Categoria: Storie

"Nove mesi alla Columbia per cambiare prospettiva sul giornalismo e sulla vita"

Sono aperte le iscrizioni per i Master of Science (MS) e i Master of Arts (MA) della Columbia Journalism School, tra i percorsi più ambiti per giovani giornalisti e aspiranti tali. Le deadline sono il 15 dicembre e il 9 gennaio. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Francesca Berardi, 33 anni, ex allieva del Master of Arts in Politics.Ho 34 anni e sono nata a Torino. Ho studiato Storia dell’arte prima nella mia città e poi presso l’università La Sapienza, a Roma. Contemporaneamente ho iniziato la lavorare nel mondo dell’arte, occupandomi dell’impatto dell’arte contemporanea nelle zone post industriali. Ho collaborato con riviste d’arte, e nel frattempo mi sono dedicata a un’altra mia passione, il sociale, lavorando come volontaria in una comunità di rifugiati a Roma.Dopo l’università ho vinto una borsa europea in Belgio, ad Anversa, per lavorare nella redazione di una testata online. In questo periodo ho visitato una cittadina ex mineraria del Limburgo belga, e ho trascorso intere giornate nella comunità di ex minatori, per ascoltare le loro storie, studiare il contesto. Ho anche lavorato a un documentario con due amici e colleghi, “Viaggio al Belgio”. È stato lì che il lavoro del giornalista mi è sembrato meraviglioso e che ho capito che era quello che avrei voluto fare nella vita. Così, quando  – dopo un anno – sono tornata in Italia, ho cominciato a cercare stage nelle redazioni, ma non ho trovato niente di retribuito. Ho scartato anche l’idea di iscrivermi a una delle scuole di giornalismo italiane, perché duravano due anni, costavano e mi sembrava difficile poter lavorare in contemporanea, cosa che ho sempre fatto.Così ho avuto una sorta di ribellione e mi sono detta “Ho qualcosa da parte, me ne vado a New York!”. Sono partita a settembre del 2011 pensando che sarei ritornata dopo tre mesi e invece sono ancora qua. Sono arrivata con un visto per giornalisti di media stranieri. Ottenerlo è stato semplice, anche perché è un visto che non ti permette di lavorare per enti americani. Tra domanda, intervista e rilascio è trascorso un mese e mezzo. Grazie a questo visto ho lavorato per la redazione America 24 di New York, nell'ufficio americano del Gruppo 24 Ore. In seguito, ho vissuto a Detroit per un periodo e realizzato un libro sulla città. Ho poi fatto domanda per ottenere una scholarship ed essere ammessa a un master in politica alla Columbia Journalism School. Ho così ottenuto il visto F1 da studente, che dopo il master ti dà diritto a un anno di bonus – l’optional practical training (Opt) – per lavorare in America.Ho deciso di fare domanda di ammissione quando ho saputo che c’era la possibilità di ricevere una borsa di studio che avrebbe coperto sia il costo della scuola che le spese per vivere a New York, per un totale di circa 90mila dollari (di cui 60mila per l’insegnamento). Sapevo che sarebbe stato difficile ottenerla, ma ho voluto provarci lo stesso. Ho fatto domanda a novembre e ho ricevuto risposta a marzo, per poi iniziare a settembre. Quando ho ricevuto la prima mail, che mi comunicava l’ammissione, non riuscivo a gioire. Se non avessi avuto la borsa, non avrei mai potuto permettermi di accettare. Vivere un anno a New York costa in media 30mila dollari. Una camera tra i 1.200 e i 1.800 dollari al mese, una casa piccola dai 2mila in su. Per fortuna dopo poco è arrivata la bella notizia: avevo ottenuto la borsa di studio completa. In quel periodo vivevo a Brooklyn e mi sono trasferita ad Harlem per stare più vicina alla scuola. In classe eravamo in sedici, da ogni parte del mondo. Nel mio anno c’era una prevalenza di indiani (cinque) e solo tre persone con passaporto americano. Ero l’unica italiana.È stata un’esperienza intensa, impegnativa e meravigliosa, sia dal punto di vista professionale che umano. Nove mesi intensissimi di stampo seminariale su politica, sociale, etica, con l’obiettivo di trasmettere capacità di analisi profonda e critica delle materie. Due mattine a settimana erano dedicate a seminari sulla materia scelta, nel tempo restante si seguivano altri corsi o interni alla scuola o in altre facoltà (io ne ho seguiti a Economia, Scienze Politiche e Religione) e workshop preparatori al mondo del lavoro. Nel frattempo si preparava una tesi, con la supervisione di un advisor, uno dei docenti.La cosa più difficile è stata scrivere e partecipare a dibattiti in inglese su tematiche complesse. Non a caso per essere ammessi è richiesta la certificazione Toefl a un livello più alto rispetto alle altre università americane. Io, sebbene fossi a New York dal 2011, avevo lavorato principalmente per italiani. In ogni caso confrontarmi con un costante senso di imperfezione è stato utile e stimolante.Quello che ho amato di più della scuola è stato la riflessione costante sul giornalismo e sul significato della professione. Ha cambiato completamente la mia prospettiva sul lavoro e sulla vita. Ho avuto validi insegnanti, come Alexander Stille, giornalista del New Yorker e corrispondente dagli Usa per Repubblica, che è tra quelli che mi hanno insegnato di più.Oggi mi sento in costante tensione rispetto all’etica del lavoro, mi pongo continuamente domande e ho gli strumenti per trovare risposte. In America c’è un modo diverso di fare informazione: si fa tantissimo factchecking, il tuo pezzo da quando lo scrivi a quando viene pubblicato attraversa molte fasi. La scuola ti insegna come fare il freelance, come scrivere le proposte, tanto che la maggior parte degli allievi che escono approfittano dell’anno di bonus per  esercitare la professione da freelance.Tuttavia dopo il master non ci sono certezze né di stage né di assunzione. Io sono stata assunta dalla Scuola come post graduate fellow per un anno in una mini redazione in cui mi occupavo di “educazione e ineguaglianza”. Grazie alle partnership della Columbia, i lavori venivano pubblicati su varie testate, ad esempio Slate e ProPublica. C’erano anche molte risorse per viaggiare: ho visitato Detroit, Chicago, Kansas, Kentucky, Florida.Poi ho ottenuto un assegno di ricerca Grant presso il Brown Institute for Media Innovation della Columbia, un istituto dedicato all’innovazione nello storytelling, con sede alla Columbia e alla Stanford University, per un progetto sull’economia informale delle persone che vivono raccogliendo per strada materiale riciclabile. È un lavoro di responsabilità, in cui sono io a scegliere i miei collaboratori, e che mi permette di scoprire un lato di New York sconosciuto alla maggior parte dei suoi abitanti.Oggi ho un visto J1, che mi permette di essere stipendiata solo dalla Columbia. Il progetto durerà fino a febbraio 2018. Poi in primavera tornerò in Italia per qualche mese. Mi piacerebbe ritornare stabilmente in Italia o quantomeno in Europa, magari lavorando per le sedi europee di testate americane internazionali, per poter “riportare a casa” un po’ tutto quello che ho raccolto in questi sei anni. Ma lo farò solo se mi sarà data la possibilità di continuare a lavorare come lavoro qui, con la stessa responsabilità. Testo raccolto da Rossella Nocca

«Lo Sve è anche un modo per migliorare le lingue, io ho perfezionato l'inglese e imparato l'olandese»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Fabiana Castellino.Ho 27 anni e sono nata e cresciuta a Ragusa, in Sicilia, dove ho frequentato il liceo classico. Ho sempre curato molto la lettura e mi sono avvicinata, come “autodidatta”, alla letteratura e alla filosofia, che ho scelto poi di studiare anche all’università. A 19 anni mi sono infatti trasferita a Roma per studiare filosofia all’università di Roma Tre, dove mi sono laureata alla magistrale con il massimo dei voti.Dopo la laurea ho provato ad accedere a un programma di dottorato e, nel frattempo, ho lavorato con bambini autistici, imparando le tecniche base di comunicazione ed educazione fondamentali per la loro formazione. Questo lavoro si è rivelato per me un’occasione di crescita personale prima ancora che professionale, anche perché ho avuto la fortuna di incontrare persone con cui ho legato molto anche al di là del rapporto lavorativo. Dopo un anno ho deciso però di trasferirmi all’estero attraverso un’esperienza Sve, programma conosciuto attraverso il sito di Carriere internazionali proprio in un momento in cui ero interessata a dare una svolta alla mia vita e a crescere ulteriormente grazie a un’esperienza interculturale. Ho così cercato un’associazione che mi aiutasse nella ricerca del progetto a me più vicino e ho trovato Porta nuova Europa, di Pavia, che mi ha inviato un depliant con vari progetti e un’application dove ho risposto a varie domande che sono state state poi inviate ai responsabili dei progetti per cui io avevo espresso una preferenza. Dopo pochi giorni dall’invio della domanda ho saputo di esser stata presa dalla scuola che avevo segnalato come prima scelta, la Steiner school di Lier, in Belgio. Mentre la mia sending organization era appunto Porta nuova Europa, l’hosting organization