Categoria: Approfondimenti

Dalla parte degli artisti (e non solo): lavorare con tutele e garanzie è possibile

«Cosa fai nella vita?», «Sono un musicista». «Ah, e di lavoro cosa fai?». Questo scambio di battute forse a qualcuno non suonerà nuovo: gli artisti fanno spesso fatica a vedersi riconosciuti come lavoratori, spesso indotti in una spirale di lavoro nero e sottopagato, senza garanzie né inquadramenti, e soprattutto senza sapere come gestirsi dal punto di vista contributivo, assicurativo e burocratico. SMart – acronimo di Società mutualistica per artisti – è nata per rispondere ai loro bisogni, offrendo servizi per aiutarli a strutturare meglio il proprio lavoro ed evitare di trovarsi in una condizione di fragilità costante rispetto ai committenti. Il progetto ha preso vita a Bruxelles nel 1998 e, da cooperativa rivolta inizialmente ad artisti, ha presto abbracciato anche altre categorie: oggi, oltre a musicisti, attori, acrobati e tecnici, SMart tutela anche tutti quei “nuovi” lavoratori come traduttori, giornalisti, informatici, consulenti, formatori e altri freelance che sempre più costellano il mondo del lavoro e per i quali un'assunzione come lavoratori dipendenti è impraticabile, ma che nemmeno appartengono alla categoria degli "imprenditori" così come è stata pensata dal legislatore. SMart offre servizi e figure specializzate per l’inquadramento da un punto di vista contrattuale, basato su un modello flessibile di fatturazione e assunzione con tutela dei tempi di pagamento; in Belgio conta ormai più di 70mila soci. Dal 2015 è attiva anche in Italia, con sedi  a Milano e a Roma e 600 affiliati; l'anno scorso ha fatturato 800mila euro. SMart propone così una terza soluzione rispetto al sistema del lavoro dipendente o a partita Iva, poiché assume il lavoratore per i giorni relativi alla prestazione e assicura il pagamento a 30 giorni, ogni 10 del mese. Attraverso la partita Iva di SMart il lavoratore può fatturare al committente, versando tutti i contributi del caso e potendo così usufruire di tutte le tutele previdenziali, di maternità, pensione e disoccupazione del lavoratore dipendente, unendo flessibilità e autonomia. SMart si occupa di tutte le dichiarazioni fiscali, previdenziali e assicurative, fornisce assistenza e tutela ai soci sotto qualsiasi aspetto, compreso quello legale, e offre servizi secondari come eventi, formazione, leasing per artisti, microcredito, spazi di coworking e anche una collezione d’arte contemporanea.In termini di costi, SMart preleva una percentuale pari all’8,5% del fatturato di ogni socio per coprire i costi di gestione e per tutelare i tempi di pagamento, e ciò che avanza dal contributo è reinvestito in progetti a sostegno di tutti. Per iscriversi è sufficiente compilare un modulo via email, il costo dell'iscrizione è di 50 euro (scalabili dalla prima retribuzione), e da quel momento per ogni ingaggio basta contattare SMart, comunicando i dati del committente per poter fatturare e i giorni in cui si lavora. Il socio ha la garanzia di essere regolarmente  assunto con fattura al committente, di avere tutte le dichiarazioni del caso e di essere pagato al netto, senza bisogno di occuparsi di altro e senza necessità di ingaggiare un commercialista.Cosa ne dicono i soci? «Io mi trovo molto bene» dice alla Repubblica degli Stagisti il 27enne torinese Andrea Cerrato, acrobata di circo contemporaneo, socio di SMart da settembre. «Mi sarei aperto una partita Iva oppure mi sarei messo in cerca una cooperativa, e chiedendo in giro mi è stato fatto il nome di SMart. Li ho chiamati, abbiamo fatto un colloquio su Skype per capire bene come funzionava e poi ho iniziato. Loro sono disponibili, quando ho un problema o non capisco qualcosa mi rispondono subito, è più conveniente rispetto ad altre cooperative e ho anche portato degli amici che fanno il mio stesso lavoro.» Anche Dario Garofalo, 42 anni, attore siciliano trapiantato a Roma, si dichiara soddisfatto: «Ho conosciuto SMart in Sicilia grazie a qualcuno che la conosceva, mi sono informato ed dall'anno scorso lavoro con loro, con buonissimi risultati e una grande libertà. Nel 2016 mi sono messo in proprio e cercavo qualcuno a cui appoggiarmi, non avendo registrato la mia sigla come società o altro. Ho trovato persone molto competenti che mi hanno aiutato sempre, sono molto disponibili e un investimento dell'8,5% che loro trattengono sul fatturato è veramente una cosa minima, perché per esperienze pregresse con altre compagnie so quanto costa una busta paga, un commercialista e tutto il resto.» L'aspetto migliore? «Mi hanno sgravato di tutti gli aspetti che appesantiscono chi si occupa di teatro e simili, perché sono gravosi, prendono molto tempo e in genere si è restii ad occuparsene, quindi si finisce per lavorare male e a nero. Così si riscopre il buon costume di lavorare con coperture assicurative e con le carte sempre in ordine, anche spendendo qualcosa in più, ma con la certezza che si sta lavorando per bene.»Per il momento, SMart non collabora con chi svolge professioni ad alto rischio e pericolosità, come ad esempio i tecnici delle luci, che lavorano in altezza, poiché queste prevedono accorgimenti formativi e assicurativi specifici, diversi quelli offerti tramite la formazione di sicurezza di base che ogni socio è obbligato a seguire. La flessibilità del modello, però, potrebbe consentire in futuro, in caso di richieste specifiche e in numero sufficiente, di prendere in carico anche categorie particolari. Per crescere e offrire servizi sempre più variegati ed efficienti ai suoi soci, SMart si avvale di numerose collaborazioni con altre organizzazioni legate al mondo dello spettacolo e del lavoro autonomo, dalle associazioni dedicate alla formazione, all'organizzazioni di eventi e al booking a quelle di tutela dei diritti a diverso titolo, organizzando formazioni ed eventi, come quelle sul crowdfunding e di comunicazione. Tra maggio e giugno la sede di Milano si trasferirà alla Fabbrica del Vapore dove, oltre al normale sportello informativo per rispondere alle domande dei soci,  verranno organizzate giornate di incontro con associazioni per freelance come Acta, agenzie di booking, esperti di comunicazione e altri.In Italia SMart sta crescendo a ritmi positivi, mentre in altri Paesi è già bene affermata: oltre al Belgio (72mila iscritti) è presente anche in Francia (10mila) e in Spagna, dove il progetto è nato contemporaneamente all'Italia e dove i soci sono già 2.500. Seppur in forma embrionale, il progetto ha raggiunto anche Svezia, Ungheria, Austria, Germania e Olanda. Inoltre, sempre più progetti sono internazionali sia nella composizione che nell’ambizione, contribuendo ad accelerare la crescita nei vari Paesi.Infine, tra le opportunità offerte da SMart è stata appena lanciata la seconda edizione del bando "SMart it up!" di sostegno alla produzione di progetti creativi. Dieci progetti saranno selezionati  da una commissione di esperti e avranno a disposizione 3mila euro ciascuno, di cui 1000 euro a fondo perduto e 2mila euro di anticipo in fase di produzione di un progetto creativo. Il bando, che riceve il sostegno della fondazione Cariplo, è aperto fino alle ore 24 del 29 aprile negli ambiti di teatro, danza, circo, performance, musica, video e fotografia (reportage) e le attività potranno realizzarsi in Italia e/o all’estero. Per maggiori informazioni, si può inviare una mail a info [at] SMart-it.org.Irene Dominioni

Pensioni ai superstiti: possono esserne beneficiari anche gli universitari under 26 fino alla laurea, ma solo se in corso

