Categoria: Storie

«Che bello entrare in Spindox e scoprire che faceva parte dell'RdS network!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Roberta Cecatiello, 29 anni, oggi assunta con un contratto di apprendistato in Spindox.Sono di Napoli, nata e cresciuta qui. Un’etichetta, quella di “napoletana” a cui tengo molto, anche se ormai vivo lontano dalla mia città. Credo che napoletano sia una condizione con cui nasci ed è impossibile cambiare!Ho frequentato il liceo classico sotto imposizione dei miei genitori, così dopo la maturità volevo scappare dalle materie umanistiche! Ho scelto, quindi, di frequentare la facoltà di economia presso l’università di Napoli Federico II, perché mi sembrava una giusta alternativa al percorso degli studi del classico.Durante tutto il periodo dell’università ho svolto regolarmente lavoretti: in particolare lezioni private per studenti di elementari, medie e superiori, attività che poi svolgevo anche come volontariato in un centro giovanile. Non cambierei nulla del mio percorso universitario. Ho trovato piacevole studiare tutti gli esami del mio percorso, anche quelli più difficili! Mi è piaciuta così tanto la laurea in economia che una volta presa quella di primo livello nel marzo 2012 ho deciso di continuare con la laurea magistrale in Economia e commercio. Addirittura seguivo già i corsi durante la stesura della tesi! Così mi sono poi laureata nel luglio 2014.Al conseguimento della laurea magistrale avrei voluto continuare con il percorso universitario. Ho iniziato a studiare per il concorso del dottorato in commercio internazionale, ma poi la voglia di iniziare a lavorare ha avuto il sopravvento e ho colto un’occasione trovata tramite il portale dell’università. Qualcosa di totalmente diverso da quello che avevo fatto fino a quel momento e forse proprio per questo molto stimolante. Ho iniziato il corso gratuito di alta formazione UIIP, University – Industry Internship training Program, un programma di reclutamento e formazione di risorse umane promosso da Biogem, una società consortile costituita tra gli altri da CNR, Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Consorzio per l’area di ricerca di Trieste e università Federico II di Napoli.Il corso di quattro mesi prevedeva l’approfondimento di tutta una serie di nozioni di base relative all’informatica e alla gestione dei progetti con lo scopo di formare analisti funzionali. L’esperienza è stata molto intensa e formativa e si è conclusa con lo stage in Accenture, nella sede di Napoli, dal maggio al novembre 2015, con un rimborso spese di 400 euro al mese. Avevo iniziato un’esperienza lavorativa nella mia città in un’importante società e non potevo chiedere di meglio: ma le condizioni di lavoro e le mansioni assegnateci non rispecchiavano né il mio background universitario né quello che ci era stato trasmesso durante il corso. Così ho iniziato a cercare qualcos’altro.Proprio in quel periodo Spindox mi ha contattata tramite LinkedIn: era ottobre 2015. Dopo una settimana dal contatto via LinkedIn ho avuto due colloqui via skype, uno motivazionale con le risorse umane, l’altro con il responsabile della service line con cui poi avrei lavorato. E dopo soli tre giorni mi hanno contattata per il responso! Era un sì, così ai primi di novembre mi sono trasferita a Milano e ho cominciato il mio stage come IT Analyst. L’integrazione a Milano non è stata difficile: in ufficio veniamo quasi tutti da sotto il Po e l’ambiente è molto cordiale. E la possibilità di scambiarsi consigli ed esperienze con chi ha fatto il tuo stesso salto ha accelerato relazioni e amicizie. Direi che non ho avuto problemi di integrazione, né con i colleghi né in città, che credo sia accogliente e stimolante! L’unica cosa veramente difficile è stata quella di trovare casa. Ma dopo circa due settimane di ricerca ho trovato un appartamento insieme a un’altra ragazza. Certo non è stato facile all’inizio, visto che il mio stage prevedeva un rimborso spese di 600 euro più buoni pasto e i prezzi degli affitti a Milano sono abbastanza alti: avevo, però, dei soldi da parte grazie