in Belgio era Afs interculturele.Ho lavorato quindi per sei mesi in Belgio, nelle Fiandre, in una scuola steineriana, ovvero una scuola alternativa fondata sul pensiero filosofico di Rudolf Steiner. Il mio compito era quello di supportare le insegnanti di due classi con bambini di età compresa tra i 3 e i 7 anni mediante un lavoro più che altro materiale, che prevedeva di fare attenzione ai bambini durante le gite e preparare loro il pranzo. Devo dire che mi è stata fatta molta pressione per imparare la lingua, in questo caso l’olandese, e il lavoro è stato duro e spesso non molto soddisfacente dato che il mio compito era soltanto pratico-organizzativo e non mi ha concesso quindi di ottenere il tipo di formazione in cui avevo sperato. Per quanto riguarda l’alloggio, sono stata ospitata dalla famiglia di una bambina che frequentava una delle classi in cui ho svolto lo Sve, e questo mi ha permesso di conoscere a fondo la cultura locale e d’imparare più velocemente la lingua. Dal punto di vista economico, invece, lo Sve mi ha garantito un pocket money di 110 euro mensili, oltre alla totale copertura di vitto e alloggio e a un rimborso spese che copriva il tragitto casa-lavoro. In questo modo il volontario ha di certo una preoccupazione in meno; tuttavia non si deve pensare a un vero stipendio, quanto appunto ad un rimborso, ed è meglio per questo stare comunque attenti alle spese e partire, se possibile, con un piccolo gruzzolo messo da parte. Se si fa attenzione, si riesce a raggiungere comunque un certo livello di indipendenza. Ammetto che all’inizio è stata molto dura, in primis perché ci si trova di fronte alla barriera linguistica e, quindi, ad un inevitabile isolamento, che può essere però, in ogni caso, perfettamente superato. L’atteggiamento dei fiamminghi non è di immediata apertura al “diverso”, e ci è voluto del tempo per conquistare la loro fiducia. Sono persone molto indipendenti e il loro approccio all’altro è più freddo rispetto a quello degli italiani. Tuttavia, col passare del tempo, alcuni di loro si sono rivelati dei grandi amici. Ciò che mi sento di consigliare, sulla base della mia esperienza, è di lottare per un progetto che sia all’altezza delle proprie aspirazioni. La scuola in cui ho lavorato aveva solo bisogno di un assistente e non mi ha dato la formazione che speravo, ma ci sono molti progetti in cui i volontari sono formati ed educati, e possono anche proseguire il cammino. Mi sento quindi di dire che un’oculata scelta del progetto deve anche essere accompagnata, come tutto del resto, da una certa dose di fortuna.Nonostante le difficoltà, ci sono tanti aspetti che ritengo particolarmente positivi di questa esperienza. Per prima cosa un programma all’estero rafforza lo spirito e il carattere e dà la possibilità di viaggiare, conoscere un paese e gente da tutto il mondo. Inoltre ha un alto potenziale formativo dal punto di vista linguistico e io consiglio proprio di non farselo scappare. In Belgio ho usato soprattutto l’inglese ma ho anche imparato l’olandese. Non bisogna infatti lasciarsi scoraggiare da una lingua poco comune: è la chiave per rendere il proprio Sve più interessante ed entrare a contatto con la gente del posto. È una sfida da cogliere e superare. Sono tornata in Italia da poco e non ho ancora le idee chiare sul futuro, perché non c’è un settore in particolare nel quale vorrei lavorare. Sono ancora in cerca della mia vocazione ma, dato il percorso fatto, ho di certo intenzione di approfondire l’ambito dell’educazione. Lo Sve mi ha dato sicuramente lo slancio per cogliere nuove sfide in nuovi posti e seguirò quindi le nuove idee che sopraggiungeranno solo grazie a quest’esperienza. Per questo voglio dire ai giovani di non aver timore e provare. Uno Sve vi renderà più forti, più capaci nonostante le difficoltà e vi regalerà sorprese che non potete immaginare finché non vi lanciate.Testo raccolto da Giada Scotto

«Un consiglio ai giovani? Fate l'Erasmus!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Germano Ferri, 33 anni, oggi assunto con un contratto a tempo indeterminato in Tetra Pak.Sono di Bologna e ho 33 anni. Dopo il liceo scientifico mi sono laureato in Scienze statistiche, la triennale a marzo 2006 e la specialistica a marzo 2009, entrambe a Bologna. Ho scelto di iscrivermi a Scienze statistiche perché cercavo qualcosa di scientifico. Ho frequentato la prima settimana di Ingegneria gestionale ma ho capito che c’era troppo da studiare... per questo sono scappato a Statistica!La scelta è stata supportata dai miei genitori, anche da mio padre che insegna proprio a Ingegneria. In un certo senso la matematica l’ho sempre respirata in casa, per cui posso dire di aver parzialmente seguito le orme paterne – optando però per una versione applicata della materia.Con il senno di poi posso dire che si studiava tanto anche a Statistica, perché la difficoltà della materia è simile, ma la mole di lavoro a casa era inferiore. E poi in fase di colloquio, da neolaureato, ho realizzato che il mio background di nicchia, anche se poco compreso dalle piccole aziende, era considerato molto interessante da quelle più grandi.Durante le scuole superiori ho fatto per circa tre anni il portapizze per pagarmi le uscite serali, mentre tra la triennale e la specialistica ho fatto l’animatore turistico per due mesi. Durante gli anni universitari, invece, proprio perché supportato interamente dai miei genitori ho potuto concentrarmi sullo studio e laurearmi in corso e a pieni voti.Ho fatto vari stage prima di incontrare Tetra Pak; il primo è stato presso la Coop Adriatica nel settore marketing e ricerche di mercato. Era uno stage non pagato con lo scopo di trovare materiale per la tesi. Un amico che lavora lì mi aveva aiutato a trovarlo, ed è stata un’esperienza interessante: ho contribuito alla stesura dei questionari di soddisfazione della clientela e ho fatto analisi statistiche e mappe percettive sui dati collezionati. E ho avuto un ottimo rapporto con colleghi e superiori.Una volta presa la laurea triennale la Coop mi ha richiamato per tre mesi di stage, con un rimborso spese di mille euro netti al mese. Questa volta ero nel campo del controllo di gestione, teoricamente ci sarebbe dovuta essere una rivoluzione informatica per cui servivano risorse aggiuntive. L’esperienza è stata utile perché ho imparato a conoscere il controllo di gestione, SAP, e a migliorare notevolmente le mie conoscenze di excel, ma non è stato entusiasmante – pur avendo avuto un ottimo rapporto con colleghi e superiori. Finiti i tre mesi mi hanno proposto un contratto a tempo indeterminato in contabilità, che ho però rifiutato per cominciare la laurea specialistica.Proprio durante la specialistica ho fatto anche un Erasmus, da agosto 2007 a gennaio 2008 a Odense, in Danimarca. Il periodo più divertente della mia vita credo sia stato proprio il primo mese, quando ho seguito un corso di lingua danese a Horsens, pagato dalla comunità europea, prima di cominciare l’Erasmus vero e proprio a settembre. È stato in questo periodo che ho capito pregi e difetti del sistema universitario italiano, avendo finalmente un termine di paragone. Noi studiamo molto di più, il carico di nozioni da imparare rispetto ai danesi è probabilmente il doppio. Mentre loro fanno più progetti di gruppo, utilissimi per fissare la teoria. Diciamo che noi studiamo 100 ma ricordiamo 50, loro studiano 50 ma ricordano 40! Ed è stato proprio durante l’Erasmus che ho imparato una cosa importantissima e che vedo fare in Tetra Pak solo dai ragazzi che, come me, da studenti sono andati all’estero: l’importanza di parlare in inglese anche tra italiani se in presenza di stranieri, agli ex Erasmus risulta una cosa naturale, mentre agli altri no, risultando sgarbati pur non volendo.Tornato dall’Erasmus nel maggio 2008, quando ormai stavo finendo la specialistica, ho lavorato per un mese per la Samp Utensili. Ero contrattualizzato come cocopro per un mese e pagato mille euro, in attesa di un contratto da stagista da attivare con l’università per cui avrei continuato a lavorare gratis per due mesi. Ma finito il mese di contratto pagato ho preferito cercare altro. Il controllo di gestione c’entrava poco con i miei studi e l’azienda non dava molto spazio all’iniziativa personale.Così poi è arrivato l’ultimo stage da studente universitario: presso Prometeia  dal novembre 2008 al febbraio 2009. Era uno stage finalizzato a trovare i dati per la tesi specialistica che riguardava l’analisi delle previsioni statistiche dei titoli di borsa di un set di banche a seguito della crisi finanziaria. Non prevedeva un rimborso spese; mi era stato prospettato, però, dopo la laurea un nuovo stage pagato mille euro al mese. Purtroppo non è mai partito per colpa della crisi finanziaria, peccato perché il lavoro era interessante!Una volta laureato, ho contattato Tetra Pak  tramite i JobMeeting organizzati in fiera a Bologna. Avevo già contattato l’azienda nel 2008, facendo due o tre colloqui perché ero interessato a fare la tesi proprio con loro. Ma alla fine non mi avevano preso perché