello della cultura: è quanto offre il bando per stage formativi del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo pubblicato a metà dicembre e in scadenza a breve, il 30 gennaio. Una bella notizia, soprattutto in questi tempi di pandemia e crisi economica dove tra i settori più colpiti c’è stato proprio quello turistico culturale? Non proprio. Perché il bando in questione ricalca un altro del 2013, i 500 giovani per la cultura – così furono chiamati – che non solo non ha prodotto occupazione, ma tra lavoro mascherato da tirocinio e rimborsi spese arrivati dopo mesi e grandi proteste non è brillato per efficacia.Gli ultimi fatti: a metà dicembre il Mibact ha pubblicato un bando per la selezione per «tirocini formativi e di orientamento per 40 giovani fino a ventinove anni di età». Più che di stagisti qualsiasi, però, il ministero è alla ricerca di figure ben specializzate. Per partecipare infatti è richiesta una laurea in archivistica e biblioteconomia con una votazione pari o superiore a 105, con una differenza di punteggio non di poco conto tra i due punti aggiuntivi per il 106 e i 14 per il 110. A questo si aggiunge il vincolo di età (i candidati devono essere under 30)  e un titolo di studio conseguito da non più di 12 mesi. Quindi il ministero apparentemente cerca giovani neolaureati – ma non proprio, dato che poi si scopre che sono previsti punti aggiuntivi non indifferenti, dai 20 ai 30, se i candidati hanno un titolo di studio post universitario, anche diplomi di scuole di specializzazione, un titolo di dottore di ricerca, un periodo precedente di tirocinio o collaborazione nel settore dei beni culturali, perfino pubblicazioni.I 120 giovani con il punteggio più elevato saranno ammessi a sostenere il colloquio, che attribuisce fino a 50 punti e che data la situazione di pandemia verrà effettuato in modalità telematica. Al termine, trenta dei selezionati saranno assegnati ad altrettanti stage presso l’Archivio centrale dello Stato, le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche e gli Archivi di Stato, dieci invece a tirocini presso l’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale. E cominceranno i tirocini formativi di sei mesi con un rimborso spese mensile di mille euro. Se i trenta stage saranno in sedi distribuite un po’ in tutto il territorio nazionale, isole comprese, quelli presso la Digital Library, invece, saranno esclusivamente a Roma. Nel bando non si fa alcun riferimento a eventuali svolgimenti a distanza dello stage, in smart internshipping, che quindi evidentemente si svolgerà in presenza. Il bando è molto chiaro sull’evidente assenza di prospettive future: l’articolo 7, infatti, precisa che alla conclusione del programma formativo «è rilasciato un apposito attestato di partecipazione» ma che questo «non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero». Quindi il Mibact mette fin dall’inizio le mani avanti, ricordando che è solo uno stage, senza possibilità di assunzioni future. Il problema, però, è che il ministero da tempo ormai soffre di una cronica mancanza di personale. Se si dà un’occhiata all’atto di programmazione del fabbisogno di personale per il triennio 2019-2021, pubblicato ad aprile dello scorso anno, si legge a chiare lettere della «carenza di personale di questa amministrazione, rilevata al 25 marzo 2020 e quantificata in complessive 5.295» unità distribuite tra area I, II e III e personale dirigenziale. Il ministero negli ultimi anni ha bandito alcuni concorsi – per esempio quello per 1.052 assistenti alla fruizione e vigilanza al momento sospeso causa Covid, o quello per 250 unità di personale non dirigenziale, rientrante nel concorso del progetto Ripam per reclutare complessivamente 2.133 unità in diverse amministrazioni centrali, – e accoglie con regolarità anche giovani del servizio civile.  Va sottolineato però che nell’ultimo bando Mibact nella premessa si fa riferimento all’articolo 24 comma 4 del decreto legge 104/2020, dove tra le tante misure di rilancio dell’economia non solo si finanzia per 300mila euro per l’anno appena concluso il «Fondo mille giovani per la cultura» – quello che aveva permesso gli stage nel 2013 – ma si decide anche di finanziarlo con 1 milione di euro per il 2021 e di rinominarlo «Fondo giovani per la cultura» rilasciando poi a successivi accordi tra ministeri la determinazione delle modalità di accesso al fondo e lo svolgimento delle relative procedure selettive. In pratica nel 2021 potrebbe essere pubblicato un nuovo bando, che a questo punto potrebbe arrivare a coprire lo svolgimento di oltre 100 stage sempre nel settore dei beni culturali. E per «attrarre i giovani più capaci e meritevoli» e «proseguire la promozione di attività formativa di alto livello già avviata con successo negli anni 2014 e 2015» il ministero prevede un rimborso di mille euro lordi al mese «come parametrato all’importo delle borse di dottorato nelle università italiane». Quindi si cercano giovani brillanti che attirati dal rimborso spese e dall’idea di lavorare in sedi altrimenti difficilmente accessibili, siano disposti a svolgere un tirocinio che di fatto non porterà da nessuna parte, se non illudere di avere un futuro in quegli stessi uffici.L’aspetto che lascia certamente più sorpresi è il riferimento da parte del ministero all’attività formativa “avviata con successo” nel 2014 e nel 2015, quindi con i bandi dei 500 giovani per la cultura e del Fondo mille giovani dell’anno seguente. Eppure all’epoca certo non occuparono le prime pagine per puntualità dei rimborsi spesa o per i risultati prodotti, tutt’altro.Non solo: a certificare il fallimento di quel programma ci pensò poi la Corte dei Conti nell’ottobre del 2016 con la relazione «I tirocini formativi nel settore dei beni culturali (2013-2015)» in cui esprimeva perplessità su questo progetto sottolineando il limite comune a tutti i tirocini fatti negli uffici pubblici, «la loro non prevista valorizzazione all’interno di un progetto finalizzato all’assunzione, come ovvia conseguenza del divieto di reclutamento al di fuori delle procedure concorsuali di accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione». E già all’epoca la Corte esprimeva «perplessità sull’impiego dello strumento del tirocinio formativo nel settore dei beni culturali, tenuto conto che forme di investimento in procedure selettive impegnative per l’organizzazione amministrativa non possono essere utile strumento di inserimento nel mondo del lavoro pubblico» e che risultava carente la prospettiva occupazionale nel lavoro privato.Cinque anni dopo si è esattamente nella stessa situazione, con l’avvio di tirocini che non avranno alcuno sbocco lavorativo e che si occuperanno di un tema delicatissimo quale la digitalizzazione, fondamentale per affrontare la crisi e permettere una fruizione telematica di tutto il materiale presente in archivi e biblioteche. Così nel paese che ad oggi, insieme alla Cina, detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco, ben 55 pari a quasi il 20 per cento di quelli presenti in tutto il mondo, ancora una volta saranno degli stagisti a “fare il lavoro sporco”. Per chi, comunque, attratto dall’esperienza sicuramente formativa e dal rimborso spese volesse fare domanda conviene affrettarsi. Entro le ore 14 del 30 gennaio scadono i termini per presentare e inviare tutto telematicamente dall’indirizzo procedimenti.beniculturali.it/40giovani È possibile fare l’application per entrambi i profili ricercati: online sono disponibili tutte le istruzioni per la compilazione e le faq. Sullo sfondo resta l’istantanea del settore dei beni culturali fortemente vittima della crisi economica e pandemica, in un Paese che da tutta questa ricchezza potrebbe guadagnare e, invece, senza un piano vero e proprio di assunzioni preferisce affidarsi ancora una volta al lavoro comodo ed economico degli stagisti. E forse non stupisce, se si pensa che i musei hanno riaperto in Italia solo il 16 gennaio e solo per le regioni in zona gialla o bianca. Contrariamente a quello che è successo in altri paesi europei – esempio più virtuoso di tutti è stata la Spagna, che non ha mai veramente chiuso i musei o i teatri preferendo definire quattro livelli diversi di rischio, dal basso all'estremo, lasciando sempre i musei aperti e limitando soltanto la percentuale di capienza massima. Un'altra strada, quindi, sarebbe possibile. Marianna LeporeFoto di apertura: da Wikipedia in modalità Creative Commons