ai miei vecchi lavori e lavoretti, ma in ogni caso la mia famiglia mi ha dovuto sostenere nei primi tempi. Però, in effetti, l’affitto è l’unica spesa davvero alta in questa città, perché la qualità dei servizi pubblici ti evita altre spese. Oggi sto bene qui, ma certo Napoli è ancora casa per me. E appena posso torno lì dove si trova ancora la mia famiglia. Per ora non ho mai pensato di tornare in pianta stabile lì, però lo ammetto, specie durante il periodo estivo il mare mi manca molto. Proprio dopo la laurea, quando cercavo lavoro, ho scoperto la Repubblica degli Stagisti: mi piaceva molto leggere delle esperienze di successo di altri ragazzi. Così è stata una grande sorpresa scoprire che Spindox facesse parte dell’RdS network! Il primo giorno di stage, infatti, ho visto in ufficio i premi vinti dall’azienda, ed è stato bello!Durante lo stage in Spindox mi era stato assegnato un tutor aziendale per indirizzarmi sui progetti da seguire: molti progetti digital, tutti interessanti, impegnativi e per clienti importanti. Mi occupavo in particolare di tutto ciò che era connesso alla redazione dei documenti funzionali e di progetto: analisi, test book, pianificazioni e presentazioni di progetto.Finito lo stage, a maggio 2016, mi hanno proposto un’assunzione: a me scegliere tra un contratto a tempo indeterminato o un alto apprendistato. Ho scelto di proseguire il mio percorso con l’apprendistato perché convinta che continuare a imparare sia la base per andare avanti in un contesto così dinamico. Il contratto di due anni ha previsto la possibilità di seguire il master “Development of Innovative Software Products” tenuto da MIP  e Cefriel, consentendo di assentarsi due-tre giorni al mese da lavoro per seguire le lezioni, incentrate su tematiche trasversali tra informatica, management e soft skills.L’inserimento in azienda, secondo contratto, era al quarto livello metalmeccanico (con una Ral di 22mila euro), per poi passare al quinto durante i due anni e infine al sesto alla fine del contratto che automaticamente viene convertito in tempo indeterminato, con una Ral di 26mila euro.Mancano ormai solo tre mesi allo scadere di questo contratto che dovrebbe automaticamente confluire in indeterminato a marzo del 2018! E a quel punto, i primi progetti che ho, sono quelli di comprare una casa e di costurirmi una famiglia.Attualmente in Spindox lavoro su progetti IT e digital. Periodicamente mi reco dal cliente per la raccolta di requisiti sulla base dei quali insieme con il team sviluppiamo una proposta, presentata tramite i documenti funzionali che personalmente redigo e che vengono poi visionati ed eventualmente approvati dal cliente. I documenti funzionali costituiscono la linea guida dei lavori, ma spesso si prendono strade diverse! Alla fine di ogni settimana mi occupo della pianificazione delle attività della settimana successiva e della comunicazione al cliente di quelli che sono stati gli avanzamenti circa le attività pianificate.Il settore IT è quello a cui attualmente sento di appartenere e in cui voglio restare: è dinamico e pieno di sfide, ed è quasi impossibile prevedere cosa imparerai domani! Mi trovo ad un punto di piena consapevolezza di cosa voglio fare ed il mio obiettivo è quello di continuare a lavorare nell’IT e in particolare in progetti digital come PMO e Analista funzionale.In passato ho provato a partecipare ad application per posizioni al Parlamento europeo ma senza successo. Per quanto Milano sia la città italiana più internazionale che ci sia, penso che riuscire a guardare come funziona il mondo del lavoro in altre nazioni possa dare una visione e un approccio totalmente diversi a quello a cui noi siamo abituati. Non nascondo che ci penso spesso a fare il salto!La mia opinione è che spesso le posizioni da stagisti vengano aperte per coprire esigenze temporanee che non hanno obiettivo reale di inserimento e non hanno alcun approccio formativo. Uno stagista dovrebbe essere un investimento dell’azienda, e non occasione di lavoro a basso costo. Per quella che è la mia esperienza e delle persone che mi circondano, però, ritengo che l’azienda in cui mi trovo abbia per fortuna un approccio più che positivo in questo senso!