mi mancavano ancora tre esami. Così subito dopo la laurea, dopo aver mandato qualche curriculum in giro e avere avuto qualche colloquio, ho ripensato proprio a Tetra Pak. Ho mandato il mio curriculum aggiornato e mi hanno chiamato dopo pochi giorni.Alla fine sono stato chiamato per uno stage post laurea di sei mesi pagato 600 euro al mese con la qualifica di Data analyst dal giugno al dicembre 2009. Finito lo stage sono stato assunto come interinale tramite Randstad con uno stipedio di 1.400 euro al mese con la qualifica di Statistical advisor, ma con le stesse mansioni e gli stessi colleghi dello stage. Il mio ruolo, durato dal dicembre 2009 al dicembre 2010, era quello di dare supporto statistico trasversale a tutti i dipartimenti. Inizialmente analizzavo i risultati dei test, poi pian piano sono stato coinvolto anche nella pianificazione. Il rapporto con colleghi e capi è stato meraviglioso in entrambi i reparti. C’era tanto da costruire da zero, piena libertà d’azione e completa fiducia da parte dei miei superiori. Posso dire di aver potuto conoscere e godere appieno di uno dei core values di Tetra Pak: “freedom with responsability”!Negli ultimi mesi la maggior parte del mio tempo era dedicato a un progetto di Statistical project control sulla variazione delle dimensioni critiche nel tempo di un nuovo tappo che sarebbe stato rilasciato a breve. A fine contratto, quindi nel dicembre 2010, sono stato assunto proprio dal dipartimento di supply chain – closures con uno stipendio di 1.700 euro netti al mese, per lavorare a tempo pieno sui tappi, con il titolo di “Industrialisation Engineer”. Ironia della sorte, non essendo io realmente ingegnere!In questi sette anni sono rimasto sempre nello stesso gruppo all’interno di Tetra Pak: Supply chain – closures – industrialization, ma con mansioni sempre differenti. I primi anni ho creato e insegnato ai plant di produzione la nuova procedura per validare una nuova plastica o un nuovo colore. In seguito, nel boom di espansione del nostro business, ho cominciato a tenere contatti con i fornitori di equipment e validare le nuove linee di produzione. Adesso gestisco alcuni progetti di creazione di nuovi prodotti dall’inizio alla fine. In pratica in questi anni ho acquisito conoscenze tecniche nel campo dell’automazione, dei sistemi di visione e dello stampaggio di materie plastiche. Con la gestione di progetti ho cominciato ad avere un’infarinatura di project management. I compiti puramente statistici sono nettamente minori rispetto all’inizio, ma per ogni test che pianifico la teoria studiata all’università risulta fondamentale. Tetra Pak mi ha dato inoltre la possibilità di certificarmi a sue spese Six-sigma Black Belt. Avendo per ora fatto sempre qualcosa di diverso devo ammettere di non aver pensato granché al futuro. Il presente è stato sempre vario e stimolante. Sento di avere una visione sempre più ampia del business, ma non ancora abbastanza matura e completa per poter decidere lucidamente cosa mi piace di più. Per ora continuo a cercare di fare al meglio quello che mi viene chiesto.Non conoscevo la Repubblica degli Stagisti, ma leggendo la Carta dei diritti degli stagisti e ricordando la mia esperienza personale devo dire che sono d’accordo con tutti i punti elencati… eccetto il terzo. Vietare, infatti, l’assunzione in stage per la copertura di una maternità toglie una buona percentuale di possibilità di un primo contatto con l’azienda da parte dei neolaureati. Credo che in cinque mesi di lavoro – che poi spesso diventano nove, o dodici – un ragazzo abbia la possibilità di creare qualcosa di buono e di mostrare quanto vale a un’azienda. Se il feedback è positivo, a seguito di una posizione vacante nello stesso campo sono convinto che possa avere buone probabilità di essere assunto.Almeno quando io ho fatto gli stage, quindi sette anni fa, il problema maggiore era riuscire a trovarlo. L’università non sembrava pullulare di collaborazioni attive con le aziende e quelle suggerite erano ben lontane da quello che cercavo o non hanno voluto o potuto continuare una collaborazione finito il tirocinio.Un consiglio ai giovani che vogliono entrare nel mio settore professionale? Fate l’Erasmus in un Paese dove si parli inglese. Ho preso 110 sia alla laurea triennale che alla specialistica, ma l’unica cosa che gli intervistatori cerchiavano sul mio curriculum e su cui mi facevano sistematicamente domande era l’esperienza Erasmus!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Il punto forte di Everis? Siamo ispirati a sognare e fare di più»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alessio Ducci, 25 anni, oggi con un contratto a tempo indeterminato in Everis.Ho 25 anni sono di origini siciliane ma ho vissuto fin da ragazzo in Umbria, dove ho frequentato a Narni Scalo il liceo scientifico. Avendo vissuto sempre in piccole città avevo il desiderio di trasferirmi in posti con maggiori opportunità e prospettive professionali, quindi nel 2010, arrivato il momento di iscrivermi all’università, ero in dubbio tra Roma e Milano. Ho scelto la prima e il corso di laurea in ingegneria gestionale all’università la Sapienza nella convinzione che una città come Roma associata a questo ateneo potesse darmi quel plus che nessun’altra città mi avrebbe dato.Mio padre è ingegnere navale e ho due fratelli maggiori entrambi ingegneri, civile e delle telecomunicazioni, quindi probabilmente la scelta dell’università è stata fatta per osmosi: era un sogno poter condividere lo stesso percorso delle mie guide.Ancora oggi credo sia stata una scelta giusta: sia per i traguardi ottenuti in ambito accademico che per le esperienze fatte fuori da quel contesto. Senza contare gli input importanti ricevuti dalla gran parte dei docenti dell’ateneo: già solo per questo consiglierei lo stesso percorso ad altri giovani.Ho preso la laurea triennale nel luglio del 2013 e ad agosto ho vissuto un mese a Malta per perfezionare l’inglese, attraverso un corso intensivo di lingua della EC School per cui ho speso all’incirca 3mila euro. Credo sia un’esperienza fondamentale che tutti debbano fare. Dal punto di vista linguistico sei costretto a parlare per 31 giorni in inglese sia otto ore a scuola sia quando esci visto che sono tutti di altre nazionalità. Solo così si supera il blocco emotivo che tanti italiani hanno nel parlare una lingua diversa dalla nostra. E poi è un’importante esperienza di vita, soprattutto per un ragazzo di 22 anni. Sei a contatto con infinite altre culture e si viene invasi da differenti pensieri, idee, modi di vedere il mondo. Si impara ad apprezzare la diversità.Durante il periodo universitario sono stato arbitro federale di pallacanestro nel Comitato arbitri di Umbria e Lazio. Suonavo anche il basso elettrico e le batterie e percussioni in vari complessi folck e rock con cui facevo dei tour durante l’estate per guadagnare qualcosa. Ho anche aperto un’associazione di pattinaggio in linea a Catania, insieme a mio fratello. Siamo stati la prima associazione di questo tipo specialità freestyle in Sicilia. Abbiamo anche avuto un nostro atleta arrivato tra i primi dieci al mondo nei mondiali del 2015 nell’High jump!Tornato da Malta mi sono iscritto alla magistrale, sempre alla Sapienza dove mi sono laureato con 110 e lode nel gennaio 2016. Per sviluppare il mio progetto di tesi sono andato presso la Maastricht University, in Olanda, dall’agosto 2015 al gennaio 2016. È stata una mia scelta andare lì: ho fatto molte ricerche su blog e siti delle università europee cercando di mettermi in contatto con docenti che potessero essere interessati a un progetto come quello che volevo portare avanti. E dopo circa due mesi di ricerche la scelta è caduta sulla Maastricht University. Se non fossi andato lì avrei probabilmente scelto Madrid o Trondheim in Norvegia.Nessuno però in Italia mi ha aiutato a trovare il relatore con cui sviluppare la tesi all’estero, né il mio relatore italiano né altri docenti. Ed è un peccato che per questo progetto l’università non offra supporto allo studente, almeno nella ricerca di un supervisor di un’altra università. Nei sei mesi sono stato coperto da una borsa di studio per tesi all’estero di totali 2.500 euro, indipendentemente dai mesi di ricerca o dalla destinazione scelta. Credo ancora che nell’approccio all’esperienza a Maastricht mi abbia facilitato quel mese vissuto a Malta!Una volta laureato un estratto della tesi è stato valutato papabile per una pubblicazione in un giornale scientifico. Ma ci siamo fermati in fase di ultima revisione perché sono entrato in Everis!Subito dopo la laurea, infatti, mi sono messo in contatto con varie aziende sia italiane sia straniere per decidere se rimanere o espatriare. Ho mandato molti curriculum all’estero. E ho tanti amici che hanno dovuto lasciare obbligatoriamente l’Italia perché qui non hanno trovato lavoro. In questo senso mi reputo fortunato perché ho avuto diverse opportunità. Avevo una concreta possibilità di ingresso in un’azienda ad Amsterdam con cui avevo già avuto dei rapporti per la stesura della tesi. Ma nello