Colloquio in Sapio, istruzioni per l'uso

Sapio si è trovata in prima linea da quando è scoppiata la pandemia: si occupa infatti di produzione e fornitura di gas industriali e medicinali, tra cui l’ossigeno per gli ospedali. In questo periodo di superlavoro Cristina Auletta, responsabile del Recruiting e del welfare, ha trovato il tempo di raccontare alla Repubblica degli Stagisti come si entra in Sapio: come funziona la ricerca e selezione del personale. Auletta, 33 anni, vive a Monza («a due passi da Sapio»); dopo una laurea in Scienze dei servizi giuridici alla Bicocca e un master alla Cattolica in Consulenza del lavoro e direzione del personale, nel 2011 è entrata in Sapio come stagista e non ne è più uscita. Abitualmente il suo ufficio gestisce all’incirca una cinquantina di selezioni all’anno; nel corso del 2019 ha accolto dieci stagisti, offrendo loro una indennità di mille euro al mese.  Quali sono i profili che ricercate maggiormente?Dato il nostro business e il progetto ambizioso di internazionalizzazione, che stiamo portando avanti ormai da diversi anni, siamo alla ricerca di figure con una visione moderna e globale del lavoro, dotate non solo di expertise ma anche di una spiccata intelligenza emotiva. Siamo orientati principalmente verso profili tecnici, da inserire all’interno dei nostri stabilimenti, ma siamo aperti anche a posizioni di tipo commerciale e di staff, e quindi con le consuete lauree in discipline economiche o simili. La conoscenza della lingua inglese, chiaramente, è da ritenersi indispensabile per la stragrande maggioranza delle posizioni.   In questo senso, potrebbero essere proposte loro delle trasferte o dei periodi all'estero?Dipende: per esempio abbiamo pubblicato da poco un annuncio di job posting su una nostra società estera, così abbiamo dato la possibilità ai nostri colleghi di candidarsi per questa posizione in Spagna. Come funziona in generale il vostro iter di selezione?Pubblichiamo le nostre offerte di lavoro su LinkedIn, il nostro canale principale, e sulle career page delle università, come per esempio il Politecnico. A seguito dello screening delle Risorse umane, il primo colloquio è con il manager della funzione, a volte affiancato anche da HR, e serve a sondare la sfera delle competenze. A questo segue un colloquio con HR prettamente motivazionale e conoscitivo, per approfondire determinate soft skills del candidato. Una di queste, come le dicevo, è proprio l’intelligenza emotiva, ma anche l’empatia. Per alcune posizioni, inoltre è previsto un terzo colloquio con un test psicoattitudinale e un breve colloquio in inglese per testare il livello della lingua.  Cosa si intende per test psicoattitudinale, e come mai solo alcuni lo fanno?Dipende semplicemente dal livello di candidatura e dalla posizione che deve essere ricoperta. Diciamo pure che il test (con annesso il colloquio) è previsto da una certa posizione in avanti. Ma può capitare che questo terzo passaggio si attivi anche quando vogliamo chiarire dei dubbi che si sono generati nelle fasi precedenti. Siamo molto scrupolosi. Ci affidiamo a un consulente esterno che somministra il test, che poi verrà discusso con il candidato. Osserviamo il suo modo di argomentare le obiezioni che gli vengono rivolte, il modo di gestire il dialogo, la sua capacità di esposizione.  Insomma, ci teniamo a fare le scelte giuste e questo richiede tempo e attenzione. In questo momento, come è giusto, l’iter di selezione si svolge completamente da remoto, tramite videochiamata. Che impatto ha questo ultimo aspetto sulla conoscenza del candidato?Sicuramente è una modalità nuova anche per noi. Non avevamo mai svolto l'intero iter di selezione attraverso colloqui in videochiamata. Ci è capitato in questo periodo di portare a bordo delle persone senza mai averle viste “in presenza”, e devo ammettere che ha funzionato. Ormai abbiamo l’occhio allenato. E poi sono convinta che il talento trova sempre il modo di farsi notare, anche attraverso una web-cam. L’unico rammarico, in tutta onestà, è quello di non poter offrire un processo di onboarding come si deve, nel senso che una volta assunti ci si trova da subito a dover lavorare in modalità smart working e non si ha modo di vedere gli ambienti di lavoro, di conoscere e di interagire direttamente con i colleghi. Come preferite ricevere i curriculum? Less is more! La sintesi è il punto forte di un buon cv. Razionalizzare le informazioni è sempre vantaggioso, sia per chi deve conoscere, sia per chi vuole farsi conoscere. L’eccesso di informazioni annoia e porta spesso fuori strada. Una cosa che mi preme sottolineare è che non andrebbe mai omessa – come spesso ci è capitato di vedere - l’informazione relativa al diploma di scuola superiore. Rappresenta un elemento essenziale del quadro conoscitivo. Perché tagliare via pezzi così importanti della nostra esperienza formativa? Per quanto riguarda il formato, prediligiamo quello personalizzato, perché offre un valore aggiunto e lascia il candidato libero di esprimersi. Un cv può e deve avere una matrice creativa, e un’impaginazione strategica - come mi piace definirla – è già un buon punto di partenza.  Com'è organizzato il vostro ufficio HR? Siamo in nove. Io mi occupo, insieme al direttore HR Carlo Raise, della parte Recruiting. Svolgiamo la maggior parte del lavoro in house e ci avvaliamo di società di selezione per posizioni particolarmente critiche, o con un livello di seniority molto elevato. Fate colloqui di gruppo? A parte questo periodo Covid ovviamente…Oggi è tutto individuale, sì. Ma certamente ci è capitato in passato di fare qualche assessment per determinate tipologie di figure. Riteniamo che sia uno strumento importante per testare soprattutto le capacità relazionali e di leadership, e per valutare come una persona sia in grado di muoversi all’interno un unknowing team. In genere formiamo gruppi di 4, massimo 6 persone, e somministriamo loro un role play. È una modalità che ci permettere di far lavorare i candidati sotto stress (senza inutili sovradosaggi di ansia) e di osservarli a trecentosessanta gradi. Dopo questo momento segue sempre test sulle competenze e, infine, un colloquio individuale.  Prendendo in considerazione il primo colloquio, come avviene concretamente?Si tratta di un colloquio individuale con il manager di settore di dipartimento: è svolto in italiano e dura in media 40 minuti; poi dipende dalle posizioni. Se sono posizioni senior può durare anche più di un'ora.