Nella malaugurata ipotesi che un giovane dovesse perdere un genitore in età da pensione oppure ancora lavoratore scatterebbe per lui una indennità previdenziale: la cosiddetta pensione ai superstiti – che diventa invece di reversibilità, qualora il soggetto deceduto stesse già percependo la pensione. La riconosce l'Inps (che però nella circolare che tratta la questione commette un errore, dando adito a problemi interpretativi); e insieme al principale istituto di previdenza italiano anche una lunga serie di casse professionali. Tra loro per esempio l'Inpgi, riservata ai giornalisti, la Cassa forense, la Cassa del Notariato, l'Enasarco dei rappresentanti di commercio. Esistono paletti ben precisi per l'accesso al beneficio e la Repubblica degli Stagisti ha voluto vederci chiaro a seguito della richiesta di un lettore tramite il forum. Scrive Nicolò: «Ho un dubbio che mi assilla da qualche tempo e vorrei risolverlo al fine di poter organizzare al meglio il mio stage curriculare, 450 ore obbligatorie secondo il mio piano di studi». Lui, beneficiario di una pensione di reversibilità, teme che l'inizio di un tirocinio possa farlo decadere dal diritto. La confusione nasce da una circolare Inps (la 185 del 2015), in cui si legge che «il tirocinio formativo e di orientamento non consente il mantenimento dello status di studente, con conseguente impossibilità di riconoscimento o proroga del diritto alla quota di reversibilità». Nicolò chiede quindi preoccupato: «Quando farò lo stage curriculare previsto e imposto dal mio piano di studi perderò il mio diritto alla pensione di reversibilità? Anche se dovesse essere a titolo gratuito?». La premessa è che quella di Nicolò è una situazione tutt'altro che isolata. Solo per l'Inps i titolari di un sussidio pensionistico – causato dalla morte di un genitore o di un altro parente di cui risultassero a carico – nella fascia dai 20 ai 29 anni sono stati nel 2015 circa 30mila (su un totale nello stesso anno di 4,4 milioni di percettori di redditi da pensioni ai superstiti secondo l'Istat). Se si guarda ai minori tra i 10 e i 19 anni si arriva a oltre 70mila casi. Cifre che poi com'è ovvio salgono esponenzialmente a partire dai 55 anni, quando i beneficiari dell'indennità saranno con più probabilità i coniugi (e non i figli) superstiti. Con importi variabili a seconda di come è composto il nucleo familiare: la pensione sarà pari al «70 per cento se è presente solo un figlio; all'80 in caso di coniuge e un figlio oppure due figli senza coniuge; al 100 per cento se oltre al coniuge vi sono più di due figli» spiegano sul sito Inps. Decisamente meno - il 15 per cento - andrà agli altri parenti per cui subentri il diritto. Ma quali sono i requisiti per essere ammessi al beneficio? Come specificato, questa tipologia di prestazione «è erogata, a domanda, in favore dei familiari del pensionato (pensione di reversibilità) o del lavoratore (pensione indiretta)». Oltre al coniuge, o altri parenti come i nipoti (nel caso fossero a carico di un nonno deceduto), il sussidio scatta anche per i figli che «alla data della morte del genitore siano minori, inabili di qualunque età, studenti entro il 21esimo o 26esimo anno di età se universitari e siano a carico dello stesso». E si è a carico – chiarisce ancora l'Inps – quando si è in condizione di insufficienza economica «e il reddito individuale del superstite non supera l’importo minimo della pensione maggiorato del 30 per cento». Particolare rilevanza assume l'eventualità che il superstite convivesse con la persona deceduta, che a sua volta, per garantire la quota a chi sopravvive, deve aver versato un minimo di «780 contributi settimanali di cui almeno 156 nel quinquennio antecedente la data di decesso». E per Nicolò, assicurano dall'ufficio stampa dell'Inps, nessun problema. La circolare restringe l'effetto della sospensione del beneficio agli stagisti solo per chi è già laureato. Il criterio non è infatti la presenza o meno di un rimborso spese nel corso del tirocinio, «ma il fatto che avvenga prima o dopo la laurea» chiarisce Emanuele Dose, addetto stampa dell'istituto. Insomma, i tirocini curriculari sono ok, quelli extracurriculari no. Peccato però che questo aspetto non venga ben specificato nella circolare Inps, in cui al punto 4.6 si parla di "Studenti laureati che accedono a un tirocinio", salvo poi all'interno paragrafo fare riferimento alla generica dicitura "Tirocini formativi e di orientamento", che ricomprende entrambe le tipologie di stage, sia quelli inclusi nel percorso di studi che quelli successivi. Un'inesattezza da parte dell'Inps che potrebbe essere costata cara a qualche studente, che magari - leggendo la circolare - può aver pensato bene di rinunciare a un tirocinio curriculare per timore di perdere la pensione a cui aveva diritto.  E invece «Tutto quello che viene fatto prima non rileva ai fini della continuità della pensione ai superstiti» aggiunge Dose; con un'unica eccezione: «Sarebbe diverso il caso per esempio di quei tirocini propedeutici all'iscrizione a un albo professionale. Quelli determinano la fine del beneficio perché sono finalizzati al lavoro». Ma qui si sconfinerebbe in un ulteriore diverso tipo di tirocini, quelli per l'accesso alle professioni regolamentate - i cosiddetti praticantati. L'importante, invece, per continuare a percepire il sussidio è «essere in corso con gli esami». Ilaria Mariotti  

Wannabe expat? Vademecum dei siti utili per chi vuole trasferirsi all'estero

Sono sempre di più i giovani italiani che decidono di trasferirsi all’estero per intraprendere esperienze di studio o di lavoro, per periodi più o meno lunghi. Secondo un recente studio, su quasi 5 milioni di connazionali registrati all'estero, il 36,7% ha tra i 18 e i 34 anni. L'esodo giovanile avviene per i più svariati motivi, ma una cosa è certa: per farlo ci vogliono coraggio, testa sulle spalle, apertura mentale e, idealmente, un po’ di conoscenza della lingua e della cultura locali. Internet è una grande risorsa per reperire le giuste informazioni in previsione della partenza, dell’arrivo e della permanenza, così da rendere l’esperienza all’estero una scelta positiva per il proprio percorso personale e professionale. Ecco una piccola guida su alcune delle principali risorse disponibili online per orientarsi nel mondo degli expat, tenendo a mente che non tutte le mete sono necessariamente a misura di un giovane “viaggiatore” in cerca di un contesto che valorizzi la sua identità e le sue competenze.La prima, importante distinzione va fatta sulla destinazione: fra la scelta di trasferirsi all'interno dell'Unione Europea oppure in un Paese extraeuropeo intercorrono una serie di questioni burocratiche su cui è bene informarsi con cura. I visti, per esempio, non sono tutti uguali: alcune nazioni rilasciano visti a specifiche categorie di viaggiatori (come quelli turistici o d'affari), alcuni sono validi solo per pochi giorni, altri invece per diversi mesi, per un solo ingresso o per ingressi multipli. Anche i costi e la procedura sono variabili: per le informazioni più affidabili e aggiornate, è bene prima di tutto consultare il sito dell'ambasciata del Paese di destinazione. Anche il portale Viaggiare Sicuri del Ministero degli Affari Esteri italiano è una buona risorsa per ottenere informazioni di carattere generale sui documenti da ottenere, mentre il sito del Ministero della Salute offre una guida per l'assicurazione sanitaria all'estero. Infine, sul sito Dove siamo nel mondo è possibile comunicare alla Farnesina la propria destinazione in modo da pianificare meglio eventuali interventi di soccorso.  Per chi rimane in Europa, una buona prima mossa è quella di consultare la normativa e i propri diritti nell’ambito della mobilità nella pagina dedicata sul sito dell’Unione Europea, così come quella sui documenti di viaggio. A chi è ancora indeciso sul tipo di esperienza da intraprendere, il programma Erasmus Plus offre opportunità sia di formazione che di lavoro ed è estensivo e ben strutturato: basti pensare che ben 57.832 italiani ne hanno usufruito nel 2014. Inoltre, Finanziamentidiretti è un progetto del Dipartimento di Politiche Europee in collaborazione con l’Istituto Europeo di Pubblica Amministrazione (EIPA) attraverso cui si possono identificare programmi per studiare o svolgere tirocini all’estero, ma anche iniziative per favorire la mobilità dei giovani che vogliono creare un’impresa o che ne dirigono una. I fondi sono disponibili nei settori di Formazione, istruzione e mobilità (Erasmus Plus), Cittadinanza (Europa per i cittadini), Ambiente (Life Plus) e Cultura (Europa Creativa). Se siete alla ricerca di lavoro, il Dipartimento Politiche Europee può essere utile per approfondire il discorso del riconoscimento delle qualifiche professionali all’estero attraverso strumenti come la Tessera Professionale Europea. Oltre alle risorse strettamente Ue, esistono altri siti molto validi per cercare opportunità all’estero. Studyineurope.eu, Mastersportal.eu e Scholarship-positions.com sono siti per la ricerca di programmi di studio, così come borse per master e dottorati. Su Mladiinfo.eu si possono trovare conferenze e corsi di formazione, offerte di lavoro e stage, borse di studio e concorsi, mentre Euractiv Jobs propone posizioni aperte e tirocini nell’ambito dell’Unione Europea. A livello anche extra-continentale, Graduateland.com consente di impostare una ricerca per parola chiave e per destinazione. Se invece vi interessa più semplicemente un’esperienza internazionale, Scambi Europei è particolarmente incentrato sugli scambi interculturali, il Servizio Volontario Europeo (Sve) e l’au pair. Infine, sul sito dell'Agenzia Nazionale Giovani si trovano notizie su opportunità, bandi, concorsi ed eventi vari per i giovani. Per ottenere informazioni specifiche su un dato Paese o città in termini culturali, sul costo della vita e altro, di solito i portali di informazione turistica locali offrono un buon numero di informazioni, ma esistono anche siti dove trovare risorse più generali. Expatinfodesk è ideale per le mete anche fuori dall’Europa e offre vere e proprie guide sulle destinazioni con tutte le informazioni sul trasferimento all’estero, oltre ad un forum per condividere dubbi e richieste. Su Expatica è possibile trovare notizie locali e informazioni di base sulla vita e il lavoro in alcuni Paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito), mentre con Internations si entra a far parte di un network di expat nella città estera, con eventi organizzati per conoscere altri internazionali in 390 città del mondo e l’aggiunta di informazioni e consigli sulla destinazione. Fra i siti in italiano, Mollotutto propone perfino seminari sul trasferimento e Voglio Vivere Così, disponibile anche in versione World, offre una visione dell’estero attraverso racconti di expat in tutti i continenti e guide e-book. Suddiviso per regioni e Paesi, Mollare Tutto può essere utile se si cercano informazioni generali sulla cultura della destinazione prescelta, mentre su Italians In Fuga si segnala in particolare la pagina contenente un elenco di agenzie governative per il lavoro in un buon numero di Paesi. Per assicurazioni e siti web dove cercare casa all’estero, Cambiare Vita è essenziale e ben costruito.Tra le pagine Facebook dedicate agli italiani all'estero si trova di tutto sia per città che per Paese. I gruppi possono essere pubblici o chiusi e rappresentano una ricca fonte di informazioni, anche se purtroppo spesso disordinata. L’aspetto più degno di nota è l’opportunità di aggregazione con altri italiani all’estero, ma occorre fare attenzione, poiché il rischio di truffe è alto: per offerte di vario genere, dal lavoro alle case in affitto, meglio fare riferimento ad altri siti. Tra le pagine più popolose, Italiani a Londra, con oltre 34milamembri, Italiani a Bruxelles (20mila) e Italiani a Parigi (13mila). Irene Dominioni