stesso periodo ho avuto un colloquio per un’azienda italiana che non conoscevo e per un sistema di gestione di cui avevo letto solo in qualche libro: supply chain management.Durante quel colloquio ho sentito che c’era qualcosa di diverso. L’azienda veniva descritta come una famiglia nella quale bisognava darsi da fare e in cambio si sarebbe potuto ricevere, un posto stimolante. Ammetto che quello che più mi ispirò fu l’incrollabile ottimismo durante il colloquio della mia intervistatrice che, solo dopo, ho scoperto essere una caratteristica comune a molte persone all’interno dell’azienda.Il colloquio l’ho fatto gli ultimi giorni di febbraio: due settimane dopo, il 14 marzo 2016, entravo in Everis  per uno stage di sei mesi a mille euro al mese e scoprivo che la donna del colloquio era la manager del team con cui ancora oggi lavoro. Ma tre mesi dopo l’inizio dello stage, il 14 giugno, sono stato assunto a tempo indeterminato con una Ral di 24.500 euro più benefit, quindi assicurazione, ticket restaurant e formazione.Ho avuto un rapporto ottimo con il mio tutor, sono stato inserito in un progetto di respiro internazionale con responsabilità crescenti fin da subito. Oggi sono un consulente Sap all’interno del team Finance, in particolare Tesoreria. Mi vengono assegnati in parallelo differenti task con differenti priorità. Questi task possono comprendere la customizzazione/settaggio del sistema o delle analisi di dati o della redazione di documentazione o delle riunioni o delle call: il lavoro è molto vario e c’è da apprendere molto a vari livelli. A me piace perché amo le sfide e mettermi in gioco. E qui le mie hard e soft skill sono quotidianamenti sollecitate.È passato un anno e mezzo dal giorno del colloquio e adesso sono diventato Solution senior analyst. Posso dire che ogni giorno verifico la verità delle parole condivise quel giorno. Credo che il punto forte di Everis sia che qui il management è costituito da leader. La crescita e la salute dell’organizzazione non è considerata una mera voce di costo. Si è attenti al team: siamo ispirati a sognare e fare di più. Sono assolutamente all’inizio del mio percorso professionale, e dei miei obiettivi, ma credo fortemente che questa azienda dia la possibilità alle persone di esprimere il loro massimo potenziale. Al momento non mi interessa costruire un muro: voglio edificare una cattedrale. E se siete come me, Everis vi dimostra che è il posto, il mezzo, il canale giusto per fare ciò!Sono stato fortunato, il mio primo stage è stato anche l’ultimo, ma in Italia credo ci siano molti problemi riguardo i tirocini. La stragrande maggioranza delle aziende, oserei dire il 90%, non fa apprendere nulla allo stagista o lo trascura, dopo sei mesi di stage propone solo un altro stage, gli iter di selezione sono lunghissimi e spesso non sono mantenute le promese fatte in colloquio, si mettono gli stagisti in competizione facendogli fare quasi una lotta nel fango, si dà un rimborso spese uguale o inferiore ai 500 euro al mese, decisamente insufficiente da ogni punto di vista.Se dovessi dare un consiglio ai giovani che si apprestano a entrare nel mio settore professionale, nonostante il mio rapido cammino nel mondo del lavoro darei un unico suggerimento: non abbiate fretta. Come millennials condividiamo la fretta nel fare tutto: apprendere, pretendere, laurearsi, fare carriera. Siamo stati educati ad avere risultati nel più breve tempo possibile. Ma la soddisfazione lavorativa risponde a leggi lente e segue percorsi scomodi e disordinati. Quindi prendetevi il vostro tempo e fate quante più possibili esperienze parallele. Si cresce perseguendo i propri sogni e facendo sacrifici per raggiungerli, ma anche e soprattutto non chiudendo mai gli occhi e la mente e facendo tutte le esperienze che abbiamo l’opportunità di vivere.Marianna Lepore

«Grazie allo Sve ho imparato ad apprezzare il valore formativo delle difficoltà»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Rita Pereira. Sono nata 23 anni fa a Viseu, una città nel nord del Portogallo non lontana da Porto. Per molto tempo ho pensato che la mia strada sarebbe stata quella della giurisprudenza, avendo un padre avvocato, ma poi ho scoperto altri interessi e sono soddisfatta della scelta che ho fatto sei anni fa. Ho infatti frequentato l’Università Nova di Lisbona e, nel 2014, mi sono laureata in Scienze della comunicazione. Durante i miei studi universitari non ho avuto, purtroppo, la possibilità di fare un progetto Erasmus ma, giunta all’ultimo anno di corso, ho deciso di candidarmi nella mia università al programma Leonardo da Vinci e, nel settembre 2014, sono partita per la Grecia per fare il mio primo stage finanziato.Questa prima esperienza vissuta ad Atene è stata per me molto significativa, perché mi ha dato modo di scoprire tante cose di me e di chi mi circondava. Devo dire che è stato strano ma molto interessante il fatto di aver avuto il mio primo contatto con il mondo lavorativo in un paese dove, purtroppo, non riuscivo a comunicare che in inglese. Il poco greco che ho imparato non bastava infatti a fare grandi conversazioni. Il mio stage era finanziato da una borsa del programma Leonardo e l’ente ospitante era il Consiglio Internazionale della Danza Unesco, che costituiva allo stesso tempo un importante teatro di danze greche. Dopo questi quattro mesi in Grecia sono tornata in Portogallo, pronta a iniziare un secondo stage, questa volta a Porto, delle durata di tre mesi e non remunerato. Il mio compito era occuparmi della parte relativa alla comunicazione per un progetto finanziato dall’Unione europea all’interno di un’università. È stata un’esperienza molto diversa rispetto a quella vissuta ad Atene: dovevo essere più autonoma e riuscire a gestire da sola il mio lavoro, dato che non veniva seguito e controllato molto spesso. Due esperienze diverse, quindi, e con qualche punto negativo, ma che sono servite a farmi capire cosa mi piace fare e in quale tipo di ambiente lavorativo mi sento meglio. Ho capito che vorrei continuare a lavorare nel settore del non-profit, con associazioni o reti di associazioni a livello internazionale, e nell’area della cooperazione e dello sviluppo. Per questo comincerò tra qualche mese una specialistica proprio in quest’ambito, sperando mi apra più porte a livello lavorativo.Determinante però nel raggiungere questa consapevolezza è stato lo Sve che ho fatto qua in Italia. Sono venuta a contatto con questo programma nel 2014, mentre facevo un corso di formazione in Italia durante il quale ho conosciuto ragazzi che avevano già fatto quest’esperienza. Avevo terminato i due stage ad Atene e Porto e stavo ormai finendo l’università; ero rimasta molto impressionata dall’Italia e per questo ho deciso di iniziare a cercare opportunità di volontariato qui. Per alcuni mesi non sono riuscita a trovare nulla e così ho deciso di contattare un’associazione portoghese che mi fosse di supporto nella ricerca di un progetto e fungesse da organizzazione d’invio. A luglio 2014 ho trovato Dinamo, un’associazione di Sintra che mi ha inviato diversi progetti, tra cui quello di Eufemia qua in Italia. Essendo molto interessata ho inviato la mia lettera di motivazione per la candidatura  e, dopo qualche settimana, mi hanno detto che ero stata scelta.Ho svolto il mio Sve a Torino, da aprile 2015 a marzo 2016, con l’associazione Eufemia, per la quale ho operato come volontaria in diverse aree, sia a livello locale che internazionale. Il mio progetto aveva appunto una durata di dodici mesi, ma ho deciso di rimanere più tempo e ancora adesso mi trovo a Torino. A livello locale ho lavorato soprattutto nei doposcuola, dove facevamo attività con i ragazzi del quartiere, aiutandoli a fare i compiti e a prepararsi per gli esami scolastici. Ho collaborato anche a varie attività nelle scuole e al progetto Invenduto, che mi ha portata in uno dei mercati rionali di Torino, dove ogni sabato prendevamo frutta e verdura invendute e le ripartivamo tra le persone e le famiglie più bisognose. A livello internazionale, invece, ho lavorato nel punto informativo Erasmus+, dove partecipavo agli incontri di preparazione per i gruppi di ragazzi che partivano per scambi all’estero e all’organizzazione degli scambi verso Torino coordinati dall’associazione. Abitavo nella sede dell'associazione, dove ho inizialmente convissuto con un altro volontario spagnolo, che ha però interrotto il progetto anzitempo tornando in Spagna. Così è venuta una ragazza tedesca che svolgeva un tirocinio all'Istituto tedesco, con la quale mi sono trovata molto bene. Sono stata molto soddisfatta della mia esperienza e non credo che, anche tornassi indietro, cambierei qualcosa: mi ha aperto tante porte e penso che anche le difficoltà che ho incontrato abbiano contribuito a rendere quest’avventura così importante per me. Il lascito più bello sono le persone che ho conosciuto: ognuna mi ha insegnato qualcosa di nuovo e mi ha aperta a realtà che non conoscevo. Consiglio assolutamente a tutti di vivere quest’esperienza perché, anche se non va sempre tutto liscio, permette