  Può essere utile ai vostri candidati conoscere altre lingue straniere oltre all'inglese?Nell'ambito di amministrazione, di business analysis e controllo di gestione, se il candidato conosce anche il francese o il tedesco, che sono le lingue dei Paesi dove abbiamo nostre consociate, può rappresentare sicuramente un punto a suo favore. Apprezzate le autocandidature oppure preferite che ci si candidi unicamente attraverso i vostri annunci?La candidatura a un annuncio è sicuramente più efficace, mirata e in linea con le posizioni aperte. Ma esiste il modo per potersi autocandidare (anche in momenti in cui non stiamo ricercando), attraverso il nostro portale “Lavora con noi”. Le autocandidature, in genere, vanno ad arricchire il nostro database, che cerchiamo comunque di tenere allineato ai nostri bisogni.  Riscontrate qualche difficoltà a reperire donne con profili tecnico-scientifici? Non abbiamo mai avuto difficoltà “di genere” in questo senso. Non credo esista più questo tipo di limite culturale. Ma al di là di ogni considerazione, non è nostra prerogativa fare un balance tra assumere figure professionali maschili o femminili. Noi ricerchiamo il talento, e il talento non ha nulla a che vedere col genere. Vi sono delle competenze che ricercate nei candidati ma che faticate a trovare?Si sa che i laureati in informatica sono molto pochi e molto richiesti, quindi è difficile trovarli disponibili sul mercato. Facciamo anche fatica a trovare laureati in ingegneria per posizioni in ambito commerciale. Perché c'è un po' un pregiudizio nei laureati in ingegneria a fare un lavoro di questo tipo?Non parlerei di pregiudizio. Credo solo che i laureati in ingegneria abbiano ambizioni diverse rispetto a svolgere un lavoro di tipo commerciale. Il punto è che la nostra attività commerciale comprende non solo la vendita in quanto tale, ma anche una fetta importante di supporto tecnico al cliente. Ed è più vantaggioso per noi che i due aspetti convivano in un’unica figura. Questo perché ci teniamo a offrire ai nostri clienti un’assistenza completa.   Qual è l'errore che non vorreste mai veder fare a un candidato durante un colloquio?Senza dubbio il compiacimento del recruiter. La forza di un candidato sta proprio nel saper esprimere le sue opinioni in modo fermo e allo stesso tempo empatico. Essere se stessi è il pregio più grande. Un candidato che non si sa raccontare è un candidato che non potrà mai portare un valore aggiunto alla nostra azienda, che è fatta di persone, ancora prima che di ruoli. E poi un colloquio non è un interrogatorio: noi amiamo dialogare con i nostri candidati. Come date i vostri feedback? Via e-mail o tramite Linkedin, se la selezione arriva da lì. Chiaramente abbiamo delle tempistiche non così immediate - ma comunque un riscontro viene sempre dato, anche in caso di esito negativo. 
 Nel caso dello stage: una volta attivato qual è poi l'iter contrattuale che solitamente proponete al giovane?Tendenzialmente usiamo il tempo determinato; più di rado la somministrazione. 
 Ci sono differenze tra l'iter di selezione e le modalità di colloquio per selezionare uno stagista e l'iter per selezionare invece una persona da inserire direttamente con contratto?Di solito c’è uno step in meno per gli stagisti, e sicuramente non viene fatto il test psicoattitudinale. La vostra azienda nel momento del Covid ha avuto molto lavoro.Assolutamente sì, e questo ha rafforzato molto il senso di appartenenza. Su Linkedin sono stati pubblicati i volti delle persone di Sapio [ne abbiamo riportati alcuni in questo articolo, ndr] che hanno lavorato nei diversi ambiti: dal contact center fino alla gestione, pianificazione e distribuzione dell'ossigeno. Abbiamo fatto loro delle interviste, abbiamo dato loro una voce, volevamo che si sentissero dei protagonisti. E questo perché le nostre persone sono state impegnate in prima linea e non si sono mai tirate indietro davanti alle condizioni difficilissime nelle quali si sono trovate a lavorare – a vivere – durante questo terribile momento del nostro paese… e del mondo intero.

Protestano i praticanti avvocati bloccati dal Covid: l'esame rischia di slittare ancora

Praticanti avvocati sul piede di guerra. Continuano a protestare, per lo più inascoltati, i laureati in Giurisprudenza con il praticantato già maturato nel corso del 2020 e che a causa della pandemia non hanno potuto sostenere l'esame e abilitarsi alla professione. Non un gruppetto sparuto, ma almeno 20-25mila giovani secondo le stime delle associazioni che li rappresentano. La richiesta principale è una: trovare soluzioni alternative all'esame tradizionale costituito da tre prove scritte e un orale. La via maestra potrebbe essere concentrare l'esame in una sola prova orale, il cosiddetto 'orale abilitante' che non comporterebbe assembramenti e rappresenterebbe la via di uscita dall'impasse. Il rischio è in alternativa restare praticanti ancora per mesi, senza poter esercitare e riuscire finalmente a cominciare a guadagnare.Il caso scoppia a novembre dello scorso anno quando, dopo l'ultimo dpcm, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annuncia lo slittamento delle prove scritte fissate per il 15, 16, 17 dicembre, come conseguenza «dell'aggravarsi dell'epidemia», e senza aprire a nessuna opzione alternativa per lo svolgimento dell'esame. Succede non solo agli aspiranti avvocati, ma anche a altre categorie professionali tra cui i giornalisti, che a loro volta vedono sospendersi lo scritto.I praticanti avvocati non ci stanno e il 16 dicembre scattano sit in di protesta in tutta Italia, tra Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, Palermo e Vibo Valentia. Nel capoluogo lombardo decine di giovani alzano striscioni in cui chiedono certezze. Rivendicano di essere loro a mandare avanti i tribunali, «se tutti i praticanti di Milano incorciassero le braccia la giustizia a Milano durerebbe dieci giorni» grida da un megafono un manifestante ripreso in un video. «Il ministro ha preferito assumere una linea compiacente verso quella cerchia più ristretta e corporativa dell'avvocatura» accusano in un comunicato congiunto alcune associazioni del settore, tra cui l'Associazione italiana dei praticanti avvocati Aipavv, il Coordinamento dei giovani giuristi italiani, il Comitato per l'esame da avvocato.Una linea che «che sta falcidiando la maggior parte dei liberi professionisti» e che dimostra di «temere la concorrenza dei colleghi più giovani». L'assunto è che gli organi forensi si stiano giocando la carta del Covid per impedire l'accesso di nuove leve alla professione. «Vogliamo lavorare» scrivono, queste «sono decisioni miopi che tolgono l'opportunità di costruire il proprio futuro e rendersi indipendenti».Nel frattempo, il 18 dicembre, il ministero della Giustizia rende note le nuove date per il concorso, che si dovrà tenere secondo i piani il 13, 14 e 15 aprile 2021. Lo stato di emergenza è stato però esteso dal governo fino al 30 aprile, dunque anche su quelle date pende l'incertezza. «Cosa si farà se, ad aprile, non si potrà svolgere l'esame?» chiede dalle proprie pagine Facebook il Comitato per l'esame da avvocato. «Qual è il piano B?». Le nuove date «non risolvono nulla e non offrono soluzioni». Il rischio è infatti saltare anche la sessione 2021, mentre gli altri professionisti procedono senza intoppi grazie all'orale abilitante riconosciuto per esempio a commercialisti e architetti (senza contare le lauree abilitanti introdotte di recente).Alla questione si interessano alcuni politici. Lia Quartapelle, 38enne deputata del Pd, presenta il 23 dicembre un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia, ad