«Diamo voce ai papà», ma il congedo di paternità è ancora troppo breve

Mancano pochi giorni alla festa del papà e per l'occasione c'è chi ha fatto il punto sul suo ruolo nell'ambito della conciliazione vita-lavoro attraverso la campagna nazionale «Diamo voce ai papà», i cui risultati sono stati presentati l'altroieri a Montecitorio. La campagna – condotta da Piano C, importante spazio di coworking in Italia, su abitudini, modelli, gestione della famiglia e dell'attività professionale di oltre 1.500 padri e caratterizzata anche da un sondaggio – ha restituito una fotografia tutto sommato serena: 6 papà su 10 ritengono che la paternità non abbia comportato un ridimensionamento delle proprie carriere e ambizioni professionali, e che in qualche modo gli abbia aperto la mente.Uno degli elementi centrali è un tema tornato di recente al centro del dibattito sulla legislazione legata alle politiche a sostegno della famiglia: il congedo di paternità, ossia i giorni di astensione obbligatoria dal lavoro stabiliti dalla legge Fornero nel 2012 – uno obbligatorio e due facoltativi. Il congedo ha riscosso un enorme consenso: il 70% dei papà, anche come futuri papà di altri figli, trova molto apprezzabile che esista questa possibilità, e addirittura 8 su 10 sceglierebbero la possibilità di un congedo di paternità obbligatorio di almeno 15 giorni. Che cosa prevede la situazione in materia? Il nuovo anno si è aperto con qualche passo in avanti. La legge di Bilancio 2016 ha confermato i due i giorni di astensione obbligatoria dal lavoro già stabiliti per il 2016, cui se ne aggiungono due facoltativi in sostituzione della madre, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio.La vera novità prevista dalla legge di bilancio è che a partire dal prossimo anno i giorni obbligatori di astensione dal lavoro per i padri passeranno da due a quattro. I giorni di congedo sia obbligatorio che facoltativo sono retribuiti al 100%. Il congedo, come specifica l'Inps, vale per i padri lavoratori dipendenti, anche adottivi o affidatari, e può essere richiesto via web attraverso i servizi online del sito dell'Istituto di Previdenza, tramite il contact center dedicato o i servizi offerti dai patronati.Una novità che va in continuità con il percorso avviato nel 2012. Si trattava di un passaggio non di poco conto: se il congedo parentale già esiste da tempo e consiste nell'astensione facoltativa dal lavoro fino all'ottavo anno di età del bambino per un periodo di tempo continuativo o frazionato e una retribuzione al 30% dello stipendio, l'introduzione di quello di paternità ha permesso in qualche modo al nostro Paese di recuperare rispetto ad altri paesi d'Europa, dove era già presente. Non solo quelli scandinavi, ma anche realtà come quella francese o spagnola dimostrano di essere più avanti rispetto a noi. In Spagna, ad esempio, sono 15 i giorni di congedo di paternità, completamente retribuiti. Non esiste al momento invece una legislazione comune in ambito europeo sul tema.I dati tra l'altro dimostrano che, dal 2013, anno successivo alla sua introduzione, i congedi sia obbligatori che facoltativi sono progressivamente aumentati: nel primo caso si va dai circa 50mila del 2013 agli oltre 72mila del 2015. Nel secondo dai circa 5.400 del 2013 ai circa 9.500 del 2015. Al contrario la somma dei congedi di maternità e paternità obbligatori per lavoratori dipendenti del settore privato è scesa dai circa 216mila del 2012 ai circa 195mila del 2015 (dati Inps).Oltre un terzo del totale dei congedi obbligatori è stato quindi fruito dai padri. Sul sito dell’Inps non sono ancora disponibili i dati relativi al 2016 per cui non è possibile fare un confronto con l’anno che ha introdotto l’aumento a due giorni obbligatori.Quali sono i costi? Titti Di Salvo, parlamentare ed ex sindacalista, da tempo si occupa di questi temi: «Ogni giorno obbligatorio di congedo di paternità costa 10 milioni di euro alle casse dello Stato, mentre quello facoltativo 1,3. Il congedo di maternità obbligatorio è previsto per un periodo decisamente più lungo, 5 mesi, e alla lavoratrice viene corrisposta un'indennità dell'80% dello stipendio che, a seconda dei contratti, può arrivare al 100%». I dati Inps relativi al 2015 parlano di una spesa complessiva di 2 miliardi e 523 milioni di euro per tutti i trattamenti economici di maternità.Il gap va ancora recuperato rispetto al resto d'Europa. Non a caso il presidente dell'Inps Tito Boeri ha lanciato qualche mese fa la proposta di portare a 15 i giorni di congedo di paternità obbligatori, in un'ottica di maggiore uguaglianza tra uomo e donna nella gestione della vita familiare. Questa proposta è stata anche oggetto di un disegno di legge a firma, tra gli altri, della Di Salvo. La parlamentare PD ha commentato positivamente le nuove disposizioni: «Penso che la prospettiva del 2018 dia stabilità e consolidi la norma. Fino ad ora infatti ogni anno bisognava, nella legge di bilancio, ripartire da zero perché i giorni di congedo di paternità erano previsti solo in via sperimentale. La presenza invece di quattro giorni obbligatori nel 2018 più uno facoltativo da una prospettiva di lungo termine alla norma e ci da la possibilità di non ripartire sempre da zero». A proposito della proposta di legge, spiega che «insieme a Valeria Fedeli abbiamo depositato, alla Camera e al Senato, una proposta di legge che punta ad ottenere 15 giorni di congedo di paternità obbligatorio remunerato al 100%. La proposta prende spunto dagli esempi virtuosi che ci arrivano da molti Paesi europei, in cui le responsabilità delle cura dei figli spettano tanto alle mamme quanto ai papà. Crediamo che questa misura possa avere molte ricadute positive: una divisione più equa del lavoro di cura all'interno della famiglia può dare ai papà la possibilità di essere più presenti, migliorando il rapporto padre-figlio anche in prospettiva distribuire più equamente le responsabilità familiari e quindi liberare tempo per le donne che possono, ad esempio, rientrare nel mondo del lavoro con più facilità; dare un segnale al mondo del lavoro stesso, per cui le responsabilità familiari non saranno più un fattore discriminante nel momento in cui si deve scegliere fra assumere una donna o un uomo, perché entrambi prenderanno in carico equamente quelle responsabilità. Inoltre è anche una misura che favorisce la crescita economica e l'uscita dalla crisi poiché favorisce l'occupazione femminile che a sua volta stimola ulteriore domanda di lavoro - servizi, ristorazione e così via. La Banca d'Italia ad esempio stima che questo processo potrebbe portare ad un aumento del 7% del Pil». Al momento si tratta però solo di una proposta. La realtà è che siamo ancora parecchio indietro «rispetto ai Paesi nordici, all'avanguardia in tema di politiche di condivisione delle responsabilità genitoriali. Abbiamo anche un grande gap rispetto al tema dell'occupazione femminile», conclude Di Salvo, «per cui siamo maglia nera in Europa ma che proprio in questi anni ha registrato, invece, un'inversione di tendenza. C'è ancora tanto da fare, per noi questa è una priorità».Chiara Del Priore

Paolo Gallo del World Economic Forum parla ai giovani: «siate liberi e avrete successo nel lavoro»