di vivere qualcosa di totalmente diverso e d’imparare ad affrontare cose del tutto nuove. Anche dal punto di vista economico, inoltre, lo Sve è assolutamente sostenibile: avevo un rimborso spese di 300 euro e casa e bollette pagate. Credo inoltre che lo Sve sia un’esperienza molto professionalizzante. L’inserimento all’interno di una struttura (che può essere un’associazione, una scuola o un’azienda) permette al volontario di entrare in contatto con un ambiente professionale e d’imparare la gestione dei diversi rapporti in tale ambito. Io spesso ho usato l’inglese, ma in sei mesi ho anche imparato l’italiano. Tuttavia non credo che, da questo punto di vista, sia l’aspetto linguistico il più importante, quanto piuttosto tutte le competenze trasversali che un volontario acquisisce durante il suo Sve.Adesso sto collaborando per la maggior parte dei casi a progetto, anche perché non posso prendermi impegni a lungo termine. Con l’associazione con cui ho iniziato a lavorare qui in Italia durante lo Sve ho appena promosso il mio primo scambio culturale in Portogallo, nella città in cui sono nata. In questo momento faccio avanti e indietro tra Portogallo e Italia, ma a settembre inizierò il mio Joint Master Degree in Cooperazione Internazionale che si svolgerà in tre università di Repubblica Ceca, Francia e Italia. Lo scorso novembre ho preso parte anche all’evento realizzato dall’Agenzia Giovani, dove ho avuto modo di conoscere tanti ragazzi italiani interessati al programma Erasmus+ e alle sue opportunità, e di assistere alla presentazione in cui individui e gruppi esponevano i loro progetti. Questo è stato per me, come credo per molti altri, di notevole ispirazione.Per questo, dico ai miei coetanei non perdete tempo. Godetevi tutti i momenti, anche quelli che possono sembrare inizialmente meno buoni, perché vi porteranno sempre qualcosa. E dite sì, tante volte. Perché spesso un “sì” può portarvi qualcosa a cui non avete mai pensato e che, una volta sperimentato, vi cambierà la vita. Testo raccolto da Giada Scotto

"Il mio anno di liceo all'estero: un'esperienza che mi ha cambiato"

Ogni anno oltre 2.000 giovani tra i 15 e i 18 anni trascorrono un periodo di studio all’estero durante le scuole superiori, attraverso i programmi di Intercultura. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccogliere le loro storie: questa è quella di Federica Brando.Ho 21 anni e studio Scienze biologiche all’università di Salerno. Il quarto anno di liceo scientifico l’ho frequentato in America. Mia mamma voleva farmi fare un corso di inglese avanzato in estate, poi un giorno in classe sono venute due persone a parlare di Intercultura. Al bando si concorreva con Intercultura o con un ente finanziatore.  Ho pensato di tentare e ho vinto una borsa di studio della Deutsche Bank negli Stati Uniti del valore di 13mila euro. Un solo posto in tutta Italia: non mi sembrava vero!Compilare l’application form è stato piuttosto complesso: richiedeva un test psico-attitudinale, un test e un tema in inglese, la testimonianza di un docente. Inoltre per partecipare era necessaria una buona condotta scolastica – nessun debito o bocciatura.  La destinazione nel mio caso era già stabilita, ma in genere si hanno a disposizione fino a dieci scelte.Una volta selezionata, ho partecipato a un campo di formazione Intercultura: una serie di incontri preparatori all’esperienza, in cui sono state affrontate tematiche come i pregiudizi, le diversità culturali etc. Poi, arrivata negli Usa, ho partecipato a un week end di formazione itinerante in alcune località del Maine, organizzato sempre da Intercultura.Ho trascorso negli Stati Uniti il periodo da settembre a luglio. Sono partita a 17 anni e sono tornata a 18. La mia destinazione è stata Gardiner, nel Maine, una cittadina di 6mila anime. A ospitarmi è stata una famiglia di volontari di origine ebraica composta da madre, padre e due figli, un maschio e una femmina, di 16 e 13 anni. Non era New York, ma Gardiner mi ha accolto nel migliore dei modi.Certo le difficoltà non sono mancate. In America c’è un forte individualismo, i rapporti sono più freddi e stringere amicizie è più difficile di qui. Altre differenze che mi hanno pesato sono il cibo, le abitudini. La mattina il bus per la scuola partiva alle 6.20 e le lezioni iniziavano alle 7.30.A scuola sono stata inserita in una tipica classe americana, solo due ragazzi erano Exchange Student, uno della Cina e uno di Hong Kong. Ho scelto le mie materie: matematica, fisica, storia. C’era persino un corso in cui si imparava a tenere i bambini con un finto bebè: il voto dipendeva dalla capacità di non farlo piangere. Il modello scolastico era più dinamico, interattivo (laboratori, visione documentari e film) e la mole di studio più leggera. Non esistevano le classiche interrogazioni ma solo quiz e test, che culminavano nel test finale di fine semestre, valutato in centesimi. Nel corso dell’anno ho svolto anche tante attività: ho fatto sport (pallavolo, basket e tennis), suonato il clarinetto nell’orchestra della scuola.Nei nove mesi sia io che la famiglia ospitante siamo stati seguiti da un tutor, che ogni mese si confrontava con noi. Io stilavo un report mensile che dovevo inviare a Intercultura e alla Deutsche Bank.  Poi, al ritorno in Italia, ho dovuto sostenere un colloquio con i miei insegnanti per verificare le competenze acquisite e per l’attribuzione dei crediti, sulla base di un programma concordato.L’anno di studio all’estero lo consiglio per tanti motivi. Sicuramente per la conoscenza della lingua: io sono partita da un livello intermedio, non avevo certificazioni, ma in tre mesi parlavo fluentemente. Per le relazioni che ancora mantengo, ma soprattutto perché mi ha cambiato come persona. Quando sono partita ero timida, alla fine dell’esperienza mi sono ritrovata a parlare davanti a tutta la scuola al Graduation Day in una lingua non mia. I miei, che erano venuti a trovarmi, non ci potevano credere. Ancora oggi non mi sembra vero di aver vissuto quell’esperienza, è tuttora difficile da metabolizzare. Il rientro non è stato facile. Ho partecipato a un campo finale di Intercultura in cui i volontari aiutavano i ragazzi a rielaborare l’esperienza. Ma il riadattamento culturale ha richiesto del tempo. La prima sera sono uscita con i miei amici e mi annoiavo, la mattina dopo a colazione sono scoppiata a piangere: nove mesi sono tanti e ti abitui a una realtà diversa.In America avevo deciso di fare Ingegneria aerospaziale. Finite le superiori, mi ero iscritta al Politecnico di Milano, ma le cose erano diverse da come mi aspettavo. Tutta teoria, nessun laboratorio. Così ho deciso di cambiare e iscrivermi a Scienze biologiche, dove l’insegnamento è molto più pratico. Il mio sogno? Lavorare nella Scientifica. Se vedo il mio futuro ancora all’estero? Sono pronta a partire e a trasferirmi, ma solo se strettamente necessario.Testo raccolto da Rossella Nocca

Due stage e oggi un contratto di apprendistato in un’azienda internazionale come Bosch Rexroth

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Antonio De Luca, 29 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Bosch. Sono nato a Messina e ho 29 anni. Dopo aver preso il diploma al liceo classico ho deciso di intraprendere un percorso di studi universitario non proprio attinente all’ambito umanistico: l’ingegneria. Così nel settembre 2006 mi sono iscritto alla laurea triennale in Ingegneria industriale presso l’università di Messina, dove mi sono laureato nel marzo 2012. Una volta presa la laurea di primo livello ho deciso di trasferirmi a Modena per specializzarmi in ingegneria meccanica. Sono state due le principali considerazioni che mi hanno spinto a scegliere questa città: la prima è stata l’offerta formativa e il livello di insegnamento della facoltà di Modena, polo di eccellenza e meta ambita per chi vuole approfondire gli studi ingegneristici. La seconda sono state le possibilità lavorative offerte da un territorio che accoglie numerosissime realtà industriali.Ambientarsi in una nuova città non è stato particolarmente difficile, forse anche perché mi sono trasferito insieme ad altri due colleghi provenienti dal mio stesso ateneo. E poi probabilmente anche perché l’80% dei partecipanti ai corsi all’università a Modena era fuori sede, quindi già frequentare le lezioni costituiva momento di aggregazione facilitando l’inserimento.Durante il periodo di specializzazione modenese, grazie a due professori ho potuto effettuare un tirocinio formativo alla Bosch Rexroth di Nonantola dal marzo al dicembre 2015 in cui mi sono occupato dello sviluppo di un modello di simulazione virtuale di componenti elettroidraulici a cartuccia, con lo scopo di individuarne le criticità, permettendo un intervento mirato per il miglioramento delle performance. In questo caso non stavo in ufficio tutti i giorni, ma avevo incontri programmati settimanali per seguire lo sviluppo degli studi.A dicembre dello stesso anno ho preso la laurea magistrale e subito dopo ho svolto uno stage di sei mesi dal gennaio al luglio 2016 sempre