oggi ancora senza risposta. «L'attuale esame di abilitazione, composto da tre scritti della durata di otto ore da svolgersi con carta e penna, è anacronistico» è la premessa. In più «c'è una ingiusta disparità di trattamento rispetto alle soluzioni alternative trovate per le altre categorie». L'appello è a chiarire «le misure che saranno prese nel caso in cui l'emergenza persista e l'esame venga di nuovo rinviato». Anche Matteo Richetti, senatore del gruppo misto, classe 1974, prende le parti dei praticanti: «Tra totoministri e ricerche di 'costruttori', il Paese, quello reale, continua a fare i conti con la realtà» scrive sul suo account il 13 gennaio: «Il decreto Milleproroghe ha confermato modalità alternative per le prove di abilitazione» evidenzia, «ma non per gli aspiranti avvocati». E rilancia: «Iniziamo a pensare a come far svolgere questo esame senza continuare a nascondere l’emergenza dietro un dito?».Dagli organi istituzionali per ora nessuna risposta. Tra le associazioni si susseguono proposte, anche se non sempre condivise da tutti i rappresentanti. Tra le ultime quella di ridurre la prova a un solo esame scritto, che non risolverebbe però il problema della presenza fisica e dunque il rischio contagio. Una idea dell'ultima ora – chissà che non sia la definitiva - arriva dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, il 61enne Vinicio Nardo [nella foto a sinistra].«Vanno studiate forme di esame emergenziale» ragiona in un video Facebook del 13 gennaio. Niente a che vedere, precisa, «con la riforma dell'esame, che è allo studio del Parlamento» e per cui sono in corso audizioni informali in Commissione Giustizia alla Camera (l'ultima quella dell'associazione Cogita a favore della proposta di legge Di Sarno e Miceli che prevede una riduzione degli scritti). Escludendo l'esame da remoto «che comporta procedimenti infattibili in quattro mesi» prosegue, si rende necessario «un esame rafforzato orale, con una struttura più ampia e con materie diverse». Senza pensare a questo come a «un condono generale», ma solo come a «un decreto valido per un anno». I tirocinanti e i giovani in generale «sono quelli che patiscono di più questa situazione» ammette, dunque «non possiamo voltarci dall'altra parte» è la conclusione.Ilaria Mariotti

Agenzia Onu per la proprietà intellettuale, stage a Ginevra con oltre 1500 euro di indennità mensile: domande entro fine gennaio

Nuovo anno, nuove possibilità di partecipare a tirocini internazionali: è stata prorogata fino al 31 gennaio – inizialmente prevista entro il 30 dicembre dell’anno appena concluso – la possibilità di candidarsi al programma di tirocini 2021 presso la World Intellectual Property Organization: l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, una delle tante agenzie specializzate delle Nazioni Unite con sede principale a Ginevra, in Svizzera.La buona notizia è che la Wipo rientra tra le agenzie delle Nazioni Unite che prevedono un rimborso spese per i suoi stagisti – cosa purtroppo non scontata, dato che l'Onu è una delle realtà internazionali “maglia nera” per quanto riguarda questo aspetto: le migliaia di internship che ogni anno hanno luogo nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a NY e in molte altre sedi in giro per il mondo purtroppo sono tuttora, malgrado da almeno cinque anni vengano periodicamente organizzate proteste e “scioperi” degli stagisti, completamente gratuiti. Il fatto che questa agenzia dell'Onu invece offra ai suoi tirocinanti oltre 1500 euro al mese è un fattore che, affiancato all’esperienza internazionale di pregio, dà un motivo in più per mandare l’application.La scadenza del 31 gennaio è importante perché «per ragioni amministrative, Wipo apre due volte l’anno gli elenchi per candidarsi. Quindi gli stagisti sono reclutati continuativamente nel corso dell’anno dall’elenco corrente o da quello più recente, in base alle esigenze», spiega alla Repubblica degli Stagisti Christine Merjanian, Wipo Talent Acquisition Manager. «Le domande vengono esaminate sulla base delle esigenze interne individuate dalle diverse unità organizzative».L’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale conta 1.508 lavoratori (ultimi dati disponibili aggiornati al 2020) di cui 418 lavoratori “flessibili” (dai contratti a tempo determinato anche di alto livello agli stagisti) e 1.090 di forza lavoro permanente, con una distribuzione a favore delle donne che in totale sono 803 e un’età media poco sotto i 49 anni. Dal 1999 al 2020 ha ospitato 506 tirocinanti, anche in questo caso con una distribuzione a favore del genere femminile che batte 320 a 186 gli uomini. La sede principale è a Ginevra, ma conta anche degli uffici periferici ad Algeri, Rio de Janeiro, Pechino, Tokyo, Singapore, Mosca e Abuja. Di norma ospita annualmente tra i 40 e i 50 stagisti, ma questo numero nel corso del 2020 è calato vertiginosamente a causa della pandemia Covid: «Nel corso dell’anno appena passato Wipo ha ricevuto 2.954 candidature e selezionato 27 stagisti». Nel 2019, invece, il numero di candidature è stato più basso, 1.181 ma in quel caso, spiega Merjanian, «gli stagisti selezionati sono stati 41». A vincere su tutti per numero di candidature l’India, con 122, tallonata dall’Italia, con 119 application e seguita dalla Cina, ferma a 79. Non ci sono però dati precisi sul numero di stagisti selezionati per nazione di provenienza, perché «per quanto riguarda le selezioni archiviamo i dati sulla base delle aree geografiche e non del Paese». Con questa classificazione le prime tre regioni erano Asia e Pacifico, seguita da Europa occidentale e da Africa.Al di là dell’esperienza internazionale, un fattore molto interessante per questo genere di stage è il rimborso spese: «La Wipo ha iniziato a prevedere un pagamento per i suoi tirocinanti dall’avvio del programma di tirocinio, nel 1999», puntualizza Merjanian. Lo stage è pensato per due categorie diverse di stagisti: gli studenti di un corso di laurea di primo livello iscritti al terzo o quarto anno accademico, o titolari di una laurea di primo livello da non più di due anni; e gli studenti di una magistrale o titolari di laurea specialistica o laureati che hanno completato i corsi, ma non la tesi. Per la prima categoria lo stage può durare dai tre ai sei mesi con un rimborso spese mensile di 1.570 franchi svizzeri, circa 1.460 euro, inclusa una tessera per il trasporto, mentre per la seconda categoria il tirocinio va dai tre mesi a un anno e il pagamento mensile sale a 2.070 franchi svizzeri, circa 1.925 euro, con la tessera mezzi inclusa.Il 2020 è stato un anno importante perché sono stati introdotti dei miglioramenti proprio per quanto riguarda le indennità mensili, per rendere questo tipo di stage più accessibile a tutti i candidati a livello globale. E, infatti, non solo è stato aumentato a 1.570 franchi l'emolumento mensile per gli stagisti di categoria 1, precedentemente fermo a 500 franchi svizzeri, ma si è deciso di includere anche la tessera per i trasporti locali per un importo di circa 70 euro, portando quindi i rimborsi agli attuali importi. Da ricordare, però, che la Wipo non è responsabile dell’organizzazione del viaggio per raggiungere Ginevra né dei relativi costi. Questo significa che a parte bisogna calcolare le spese di viaggio. Unica eccezione per gli stagisti che provengono da un paese in via di sviluppo o classificato tra quelli meno sviluppati: in questo caso si ha diritto a un massimo di 1.500 franchi svizzeri di rimborso viaggio a patto che sia effettuato sulla rotta e classe più economica. Una volta assegnati al