Paolo Gallo ha 53 anni. Dal 2014 è responsabile risorse umane del World Economic Forum e qualche tempo fa, partendo da alcune domande che continuavano a ricorrere nel corso della sua attività lavorativa e vita privata, ha deciso di scrivere «La bussola del successo» (Rizzoli).Dai quesiti nasce la volontà di trovare delle risposte o quantomeno fornire indicazioni utili, come dimostra l’ambizioso sottotitolo del libro: «le regole per essere vincenti restando liberi». Nel corso del testo l’autore si chiede spesso il motivo del fallimento di tante persone e che cosa vuol dire avere successo, cercando di fornire indicazioni ricavate dalla sua pluriennale esperienza nel settore risorse umane. Indicazioni indirizzate a tutti, con focus particolare sulla fascia d’età 25-35, ossia i giovani che si affacciano al mondo del lavoro.  Non è così facile trovare risposte a quesiti così impegnativi e Gallo, così come chi legge, lo sa bene: le dinamiche lavorative sono estremamente complesse e non esistono casistiche sufficienti per descriverle. Ad esempio, il raccomandato di turno fa vacillare seriamente la nostra concezione di esistenza di giustizia o libertà in ambito lavorativo. Il nostro desiderio di affermazione spesso è ostacolato da rapporti lavorativi complicati o contesti non favorevoli.E soprattutto, può apparire un po’ retorico che un professionista affermato come Gallo dispensi consigli sul successo nel lavoro a chi spesso fa fatica a trovare un’occupazione. «Capisco che viviamo una fase molto critica per i giovani. So che molto spesso ci troviamo a non poter scegliere la nostra occupazione, ma è importante sapere che quello non sarà il lavoro della nostra vita»: l’autore del libro spiega alla Repubblica degli Stagisti l’esigenza di fornire consigli utili anche in un momento delicato per il mondo del lavoro, mettendo l’accento sull’importanza del non accontentarsi e di non smettere mai di cercare la propria strada. «A mio avviso è comunque fondamentale capire chi si è e cosa si vuole fare, perché queste domande saranno poi utili nella scelta dell’azienda in cui lavoreremo per la vita e soprattutto ci permetteranno di crescere all’interno di quell’azienda».Quali sono allora le «regole» da seguire? «Innanzitutto, essere quanto più liberi possibile nelle proprie scelte professionali, dove per libertà si intende fare scelte autonome che non ti permettano di essere ricattabile. È importante compiere scelte in autonomia, magari sbagliate, ma senza che nessuno possa poi chiedere nulla. Un altro punto importante è la corretta gestione della propria reputazione online, un aspetto non ancora regolamentato dalla legge, ma notevolmente considerato dalle aziende soprattutto in fase di selezione del personale. Oggi tutte le organizzazioni guardano cosa pubblichiamo su Facebook e LinkedIn, bisogna essere attenti perché una carriera può essere anche compromessa da una foto».D’altro canto Gallo, tramite la sua organizzazione, cerca di contribuire non solo in teoria all’inserimento lavorativo dei giovani: «Riceviamo 25mila application l'anno, a testimonianza dell'interesse per le nostre attività. Il World Economic Forum organizza il Global Leadership Fellows Programme, percorso di apprendimento e formazione della durata di tre anni, che coinvolge 30 neolaureati a livello internazionale. Il Programma è finalizzato all’inserimento dei giovani all’interno dell’organizzazione». Pensare che tutto sia semplice o risolvibile con poche regole non è ovviamente possibile. Tuttavia, Paolo Gallo vuole trasmetterci la convinzione che costruire un percorso di carriera «positivo», sebbene possa essere complicato, è possibile. Qualunque sia la nostra condizione attuale, il segreto è continuare a guardarsi intorno alla ricerca del «nostro» lavoro, cioè dell’occupazione che fa per noi, senza perdere quella famosa «fame» di jobsiana memoria. Chiara Del Priore

Apprendistato in crescita: c'entra la riduzione degli incentivi per il contratto a tutele crescenti?

Esiste da anni, con fortune alterne, anche a causa del «balletto» di normative che si sono susseguite nel tempo. Stiamo parlando dell’apprendistato, rapporto di lavoro finalizzato a favorire l’inserimento dei giovani nel mercato occupazionale. I primi dati noti relativi al 2016 stanno registrando un incremento di questo tipo di contratto, incontrotendenza rispetto ai dati 2015, che avevano evidenziato invece un calo. Al momento, come ci spiegano da Isfol, l’ente pubblico di ricerca sui temi della formazione e del lavoro, non è ancora disponibile la panoramica relativa a tutto l’anno, ma, guardando ad esempio il terzo trimestre 2016 «c’è una variazione in positivo del 34% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente». Ad affermarlo è Sandra D’Agostino (foto a destra), responsabile della struttura metodologie e strumenti per le competenze e le transizioni dell'ente. Secondo l’ultimo rapporto sull’apprendistato elaborato da Isfol, nel 2015 invece il numero di apprendisti in Italia era diminuito complessivamente dell’8,1% rispetto all’anno precedente. Lo stesso anno che ha visto l’introduzione del cosiddetto contratto a tutele crescenti, che ha previsto sin da subito incentivi per le aziende che assumevano con contratti a tempo indeterminato.Quello dell’apprendistato non è un percorso sempre omogeneo: «Dal 2009 al 2014 c’è sempre stato il segno meno. Poi nel 2014 la ripresa, con +3,1% di avviamenti di nuovi contratti di apprendistato rispetto all’anno precedente, per arrivare alla crisi in tutti i settori e tipologie di apprendistato nel 2015. In questo trend non può essere inquadrato l’apprendistato nelle imprese artigiane, dove il numero degli apprendisti è in costante riduzione», spiega D’Agostino. Sul calo di apprendisti si è espressa di recente la Cgia di Mestre attraverso il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo: «Dall’inizio della crisi nel 2009 al 2015, ad esempio, gli apprendisti occupati nelle aziende artigiane sono diminuiti del 45 per cento. Al di là della necessità di rilanciare la crescita e conseguentemente anche l’occupazione, è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano».Per comprendere le ragioni di questo andamento, è necessario fare qualche passo indietro ripercorrendo le novità introdotte dalle principali disposizioni legislative sul tema. I contratti di apprendistato sono stati rilanciati dalla cosiddetta riforma Fornero (legge 92/2012). Tra le varie novità, la legge fissava a sei mesi la durata minima del contratto e prevedeva anche l’assunzione di almeno il 50% degli apprendisti alle dipendenze di un determinato datore di lavoro. Inoltre, punto fondamentale, fissava incentivi per le aziende legati a questa tipologia di assunzione. Da qui la diffusione di apprendisti negli anni successivi.  Diffusione che ha dovuto fare i conti nel 2015 con il Jobs Act, che ha introdotto il contratto a tutele crescenti, con il quale sono previsti incentivi alle aziende per le assunzioni a tempo indeterminato.  Cosa dice invece sull’apprendistato? La normativa introdotta dal Governo Renzi (decreto legislativo 81/2015, articolo 43) ha confermato gli incentivi ed è intervenuta sulle tre tipologie di apprendistato, ampliando le finalità di quello di primo livello e portando anche in Italia il cosiddetto sistema duale già presente in altri paesi europei: «Oggi è possibile conseguire in apprendistato i titoli di studio che rientrano nell'istruzione secondaria avvicinando così il momento della formazione e quello del lavoro», spiega D'Agostino. Un esempio in tal senso è stato il programma avviato da Enel in via sperimentale nel 2014, che ha coinvolto in periodi di formazione in azienda 150 ragazzi di tutta Italia.Secondo quanto stabilito dall’articolo 32 del decreto legislativo. n.150/2015 possono accedere infatti ad un nuovo incentivo tutti i datori di lavoro che assumano lavoratori con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore. Rimangono quindi escluse dal campo di applicazione dell’incentivo le assunzioni con contratto di apprendistato per la formazione e quelle effettuate con contratto di apprendistato professionalizzante.Con la legge di stabilità 2016 i datori di lavoro possono beneficiare, in generale, di un’aliquota contributiva agevolata pari al 11,61% su tutti i contratti di apprendistato (a prescindere dalla tipologia), prorogata di 12 mesi nel caso di conferma al termine del periodo di formazione. Sgravio totale invece per i datori di lavoro con un organico pari o inferiore alle nove unità.Se il 2015 ha visto il boom dei contratti a tutele crescenti, l'anno successivo ha visto un ridimensionamento di questa tipologia contrattuale, legato alla diminuzione degli incentivi in termini di importo massimo e durata e, anche se ovviamente non si tratta dell’unico fattore, ai nuovi incentivi sull’apprendistato.C'è quindi un nesso tra l'andamento del ricorso ai due tipi di contatto, tutele crescenti e apprendistato, ma è opportuno fare delle differenze: «è evidente che c'è uno spostamento delle preferenze delle imprese che deriva molto dal costo di un contratto rispetto a un altro. Dopodiché non è esattamente la stessa cosa», chiarisce D'Agostino.Innanzitutto «il contratto di apprendistato non dà garanzia di assunzione. L'impresa può decidere anche di recedere dal contratto di apprendistato prima della sua conclusione». Va detto che negli anni il numero di contratti di apprendistato trasformati poi in contratti a tempo determinato è cresciuto. Per impedire di trasformare il contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato il datore deve compiere un’azione deliberata, ossia dichiarare che non prosegua nella modalità a tempo indeterminato.Poi, altro aspetto importante, va considerato il tema dell'età, in quanto l'apprendistato è destinato ai giovani fino ai 29 anni, salvo alcune deroghe. L'eccezione riguarda «lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o disoccupazione», e solo la seconda tipologia di apprendistato, quello professionalizzante. Ne consegue inevitabilmente che tutti gli altri sono destinati a restarne fuori.Sarà interessante attendere i dati completi del 2016 per capire se il trend positivo per l'apprendistato è destinato ad andare avanti e, allo stesso tempo, osservare quali saranno le tipologie contrattuali maggiormente attuate per chi non rientra nel contratto di apprendistato. L'anno è appena iniziato e al momento è ancora troppo presto per fare previsioni.Chiara Del Priore 