presso la Bosch Rexroth ma questa volta di Vezzano sul Crostolo. Avevo un rimborso spese di 500 euro mensili più i buoni pasto del valore di 8,24 euro.Durante questo secondo stage ho potuto mettere in pratica ciò che avevo imparato nell’ambito dell’oleodinamica. In quei sei mesi, in sostanza, mi sono occupato del miglioramento delle prestazioni di componenti già esistenti, grazie all’individuazione delle criticità tramite le simulazioni fluidodinamiche, ma ho anche acquisito competenze nuove utilizzando software di disegno che non conoscevo e cimentandomi nella progettazione di componenti oleodinamici ex novo.All’interno dell’azienda sono stato accolto in maniera stupenda e ho avuto la possibilità di incontrare un gruppo di lavoro affiatato, competente e disponibile, in particolare il mio diretto responsabile, un ingegnere che sin dal primo momento si è messo a completa disposizione insegnandomi a muovermi in una realtà che non conoscevo.Finiti i sei mesi di stage e grazie anche alle “insistenze” del mio responsabile in seguito al buon lavoro svolto, mi è stato proposto un contratto di apprendistato con inserimento 5° livello metalmeccanico, con avanzamento ogni anno e mezzo e una Ral iniziale di 26mila euro. Proposta che ho accettato perché mi piace molto l’ambiente di lavoro che ho trovato e di cui oggi faccio parte. Così a luglio 2016 ho cominciato l’apprendistato, che durerà tre anni. Sono soddisfatto anche della formula di inserimento che mi è stata proposta perché mi è stata data la possibilità di crescere all’interno del gruppo Bosch in un arco di tempo che ritengo ragionevole.Oggi mi occupo della progettazione e dello sviluppo di valvole oleodinamiche di nuova produzione e ho la possibilità di rapportarmi giornalmente con i colleghi degli altri plant, con i fornitori e i commerciali. La crescita professionale è continua perché ogni giorno ho l’occasione di vedere cose nuove e di assorbire un know how fortemente radicato nello staff di Vezzano.Credo però di essere ancora all’inizio di un percorso lavorativo che vorrei si consolidasse nell’ambito dell’oleodinamica. Vorrei avere la possibilità di apprendere continuamente e vedere sul campo l’applicazione dei miei studi e, perché no, avere in futuro la possibilità di trasmettere quello che ho imparato. Mi piacerebbe, infatti, restare in contatto con l’ambiente universitario per non abbandonare il ramo della ricerca, continuando però a mantenere un risvolto pratico e concreto delle applicazioni teoriche.Non ho mai inviato il mio curriculum all’estero e a parte un periodo di vacanza studio a Dublino non ho avuto contatti con il mondo del lavoro straniero. Ma non perché non mi interessasse la prospettiva di un lavoro fuori dall’Italia, ma perché ho iniziato a lavorare praticamente subito dopo il conseguimento della laurea e, oggi, visto il respiro internazionale di un’azienda come la Bosch Rexroth, la possibilità di esperienze estere non è certo preclusa!Per tornare al merito dello stage in Italia, credo che il sistema sia decisamente migliorabile. Il problema fondamentale, oltre al rimborso spese che spesso non è adeguato alla scolarizzazione o alle capacità personali, è l’abuso possibile di questa forma di contratto che di fatto non dà stabilità al lavoratore e permette a chi ne usufruisce di avere forza lavoro, anche molto qualificata, praticamente gratis e con ricambio continuo. Per fortuna non è stato il mio caso in Bosch! Ma altri miei amici e colleghi universitari si sono ritrovati, nonostante le capacità, a cambiare lavoro con frequenza semestrale numerose volte prima di essere assunti. Per questo penso che la Repubblica degli Stagisti sia utile, perché aiuta a informare chi si avvicina al mondo del lavoro per la prima volta e che, almeno nel mio settore di competenza, avrà sicuramente a che fare con la formula dello stage.A quelli che si apprestano ad entrare nel mio ambito lavorativo posso dare un consiglio: abbiate sempre fame di conoscenza e non perdete occasione di vedere e toccare con mano tutto quello che viene realizzato all’interno di un’azienda. Perché a prescindere dalla formula contrattuale con la quale si è assunti, la passione, la competenza e l’esperienza sul campo alla fine verranno sempre riconosciute e apprezzate. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Consiglio lo Sve a chiunque sia curioso e voglia fare un'esperienza che apra mente e orizzonti»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Daniele Barnaba.Ho 26 anni, sono nato a Roma e cresciuto a Fiumicino, dove vivo tuttora con i miei genitori. Ho frequentato il Liceo scientifico pni a Maccarese per poi proseguire con gli studi universitari a Roma, all’Università degli Studi di Tor Vergata, dove mi sono laureato alla triennale in Economia europea e ho poi svolto il Master of Science in Economics. La mia scelta dell’università è stata dettata da motivi "pratici": ciò che volevo fare era infatti il Dams musicale ma poi, pensando che il futuro sarebbe stato troppo travagliato, ho fatto un altro tipo di scelta. Nonostante ciò, devo dire che non mi pento affatto della strada presa: questa facoltà mi ha insegnato molto e mi ha dato la possibilità di svolgere un Erasmus studio a Stoccolma e un Erasmus traineeship di quattro mesi in Scozia. L’azienda ospitante era la Global Voices Ltd, un'impresa internazionale di traduzione e interpretariato che hasede a Stirling, nel Regno Unito, dove mi occupavo del controllo del credito e delle principali funzioni amministrative dell’azienda verso il mercato italiano. Economicamente non ho avuto problemi, grazie alla borsa di studio Erasmus traineeship, e anche il rapporto con i colleghi era abbastanza buono. L’ambiente di lavoro risultava invece molto stressante e disorganizzato, con responsabili veramente poco sensibili ai problemi e alle esigenze dei dipendenti. Nonostante ciò, ho portato a termine lo stage, imparando molto e centrando quelli che erano i miei obiettivi. Queste esperienze all’estero mi hanno fatto capire che mi piacerebbe lavorare in un’azienda o compagnia a livello internazionale. Per questo mi trovo ora a quello che considero un “punto di svolta”, in cui vorrei trovare un lavoro gratificante e ben pagato ma anche in linea con il mio livello d’istruzione e le mie esperienze.L’idea di fare lo Sve non mi aveva inizialmente convinto. Ho saputo dell’esistenza di questo programma al ritorno in Italia dopo il mio primo Erasmus, ma non avevo mai preso seriamente in considerazione l’idea di farlo. Le cose sono però cambiate quando, nel dicembre scorso, dopo essere tornato dalla Scozia convinto di iniziare un nuovo lavoro, sono venuto a sapere, a una settimana dall’inizio previsto, che non avrei più potuto svolgerlo. A quel punto, trovatomi improvvisamente libero, ho iniziato a valutare la cosa e a pensare che fosse il momento giusto per intraprendere quest’esperienza. Ho cominciato ad inviare qualche richiesta e, nel giro di una settimana, sono stato contattato per due progetti. Ho svolto così vari colloqui, ma il progetto che più mi aveva convinto era da subito quello che prevedeva la partenza immediata (a marzo) e la permanenza di quattro mesi in Romania. La mia sending organization era l'associazione Link di Altamura, mentre l'hosting organization era la Ofensiva Tinerilor di Arad.Così sono partito alla volta di Arad. La situazione che ho trovato era abbastanza problematica: alloggiavo in un monolocale con un ragazzo armeno e uno spagnolo; la casa era decisamente fatiscente e per questo ero costretto a dormire su un divano letto nel soggiorno. Ho cambiato casa per bene due volte ma, alla fine, mi sono trovato bene. Il mio Sve prevedeva attività con persone ipovedenti e bambini con problemi fisici e comportamentali: collaboravo infatti con un’associazione di persone cieche, che seguivo e aiutavo nelle attività quotidiane, e andavo quattro giorno giorni alla settimana per un’ora e mezza in una scuola speciale per bambini ipovedenti e con altri tipi di problemi, svolgendo con loro attività ricreative. La principale difficoltà che ho incontrato in questi quattro mesi è stata abituarmi allo stile di vita rumeno. Essendo tuttavia abituato a viaggiare e avendo una capacità di adattamento molto alta, dopo due settimane dall’arrivo avevo già iniziato ad ambientarmi. Se rifletto però su ciò che mi è piaciuto meno di quest’esperienza, penso soprattutto al comportamento delle associazioni: pur di risparmiare sull’affitto, facevano alloggiare nello stesso appartamento 5/6 persone. Inoltre non è stata fatta, secondo me, un’adeguata selezione dei volontari: vi erano ragazzi che non riuscivano a comunicare per nulla in inglese e altri con poca voglia di fare; le regole erano state spiegate in modo chiaro ma, essendoci scarsi controlli e nessuna conseguenza per le varie infrazioni, tanti volontari non rispettavano gli orari e i giorni liberi o non partecipavano agli eventi a cui la presenza era, in teoria, obbligatoria. Nonostante ciò, posso dire che l’esperienza che ho vissuto è stata positiva. Ho accresciuto la mia conoscenza della