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Girl Power: «Mi piace trovare soluzioni, per questo ho scelto la matematica»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La prima testimonianza è quella di Irina Smirnova, Html developer presso l'azienda Contactlab. 35 anni, russa, da 11 vive in Italia, dove si è trasferita dopo aver sposato un italiano conosciuto durante un campo estivo in Finlandia, in un programma internazionale di matematica.La matematica mi ha sempre appassionato. Ma non è una tradizione di famiglia: mia madre è economista e mio padre istruttore di sci! Ma io da sempre trovo la logica affascinante in ogni ambito: da piccola trovavo facile la matematica, dovevo capire ogni cosa, amavo la bellezza della sensazione di trovare soluzioni. Inizialmente avevo scelto le lingue perché più "utili". Pur avendo una passione incredibile per la matematica, c’era stato un dubbio, anche per una questione di stipendio più alto. Dopo un mese a Lingue ho fatto un test e ho preso un voto molto alto: da lì ho capito che il mio mondo era quello e mi sono trasferita a Matematica. Ho studiato alla Petrozavodsk State University, dove mi sono laureata e, dato che il corso di programmazione era obbligatorio per i matematici, ho conseguito anche l’abilitazione per l’insegnamento di matematica ed informatica.Anche se la maggior parte delle donne sceglie la matematica per darsi all'insegnamento, per me non è stato così. Dopo la laurea ho lavorato per un anno in una scuola superiore, insegnando alle ragazze che avevano scelto come materia la matematica. Poi sono stata chiamata dall’università dove avevo studiato, mi hanno proposto un posto di assistente per la cattedra di Matematica alla facoltà di Informatica, facendo il pre-corso per PhD. Ad un certo punto ero indecisa se continuare la carriera accademica, che trovavo un po’ noiosa: ero tentata di lasciarla per qualcosa di più dinamico. In quel momento ho deciso di trasferirmi in Italia. Inizialmente vivevo a Trieste. Il primo anno ho studiato italiano perché non lo conoscevo. Poi ho pensato di fare domanda per il PhD al SISSA, ma alla fine mi sono trasferita a Milano per motivi personali. Arrivata lì, avevo voglia di iniziare a fare qualcosa e ho cominciato a mandare curriculum. Come primo lavoro in Italia ho fatto la DB Administrator and campaign manager in ambito Email Marketing in Consodata spa per tre anni, ma non facevo quello per cui avevo studiato. Poi l’azienda è entrata in crisi e intanto sono rimasta incinta. Altre aziende mi avevano offerto un posto, ma ci voleva la conferma della laurea in Italia, costosa e impegnativa.Attualmente lavoro in Contactlab, nel team senior di una realtà agency molto più ampia, con 180 dipendenti. Nello specifico, mi occupo di lavorazioni non standard e analisi logiche e tecniche complesse, sono anche il riferimento tecnico per il team che si occupa dei settori Fashion and Luxury. Tecnicamente curo molti aspetti relativi alle delivery per i clienti: Html, Css, linguaggi di programmazione, Sql, logica matematica etc. Ho iniziato con un contratto a tempo determinato tre anni e mezzo fa, poi dopo sei mesi è diventato indeterminato. E certo non sono mai stata sottopagata perché sono una donna! La differenza secondo me è che gli uomini pretendono di guadagnare di più. Inoltre la mia azienda è molto family friendly, ad esempio ci sono convenzioni con i campi estivi, c’è la carta pediatrica Manageritalia, per avere un pediatra anche quando il tuo non è disponibile. Io non ho mai preso un’ora di maternità, ho fatto solo quella obbligatoria e sono rientrata in servizio quando mia figlia aveva quattro mesi, ma non perché altrimenti avrei perso il lavoro. In tre anni sono diventata senior e ho un ruolo di responsabilità, mentre ci sono uomini che da dieci anni sono ancora lì. Certo qualche battuta i colleghi la fanno. Mi trovo in un team in cui tutti sono uomini e anche l’altro dipartimento, con cui interagisco ogni giorno, è interamente maschile. Ma