Stagisti nei tribunali: metà sono stati abbandonati dopo sei anni di «perfezionamento»

Sono stati un gruppo compatto e unito di 2.600 persone, stagisti che entravano e uscivano dai tribunali, fino al 30 aprile del 2015. E con il loro numero riuscivano a far leva sul mondo politico e sindacale. Ma a un certo punto, mentre si attendeva la pubblicazione dell’ennesima proroga, «si cominciò a vociferare che il ministero avrebbe preso in carico solo una parte di noi. Capimmo che era un tentativo di dividerci e indebolirci; per questo coniammo lo slogan “O tutti o nessuno”», racconta Patrizia Carere, 58 anni, calabrese, ex tirocinante della giustizia.La Repubblica degli Stagisti da anni segue il caso assurdo dei “maxitirocini” negli uffici giudiziari, sempre per la stessa platea, arrivati a una durata complessiva di oltre sei anni: tirocini, di fatto, contra legem. Nei giorni scorsi, la notizia dell’ennesimo bando per un «ulteriore periodo di perfezionamento» pubblicato dal ministero della giustizia il 9 gennaio. Bando a cui poteva però partecipare solo una parte di questi 2.600 stagisti: quelli che avevano superato la selezione del novembre 2015 per 1.502 posti e siglato il progetto formativo. In totale solo 1.115 persone (pur avendo una platea di circa 2.600 persone da cui pescare, il ministero infatti a cavallo tra il 2015 e il 2016 non era nemmeno riuscito a riempire tutti i 1.500 posti che aveva messo a bando). La Repubblica degli Stagisti ha ripetutamente chiesto un commento alla dirigente Barbara Fabbrini, direttore generale della Direzione generale del personale e della formazione del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, che ha firmato l'ultimo provvedimento del 9 gennaio di quest'anno per lo svolgimento del nuovo periodo di perfezionamento. Purtroppo ancora nessuna risposta è arrivata finora da Fabbrini, né dal suo staff, né dall'ufficio stampa del ministero. Così oggi questa testata vuole raccontare la storia dei maxitirocini nei tribunali da un'altra angolazione: quella degli esclusi tra gli esclusi. Se, infatti, i tirocinanti “fortunati” che hanno svolto il tirocinio nel 2016 e riusciranno a svolgerlo nel 2017 sono comunque da considerarsi persone escluse dal mondo del lavoro - per l’ennesima volta coinvolte in un tirocinio che di “formativo” ha ben poco, con le stesse mansioni al massimo in uffici diversi, e che in ogni caso da anni non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro - e, quindi, questi tirocinanti sono “esclusi”, ce ne sono altri che potrebbero essere definiti “esclusi tra gli esclusi”. Dal novembre 2015 non hanno più avuto nessuno pronto ad ascoltarli: «Credo ci fosse la volontà di smembrare un gruppo: se si voleva proseguire con il maxi tirocinio, per quanto anomalo, perché non seguire le “direttive” di sempre e coinvolgere tutto il comparto, suddividendo i fondi per l’intero bacino?», si chiede infatti Maria Teresa Biscarini, 46 anni, laureata in legge.Quello che probabilmente per chi non segue la questione non è così comprensibile è che nel grande magma dei tirocinanti della giustizia c’è di tutto. Persone come Biscarini che inizialmente, dopo un trasferimento forzato per motivi personali da Vicenza all’Umbria, partecipa nel 2011 a un bando per “tirocini di qualità”, promosso dalla Provincia di Perugia con fondi europei, che rilascia un’attestazione finale con il profilo di funzionario giudiziario per i laureati in legge.In seguito il ministero della Giustizia prende in carico la gestione di questi tirocinanti finendo per omogeneizzare a livello nazionale una platea che in comune aveva poco. Maria Teresa si trova nello stesso bacino in cui il ministero mette i tirocinanti degli uffici giudiziari della Campania - in quel caso prevalentemente giovani, laureati, che proprio per la particolarità della giovane età hanno anche partecipato a bandi regionali che utilizzavano fondi della Garanzia Giovani. E si trova nello stesso bacino anche con ex cassintegrati, come Patrizia Carere, che all’inizio avevano dovuto accettare l’offerta di quei tirocini per non perdere il sussidio di disoccupazione. Fino al decreto ministeriale del 20 ottobre 2015, però, bene o male tutti riescono a continuare di proroga in proroga i tirocini. Da quel momento in poi tutto cambia.Questa volta ci sono solo 1.502 posti, distribuiti anche in Regioni in cui non c’erano mai stati tirocinanti di questo tipo e con tagli drastici invece in quelle sedi dove c’erano numeri altissimi di stagisti. Per esempio la Calabria: «C’erano 670 tirocinanti del settore giustizia. Ma il bando dell’ufficio del processo ha assegnato solo 23 posti. Quando soltanto a Cosenza c'erano 21 di noi!», ricorda Patrizia. Anche il Lazio viene discriminato, ma lì ci pensa la Regione a "recuperare" gli esclusi attraverso un nuovo percorso regionale partito qualche mese dopo. «Così negli stessi uffici lavoravano fianco a fianco i soliti tirocinanti: alcuni all’interno dell’ufficio del processo, altri grazie al progetto regionale. Con un percorso parallelo solo temporalmente non coincidente: quelli dell’ufficio del processo da dicembre 2015 a novembre 2016, gli altri da giugno 2016 a giugno di quest’anno». Ma anche in regioni più piccole, si verifica un dimezzamento dei tirocinanti: in Umbria, per esempio, con la cesura del 2015 viene lasciato a casa il 50% dei partecipanti al programma.Il brusco arresto, per alcuni, di quello che Biscarini definisce un «tirocinicimio», perché dura da troppi anni, avviene quindi nel 2015. Eppure, carte alla mano, non si riesce a capire bene come sia stata fatta la selezione. «Nel bando all’articolo 3 ci sono i requisiti, e a parte quelli di condotta morale l’unico in più era l’aver svolto tutti i tirocini pregressi». Se, però, tutti i partecipanti li hanno svolti, allora, avanza il dubbio Biscarini, forse erano i criteri di priorità al punto 5 del bando a fare la differenza. Lì si scrive che è attribuita priorità, nell’ordine, «alle pregresse esperienze formative nel distretto interessato, alla minore età anagrafica, all’essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di scuola media superiore».Ma come requisiti e criteri di priorità siano stati mixati per ottenere le graduatorie non è dato saperlo. «Non c’è una graduatoria nazionale, né una comprensiva delle persone escluse. Ci sono solo elenchi nominativi per regione e senza punteggio. Forse, visto che ho 46 anni, sono stata esclusa per l’età». Ma qui qualcosa non torna: se il criterio anagrafico è stato fondamentale, come mai in altri casi un altro criterio base come il diploma è stato aggirato? «Molti ex tirocinanti avevano solo una qualifica professionale triennale o la terza media, ma hanno fatto ugualmente domanda» spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Carere. «Il software utilizzato per la selezione non si è bloccato, ha consentito l’invio delle domande. Così sappiamo che un tirocinante della Calabria con la sola terza media è rientrato in una regione del nord e un altro in Sicilia». Mentre sia Patrizia Carere sia Maria Teresa Biscarini sono rimaste fuori, senza poter più contare sulla (pur magra) indennità che derivava da quell'attività, e che per anni aveva costituito la loro fonte di reddito. Anche perché, ricorda Biscarini, «c’era la spada di Damocle dell’articolo 12 del decreto ministeriale 20 ottobre 2015 che prometteva l’emanazione di un successivo bando laddove non tutti i posti fossero risultati coperti dalle prime chiamate». E con il passare del tempo era venuto fuori che sarebbe stato possibile accorpare le ore di lavoro e, per chi aveva optato a sedi lontano da casa, non trasferirsi per lunghi periodi con forti spese di vitto e alloggio, bensì lavorare una settimana al mese appoggiandosi da amici o fare il pendolare.Fino all’avvio della seconda tornata di tirocini, nessuno si è arreso. Gli autoproclamatisi "precari della giustizia" hanno provato a contattare il ministero senza ottenere risposta, c’è stato un question time del 13 luglio 2016 dell’onorevole Mottola al ministro della Giustizia in cui si faceva presente la non attuazione di quel punto del bando, «ma il ministro non ha dato risposta», limitandosi a parlare solo di quelli che avevano superato la fase dell’Udp. Ad oggi, quello che gli esclusi non capiscono ancora è se un criterio ci sia stato nella selezione. E si chiedono come tutto questo andrà a ripercuotersi sul bando di concorso per 800 posti a tempo indeterminato per assistenti giudiziari, per cui al momento ci sono già 320mila domande di partecipazione. Gli ultimi tirocinanti del 2016 avranno, a conclusione di tutte le prove, sei punti aggiuntivi mentre i colleghi fino al 2015 solo un punto. E la beffa è che tra i tirocinanti con i sei punti aggiuntivi ci sono anche non diplomati. Che quindi, al concorso, non potrebbero partecipare.Ora si è in attesa che il ministero dia ulteriori informazioni sulla selezione, che dovrebbero arrivare secondo bando nel mese di febbraio. E sul fronte tirocini si aspetta la pronuncia del Tar, interpellato dai tirocinanti della Campania che hanno individuato i punti focali della vacuità del bando e che potrebbe portare a farlo decadere, come richiesto nel ricorso. La sentenza però arriverebbe comunque tardi, visto che è già partita anche la “prosecuzione” del tirocinio.«Non c’è la volontà politica di trovare una soluzione» dice Patrizia Carere: «Oggi la formazione che mi è stata offerta dallo Stato, non avendo avuto un prosieguo, è stata buttata. Non ho possibilità di utilizzarla altrove, è stata fine a sé stessa. Risorse pubbliche buttate». «Più che una chance, come l’ha definita in più occasioni il ministro» le fa eco Maria Teresa Biscarini «la nostra formazione è stata una perdita di chance».Oggi questi tirocinanti abbandonati restano sospesi in un limbo: per loro altri progetti di tirocinio – che sarebbero come da sempre ripete la Repubblica degli Stagisti comunque fuorilegge visto che si concretizzerebbero in proroghe di proroghe, in continua violazione del dm 142/1998 e delle successive normative regionali in materia di tirocini extracurriculari – non se ne vedono. Resta solo la possibilità del concorso, se mai arriverà a conclusione. «Non ne facevano uno dal 1999, e ci si meraviglia che c’è questa grande partecipazione?» si chiede Carere: «Il concorso è giusto e valido, ma per i giovani a cui bisogna dare spazio e una prospettiva futura. A quelli come me che hanno una certa età serviva quel residuo di anni di contribuzione che ci permettesse di andare in pensione in maniera dignitosa». Non un tirocinio. Non un tirocinicimio.Marianna LeporeFoto quadrata in alto a destra: di Morganforuall da Pixabay in modalità Creative Commons