cultura rumena, ho imparato le basi della lingua e migliorato la mia conoscenza dello spagnolo. Infine ho conosciuto persone da ogni parte d’Europa. Per questo, consiglierei a chiunque sia curioso e voglia fare un’esperienza che apra mente e orizzonti, di cogliere quest’opportunità.Trovo inoltre che lo Sve sia un’importante esperienza anche dal punto di vista delle competenze professionali. Oltre ad aver potenziato le mie conoscenze linguistiche, ho incrementato le mie capacità di organizzazione e di gestione di un gruppo, ho approfondito la mia conoscenza delle problematiche inerenti le persone ipovedenti e imparato come relazionarmi con loro. Penso che ciò che ho imparato mi sarà utile sia a livello personale che professionale per lavorare poi in Italia.Anche dal punto di vista economico, infine, il progetto è assolutamente vantaggioso, visto che è tutto coperto: viaggio, alloggio e pocket money mensile, fino ai soldi dell’assicurazione medica.Consiglio ai giovani di provare un’esperienza come lo Sve. All’inizio sono necessarie pazienza e capacità di adattamento, ma poi vengono ripagate. Questo tipo di esperienze inizia con le lacrime, quando si arriva, e finisce con le lacrime, quando si riparte. Quello che si impara vivendo in un paese straniero a contatto con persone provenienti da tutto il mondo è qualcosa che nessuna università potrà mai insegnare.Testo raccolto da Giada Scotto

«Colloquio in Everis grazie alla Repubblica degli stagisti, in tre mesi avevo già un contratto a tempo indeterminato»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Matteo Greselin, 25 anni, oggi assunto con un contratto a tempo indeterminato in Everis.Ho 25 anni e vengo da Schio, in provincia di Vicenza. Dopo il diploma all’istituto tecnico industriale indirizzo elettrotecnica e automazione mi sono trasferito, nel settembre 2011, a Milano e mi sono iscritto alla laurea triennale in Ingegneria informatica presso il Politecnico. Sarei potuto andare all’università di Padova come quasi tutti i ragazzi della mia zona, ma ho scelto di trasferirmi perché avevo voglia di “cambiare aria” e vedere qualcosa di nuovo. L’inserimento nella realtà universitaria a Milano è stato molto rapido e sono stato contento fin da subito della scelta fatta. Certo, i momenti di difficoltà non sono mancati, ma con l’appoggio dei miei genitori e delle nuove amicizie fatte non ho mai pensato di tornare indietro!Ho preso la laurea di primo livello nel febbraio 2016 e poco dopo, tra aprile e maggio, sono stato contattato da Everis tramite il portale del Career service del Politecnico di Milano. Prima di allora non avevo fatto altri stage né altri lavori anche perché la mia vita di studente è sempre stata affiancata allo sport agonistico ad alto livello: il nuoto, nello specifico.Quando sono stato ammesso al Politecnico mi sono informato sulle squadre presenti nel milanese e ho preso i primi contatti. Non è stato difficile trovare una nuova squadra. Ma il nuoto è uno sport molto impegnativo, soprattutto se si vuole competere ai vertici nazionali. E questo mi ha obbligato a rallentare il percorso di studi. Ma mi ha anche insegnato ad affrontare ogni difficoltà senza arrendermi. Sono convinto che senza una cultura sportiva in diverse occasioni non avrei saputo reagire. Penso, infatti, che il nuoto affiancato allo studio universitario, mi abbiano formato molto.Quando Everis mi ha contattato per il colloquio di gruppo ho accettato con una buona dose di curiosità: sentivo forte la necessità di confrontarmi con la realtà, con il mondo del lavoro e con tutto quello che non fosse sport e studio!Per prepararmi al colloquio mi sono documentato su internet e ho chiesto ad alcuni amici che già avevano affrontato i primi colloqui per capire come comportarmi e cosa aspettarmi. È stato proprio in questa fase che ho conosciuto la Repubblica degli Stagisti! Ha giocato un ruolo importante quando ho dovuto decidere se andare al primo colloquio: leggere le esperienze di chi era già passato mi ha aiutato a capire un po’ che ambiente mi aspettava. In un paese come l’Italia, in cui la meritocrazia è un optional, è bello sapere che c’è ancora qualcuno che prova a fare qualcosa per garantire ai giovani la possibilità di mettere in mostra le proprie potenzialità in modo dignitoso. Perché praticare la professione gratis equivale ad affermare che il proprio lavoro non vale nulla.Così anche grazie alle informazioni trovate sulla Repubblica degli Stagisti, ho deciso di andare al colloquio: al primo, generale, ne sono seguiti altri nei quali lo staff Everis ha cercato di conoscere la persona che aveva davanti, non solo le sue competenze tecniche. E alla fine mi è stato proposto uno stage di sei mesi con un rimborso spese di 1000 euro netti e 20 buoni pasto mensili. Così, dopo un mese dal primo colloquio, ho iniziato lo stage il 7 giugno 2016.Appena entrato in Everis sono stato affiancato ad un dipendente con diversi anni di esperienza che mi ha seguito e guidato. Non mi è stata fatta pesare l’incompetenza su come gestire determinate situazioni, dovuta anche al fatto che si trattava della mia prima esperienza lavorativa. Mai un richiamo o una risposta sgarbata, nemmeno alle domande più banali. Sono stato coinvolto fin da subito dai colleghi con diversi anni di esperienza tanto da trovarmi in una situazione in cui al mattino arrivavo volentieri in ufficio, come se lavorassi lì da sempre.Gia a fine luglio in azienda erano tutti molto soddisfatti di come mi fossi messo in gioco e di come fossi proattivo nel ricercare soluzioni per il progetto, tanto da pensare di farmi una proposta di assunzione. Che è arrivata subito dopo aver effettuato gli adempimenti amministrativi impossibili ad agosto. Così il 5 settembre 2016 ho firmato il contratto a tempo indeterminato!Oggi lavoro con una Ral da poco più di 22mila euro, standard per chi ha una laurea di primo livello, più buoni pasto e pc aziendale. E all’interno di Everis è previsto anche un percorso di crescita costante che ti permette di migliorare sotto tutti i punti di vista.Inizialmente mi sono occupato di sviluppi di Business process management, che è un gestore di flussi e può essere integrato, per esempio, con un portale web e permettere di spostare la logica su questo applicativo in modo che una volta cliccato su un pulsante sarà il BPM a decidere qual è l’azione successiva e quale utente dovrà eseguirla. A questo si è successivamente aggiunto lo sviluppo di un applicativo Java e ho poi dovuto prendere dimestichezza anche con i database. Mi sono anche trovato a tu per tu con il cliente e a gestire situazioni critiche dei diversi ambienti di lavoro.Penso di aver avuto modo di vedere una bella panoramica delle cose che possono accadere nel campo della consulenza IT, sia nei momenti più tranquilli che in quelli più di stress. Oggi mi occupo di sviluppo a 360 gradi all’interno dello stesso progetto in cui sono stato inserito durante lo stage. Ed essere sullo stesso progetto da parecchi mesi mi ha portato ad avere un’ottima conoscenza generale dei vari sistemi utilizzati.Nel frattempo, però, pur lavorando mi sono iscritto nel febbraio 2016 alla laurea magistrale in Ingegneria informatica al Politecnico di Milano. Certo la fine è ancora lontana! Ma vorrei riuscire a portare a termine questo percorso, ovviamente con i tempi dettati da un lavoro full time. Ho deciso di specializzarmi in Intelligenza artificiale, un campo che sicuramente avrà un notevole sviluppo in futuro. Mi piacerebbe, infatti, arrivare a lavorare in quei settori innovativi che stanno cambiando la società in cui viviamo, come i big data, la robotica, l’analisi dell’immagine.A me lo stage ha portato subito all’assunzione, ma spesso non è così, perciò i giovani sono scoraggiati dal fatto che manchi la certezza del risultato. I ragazzi vogliono veder fruttare gli anni che hanno speso sui libri e l’idea di poter buttare del tempo in uno stage mal retribuito sapendo magari fin da subito che l’assunzione non verrà mai proposta, li porta a non provarci nemmeno. E poi, diciamolo, spesso le aziende fanno la loro parte, presentando proposte veramente indecenti. Viene da chiedersi se si rendano conto di cosa propongono e se, a parti invertite, loro le accetterebbero.Un consiglio, però, ai miei coetanei voglio darlo: mettetevi in gioco. Se le cose vanno male avrete sei mesi di stage in curriculum e imparato qualcosa di reale e concreto diverso dalle teorie lette sui libri. Se invece va bene, nel giro di qualche mese avrete un contratto e le vostre prospettive prenderanno una piega diversa. Nulla però viene regalato e una laurea non basta per essere assunti. Bisogna darsi da fare, far vedere la voglia di mettersi alla prova e quando sarà il momento il vostro impegno verrà sicuramente riconosciuto. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Un incontro all'università mi ha aperto la strada in Tetra Pak e oggi ho un lavoro che mi piace tantissimo