quartier generale Wipo a Ginevra i tirocinanti hanno diritto anche a una “carte de légitimation” per tutta la durata dello stage, che funge da permesso di soggiorno e di lavoro.Ma cosa fa realmente la differenza in un aspirante stagista per essere selezionato? Christine Merjanian non ha dubbi: «Frequentare o aver frequentato un corso di laurea pertinente, mandare un application lucida e affiancare tutto con una buona lettera di presentazione». Da tenere a mente che tre posti di tirocinio sono riservati alle nazionalità sottorappresentate dagli Stati membri Wipo, che nell’ultimo elenco del 2020 vedevano tra gli stati europei solo Estonia, Lussemburgo, Malta e Slovenia. Oltre ai titoli di studio già elencati è necessario poi avere una buona conoscenza dell’inglese o del francese (la lingua che si parla nel cantone di Ginevra), meglio se entrambe. Chi conosce l’arabo, il cinese, il tedesco, il giapponese, il coreano, il portoghese, il russo e lo spagnolo ha delle possibilità in più. In aggiunta è richiesta una buona conoscenza del pacchetto office e di altri programmi rilevanti.Attualmente è quindi possibile candidarsi per uno stage che si svolgerà nei seguenti ambiti: legge e diritto della proprietà intellettuale, economia e statistica, tecnologia dell’informazione, servizi di cooperazione tecnica, amministrazione di progetto, amministrazione (finanza, risorse umane, pianificazione del programma), esame brevetto e marchio, diritto d’autore, traduzione, e altre aree come comunicazione e sicurezza.Per candidarsi è necessario creare il proprio profilo sul sito della Wipo e registrarsi compilando tutte le sezioni, in particolare indicando l’area preferita di lavoro. Sul sito è disponibile anche una guida molto utile perché mostra passo dopo passo come procedere. Gli ultimi step prevedono l’inserimento della lettera motivazionale e di almeno due contatti da utilizzare per eventuali referenze. Soltanto dopo aver compilato e inviato tutto si riceve un’email di conferma. In ogni momento è possibile modificare o ritirare la propria candidatura. Nel corso dell’anno ogni volta che si apre una nuova possibilità di stage vengono analizzate le application inserite e «se la domanda rispetta i requisiti richiesti sarai contattato direttamente per un’intervista». Il colloquio può essere fatto al telefono, in videoconferenza o di persona e include anche un test scritto.La Wipo scrive chiaramente che «a causa dell’elevato numero di candidature, saranno contattati solo i giovani selezionati»  e se dopo sei mesi dalla data di chiusura dell’avviso di ricerca non si è ricevuta alcuna mail significa che l’application non è stata presa in considerazione. Il tempo di validità massima della propria candidatura è di un anno, quindi all’apertura del nuovo elenco se ancora interessati sarà necessario rifare tutto da capo.La Wipo tutela la proprietà intellettuale a livello globale ed è stata istituita nel 1967, riunendo 193 stati membri. «Affianca governi, società e aziende nella gestione di tutto quello che attiene il campo della proprietà intellettuale e offre programmi e servizi di protezione a livello internazionale, contribuisce alla risoluzione delle controversie e alla definizione di regole equilibrate».Anche questa agenzia ha subito gli effetti della diffusione della pandemia Covid, così come il suo programma di stage: «I tirocinanti che già avevano cominciato il tirocinio con Wipo all’interno degli uffici a Ginevra sono stati trasferiti in smart internshipping, con gran parte di loro che sono rimasti in città durante questo periodo», spiega Merjanian. Pandemia che potrebbe avere ripercussioni anche per l’anno in corso. E infatti, «i tirocinanti già in Wipo continueranno in telelavoro come il resto del personale fino a quando non sarà consentito il ritorno nei locali». Diversa, invece, la situazione per i prossimi stagisti: «una volta che la situazione relativa alla pandemia di Covid sarà tornata alla normalità, riprenderà il reclutamento di nuovi tirocinanti con sede a Ginevra. Nel frattempo stiamo esaminando le richieste di stage caso per caso per determinare se un tirocinio a distanza può essere appropriato a seconda del tipo di stage, della residenza dello stagista e del fatto che nei mesi futuri dovrà essere in ufficio a Ginevra per almeno la metà delle ore totali del suo periodo di stage».Per avere un’idea di quali siano i compiti svolti dalle diverse sezioni dove si potrebbe prendere servizio si può dare un’occhiata a questo link e soprattutto leggere le testimonianze di alcuni ex stagisti che raccontano la loro esperienza, dal background di provenienza all’ufficio assegnato e compiti svolti durante il tirocinio.Svolgere uno stage presso la Wipo non significa, però, avere un posto di lavoro assicurato. I tirocinanti, infatti, sono considerati dei candidati “esterni” per qualsiasi posto libero a tempo determinato per cui eventualmente si candidano. Il che significa che sono tenuti a seguire il normale iter di selezione. Qualcuno ce la fa: «Nel 2019 cinque stagisti sono stati assunti come dipendenti. A questi si aggiunge un altro numero limitato di ex tirocinanti a cui sono stati offerti dei contratti di consulenza», spiega Merjianian.Agli interessati all’esperienza internazionale che non demordono nemmeno dalla possibilità di svolgere questo tirocinio in parte a distanza conviene affrettarsi per rispettare i tempi di chiusura del bando.Marianna LeporeFoto in alto a sinistra: credit Wipo/Berrot in modalità Creative Commons

Stage alla Commissione europea, aperto il nuovo bando: centinaia di posizioni con rimborsi da 1230 euro mensili

Sono aperte le candidature per gli stage alla Commissione europea, uno dei più conosciuti – e ambiti – programmi di tirocinio delle istituzioni europee. Online dallo scorso 5 gennaio, le domande si potranno inviare fino al 29 gennaio a mezzogiorno. E, come per tutte le edizioni, ci si aspetta un numero altissimo di application. In base alle statistiche pubblicate sul sito, in alcune edizioni, come quella del 2016, si sono perfino superate le 18mila candidature. Un numero a cui fanno fronte centinaia di posizioni disponibili, che variano di anno in anno a seconda «delle esigenze e del budget». Gli italiani sono sempre in testa per numero di domande, con una media superiore alle 2mila application per ogni sessione, una a semestre. E primi sono anche per numero di stagisti selezionati, attestandosi sopra il centinaio nelle ultime tornate. In particolare, per la sessione in partenza a ottobre 2020, le application degli italiani sono state 2.309, e i selezionati del nostro Paese 120. A farcela è stato insomma circa uno su venti. Più nel dettaglio, come chiarito sul sito, «sono circa 2000 i preselezionati appuntati di volta in volta nel Blue Book [il libro dei candidati che dà il nome anche al programma di tirocini, ndr]». Dunque sono tre i candidati per ogni posizione disponibile, «che ammontano in totale a circa 650 per ogni tornata». L'interesse verso i tirocini alla Commissione europea è legato al prestigio dell'istituzione, ma anche al buon rimborso spese, pari a 1229,32 euro mensili, maggiorato del 50 per cento in caso di disabilità, e a cui va aggiunta l'indennità di viaggio (per distanze superiori ai 50 km) e coperture extra in caso di incarichi per qualche missione. A chi ha svolto il tirocinio non è però concesso un corridoio speciale per entrare nell'organico della Commissione Ue: «L'ammissione a un tirocinio non conferisce ai tirocinanti lo statuto di funzionari o di dipendenti, né comporta eventuali diritti o priorità per quanto riguarda un'eventuale assunzione nei