La beffa degli stage nei Tribunali, dopo sette anni un «ulteriore periodo di perfezionamento»

Puntuale, come ogni anno, è arrivato il provvedimento per la domanda per «un ulteriore periodo di perfezionamento» presso gli uffici giudiziari. Chi segue la Repubblica degli Stagisti saprà già di cosa si sta parlando. È un provvedimento diretto a quelle centinaia e centinaia di stagisti, nella maggior parte disoccupati ed ex cassintegrati anche over 40, che dal 2010 vengono utilizzati per il funzionamento del settore giustizia. Persone, inizialmente all’incirca 2600, che negli ultimi sei anni sono andati a lavorare con il ruolo di “stagisti”, consentendo di fatto ai tribunali e corti di appello di funzionare. L’ultimo provvedimento che li riguarda è stato pubblicato il 9 gennaio di quest’anno e scadeva alla mezzanotte del 16, dopo appena una settimana. Dentro c'è, nero su bianco, quello che ormai nemmeno il ministero si vergogna più di scrivere: «domanda per svolgimento di un ulteriore periodo di perfezionamento presso gli stessi uffici giudiziari», in continuità con quello che già nel novembre del 2015 era stato definito «ulteriore periodo di perfezionamento nella struttura organizzativa “Ufficio del processo”».    Questa volta i tirocinanti che hanno presentato la domanda dovevano manifestare «l’interesse allo svolgimento dell’ulteriore periodo di perfezionamento, per una durata non superiore ai 12 mesi, presso lo stesso ufficio giudiziario ove l’istante era stato assegnato» nella selezione del 2015 (dimostrazione che il bando quindi non era per tutti, ma solo per alcuni) e ricordarsi anche, come previsto al punto 3, «di indicare in modo espresso la richiesta di attribuzione della borsa di studio». I destinatari in realtà, come detto, non sono tutti gli ex tirocinanti degli uffici giudiziari, ma solo quelli che hanno partecipato al bando di novembre 2015 per 1.502 posti con il quale, dopo anni di stage-precariato, solo 1.231 avevano avuto l'assegnazione del posto e di questi avevano siglato il progetto formativo in 1.115. Quindi meno della metà di quelli che negli anni precedenti avevano servito nei tribunali. Anche questa volta questi stagisti, che hanno svolto l’ultimo periodo di perfezionamento, facendo domanda prenderanno per un altro anno circa 400 euro al mese. Una spesa coperta da risorse destinate con la legge di stabilità per il 2017 per un importo totale di oltre 5 milioni e 800mila euro. In tutto questo una nota vagamente positiva c’è: nel bando è infatti richiesto ai tirocinanti di specificare se abbiano presentato domanda per la partecipazione al concorso pubblico per 800 posti a tempo indeterminato per il profilo professionale di assistente giudiziario, pubblicato a fine novembre 2016, «atteso che nello stesso è previsto punteggio aggiuntivo per i tirocinanti». Una battaglia, quella dei punti aggiuntivi e quindi del riconoscimento del lavoro svolto, che da sempre i «precari della giustizia» – come si sono autodefiniti questi lavoratori «falsi» stagisti – portano avanti, di cui la Repubblica degli Stagisti aveva già parlato intervistando Gianna Fracassi, segretario confederale Cgil. Resta però il fatto che in sette anni il ministero non sia riuscito a trovare un altro modo per inserire in organico questi soggetti che affollano i tribunali, sono conosciuti da tutti e soprattutto aiutano a far funzionare l’andamento della giustizia. Al di là delle rivendicazioni degli stagisti attuali e passati, delle giustificazioni che arrivano dal ministero sul perché non si possa trovare una soluzione – il sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri già nel 2015 alla Repubblica degli Stagisti aveva dichiarato di non ritenere che si potesse «pensare a una stabilizzazione, nemmeno giuridicamente», – quello che sta più a cuore a questa testata è il problema della proroga contro legge dei tirocini.  Si era partiti con un primo provvedimento che parlava di tirocini formativi, per cui secondo la normativa di allora (e anche attuale) non sarebbe possibile una durata superiore ai dodici mesi (proroghe comprese), e da allora si è passati a provvedimenti che parlavano di “completamento di tirocini”, di “perfezionamento” e oggi di “ulteriore periodo di perfezionamento” (seguente a un altro “ulteriore periodo”). Consentendo, di fatto, un unico lungo tirocinio che va avanti dal 2010 – con alcuni periodi di sospensione – mai contemplato dalla legge. La continuità è confermata anche dal fatto che ai vari bandi hanno potuto progressivamente partecipare solo le persone che avevano preso parte ai precedenti periodi formativi. A più riprese nei vari bandi è stato però sempre specificato che «lo svolgimento del tirocinio formativo non instaura alcun rapporto di lavoro, anche temporaneo, con il Ministero della giustizia, né determina l’insorgenza di obblighi previdenziali». E la cosa più grave non è solo che i bandi susseguitisi negli anni sono stati diretti a soggetti che quella formazione l’avevano già fatta, ma sopratutto che erano rivolti a persone nella stragrande maggioranza dei casi ex cassintegrati, o in mobilità. Persone che avrebbero avuto bisogno di veri percorsi di reinserimento e poter vedere, dopo qualche eventuale mese di formazione, un vero inserimento lavorativo. Ma forse la soluzione è proprio nella confusione delle parole. Si definisce “tirocinio” qualcosa che tale non è, e che viene reiterato con un cavillo. Si legge, infatti, che la «proroga dei tirocini è finalizzata alla definizione dei progetti avviati dagli uffici con i tirocinanti» ed è disposta dall’articolo 1 comma 340 della Legge n. 232 dell’11 dicembre 2016. Gli uffici interessati devono corredare ogni domanda con un’attestazione del capo dell’ufficio giudiziario «dalla quale risulti che lo svolgimento del richiedente dell’ulteriore periodo di perfezionamento è funzionale alle esigenze dell’ufficio». Ma in un periodo di caos e lentezza del sistema giustizia ci sarebbe mai qualcuno disponibile a dire che una persona in più non è funzionale? E poi gli stage dovrebbero essere funzionali alle esigenze degli stagisti, non a quelle dei soggetti ospitanti.In attesa dello svolgimento del concorso – che comunque non coprirà tutta la carenza di personale – della piena realizzazione dell’ufficio del processo e di eventuali nuovi provvedimenti o leggi di bilancio, anche per il 2017 circa mille tirocinanti tenaci avranno un “lavoro non lavoro”. Porteranno a casa 400 euro al mese, che per molti è meglio di niente. Ma è ben triste che il nostro Paese sia ridotto così.Marianna Lepore

