Alternanza scuola-lavoro: ecco come funziona in EY
Che cosa significa fare alternanza scuola-lavoro? E’ uno strumento che funziona? Che cosa ne dicono le aziende? Per rispondere a queste domande la Repubblica degli Stagisti apre una nuova rubrica che coinvolge direttamente le aziende del suo network, dando loro la parola per raccontare i percorsi che offrono ai ragazzi delle scuole superiori.Solitamente quando si parla di alternanza scuola-lavoro si pensa immediatamente a un tipo di formazione molto pratica. D'altra parte, l'obiettivo della misura introdotta dalla riforma della "Buona scuola" è proprio quello di far vivere agli studenti un'esperienza "sul campo", che faccia loro toccare con mano che cosa significa essere nel mondo del lavoro, mettendoli a contatto con processi, prodotti e routine lavorative. Come funziona però l'alternanza in un'azienda che produce e vende non prodotti tangibili, bensì servizi? Per esempio... un'azienda di consulenza? EY per formare gli studenti si è inventata un format tutto suo, chiamato "Stairway to Your Future".«La nostra sfida principale è di avvicinare i ragazzi al nostro mondo, perché semplicemente non sanno chi siamo» racconta alla Repubblica degli Stagisti Riccardo Quaglia, Employer branding manager di EY, in azienda dal 2012 e con dieci anni di esperienza in Risorse umane, recruting e international mobility alle spalle: «Innanzitutto il cambio di nome, da Ernst & Young a EY, ha confuso un po’ le idee tra il pubblico, e poi in tanti non sanno chi sono e cosa fanno le società di revisione e consulenza, quindi l’alternanza è anche utile per farci conoscere».Stairway to Your Future parla ai ragazzi coinvolgendoli attraverso lezioni frontali e workshop pratici volti a creare un mix valido di skill utili nel mondo del lavoro: come si costruisce un curriculum, come si affronta un colloquio di selezione o di personal branding (con un occhio particolare all’utilizzo dei social media), ma anche cybersecurity, analytics e project management agile. Il focus sul digitale, «che inevitabilmente sta impattando il modo in cui lavoriamo noi, ma soprattutto i nostri clienti» racconta il manager, è centrale, ma con la sua alternanza EY cerca anche di stimolare nei ragazzi le qualità più richieste dal mondo del lavoro: passione, curiosità, perseveranza, capacità di analisi critica e problem solving. Il percorso è condensato in 40 ore su due settimane e nel 2017 ha coinvolto due gruppi di 50 ragazzi ciascuno, provenienti da cinque diverse scuole di Milano tra liceo scientifico, liceo classico e istituti tecnici e commerciali: Sacro Cuore, Don Gnocchi, Carducci, Regina Mundi e Feltrinelli. «L’obiettivo era di unire ragazzi provenienti da contesti diversi, ma il progetto di alternanza era lo stesso per tutti» prosegue Quaglia.Nelle prime due edizioni il percorso funzionava così: il primo giorno welcome session con presentazione di EY, seguita da un workshop sul project management agile, il secondo giorno una lezione sulla cybersecurity e poi un lavoro di gruppo; il terzo, un modulo di analytics seguito da un business case. Seconda settimana focalizzata invece sul personal branding e la costruzione del cv: gli studenti affrontavano “finti” colloqui con i recruiter di EY e poi esploravano gli uffici «per vedere il nostro modo di lavorare», infine, le ultime due giornate erano dedicate ai lavori di gruppo. «Abbiamo anche organizzato la visita di un professore del Politecnico perché portasse la sua testimonianza su che cosa significa essere all’università e per dire ai ragazzi che cosa devono aspettarsi e quale approccio avere» aggiunge Quaglia. «L’avevamo immaginata come un modo per mettere in contatto l’azienda con le scuole superiori e l’università, anche se poi purtroppo non è andata proprio come ci aspettavamo e più che altro abbiamo avuto una classica presentazione dell’ateneo».Il lavoro di gruppo finale, in cui gli studenti dovevano mettere a frutto ciò che avevano imparato durante le due