a volte mi sento anche coccolata. Dove lavoravo prima le cose erano diverse. Sono rimasta incinta durante il tempo determinato e, all’ottavo mese di gravidanza e a un mese alla scadenza del contratto, ho avuto una discussione con degli uomini, che hanno detto una cosa secondo me inaccettabile: che ero professionalmente più debole perché ero incinta.Ho tanta voglia di crescere, imparare cose nuove. Ho capito che a me piacciono i grandi progetti complessi, che coinvolgono diverse tecnologie e racchiudono le mie competenze matematiche e informatiche, e voglio imparare sempre di più a gestirli. Certo le difficoltà non mancano, anche perché lavorando con la tecnologia in continuo divenire non ti puoi permettere di fermarti. Anche durante la maternità ho dovuto restare sempre aggiornata, andavo a informarmi di continuo. Se stacchi completamente, torni indietro ed è una frenata pazzesca nella carriera. Oggi mi appoggio a babysitter, cerco di bilanciare le cose. Capita che mentre stai lavorando trovi 80-90 messaggi nei gruppi chat delle mamme, che ti leggi uscendo da lavoro. Vedere un’altra donna che ce la fa ti fa dire «Ok, ce la faccio anch’io». In azienda per esempio c’è una donna team leader che ha un bambino e lavora a tempo pieno: è forte e io la guardo con grande rispetto.Nessuno mi ha mai detto che le donne sono meno brave nelle materie scientifiche, anche se statisticamente anche in Russia ci sono più uomini che donne che studiano le Stem. Con il tempo ho notato che quando arrivi in un posto nuovo dove non ti conoscono ancora,  ti guardano con scetticismo, come se non ne capissi niente. Ma poi quando vieni riconosciuta come collega, la cui professionalità è uguale a quella degli uomini, non ci sono più problemi. Le materie Stem non sono una cosa non adatta alle donne. Anche perché la matematica non è un’opinione, se sai fare veramente il tuo lavoro nessun uomo ti dirà che non vali niente perché sei una donna. Inoltre se una donna sceglie una cosa così tecnica vuol dire che la sa fare, quindi non deve porsi il problema di stare in un ambiente maschile, di essere in minoranza. Io ho due bambini, una è femmina e sicuramente se a lei verrà un dubbio io le dirò «Non averne, se questa cosa la sai fare e ti piace non importa se sono tutti uomini a farla». Nella vita quotidiana lavorativa e personale si cade e ci si rialza. Cadere davanti agli uomini fa più male, è vero, ma il piacere di rialzarsi è maggiore. Non bisogna mollare alla prima caduta né scoraggiarsi davanti ai pregiudizi. Non c’è niente di impossibile!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

«Sono stato fortunato: in stage in Magneti Marelli ho trovato tutor capaci di insegnarmi a lavorare»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Tullio Lacché, 27 anni, oggi assunto con un contratto a tempo indeterminato in Magneti Marelli.Sono cresciuto in Lombardia, tra Milano e Varese: ho scelto poi definitivamente Milano nel 2009 per frequentare ingegneria gestionale al Politecnico, seguendo in parte le orme di mio padre che è un ingegnere meccanico. La scelta della facoltà è stata abbastanza diretta perché sono sempre stato molto interessato alle tematiche gestionali. Presa la laurea di primo livello nel 2012, ho continuato con la magistrale sempre al Politecnico e sempre a ingegneria gestionale.Durante la magistrale ho fatto un’importantissima esperienza di sei mesi di stage in Brembo, nel dipartimento di ottimizzazione di stabilimento. Un’opportunità che mi ha aiutato e che consiglio a tutti gli studenti, quella dello stage durante gli studi, perché a 23 anni ti permette di introdurti nel mondo del lavoro distaccandosi dalla “campana di vetro” universitaria. Lo stage, inizialmente di tre mesi, è iniziato nel maggio 2013, ma una volta finito il primo periodo mi hanno rinnovato per altri tre mesi il tirocinio, sempre con un rimborso spese di 500 euro. In parte me lo aspettavo perché avevo capito di avere la fiducia del mio tutor ed è stato molto importante perché mi ha permesso di vedere e capire molte cose che in soli tre mesi non avrei avuto il tempo