Young Women Network, rete e soft skills la chiave per il successo delle ragazze

Inizia un nuovo anno, eppure ancora non si finisce di parlare di gender gap. Nel 2016 l’Italia è risultata 50esima su 144 Stati nel Global Gender Gap Report del World Economic Forum, perdendo 9 posizioni rispetto all'anno prima. E se si parla di lavoro, il salto è ancora maggiore. Sui quattro parametri della misurazione (salute, istruzione, presenza politica, partecipazione socio economica) l’Italia risulta in 117° posizione su 142 paesi per l’indicatore comprendente i livelli occupazionali e retributivi, perdendo sei posizioni dal 2015, e ben venti dal 2014. I dati riportano come la condizione delle donne negli ultimi tre anni sia peggiorata quasi ovunque nel mondo, ma il mal comune, in questo caso, difficilmente è mezzo gaudio.Young Women Network (YWN), fondata a Milano nel 2012, è un'associazione dedicata all'empowerment delle giovani donne e volta a valorizzare il ruolo femminile nella società attraverso lo scambio di esperienze la creazione di progettualità comuni. Il primo obiettivo è di dare supporto alle ragazze nella costruzione del proprio percorso professionale e personale, in un contesto che così poco le favorisce. Il loro motto è “Achieve More Together”, ovvero: insieme si può andare più lontano. Ogni mese organizzano eventi dove giovani professioniste partecipano ad eventi di coaching, mentoring e networking, condividendo il proprio vissuto, facendo rete e perfezionando le proprie soft skills con l’aiuto di donne di successo dalle diverse specializzazioni ed esperienze.YWN è un’associazione no profit su base volontaria, che si sostiene grazie alle quote delle proprie associate e alle donazioni. Il gruppo operativo è costituito da sette ragazze, oltre a un comitato d'onore formato da quattro donne dirigenti di importanti realtà aziendali italiane. Dal 2014 la rete si è allargata, portando gli eventi oltre che a Milano anche a Roma, e il 2016 si è chiuso con quasi 300 socie iscritte (per associarsi bisogna compilare il form online e versare una quota associativa di 70 euro). Attraverso l'associazione ogni giovane donna può accrescere la propria rete professionale, partecipare a workshop tenuti da manager italiane, accedere a iniziative di mentoring e usufruire delle convenzioni con aziende e associazioni partner. Gli eventi più importanti sono riservati alle sole socie, così come il mentoring program e il counseling, ma è possibile partecipare a uno degli eventi in forma libera, per valutare di entrare a far parte del network. Nel caso di eventi aperti, i posti dedicati alle non associate sono pari al 20% e, a seconda del tipo di evento, può essere comunque prevista una quota di partecipazione. Ma cosa vuol dire “empowerment” in concreto? Questa parola inglese, di difficile traduzione, letteralmente indica “trasferimento di potere” e “legittimazione”, ma riflette anche un bisogno culturale più ampio, di riconoscimento del genere femminile nel suo complesso, in un sistema che trasmetta alle donne stesse gli strumenti per emanciparsi al suo interno. «Empowerment significa innanzitutto consapevolezza. La giovane donna che è alla prima esperienza lavorativa deve coltivare le proprie competenze e attitudini, sviluppare il proprio talento e ciò che la rende unica» dice alla Repubblica degli Stagisti Martina Rogato, 32 anni, consulente freelance in ambito sostenibilità e Ong e presidente di Young Women Network. «Vogliamo rendere le ragazze consapevoli di come possono migliorare anche oltre le proprie competenze “hard” e dell’importanza di investire su se stesse ogni giorno e da subito». La promessa rivolta ad ogni ragazza è semplice e diretta: «Entra a far parte di Young Women Network perché ti aiuteremo a sviluppare la migliore versione di te stessa».Uno degli elementi di forza dell’associazione è l’offerta di sessioni di mentoring (diverso dal coaching, che prevede l’erogazione di corsi veri e propri da parte di un professionista), percorsi one-to-one dove ogni ragazza, nel perseguimento dei propri obiettivi personali e professionali, viene assistita da una figura femminile senior con anni di esperienza in un dato ambito lavorativo. Il format è della durata di sei mesi e prevede incontri mensili tra mentor e mentee, dove entrambe le figure trovano soddisfazione, le une nella condivisione della propria esperienza, le altre nell’ottenimento di un punto di riferimento da cui ricevere consigli e direzionalità. Il successo dell’iniziativa è legato anche al fatto che i mentori sono figure poco diffuse a livello aziendale in Italia: «C’è una mancanza di figure senior che orientino e diano spassionatamente e obiettivamente, senza secondi fini, dei consigli» osserva la presidente di YWN. Non solo. Il programma di mentorship avrebbe anche un altro importante vantaggio: «I giovani fanno tanta fatica ad entrare nel mondo del lavoro, nonostante la maggior parte di noi sia forse anche più qualificata della generazione precedente, e quando entrano in azienda si trovano a interfacciarsi con un management che non ha sofferto così tanto per entrare nel mondo del lavoro» puntualizza Rogato. «Mettendo in contatto donne senior con donne giovani, i nostri programmi abbattono le barriere e cercano di stimolare il dialogo intergenerazionale all’interno delle organizzazioni e delle aziende. Non è una cosa da poco, visto il contesto italiano».Oltre alle attività di mentoring, l’associazione si propone di diffondere la cultura del networking, ovvero dell’importanza di creare e accrescere le proprie conoscenze dentro e fuori dal proprio ambito professionale, qualcosa che è spesso sottovalutato: «Non tutte hanno infatti la consapevolezza di quanto sia importante fare rete» osserva Rogato «perché è bene coltivare le relazioni tramite un do ut des in cui tu oggi dai e domani non sai cosa ti potrebbe tornare».Il problema della disoccupazione giovanile è solitamente indirizzato come di tipo generazionale, più che di genere. E se è vero che molte delle difficoltà dei giovani nella ricerca di lavoro sono vere per entrambi i sessi, rimangono comunque le ragazze ad essere maggiormente penalizzate, dovendosi scontrare con un gender gap che persiste: «Nella mia piccola prospettiva, da presidente dell’associazione e da lavoratrice, vedo ancora tantissime difficoltà. Dalla conciliazione lavoro-famiglia all’idea di dover aspettare che il capo esca dall’ufficio per poter uscire, è una concezione del lavoro che io rifarei dalla A alla Z» riflette Rogato. «Ancora si assiste a tantissimi episodi di discriminazione di genere, disuguaglianza di stipendio, sessismo… So di una collega che aveva chiesto un aumento al capo, e le è stato risposto “ma tuo marito guadagna bene” - per la serie “ma tu che problemi economici hai?!”. C’è ancora tantissimo da fare, ed è da noi, giovani donne, che deve partire l’evoluzione culturale, perché è un problema di tipo culturale.»L'associazione quindi cerca di agire anche nella direzione di un impatto sociale, oltre a proporre strumenti per le ragazze in prima persona. E lo fa pensando proprio alla situazione italiana, in cui si aggiunge un ulteriore livello di complessità se si guarda alla disomogeneità di opportunità tra Nord e Sud: «Quest’anno, a marzo, oltre al mentoring program classico, lanciamo insieme ai Global Shapers del World Economic Forum un programma di mentoring dedicato a 15 giovani donne del Sud Italia, dando la possibilità di accedere agli incontri anche a persone che non stanno nelle grandi città come Milano e Roma» specifica la presidente. «Perché di fatto, per quanto possa essere in gamba, una giovane donna di un paesino del meridione non ha le stesse possibilità di una che vive a Milano. Il programma si chiama Skill Essentials e vuole essere un progetto di empowerment dei territori del Sud Italia. E chissà che non possa essere il primo di una lunga serie». Per agevolare gli incontri, il mentoring avverrà via Skype o per telefono. Tra i prossimi appuntamenti in programma, venerdì 13 gennaio a Milano si terrà una colazione con Alice Siracusano, account di marketing e comunicazione in realtà come Damiani, Bayer e Vodafone e oggi responsabile della divisione corporate in LUZ About Stories, network internazionale di autori e storyteller digitali. Parlerà del potere dello storytelling (presso Eppol, in zona Porta Venezia). Il 19 gennaio, invece, ci sarà “Indossa il Tuo Obiettivo”, una sessione su come il modo di vestire può influenzare il raggiungimento dei propri obiettivi, armonizzando carattere e aspetto fisico con abiti e accessori. Alla guida Elisa Scagnetti, happiness coach e consulente di immagine (dalle 19.30 alle 22 al Pacino Cafè, in zona Lima). Il 28 febbraio a Roma è invece prevista “Trasmetti il tuo valore”, una sessione sul personal branding e le pratiche, le competenze e i suggerimenti per costruire il pitch ideale e presentare se stessi nel modo migliore. Il contributo sarà quello di Silvia Pulino, assistant professor of business administration alla John Cabot University di Roma e director of the JCU institute for entrepreneurship (dalle 19 alle 22 al Tiber Campus).Se “insieme si raggiungono risultati migliori”, Young Women Network sa bene di doversi alleare con altre realtà che perseguono l’obiettivo dell’empowerment femminile, e per questo l’associazione è in fase di rinnovamento delle collaborazioni anche per il 2017. Il panorama italiano, per fortuna, è variegato, e sono numerose le associazioni che si dedicano a tutti gli aspetti (e le problematiche che ne derivano) dell’essere donna all’interno della società, da quelle di tutela e promozione di pari diritti (Aidos, Pari o dispare) a quelle legate alla formazione manageriale e l’imprenditoria al femminile (AssoDonna, ValoreD, Itwiin) o attive sul fronte della sensibilizzazione contro la violenza sulle donne (D.i.Re), per fare qualche esempio. Nonostante le modalità e i manifesti specifici siano a volte diversi, il fine rimane comune: migliorare la condizione femminile nel senso più ampio possibile. Qualcosa che è imperativo oggi più di ieri, se si vuole invertire il trend delineato dal Global Gender Gap Report. Altrimenti, di questo passo raggiungeremo la parità di genere soltanto tra molto, molto tempo. Il World Economic Forum sa anche tra quanto: 169 anni.Irene Dominioni

