Ragazze che guardano le stelle, la passione per astronomia e astrofisica porta lontano

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 27 Feb 2018 in Approfondimenti

occupazione femminile STEM università e lavoro

Osservare e venire a capo dei fenomeni che muovono le stelle. È l’affascinante compito dell’astronomia, una delle scienze più antiche. Alla fine dell’800 ad essa si è affiancata l’astrofisica, studio rivolto ad applicare le leggi della fisica alla comprensione e all’analisi della struttura delle stelle. Oggi tuttavia la distinzione fra astronomia e astrofisica è diventata molto meno netta. Basti pensare che in Italia la facoltà di Astronomia esiste solo in due università (Padova e Bologna), quindi la prevalenza dei cosiddetti “astronomi” viene da un corso di laurea in Astrofisica, specializzazione della facoltà di Fisica.

Un percorso, quello “tra le stelle”, che affascina sempre più giovani, anche sulla scia della tradizione positiva che il nostro Paese si sta costruendo. C’è un’astronoma italiana nella lista dei dieci scienziati più influenti del 2017 stilata dalla rivista Nature. Si chiama Marica Branchesi, ha 40 anni e ha ricevuto il prestigioso riconoscimento in virtù del suo contributo alla ricerca sulle onde gravitazionali. Ed è proprio l’astronomia uno dei campi che sembrano destinati a contribuire in maniera più rilevante al superamento del gap di genere negli studi e nelle carriere in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). 

«L’Italia, oltre a essere una delle dieci nazioni più produttive nell’International Astronomical Union» spiega alla Repubblica degli Stagisti Angela Iovino, ricercatrice presso l’Inaf-OA Brera (Istituto nazionale di astrofisica-Osservatorio astronomico di Brera) nel campo dell’astronomia extragalattica «è anche tra le prime per presenza femminile, con il 27%». Tra le ragioni, ci sono sicuramente gli illustri precedenti di donne italiane “tra le stelle”: «Sappiamo quanto sono importanti i role model: Margherita Hack ha ispirato molte donne e spero che allo stesso modo Samantha Cristoforetti ispirerà le ragazzine di oggi», auspica la ricercatrice.

Angela Iovino all’astronomia ci è arrivata “per vie traverse”, ma neanche così tanto. «Dopo il liceo scientifico ho optato per lo studio della filosofia. La vedevo come qualcosa che non mi rinchiudesse nello stereotipo della professoressa di matematica, come avrebbero voluto i miei genitori», racconta. Poi aggiunge: «La filosofia comprende tanti aspetti diversi, tra i quali l’epistemologia e la logica matematica, così mi sono ritagliata un percorso che mi ha condotto verso i miei interessi. E una volta laureata, nell’attesa di rientrare nelle graduatorie dell’insegnamento, sono ritornata sui miei passi e mi sono iscritta alla facoltà di Astronomia dell'università di Padova. Ringrazio i miei genitori che mi hanno detto “Provaci”».

Stessa università ma percorso un po' diverso quello di Valentina D’Odorico, ricercatrice presso l’Osservatorio di Trieste. «Ho studiato fisica a Padova: inizialmente non sono partita con la passione per l’astrofisica, tuttavia anche mio padre è astronomo ed era un argomento che conoscevo». Il suo lavoro consiste nell’analizzare i dati grezzi ottenuti dai telescopi europei e ricavarne dati fisici astronomici sulla formazione delle prime galassie, sulle caratteristiche delle prime stelle etc. «Lo amo perché è un lavoro affascinante e che dà molta libertà di pensiero, di sviluppare le proprie idee».

Certo non sono mancati gli ostacoli. «I momenti di maggiore difficoltà ci sono stati nel 2004 quando ho avuto la prima figlia» racconta «e avevo un assegno di ricerca, che mi è stato interrotto per i cinque mesi obbligatori di astensione dal lavoro. Dopo sono tornata al lavoro e, non essendo mio marito ed io originari di Trieste ed essendo quindi le nostre famiglie lontane, ho dovuto assumere una babysitter fissa». 

Con la seconda figlia la situazione è stata differente: «È nata quando avevo un contratto a tempo indeterminato, quindi in questo caso avrei avuto diritto alla maternità, però sono comunque tornata al lavoro dopo l'astensione obbligatoria di tre mesi e ha preso il congedo di paternità mio marito, che in quel momento lavorava a Bologna e così ha avuto la possibilità di rimanere a casa. Io ho ottenuto l'orario ridotto per allattamento - un'ora in meno al giorno - per il primo anno. Nel nostro lavoro non esiste il part-time, o comunque nessuno lo prende, tuttavia adesso è possibile chiedere di lavorare da casa per qualche giorno alla settimana e a breve dovrebbero attivare anche lo smart work».

Ma come si fa a bilanciare la presenza di uomini e donne nei luoghi dove si fa ricerca scientifica? L’Inaf per esempio ha un Comitato unico di garanzia (Cug), che ha il compito di spronare l’Istituto affinché promuova l’equilibrio di genere e il trattamento rispettoso di tutti coloro che lavorano all’interno dell’ente. L’organo
ha diffuso qualche mese fa  i risultati di un monitoraggio dei dipendenti Inaf, dal quale risulta che le donne rappresentano il 35% fra personale di ricerca, personale tecnico e personale amministrativo. Isolando il personale di ricerca, si nota che nel percorso di carriera le donne si perdono, infatti si passa dal 37% del III° livello al 17% del I° livello. Ed estendendo l'osservazione all'ambito universitario nazionale, il “soffitto di cristallo” si conferma: sono donne il 33,3% degli assegnisti di ricerca in Astrofisica e Astronomia, il 25,6% dei ricercatori, il 20,3% degli associati e soltanto il 10,6% dei professori.