servizi della Commissione europea» mette nero su bianco il regolamento. Per candidarsi bisogna rispettare una serie di requisiti, variabili a seconda che si opti per i tirocini amministrativi o per quelli nella traduzione. Per entrambi occorre la laurea, almeno triennale, e il non aver avuto in passato esperienze professionali «di alcun tipo» - sottolinea il regolamento - di oltre sei settimane nelle istituzioni europee. Quanto alla conoscenza delle lingue, per i tirocini amministrativi serve la padronanza di almeno due lingue europee, di cui una necessariamente l'inglese, il francese o il tedesco. Per i tirocini nella traduzione, occorre la capacità di saper tradurre verso la propria lingua principale da almeno altre due lingue. Non esistono preferenze per la facoltà seguita, anche se le statistiche online suggeriscono quali sono le tendenze. Per i tirocini amministrativi, circa la metà dei selezionati ha alle spalle studi in Scienze politiche o Giurisprudenza (il 48 per cento). Per quelli nella traduzione, la metà – circa il 49 per cento – in Lingue o interpretariato. Anche aver fatto l'Eramus può dare qualche chance in più, considerando come l'esperienza sia presente in oltre il 20 per cento dei curriculum finalisti.La procedura per l'application va fatta online, a seguito della registrazione sul sito. Non sarà necessario allegare nessuna documentazione se non dopo aver superato la fase della preselezione. Il sito è molto chiaro su come presentare il proprio curriculum. Ci sono anche consigli pratici, come per esempio quello di evitare di indicare esperienze minori, «come lavoretti estivi o di poche settimane». I tirocini per cui ci si candida adesso inizieranno il primo ottobre 2021, per terminare il 28 febbraio 2022. La fase di preselezione si collocherà dunque tra febbraio e marzo. Inizia così il primo screening dei curriculum, sulla base di profilo accademico, competenze linguistiche, presenza di un profilo internazionale e così via. Una volta superato il passaggio sarà richiesto il caricamento di documenti ufficiali e si sarà registrati nel cosiddetto Virtual Blue Book, il database contenente le schede di tutti i candidati che hanno superato le preselezioni. Si passa quindi alla selezione vera e propria, tra giugno e settembre, ad opera delle direzioni generali e delle agenzie. Si compila infine la lista dei preferiti in base a una ultima scrematura che passerà per interviste telefoniche o in presenza. Alla fine del procedimento arriverà la proposta ufficiale di tirocinio. Da specificare poi sono le conseguenze dell'emergenza epidemiologica nell'organizzazione dei tirocini. La sede ufficiale della Commissione Europea è Bruxelles, dunque è lì che si svolge la maggior parte dei tirocini, pur essendovene una parte in altre città tra cui Lussemburgo o altre rappresentanze in altre sedi. Ma l'incertezza, sottolinea un avviso sul sito, «non permette di dire se i tirocini potranno svolgersi come programmato». Lo scoppio dell'epidemia ha costretto infatti i tirocinanti dell'edizione di marzo a scegliere se continuare lo stage in versione smart 'internshipping' oppure interromperlo. Per tutti c'è stata la possibilità di «reiniziare il tirocinio nella sessione di ottobre 2020».  Per i selezionati si tratterà, come spiega il sito, di «assistere a meeting, partecipare a gruppi di lavoro e conferenze, svolgere attività di ricerca e correzione di documenti, fornire risposte alla cittadinanza». Una serie di mansioni che richiedono, evidenzia l'avviso pubblicato in homepage, «l'interazione personale tra colleghi e la presenza fisica laddove possibile». A cui entro ottobre 2021 si spera di poter tornare senza troppe preoccupazioni. Ilaria Mariotti 

Stage sospesi causa Covid, la Toscana mette quasi 3 milioni di euro sul nuovo bando: aperto anche a chi ha più di 30 anni

Si aprirà domani mattina, giovedì 14 gennaio, alle ore 9 la possibilità di far domanda per un contributo straordinario per tirocinanti e praticanti over 29 che si sono visti sospendere o interrompere lo stage in Toscana nel corso del 2020 a causa delle restrizioni per l’emergenza Covid. La Regione ha, infatti, finalmente pubblicato il nuovo bando che si rivolge anche alla platea precedentemente esclusa dal provvedimento. L’avviso arriva sei mesi dopo il suo primo annuncio, quando con una delibera di giunta si comunicava l’ampliamento imminente della platea dei destinatari agli over 30 con l’allora assessora al lavoro Cristina Grieco che parlava di un «decreto di approvazione dell’avviso pubblico entro la metà di agosto».Ora il bando è arrivato: potranno, quindi, richiedere l’indennità straordinaria anche gli over 29, inattivi e disoccupati, che si siano trovati in difficoltà economica a causa di «un tirocinio extracurriculare o un praticantato sospeso per oltre 15 giorni a causa dell’emergenza Covid 19, oppure coloro che abbiano svolto un tirocinio non curriculare o praticantato, con scadenza nel periodo di sospensione a causa dell’emergenza sanitaria, a condizione che sia stato sospeso per oltre 15 giorni prima del suo termine».Per questo bando ci sono a disposizione 2 milioni 830mila euro. 30mila sono lo stanziamento ad hoc, a cui però vanno aggiunti 2 milioni 800mila euro “avanzati” dalla deliberazione di qualche mese fa che attivava il “contributo straordinario FSE per il sostegno al reddito dei tirocinanti e dei praticanti i cui tirocini sono sospesi per effetto delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica COVID-19” in Toscana. Con la pubblicazione del nuovo avviso si supera quindi un aspetto insolito del testo precedente, che contemplava il limite massimo dei 30 anni per far domanda: fino ad oggi, infatti, i destinatari del provvedimento finivano per coincidere perfettamente con i partecipanti al programma GiovaniSì, in vigore dal 2011 e cofinanziato dalla regione. Ora, invece, qualcosa cambierà, visto che «in relazione al perdurare dell’emergenza Covid-19» si consente «l’erogazione del contributo straordinario a un più ampio numero di beneficiari».È importante sottolineare un altro elemento previsto dal decreto di approvazione numero 21672 del 28 dicembre scorso, che consente l’emanazione del nuovo avviso. Nel testo, infatti, si dispone, a partire dal 13 gennaio, la chiusura della prima edizione del bando: in pratica il testo pubblicato a metà maggio e destinato ai soli under 30. Questo significa che chi ancora non avesse fatto domanda dovrà a questo punto rifarsi al nuovo avviso e alle nuove modalità di richiesta.Il bando appena pubblicato sarà attivo fino a esaurimento fondi, quindi conviene non rimandare troppo l’invio della domanda, anche perché come si legge dal decreto del 28 dicembre scorso, si assicura la copertura dell’avviso per un importo pari a 30mila euro.Visto che l’incentivo garantito dalla Regione ammonta a 433,80 euro per le sospensioni che vanno dai 15 ai 45 giorni e sale a 867,60 euro per periodi superiori, se a far domanda fossero tutti stagisti che hanno visto il tirocinio sospeso per almeno due mesi, il numero totale di tirocinanti che potrebbero beneficiare di questo nuovo bando sarebbero appena 35. La platea potenziale a prima vista sembrerebbe molto esigua. Ma alle risorse regionali già stanziate si integrarano quelle residue della deliberazione numero 558 del 2020: che altro non è che il documento iniziale con cui si predisponevano le spese «per la concessione di un contributo straordinario FSE per il sostegno al reddito dei tirocinanti e dei praticanti i cui tirocini sono sospesi per effetto delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica COVID-19».In pratica ai 30mila