Consigli per aspiranti imprenditori: le regole del pitch perfetto

Cos'è un pitch? Nel gergo delle start-up, la presentazione di un progetto innovativo d’impresa attraverso una serie di informazioni utili per comprenderlo e finanziarlo. È solitamente breve e schematico, ed è considerato cruciale per lo sviluppo iniziale del business, poiché volto ad attrarre risorse.  Quali sono le regole da seguire per presentare un pitch di successo? Ci sono tre elementi fondamentali: l’abilità nell’esposizione, ovvero il public speaking, la presentazione (le slide non devono essere artistiche, ma semplici e ben strutturate), e i contenuti (si presentano un problema, la soluzione, la market opportunity, i competitor, il business model, il team e la fundraising request).L'ambiente delle imprese innovative sta diventando sempre più articolato e competitivo, perciò occorre sapersi distinguere fin dal primo momento. Secondo i dati di InfoCamere sulle start-up innovative italiane al III trimestre 2016, a fine settembre c'erano 6.363 attività iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, 420 in più rispetto a fine giugno (+7,07%). Inoltre, il loro capitale sociale corrisponde a 335,5 milioni di euro, circa 52,7 mila euro a impresa. I principali settori di attività sono i servizi alle imprese (70,52%) in cui rientrano produzione software e consulenza informatica (29,8%), attività di  ricerca e sviluppo (14,7%) e attività dei servizi d’informazione (8,1%); il 19,6% opera nei settori dell’industria in senso stretto, mentre il 4,4% nel commercio. In questo mare di start-up, il pitch rappresenta una prima sfida e un modo per mettersi alla prova, puntando sugli elementi unici e caratterizzanti della propria idea di business. Le informazioni del pitch devono essere comunicate in maniera chiara ed esauriente, fornendo gli elementi per valutare le potenzialità e la fattibilità del progetto. Per questo saper parlare in pubblico è importante, stimolando il coinvolgimento e l’interesse da parte degli investitori. Spesso il public speaking è una capacità innata, ma si può sviluppare con un po’ di allenamento. Mario Alberto Catarozzo, formatore e business coach professionista, ha individuato 7 regole d’oro del public speaking: per prima cosa, è importante inserire i contenuti che si vogliono trasmettere in storie o racconti (storytelling), invece che limitarsi semplicemente a trasmettere informazioni. Inoltre, per mantenere alta l'attenzione, è bene fare domande alla propria platea, stimolando il coinvolgimento. L'umorismo è uno strumento efficace per creare empatia, usarlo aiuta ad avvicinare il pubblico a sé. Un quarto suggerimento è di parlare in piedi, se possibile, invece che seduti dietro a un tavolo e il computer, e molto importante è anche il contatto visivo con chi abbiamo di fronte: deve essere il più ampio possibile e abbracciare tutti gli spettatori. In termini di struttura del discorso, infine, l'esperto suggerisce di aprire lo speech introducendo i punti della relazione, facendo la sintesi di ogni punto prima di passare ad un nuovo argomento, e riprendendo in conclusione i concetti più importanti, sintetizzandoli.C’è chi dice che le slide, durante la presentazione, non andrebbero nemmeno usate. Se questo può essere il caso di un elevator pitch, che occupa il tempo di una corsa in ascensore (2-3 minuti), è pur sempre vero che una presentazione può contribuire alla chiarezza dell’esposizione, soprattutto se bisogna entrare nel merito di cifre e statistiche. Secondo Maurizio La Cava, autore del libro “Lean presentation design” ed esperto di tecniche di presentazione, il design delle slide deve essere semplificato al massimo, piuttosto che puntare al lato artistico. Bando quindi agli effetti di transizione e ai colori sgargianti, difficili da leggere: la semplicità è chiave. Lo stesso vale per i concetti espressi: le slide devono essere un ausilio per gli ascoltatori in background, non il riferimento per le informazioni. Chi fa la presentazione deve essere al centro dell’attenzione, e se lo sguardo degli spettatori si posa sulle slide troppo a lungo, è un cattivo segno. Mai riempirle di parole da cima a fondo, è lo startupper colui che deve comunicare le informazioni. Soprattutto, mai leggerle! Non vale la pena di presenziare, se è soltanto per ripetere per filo e per segno ciò che è già scritto, a quel punto meglio mandare la presentazione per e-mail. Infine, la regola è del 10-20-30: 10 slide per 20 minuti di discorso, con un font delle slide di 30 caratteri (che costringe a inserire soltanto i concetti essenziali).Gli elementi più importanti del pitch consistono nella presentazione di un problema e della soluzione con cui la start-up si propone di risolverlo, come quella soluzione si implementa in un prodotto, la presentazione del team, i competitor e il mercato di riferimento, gli investimenti necessari, il modello di business e la roadmap dei passi fondamentali per lo sviluppo del progetto. In questo senso, spiega Maurizio La Cava, è importante trasmettere come si rappresenta la giusta combinazione tra unicità e rilevanza. L’importante non è essere gli unici a sviluppare una determinata idea (anzi, la presenza di competitor è un buon segno, poiché indica come l’idea possa avere successo), ciò che veramente conta è essere in grado di metterla in atto in maniera unica e diversa dagli altri. Una parte fondamentale del pitching è la necessità di spiegare con precisione come si fa a monetizzare quell’idea, poiché è l’elemento chiave per convincere gli investitori, che si aspettano un ritorno dai fondi elargiti. E al tempo stesso occorre specificare la propria funding request, ovvero la richiesta di un investimento preciso, specificando come si intende utilizzare quel finanziamento per la crescita. Inoltre, è importante mostrare solidità e preparazione attraverso la financial projection, ovvero la previsione di sviluppo del business in un orizzonte di 3-5 anni (non di più, altrimenti diventa irrealistico). Infine, bisogna tenere a mente che un team è solido solo quando mette insieme le competenze necessarie, piuttosto che l'affiatamento tra i membri. A chi decide di fare start-up con gli amici, quindi, attenzione.Dal Premio Marzotto alla 360by360 competition, dalla call for ideas di Tim WCap al Wind Business Award e a Edison Pulse, le opportunità per pitching competition sono molte, dove le start-up si battono strenuamente per vincere soldi, formazione e possibilità di conoscere investitori pronti a lanciarle sul mercato. Tra le prossime call ancora disponibili o in apertura a breve, il Wind Startup Award di Wind Business Factor, dedicato alle start-up in ambito digital economy (mobile, internet of things, gaming, digital marketing, data analysis, digital payments, it security, social network, wearable technology), riceve candidature fino al 26 gennaio 2017. Per la sua terza edizione, il contest ha lanciato l'Italian Tour, un roadshow in quattro tappe, ospitato nei campus Talent Garden di Milano, Torino, Pisa e Cosenza, dove il team di Wind Business Factor incontra 6 start-up selezionate del territorio per fare il pitch davanti alla giuria. Per partecipare alla terza pitch session, che si terrà il 17 gennaio a Cosenza, è possibile inviare la propria candidatura entro il 13 gennaio alle h. 18. Le quattro start-up che supereranno questa prova entreranno direttamente nella shortlist di 12 candidati al premio finale, un programma di pre-accelerazione di due mesi in Luiss Enlabs chiamato Execution Program. Per le start-up che si occupano di innovazione sostenibile in Italia (soluzioni nell'ambito delle fonti di energia rinnovabile, smart city e mobilità sostenibile, riciclo e riuso, eco-design, soluzioni tecnologiche a impatto zero e così via), Wind Business Factor ha aperto le selezioni per il Wind Green Award, che mette in palio un programma di due mesi di incubazione in Impact Hub Milano e un gran in denaro di 5.000 euro. Le candidature si possono inviare fino al 13 febbraio 2017 e la premiazione avverrà entro il 31 marzo. Per Edison Pulse, quest'anno alla quarta edizione, il bando (categorie Energia, Smart Home e Consumer, oltre ad una speciale “Ricostruzione sisma”) è aperto dal 12 gennaio al 28 marzo 2017. I vincitori, uno per categoria, saranno selezionati a maggio 2017 e otterranno un premio monetario di 50.000 euro ciascuno e un periodo di incubazione di quattro settimane presso un partner di Edison Pulse. L'anno scorso hanno partecipato 400 progetti da tutta Italia e si prevede che anche quest'anno la competizione sarà forte.  Infine, la selezione per il Web Marketing Festival  (anche questo alla sua quarta edizione) aprirà a febbraio 2017 e chiuderà a maggio, quando sei finalisti avranno l'opportunità di presentare alla giuria il proprio pitch in 3 minuti, per vincere supporto nella realizzazione e la crescita della propria idea di business. L'anno scorso sono stati assegnati tre premi, uno grazie al voto dei giudici (10.000 euro in consulenza search marketing) uno grazie al voto del pubblico (5.000 € in formazione digitale) e un premio speciale offerto da UniCredit Start Lab, che prevede l'assegnazione di un mentor, la partecipazione ad un programma di coaching e alla Startup Academy, oltre a incontri con possibili investitori.Irene Dominioni