settimane di alternanza, consisteva nell’elaborazione di un piano di marketing per una scuola immaginaria. I ragazzi, divisi in gruppi da dieci, hanno quindi dovuto pensare a delle strategie per farsi conoscere all’esterno, attraverso il sito, i social media e così via. «Abbiamo cercato di mantenere i moduli il più vicino possibile al funzionamento dell’azienda, per far vedere ai ragazzi che cosa facciamo e come approcciamo il nostro lavoro» specifica Quaglia. «All’inizio erano molto ingessati, però abbiamo fatto capire loro che dentro EY si lavora anche in maniera informale, e soprattutto alcune delle attività, per esempio la preparazione ad un colloquio di lavoro, le hanno viste molto vicine a sé».I ragazzi si sono dichiarati soddisfatti, anche attraverso il feedback raccolto tramite i questionari che EY chiedeva loro di compilare alla fine di ogni giornata. In particolare è emersa «la presa di coscienza di quanto ancora il mondo della scuola sia distante da quello del lavoro e il bisogno che invece abbiamo riscontrato nei ragazzi di saperne di più».Per entrare in contatto con le scuole e avviare l’alternanza EY si è affidata ad un partner esterno, ma i contenuti e i moduli sono stati pensati e sviluppati direttamente all’interno dell’azienda da un team dedicato di professionisti interni ed esterni in ambito di formazione, che hanno anche tenuto le lezioni frontali: «Facciamo molta formazione interna ed abbiamo anche un master certificato Asfor a cui ci siamo ispirati per alcuni dei contenuti delle lezioni» aggiunge Quaglia.In particolare EY ha individuato nella combinazione di corsi classici e workshop come il metodo vincente per praticare l’alternanza. «Il nostro è un lavoro molto specifico in cui vendiamo servizi e, al contrario di aziende più di “prodotto”, per noi sarebbe stato difficile coinvolgere i ragazzi direttamente sulle mansioni quotidiane, da un lato per ragioni di privacy dei clienti e dall’altro perché i ragazzi delle superiori spesso non hanno ancora le competenze sufficienti per toccare davvero con mano che cosa significa fare il nostro lavoro. Avremmo finito per fargli fare le fotocopie e non era quella la nostra intenzione» spiega il manager. Per EY, infatti, i diplomati non sono un target diretto, dato che l’azienda assume soltanto laureati in prevalenza di lauree specialistiche: «abbiamo cercato di interessare e di incuriosire gli studenti verso la nostra realtà in modo che, se dovessero decidere di intraprendere l’università, magari un giorno potranno dire di conoscerci e di considerarci come potenziale employer». Quest’anno EY punta a coinvolgere anche scuole al di fuori del territorio milanese. Un istituto tecnico di Lecce li ha infatti già contattati per portare un gruppo di studenti in trasferta a Milano, in previsione della nuova edizione del programma a giugno. Oltre all’alternanza, l’azienda partecipa a iniziative in scuole e università con presentazioni aziendali, e la Fondazione EY Italia Onlus, nata nel 2012, promuove progetti specifici in contesti di bisogno, in particolare rivolti a giovani in situazioni di disagio. Ma la novità più importante per il 2018 sembra prospettarsi proprio sul fronte dell’alternanza: «Stiamo pensando ad una nuova edizione di Stairway to your Future con contenuti più esperienziali e meno frontali per gli studenti, per rendere ancora più coinvolgente la loro partecipazione» conclude Quaglia. «Crediamo che le aziende abbiano la responsabilità di formare le nuove generazioni e che i percorsi come l’alternanza scuola lavoro non debbano essere visti come un dovere, ma come un’opportunità di arricchimento sia per i giovani che per l’azienda. Il nostro sistema di formazione ha bisogno di un cambio di paradigma e di riformare i metodi didattici per uno sviluppo integrale della persona. Per questo motivo l’alternanza è utile come strumento di orientamento e “occupabilità” futura, e lo Stato dovrebbe incentivare le aziende più virtuose in questo senso».Irene Dominioni