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Eleonora Paolini, 28 anni, oggi assunta con un contratto a tempo indeterminato in Tetra Pak.Ho 28 anni e sono nata a Montecchio Emilia; oggi vivo a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, e ormai da un anno e mezzo per conto mio. Durante gli studi superiori al liceo linguistico con indirizzo bilingue inglese e tedesco dell’istituto Piero Gobetti di Scandiano, ho dato lezioni private a studenti dalle elementari alle superiori – in particolare in matematica. Questo lavoretto occasionale mi ha consentito di sostenermi nello sport che ho praticato per ben vent'anni: pattinaggio artistico a rotelle. Con il passare degli anni ho realizzato di avere una predisposizione verso le materie scientifiche. Così al termine dell’ultimo anno avevo ben chiaro che mi sarei iscritta a ingegneria – sia per soddisfare la mia passione sia per inserirmi nel mondo del lavoro con maggiore facilità. Ed ero consapevole che il nostro territorio era ben integrato con la facoltà di Modena e Reggio Emilia!   Questa scelta è stata pienamente supportata dai miei genitori che mi hanno aiutato a scegliere il tipo di ingegneria: meccanica, scelta principalmente perché la mia regione rappresenta la culla della metalmeccanica e perché a livello italiano è ritenuta tra le migliori. Una scelta che è stata motivo di orgoglio per loro.Ho conseguito la laurea triennale e specialistica in corso, in entrambi i casi con un punteggio di 108: la prima nel novembre 2011 la seconda nel dicembre 2013. Il fatto di studiare a Modena mi ha consentito di non trasferirmi e poter continuare a praticare il pattinaggio a rotelle a livello agonistico, allenandomi anche quattro-cinque volte a settimana a Reggio Emilia. Non ho fatto l’Erasmus perché il mio obiettivo era finire l’università in corso, e temevo che un’esperienza di quel tipo mi avrebbe “distratto” in un momento di studio molto intenso. Ho avuto, però, la fortuna di viaggiare molto anche all'estero grazie alla mia famiglia e questo mi ha proiettata verso un’eventuale esperienza fuori casa da fare durante il mio periodo lavorativo.Le uniche collaborazioni che ho avuto prima del lavoro in Tetra Pak sono state con l’Istituto Piero Gobetti, nel quale ho studiato, dove sia nel 2012 sia nel 2013 ho tenuto i corsi di recupero, nel primo caso estivi di sistemi di automazione industriale in due terze superiori per circa sei ore per classe, nel secondo caso per corsi di recupero infraquadrimestrali di sistemi di fisica e meccanica in una terza e quarta superiore, sempre per circa sei ore per classe. Il tutto retribuito circa 35 euro lordi all’ora. Un’esperienza che ha confermato il mio interesse verso l’insegnamento, opzione che non escludo in futuro. Non solo perché vedo in questo lavoro una missione sociale importante, ma anche perché penso che per una donna con un’eventuale famiglia da gestire sarebbe un ottimo compromesso tra impegni personali e lavoro.L’unico tirocinio precedente all’esperienza in Tetra Pak è stato dal giugno al novembre 2013 presso l’azienda Atos Spa di Modena, attiva nella produzione di componenti e sistemi idraulici. Era un tirocinio finalizzato alla preparazione della tesi di laurea specialistica e l’azienda mi era stata consigliata dal team di professori che mi seguiva. Ho avuto la possibilità di lavorare sia in ufficio che in officina ed è stata un’esperienza molto formativa sia da un punto di vista lavorativo che personale. È stato il mio primo ingresso nel mondo del lavoro e ho avuto modo di conoscere le dinamiche di un’azienda di media dimensione. Non percepivo però un rimborso spese e, proprio durante lo svolgimento di quel tirocinio, ho iniziato i colloqui in Tetra Pak.Durante lo stage in Atos ero, infatti, andata in università per correggere la tesi e proprio in quei corridoi ho incontrato un professore della laurea triennale che mi disse di mandargli il curriculum perché c’era una posizione aperta in un’azienda che poteva interessarmi. Così il mio curriculum è arrivato all’ufficio HR di Tetra Pak che aveva contattato l’università per dei nominativi. Ho iniziato i colloqui il 2 ottobre 2013 e alla fine del terzo colloquio mi hanno comunicato che mi avevano scelta. Mi sono quindi laureata il 12 dicembre di quell’anno presentando il mio lavoro anche davanti agli occhi soddisfatti del mio tutor in Atos, che a causa della crisi non poteva prolungare il contratto, e il 7 gennaio 2014 ho cominciato in Tetra Pak.La posizione era quella di Technical Administrator e il gruppo in cui sono entrata e sono tutt’ora è l’“Equipment Legislation”. Tetra Pak non produce solo packaging material, ma anche macchine per l’impacchettamento e il nostro team si occupa di assicurare che da un punto di vista progettuale e di scelta dei materiali le macchine siano conformi alle legislazioni europee e locali. Una delle mie principali mansioni è redigere il fascicolo tecnico degli equipments, documentazione necessaria per poter apportare il marchio CE. Sono stata seguita e aiutata fin da subito e mi sono stati lasciati adeguati gradi di libertà nel portare a termine alcune analisi e attività commissionatemi dalla mia tutor, nonchè mia manager attuale. Ho instaurato un ottimo rapporto di collaborazione coi colleghi e il carico di lavoro che mi veniva assegnato era sempre ben bilanciato. Il rimborso spese era di circa 800 euro mensili e ho potuto anche sfruttare alcuni benefit offerti dall’azienda come la flessibilità di orario e l’utilizzo della palestra e della sauna all’interno del plant.La prospettiva era l’assunzione con contratto a tempo determinato di due anni tramite un’azienda interinale, Randstad, che collabora con Tetra Pak. Opportunità che si è concretizzata nel luglio 2014, al termine del tirocinio. Ho continuato a lavorare nel mio team svolgendo in modo più completo quanto appreso durante lo stage. In questo caso avevo una retribuzione di 2mila 300 euro lordi mensili.In questi due anni ho partecipato ad alcune trasferte in Svezia presso la casa madre e l’esperienza più bella è stata da maggio a luglio 2015 quando ho collaborato a un progetto con colleghi in Brasile e mi è stata proposta una job rotation di tre mesi a Campinas, città a un’ora da San Paolo. Lì ho incrementato le mie competenze in materia di legislazione brasiliana legata alla sicurezza e supportato i colleghi locali in alcune attività già portate avanti con la mia manager. Un’esperienza che mi ha dato la conferma di quanto apprezzi lavorare in un’azienda multinazionale. Tornata in Italia si è iniziato a parlare di contratto a tempo indeterminato che è cominciato il primo di aprile, con il timore che fosse solo uno scherzo! E invece quel giorno ho cominciato la mia avventura in Tetra Pak come dipendente: il mio stipendio attuale è di circa 3mila 200euro lordi mensili. Sono molto contenta e soddisfatta del percorso di questi pochi anni in Tetra Pak e ringrazio ancora il professore che mi diede questa grande occasione.Oggi ricopro il ruolo di Expert advisor: rispetto al passato non sono cambiate molto le mie mansioni, ma il mio coinvolgimento all’interno dei progetti che è sempre crescente. Appartengo a un gruppo molto trasversale: non seguo un unico progetto di sviluppo ma sono coinvolta in tutti quelli portati avanti all’interno dell’organizzazione. E questo mi consente di collaborare con persone sempre diverse in differenti posizioni. Uno dei task che compio maggiormente è redarre il risk assessment delle macchine: lavoro spesso fatto direttamente nella test hall. Così posso toccare con mano quello che vedo nello schermo del mio pc. Dal punto di vista professionale sto acquisendo sempre maggior competenza in materia legislativa legata alla sicurezza e questo mi consente anche di vedere la meccanica che ho studiato sui libri.Mi trovo molto bene nel mio team e mi piace moltissimo il mio lavoro. Sento di avere ancora molto da imparare e il mio futuro lo vedo ancora con la mia attuale manager: nel corso del tempo la sicurezza, intesa sia come human che come food safety, sarà sempre più importante perciò vedo ancora un ottimo margine di crescita in questo settore. Non escludo però di cambiare in futuro la mia posizione e di applicare in gruppi diversi dal mio: mi incuriosiscono in particolare quelli di gestione progetti e di allocazione delle risorse.Condivido in pieno i principi della Carta dei diritti dello stagista elaborata da voi della Repubblica degli Stagisti! Leggendo alcune delle interviste riportate sulla testata penso che l’utilità del lavoro che fate sia nel dare maggior consapevolezza di diritti e doveri dello stagista, ma anche nel dare fiducia a chi è in corso di valutazione di un’esperienza di questo tipo. E poi è comodo, perché è possibile consultare e cercare possibilità di stage in modo rapido ed efficace. Certo in Italia sono ancora generalmente mal retribuiti, almeno sentendo opinioni di alcuni amici. Con Tetra Pak sono stata fortunata e ai giovani che come me si apprestano a entrare nel mio settore professionale do questi consigli: curiosità, determinazione, precisione e capacità di lavorare in team anche con chi ha una cultura diversa dalla propria. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore