Finanziaria 2018, le novità a favore dei giovani

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 25 Gen 2018 in Approfondimenti

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A fine dicembre è stata approvata la Legge di Bilancio 2018. Tra i vari provvedimenti, alcuni riguardano da vicino l’occupazione e gli incentivi alle assunzioni dei giovani. La Repubblica degli Stagisti li ha analizzati con il supporto di Giampiero Falasca, avvocato specializzato in diritto del lavoro e Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

Innanzitutto, sono fissati gli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato, a precise condizioni: è prevista una decontribuzione al 50% per tre anni fino a un massimo di 3mila euro l’anno per l’assunzione a tempo indeterminato di under 35, solo per il 2018, e, a partire dal prossimo anno, solo di under 29. «Si tratta di provvedimenti focalizzati principalmente sui giovani al primo impiego», spiegano entrambi.

Per beneficiare dell’incentivo è necessario non essere mai stati impiegati con contratto a tempo indeterminato in passato. L’agevolazione vale poi solo per chi è assunto con contratto a tutele crescenti e si applica anche a chi passa da un contratto a termine al contratto a tutele crescenti. Resta quindi valido e «necessario» in questo senso il contratto istituito con il Jobs Act, così come resta uguale la durata, triennale, delle agevolazioni, con la possibilità poter «portare» con sé in un’altra azienda gli anni residui dell’agevolazione. «Chi, ad esempio, trascorre un anno in un’azienda con un’assunzione tramite contratto a tutele crescenti e relativi sgravi, dà la possibilità a un’eventuale seconda azienda che lo assumerà di impiegarlo con i residui due anni di agevolazioni», chiarisce Falasca.

Una manovra che dovrebbe costare, stando a quanto dichiarato dal Governo lo scorso ottobre, «circa 300 milioni che salgono a 800 milioni nel 2019 e 1,2 miliardi nel 2020».

Tuttavia rispetto a quanto già attualmente in vigore con il Jobs Act, le nuove disposizioni si possono considerare maggiormente restrittive. In primo luogo perché si passa da una decontribuzione totale a una parziale (50%). Lo sgravio totale resta solo in alcuni casi, ossia per l’assunzione di giovani entro sei mesi dal conseguimento del titolo di studio, se hanno svolto apprendistato o alternanza scuola-lavoro presso la stessa azienda. L'agevolazione totale vale anche per i giovani del sud, ossia soggetti che non abbiano compiuto i 35 anni di età o di età superiore ai 35, purché privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, e per i Neet, cioè giovani che non studiano e non lavorano, iscritti al programma Garanzia Giovani.

«Per il sud resta la decontribuzione totale e non c'è il tetto dei 35 anni per chi è senza un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, tuttavia le assunzioni possono avvenire solo nel corso di quest'anno», chiarisce De Luca.

Un altro limite riguarda precedenti assunzioni con contratto a tempo indeterminato: «la precedente disposizione contenuta nel Jobs Act vietava le agevolazioni solo a chi aveva già avuto un contratto a tempo indeterminato nei mesi precedenti, in questo caso l’accesso allo sgravio è ulteriormente ristretto», spiega Falasca.

«I nuovi provvedimenti vanno in continuità con i precedenti in quanto confermano il ricorso alle forme incentivanti già proposte in passato.Tuttavia se la decontribuzione al 50% può essere senz'altro un aiuto per le imprese diventa una criticità, in quanto, essendo rivolta ai lavoratori che non sono mai stati impiegati a tempo indeterminato restringe di molto la platea dei potenziali assunti. Il tema dell'età rappresenta poi un ulteriore paletto. Ci chiediamo a questo punto chi rimanga 'vergine', cioè assumibile», si domanda De Luca.

Un altro aspetto fondamentale sono le disposizioni relative al licenziamento: «le aziende possono beneficiare degli sgravi a patto che non abbiano effettuato un licenziamento collettivo - ossia da quattro dipendenti in su - o un licenziamento oggettivo individuale o per motivi economici nei sei mesi precedenti ma anche nei sei successivi all’assunzione» precisa Falasca.

Un tema, quello dei licenziamenti, sempre attuale dal Jobs Act in poi, avendo di fatto il contratto a tutele crescenti «superato» l’articolo 18: «In parecchi temono già che con la fine dei tre anni di contributi previsti dal Jobs Act le aziende si liberino dei dipendenti che gli costerebbero di più. Bisogna però essere prudenti su questo punto: potrebbero verificarsi situazioni critiche, ma in generale se un’azienda assume del personale è perché ne ha necessità e sarebbe alquanto inverosimile che se ne liberi all’improvviso».

Pur evidenziando le restrizioni di questi provvedimenti, Falasca valuta positivamente queste novità: «nonostante le critiche, credo che il sistema degli incentivi all’occupazione abbia funzionato». Rispetto alla forte crescita dei contratti a termine, di cui si è molto parlato negli ultimi mesi, spiega che «il contratto a termine ha tutti i vantaggi di quello a tempo indeterminato ed è una forma contrattuale dignitosissima. Il problema sono gli abusi nel suo utilizzo, ma la legge parla chiaro: non è possibile fare più di cinque rinnovi per più di tre anni. Si tratta di una normativa del 2014 poi transitata nel Jobs Act con alcuni ritocchi. Secondo me è una normativa equilibrata e non più permissiva: semplicemente eliminando le causali, cioè le motivazioni che inducono il datore di lavoro a utilizzare questa forma contrattuale, è venuto meno il rischio di contenzioso. Ed è stato introdotto un tetto quantitativo - il numero di contratti a tempo determinato non può eccedere il 20% del numero di lavoratori a tempo indeterminato - che prima non c'era e che preclude ogni possibile deriva»

Al momento delineare gli scenari futuri non è semplice sia per la vicinanza delle elezioni, che potrebbero portare nei mesi successivi a un ripensamento dell’attuale normativa, sia perché è interessante aspettare la fine dei tre anni di incentivi, prevista per quest’anno, per capire su quali scelte si orienteranno le aziende.

Chiara Del Priore

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