«Lo stillicidio che fa sì che le giovani donne vadano perse nel percorso verso livelli apicali» afferma Iovino, che presiede il Cug «è dovuto da un lato ai pregiudizi ma dall’altro a situazioni oggettive di difficoltà, come la cura parentale e genitoriale. Per questo bisognerebbe favorire le donne con misure sociali, come asili nido, flessibilità lavorativa  e altre forme di supporto alla conciliazione tra vita privata e lavoro. A maggior ragione in un campo come quello della ricerca dove i tempi di accesso a lavori a tempo indeterminato sono così lunghi».

Le fa eco Valentina D’Odorico: « Dal punto di vista della carriera, faccio più fatica rispetto a mio marito ad andar via per lunghi periodi, cosa che diventare responsabile di progetti grossi comporterebbe. Anche per questo nei progetti tecnologici le donne sono poche e non occupano posizioni di responsabilità. E, quando si tratta di decidere i relatori dei convegni, è difficile trovare donne all’altezza, perché molte abbandonano dopo il dottorato - e questo non solo in Italia». Iovino non disdegna le quote di genere come soluzione transitoria: «Ho apprezzato molto la legge Golfo-Mosca, visto quanto sono difficili e piccoli i passi dei molti cambiamenti da fare». 

Ma le difficoltà non devono dissuadere le ragazze che hanno sviluppato una passione per l’astronomia dallo scegliere questo settore. «Penso che sia un momento d’oro per la ricerca astronomica
» assicura Angela Iovino: «Ci sono tante domande a cui ancora c’è da rispondere: è un ambito che può offrire grandi soddisfazioni e stimoli intellettuali. In più oggi non si lavora più nell’isolamento del proprio ufficio, ma le collaborazioni sono tipicamente internazionali e girare il mondo facendo quello che ci piace è impagabile». Tra i punti di forza di questo settore c’è proprio la dimensione internazionale, che rende il lavoro dell’astronomo molto spendibile oltre nazione: «Tutte le pubblicazioni e le presentazioni a congressi internazionali sono in lingua inglese e comunque si collabora giornalmente con colleghi stranieri, con cui si comunica generalmente in inglese». 

Tra gli sbocchi internazionali ci sono i centri di ricerca in Europa, primo fra tutti l'Eso, l'ente europeo che gestisce i telescopi europei costruiti in Cile, la cui sede europea è a Monaco di Baviera. Poi nel Regno Unito ci sono grossi istituti di Astrofisica a Cambridge e a Durham, in Germania, molti istituti Max Planck, così come in Olanda, Francia, Spagna, Danimarca. Numerosi italiani lavorano anche in centri di ricerca negli Stati Uniti e in Cile, dove l'astronomia si sta molto sviluppando perché la maggior parte dei telescopi più importanti del mondo si trova lì e gli astronomi cileni hanno diritto a una quota di tempo di osservazione riservata del 10%.

Riguardo le prospettive del settore, tra gli scenari più interessanti ci sono quelli che riguardano gli “attrezzi del mestiere”, destinati a rivoluzionare la ricerca. «Io faccio parte di un gruppo di lavoro internazionale che, insieme agli ingegneri, si occupa dello sviluppo di strumentazioni di nuova generazione, che saranno operative tra il 2020 e il 2030», racconta D’Odorico. Che aggiunge: «Ci sono tante nuove competenze necessarie: ad esempio stiamo andando verso una fase di big data, quindi occorrono persone che sappiano anche come trattare grandi quantità di dati. Proprio le aziende specializzate nel trattamento dei dati e in informatica/statistica sono tra i possibili altri sbocchi degli astronomi, anche se in Italia è  abbastanza difficile essere assorbiti dall'industria con questo tipo di laurea».

«Conosco giovani che avevano lavorato sul data mining in astrofisica e si son spostati in banche o aziende che fanno data mining in altri ambiti
» aggiunge Angela Iovino: «Lo stesso per coloro che lavorano applicando ad esempio algoritmi di intelligenza artificiale alle immagini astronomiche. I laureati in Astrofisica sono spesso ricercati anche per le loro capacità di problem solving, programmazione e lavoro con codici complessi, ad esempio da ditte che producono software».

Oggi l’Italia, come comunità astrofisica, è ben inserita nel contesto internazionale dei grandi progetti: onde gravitazionali, studio della cosmologia e dei pianeti al di fuori del sistema solare e così via. L’Inaf è stato riconosciuto tra i primi istituti al mondo nella ricerca di eccellenza e l'anno scorso l'industria italiana si è aggiudicata commesse per la costruzione del nuovo telescopio E-Elt (European Extremely large telescope) per un valore di 450 milioni di euro, a fronte di un investimento di 45 milioni di euro da parte del governo. Eppure il sostegno alla ricerca è ancora troppo debole: «L’astronomia nel nostro paese sta vivendo anni di dolorosi tagli nel finanziamento alla ricerca. Gli enti pubblici di ricerca hanno bisogno di tornare almeno ai livelli di finanziamenti di 10-15 anni fa», è l’appello dell’astronoma Inaf. Le grandi sfide del futuro passano anche da questo, e la sensazione è che donne avranno un ruolo da protagoniste. 

Rossella Nocca

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