«Grazie allo Sve ho imparato ad apprezzare il valore formativo delle difficoltà»
La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Rita Pereira. Sono nata 23 anni fa a Viseu, una città nel nord del Portogallo non lontana da Porto. Per molto tempo ho pensato che la mia strada sarebbe stata quella della giurisprudenza, avendo un padre avvocato, ma poi ho scoperto altri interessi e sono soddisfatta della scelta che ho fatto sei anni fa. Ho infatti frequentato l’Università Nova di Lisbona e, nel 2014, mi sono laureata in Scienze della comunicazione. Durante i miei studi universitari non ho avuto, purtroppo, la possibilità di fare un progetto Erasmus ma, giunta all’ultimo anno di corso, ho deciso di candidarmi nella mia università al programma Leonardo da Vinci e, nel settembre 2014, sono partita per la Grecia per fare il mio primo stage finanziato.Questa prima esperienza vissuta ad Atene è stata per me molto significativa, perché mi ha dato modo di scoprire tante cose di me e di chi mi circondava. Devo dire che è stato strano ma molto interessante il fatto di aver avuto il mio primo contatto con il mondo lavorativo in un paese dove, purtroppo, non riuscivo a comunicare che in inglese. Il poco greco che ho imparato non bastava infatti a fare grandi conversazioni. Il mio stage era finanziato da una borsa del programma Leonardo e l’ente ospitante era il Consiglio Internazionale della Danza Unesco, che costituiva allo stesso tempo un importante teatro di danze greche. Dopo questi quattro mesi in Grecia sono tornata in Portogallo, pronta a iniziare un secondo stage, questa volta a Porto, delle durata di tre mesi e non remunerato. Il mio compito era occuparmi della parte relativa alla comunicazione per un progetto finanziato dall’Unione europea all’interno di un’università. È stata un’esperienza molto diversa rispetto a quella vissuta ad Atene: dovevo essere più autonoma e riuscire a gestire da sola il mio lavoro, dato che non veniva seguito e controllato molto spesso. Due esperienze diverse, quindi, e con qualche punto negativo, ma che sono servite a farmi capire cosa mi piace fare e in quale tipo di ambiente lavorativo mi sento meglio. Ho capito che vorrei continuare a lavorare nel settore del non-profit, con associazioni o reti di associazioni a livello internazionale, e nell’area della cooperazione e dello sviluppo. Per questo comincerò tra qualche mese una specialistica proprio in quest’ambito, sperando mi apra più porte a livello lavorativo.Determinante però nel raggiungere questa consapevolezza è stato lo Sve che ho fatto qua in Italia. Sono venuta a contatto con questo programma nel 2014, mentre facevo un corso di formazione in Italia durante il quale ho conosciuto ragazzi che avevano già fatto quest’esperienza. Avevo terminato i due stage ad Atene e Porto e stavo ormai finendo l’università; ero rimasta molto impressionata dall’Italia e per questo ho deciso di iniziare a cercare opportunità di volontariato qui. Per alcuni mesi non sono riuscita a trovare nulla e così ho deciso di contattare un’associazione portoghese che mi fosse di supporto nella ricerca di un progetto e fungesse da organizzazione d’invio. A luglio 2014 ho trovato Dinamo, un’associazione di Sintra che mi ha inviato diversi progetti, tra cui quello di Eufemia qua in Italia. Essendo molto interessata ho inviato la mia lettera di motivazione per la candidatura e, dopo qualche settimana, mi hanno detto che ero stata scelta.Ho svolto il mio Sve a Torino, da aprile 2015 a marzo 2016, con l’associazione Eufemia, per la quale ho operato come volontaria in diverse aree, sia a livello locale che internazionale. Il mio progetto aveva appunto una durata di dodici mesi, ma ho deciso di rimanere più tempo e ancora adesso mi trovo a Torino. A livello locale ho lavorato soprattutto nei doposcuola, dove facevamo attività con i ragazzi del quartiere, aiutandoli a fare i compiti e a prepararsi per gli esami scolastici. Ho collaborato anche a varie attività nelle scuole e al progetto Invenduto, che mi ha portata in uno dei mercati rionali di Torino, dove ogni sabato prendevamo frutta e verdura invendute e le ripartivamo tra le persone e le famiglie più bisognose. A livello internazionale, invece, ho lavorato nel punto informativo Erasmus+, dove partecipavo agli incontri di preparazione per i gruppi di ragazzi che partivano per scambi all’estero e all’organizzazione degli scambi verso Torino coordinati dall’associazione. Abitavo nella sede dell'associazione, dove ho inizialmente convissuto con un altro volontario spagnolo, che ha però interrotto il progetto anzitempo tornando in Spagna. Così è venuta una ragazza tedesca che svolgeva un tirocinio all'Istituto tedesco, con la quale mi sono trovata molto bene. Sono stata molto soddisfatta della mia esperienza e non credo che, anche tornassi indietro, cambierei qualcosa: mi ha aperto tante porte e penso che anche le difficoltà che ho incontrato abbiano contribuito a rendere quest’avventura così importante per me. Il lascito più bello sono le persone che ho conosciuto: ognuna mi ha insegnato qualcosa di nuovo e mi ha aperta a realtà che non conoscevo. Consiglio assolutamente a tutti di vivere quest’esperienza perché, anche se non va sempre tutto liscio, permette di vivere qualcosa di totalmente diverso e d’imparare ad affrontare cose del tutto nuove. Anche dal punto di vista economico, inoltre, lo Sve è assolutamente sostenibile: avevo un rimborso spese di 300 euro e casa e bollette pagate. Credo inoltre che lo Sve sia un’esperienza molto professionalizzante. L’inserimento all’interno di una struttura (che può essere un’associazione, una scuola o un’azienda) permette al volontario di entrare in contatto con un ambiente professionale e d’imparare la gestione dei diversi rapporti in tale ambito. Io spesso ho usato l’inglese, ma in sei mesi ho anche imparato l’italiano. Tuttavia non credo che, da questo punto di vista, sia l’aspetto linguistico il più importante, quanto piuttosto tutte le competenze trasversali che un volontario acquisisce durante il suo Sve.Adesso sto collaborando per la maggior parte dei casi a progetto, anche perché non posso prendermi impegni a lungo termine. Con l’associazione con cui ho iniziato a lavorare qui in Italia durante lo Sve ho appena promosso il mio primo scambio culturale in Portogallo, nella città in cui sono nata. In questo momento faccio avanti e indietro tra Portogallo e Italia, ma a settembre inizierò il mio Joint Master Degree in Cooperazione Internazionale che si svolgerà in tre università di Repubblica Ceca, Francia e Italia. Lo scorso novembre ho preso parte anche all’evento realizzato dall’Agenzia Giovani, dove ho avuto modo di conoscere tanti ragazzi italiani interessati al programma Erasmus+ e alle sue opportunità, e di assistere alla presentazione in cui individui e gruppi esponevano i loro progetti. Questo è stato per me, come credo per molti altri, di notevole ispirazione.Per questo, dico ai miei coetanei non perdete tempo. Godetevi tutti i momenti, anche quelli che possono sembrare inizialmente meno buoni, perché vi porteranno sempre qualcosa. E dite sì, tante volte. Perché spesso un “sì” può portarvi qualcosa a cui non avete mai pensato e che, una volta sperimentato, vi cambierà la vita. Testo raccolto da Giada Scotto