euro del nuovo stanziamento si affiancheranno i residui non spesi per il bonus per soli under trenta. In quel contesto le risorse destinate al programma erano 5 milioni 107mila euro, di cui 3 milioni 507mila destinati a tirocini di orientamento e formazione, inserimento e reinserimento e praticantato e 1 milione 600mila ad incentivi all’assunzione. Da questo primo bacino di risorse ne sono avanzate non poche, visto che per il bando che oggi va a chiudersi definitivamente e che nei piani iniziali doveva accogliere circa 7mila richieste alla fine il numero di beneficiari totali è stato di 2.481, considerando le sette graduatorie degli ammessi pubblicate. Numeri confermati anche dalla segreteria dell'assessore all'istruzione Alessandra Nardini. Certo ci sono stati anche vari esclusi perché non in possesso dei requisiti, ma qualcosa deve essere andato in corto circuito se a conti fatti il numero dei richiedenti è stato meno della metà di quelli previsti.E dunque si arriva a «una dotazione finanziaria complessiva di 2 milioni 830mila euro», come dall'assessorato confermano alla Repubblica degli Stagisti, che potenzialmente potrebbero soddisfare le richieste di oltre 3mila beneficiari.Nel testo dell’avviso si legge che le misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica Covid «hanno comportato la sospensione dei tirocini non curriculari e dei tirocini per l’accesso alle professioni ordinistiche sul territorio regionale» e che questi, pur non configurandosi come rapporti di lavoro, «danno luogo ad una forma di sostegno economico» che è venuta meno causando una imprevista situazione di difficoltà. Per questo la Regione ha pensato a una indennità straordinaria «finalizzata a mitigare gli effetti economici negativi» causati dal mancato incasso dell’indennità di partecipazione mensile. Uniche categorie di stage escluse dal nuovo avviso sono i tirocini presso gli uffici giudiziari e quelli per l’accesso alla professione di psicologo.Ora, quindi, gli over 30 finora esclusi o i più giovani che non hanno fatto in tempo a partecipare al primo bando possono provare a fare richiesta grazie al nuovo avviso. Per partecipare devono per prima cosa essere inattivi o disoccupati e svolgere un tirocinio in Toscana che sia stato sospeso a causa del Covid per più di 15 giorni e al momento sia ancora in corso o aver svolto uno stage che sia stato sospeso per più di due settimane e sia stato concluso nel periodo dell’emergenza. È importante ricordare anche che i tirocinanti e i praticanti che abbiano già partecipato al primo bando e ottenuto un contributo parziale, ma al momento siano in possesso dei requisiti del nuovo bando, possono presentare una nuova domanda per lo stesso tirocinio per integrare il contributo ricevuto, fino al raggiungimento dell’importo massimo di 867euro per stage sospesi per più di 46 giorni.La domanda di partecipazione è solo online ed è necessario utilizzare la carta sanitaria toscana o la carta nazionale dei servizi abilitata e un lettore di smart card. In alternativa per accedere si possono utilizzare anche le proprie credenziali Spid. La modalità di consegna è “a sportello” tramite questo link. Una volta compilato il form online e allegati i documenti si ottiene il numero di protocollo. Entro l’ultimo giorno di ogni mese sono pubblicati gli elenchi delle domande ammesse e non ammesse e l’erogazione dell’indennità avviene solo in seguito alla pubblicazione di un decreto di impegno di liquidazione. Per farsi un’idea dei tempi si può dare un’occhiata all’andamento del primo bando aperto il 28 maggio 2020 e per cui il primo elenco beneficiari arriva il 10 luglio, l’impegno di liquidazione una settimana dopo e i pagamenti veri e propri ai primi di agosto.Marianna Lepore

Tirocini alla Corte dei conti UE pagati 1350 euro al mese: il bando è aperto, ma lo stage potrebbe essere a distanza

In tempi di scarse opportunità lavorative, tra le opportunità ghiotte ci sono gli stage presso la Corte dei conti europea. Si può mandare la propria application fino al 31 gennaio per provare a partecipare agli stage che prenderanno il via a maggio. Ogni anno questa istituzione europea con sede a Lussemburgo offre un minimo di cinquanta stage a giovani laureati e ha sempre un alto numero di richieste italiane.È stato così anche per l’ultima sessione di tirocini cominciata il primo ottobre 2020: «Abbiamo ricevuto 1.725 application, 865 dall’Italia, 316 dalla Spagna e 85 dal Portogallo», conferma Damijan Fiser, addetto stampa della Corte dei conti alla Repubblica degli Stagisti. Significa che metà delle candidature sono arrivate dal nostro Paese e che gli italiani hanno quasi triplicato gli spagnoli, secondi per numero di richieste di stage. Nel caso specifico – ma è bene ricordare che non capita sempre – gli stagisti selezionati hanno poi rispettato in parte la proporzione numerica con le popolazioni dei Paesi membri. E infatti per quella tornata «la Corte ha selezionato 16 tirocinanti: tre dalla Spagna, due dall’Italia e dalla Francia, e uno rispettivamente da Svezia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Belgio, Austria, Portogallo e Olanda». Il numero degli stagisti selezionati è un po’ più basso rispetto al solito perché alcuni dei tirocinanti che avevano cominciato l’ultima sessione –interrotta causa pandemia Covid – hanno potuto ripetere lo stage ex novo. A febbraio, invece, la Corte aveva ricevuto 1.743 domande, di cui ben 665 italiane. Il nostro Paese, nemmeno a dirlo, è stato anche in questo caso il primo per numero di application, seguito dalla Grecia con meno della metà delle domande italiane (290) e dalla Spagna (208). Sono state, però, Francia e Svezia ad ottenere il maggior numero di tirocinanti selezionati – tre a testa – e l’Italia si è dovuta accontentare di due stagisti, al pari di Austria, Belgio, Bulgaria, Spagna, Irlanda e Lussemburgo. La verà novità per lo stage cominciato a ottobre e tutt’ora in corso è stata per la modalità: per la prima volta, infatti, uno stage è cominciato e si sta svolgendo tutt’ora direttamente in smart internshipping, quindi dalla propria abitazione del Paese di origine. Una scelta adottata dalla Corte per evitare di cancellare la sessione autunnale di tirocinio come era già successo per quella estiva. Questo, però, non significa che gli stagisti siano stati abbandonati a loro stessi. «I tirocinanti sono guidati quotidianamente tramite Microsoft Teams per garantirgli un’esperienza di stage di successo», assicura Fiser: «Ci sono incontri di gruppo introduttivi a inizio stage per incontrare il loro team e colleghi. E successive riunioni dipendono dai requisiti di ciascun progetto a cui partecipano i tirocinanti. All’interno della Corte dei Conti crediamo fermamente che la comunicazione sia la chiave per creare fiducia con gli stagisti che hanno bisogno di molta attenzione all'inizio del loro tirocinio. E il modo migliore per garantirgli di svolgere con successo il programma di stage è comunicare quotidianamente con loro. Ci assicuriamo di essere disponibili nel caso in cui abbiano bisogno di supporto, assistenza, guida o qualsiasi tipo di domande».Lo smart internshipping non ha influito sul rimborso spese o il monte ore di attività: gli stagisti hanno continuato ad avere un’indennità mensile di 1.350 euro per un totale di 40 ore settimanali, otto al giorno. Indennità che sale a 1.850 euro al mese per gli stagisti che abbiano una disabilità certificata, policy che non cambia nemmeno con lo stage a distanza. In aggiunta, «per qualsiasi richiesta di flessibilità ogni manager può decidere per circostanze eccezionali». Computer e connessione internet sono quindi a carico di ogni stagista; la European Court of Auditors, però, fornisce l’accesso remoto, in pratica la connessione tra due o più computer a distanza tra loro in modo da poter seguire passo passo il lavoro.Regole che potrebbero essere valide anche per gli stage per cui ora si può far domanda e che partiranno a maggio: è bene ricordare che per il momento si organizza tutto come se il tirocinio continuerà a svolgersi da remoto, ma «la modalità di svolgimento dipenderà dalla situazione Covid nel corso dell'anno».Per fare domanda per uno stage alla Corte dei Conti europea c’è quindi tempo fino alla fine di gennaio: per farlo è necessario essere cittadini di uno degli Stati membri dell’Unione europea, avere almeno una laurea triennale o aver superato quattro semestri di studi universitari in uno dei campi di interesse per la Corte, avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali dell’Ue e una buona di un’altra lingua, non aver avuto condanne o sentenze di colpevolezza di nessun tipo, non aver beneficiato di un altro tirocinio presso una qualsiasi istituzione o organo dell’Unione Europea. I candidati selezionati devono poi presentare un estratto recente del casellario giudiziario e un certificato medico attestante l’idoneità fisica all’impiego. Come spesso capita per questo tipo di selezioni che ricevono molte domande di partecipazione, la Corte contatterà solo i candidati selezionati, quindi non tutti riceveranno una risposta. Per candidarsi allo stage bisogna compilare online l’application, rispondendo ad alcune domande, tra cui anche la scelta della durata – tre, quattro o cinque mesi – o l’area di gradimento, e compilare tutti gli step presenti sul sito.Se selezionati si accede all’organo di controllo delle finanze dell’Unione europea, il cui lavoro è utilizzato da Commissione, Parlamento e Consiglio per sorvegliare la gestione del bilancio dell’Unione. E si entra a far parte di un organico di circa 900 persone di tutte le nazionalità, con tre quarti del personale in servizio che a fine 2019 aveva un’età compresa tra i 40 e i 59 anni e una proporzione uguale di donne e uomini. Lo stage non offre però sbocchi occupazionali – visto che per riuscire ad avere un posto presso la Corte è necessario partecipare ai concorsi banditi dall’Ufficio europeo di selezione del personale (Epso). Nel corso del 2019 la Corte dei conti europea ha offerto un totale di 55 stage, contro i 60 del 2018, sempre per una durata variabile tra i tre e i cinque mesi. Decisamente più basso il numero del 2020, condizionato dalla cancellazione dello stage di maggio: 43 tirocini attivati complessivamente tra febbraio e ottobre.Sul sito della Corte ci sono molte informazioni circa l’organizzazione e il funzionamento con la possibilità di vedere di cosa si occupano le varie sezioni e chi sono le persone che ne fanno parte. Se poi si vuole avere qualche notizia in più da chi è passato per questa esperienza si può tenere d’occhio la pagina facebook della Corte  dove si trovano anche le testimonianze degli ex stagisti. Certo l’esperienza in smart internshipping potrà essere decisamente diversa dal passato. Ma il buon rimborso spese, la possibilità di entrare in contatto – seppure a distanza – con altri stagisti in Europa e con personalità di spicco all’interno della Corte sono sempre validi motivi per tentare questa opportunità.Marianna Lepore

Servizio civile universale, quasi 47mila opportunità nel 2021: domande entro l’8 febbraio

È arrivato come promesso, entro la fine dell’anno, il bando per il servizio civile universale, aperto ai giovani dai 18 ai 28 anni. Le candidature si potranno inviare fino a lunedì 8 febbraio 2021 alle ore 14, presentando domanda di partecipazione a uno dei 2.814 progetti che si realizzeranno tra il 2021 e il 2022 su tutto il territorio nazionale e all’estero, per una durata variabile tra gli otto e i dodici mesi. Il bando arriva al termine di un anno particolare, quello del Coronavirus, che ha visto uno sforzo eccezionale da parte del mondo del servizio civile e degli operatori volontari, cui ha fatto seguito anche l'impegno per un investimento significativo in termini di fondi destinati alle attività (400 milioni in più per il prossimo biennio), nonché l’istituzione della giornata nazionale del servizio civile universale il 15 dicembre. «Nel 2020 il servizio civile universale è riuscito a dare il meglio di sé» commenta Immacolata Postiglione, direttrice dell’Ufficio per il servizio civile universale: «Migliaia di ragazzi si sono messi a disposizione della comunità e dei territori, portando assistenza, aiuto, conforto: un grande esempio di cittadinanza attiva e di difesa non armata della patria.»In particolare, «nel corso di quest'anno sono stati circa 32mila i ragazzi avviati al servizio, di cui 751 all’estero» è il bilancio di Postiglione «portando a oltre 533mila i volontari che hanno svolto il servizio civile dal 2001, di cui 8mila impegnati all’estero. Attualmente abbiamo in servizio oltre 28mila volontari, di cui trecento all’estero».Si tratta di ragazze (63 per cento) e ragazzi (37 per cento) impegnati in progetti che spaziano dall’assistenza (47 per cento), all’educazione e promozione culturale, paesaggistica, ambientale, del turismo sostenibile e sociale e dello sport (32 per cento) al patrimonio storico, artistico e culturale (14 per cento). E ancora, in progetti per la salvaguardia del patrimonio ambientale e riqualificazione urbana e in progetti di Protezione civile.I 46.891 posti messi a bando per il 2021 sono così distribuiti: 39.538 nei 2.319 progetti da realizzarsi in Italia, 605 quelli per i 111 progetti all’estero e, novità di quest’anno, 6.748 per 384 progetti da realizzarsi nei territori delle regioni che hanno aderito alla Misura 6 “Servizio civile universale del Programma operativo nazionale - Iniziativa occupazione giovani (Pon-Iog) Garanzia giovani”, ossia Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia. Posti, per questi ultimi, dedicati a giovani Neet, che non studiano, non lavorano e non seguono un percorso di formazione, oppure a giovani disoccupati.Sono inoltre presenti nel bando progetti con posti riservati a chi si trova in condizioni di difficoltà economiche, in condizioni di disabilità o ha una bassa scolarizzazione.Altra novità di quest’anno è che ogni singolo progetto è parte di un più ampio programma di intervento che risponde a uno o più obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e riguarda uno specifico ambito di azione individuato tra quelli indicati nel Piano triennale 2020-2022 per la programmazione del servizio civile universale.Per il nuovo anno il numero di operatori volontari attivato potrebbe crescere. «In discussione in Parlamento c’è il disegno di legge di bilancio per il prossimo triennio che prevede 200 milioni di euro aggiuntivi sul Fondo sia per il 2021 che per il 2022» conclude Postiglione: «Significherebbe avere 50mila giovani in servizio civile all’anno, una cifra importante che meglio risponderebbe alle tante aspettative dei ragazzi. L’auspicio è che questo aumento possa diventare strutturale, così da avvicinare sempre più il servizio civile all’obiettivo di essere universale».Come candidarsi? Gli aspiranti operatori volontari devono presentare la domanda di partecipazione esclusivamente attraverso la piattaforma Domanda on line (Dol), raggiungibile tramite pc, tablet o smartphone, scegliendo mediante i filtri di ricerca il progetto desiderato e procedendo alla candidatura. Informazioni utili per orientarsi nella scelta sono disponibili sul portale "Scelgo il servizio civile".Rossella Nocca