materiale di imparare.Credo che quello stage sia stato fondamentale per la mia formazione, perché mi ha fatto mettere in pratica alcuni degli insegnamenti ricevuti all’università, come il bilanciamento di una linea produttiva. E poi lavorare in produzione a contatto sia con operatori di linea che con ingegneri industriali ha arricchito molto la mia capacità di relazionarmi con altre persone. Ed è stato molto positivo il rapporto con la mia tutor, che mi ha insegnato tantissimo sia lavorativamente che umanamente. Lo stage non prevedeva assunzione, cosa che mi era già stata comunicata in modo trasparente fin dall’inizio, così una volta terminato mi sono concentrato nuovamente sugli studi.Sempre durante la magistrale ho avuto un’altra esperienza professionale di gruppo di tre mesi da aprile a giugno 2014 in Pirelli. Era una consulenza universitaria, coadiuvata dal professore del corso di Acquisti, che aveva lo scopo della stesura delle Green Purchasing Guidelines aziendali, in collaborazione con un team di lavoro dell’ente acquisti di Pirelli. Non c’era alcun rimborso, solo la copertura assicurativa. Se dovessi fare un confronto con l’esperienza precedente, potrei dire che è stata molto diversa! Mi sono, infatti, confrontato con un ambiente di headquarters di una grande azienda su una tematica molto complessa.A quel punto mi sono messo a lavorare alla tesi e ho cominciato a cercare qualche stage: era il febbraio 2015 quando controllavo le proposte sul career service del Polimi. E proprio in quel periodo sono stato contattato inaspettatamente dalla società di selezione Randstad: cercava quattro giovani interessati a posizioni aperte nel dipartimento Information Communication Technology in Magneti Marelli. Ho fatto un primo colloquio di gruppo e poi un secondo individuale e poi sono stato selezionato per l’area planning and control con un contratto di stage di sei mesi e un rimborso spese di 1000 euro lordi e la possibilità di assunzione in seguito. Così all'inizio di aprile del 2015 ho iniziato questa grande esperienza e poco dopo, alla fine del mese, mi sono laureato. La mia fortuna è stata quella di avere un tutor che fin dal primo giorno mi ha dedicato molto tempo per aiutarmi ad ambientarmi in una realtà molto complessa come Magneti Marelli, seguendo passo passo le attività che mi assegnava e cercando sempre di darmi spunti di miglioramento lavorativo e personale. Duranti i sei mesi di stage sono passato dal team planning & control a quello di business application, cambiando quindi anche tutor. Il primo, però, è ancora oggi uno dei miei punti di riferimento. Durante lo stage ho iniziato a lavorare allo sviluppo di una nuova applicazione utilizzata in tutto il mondo dal dipartimento HR per la gestione e pianificazione dell’organico. E alla fine dello stage sono stato confermato con un contratto a tempo indeterminato, con una RAL di 27mila euro.Oggi, a due anni e mezzo dall’inizio dello stage, lavoro nel dipartimento Support function all’interno dell’ICT e sono responsabile di tutte le applicazioni HR e EHS di Magneti Marelli. Il mio lavoro consiste nell’interfacciarsi con i colleghi che lavorano per le due funzioni di riferimento, capire le loro esigenze sia sui tool esistenti che già utilizzano, che su nuovi bisogni e processi che dovranno essere soddisfatti, e lavorare con dei consulenti, soprattutto sviluppatori, al fine di ricoprire i requisiti di business rispettando anche tempistiche e budget assegnato. Mi piace molto quello che faccio perché è un lavoro molto dinamico e mi permette di lavorare con persone spesso diverse, sia nelle vesti di fornitore verso i colleghi HR e EHS sia di committente nei confronti delle società di consulenza con cui lavoriamo.Spesso mi capita di confrontarmi con colleghi di altri paesi: credo sia fondamentale in un mondo globalizzato come quello di oggi, perché aprire la mente a culture e modalità di pensiero totalmente diverse accresce di molto le capacità di interazione e approccio al futuro lavorativo. Con Magneti Marelli ho avuto anche la fortuna di poter viaggiare in posti lontani come il Messico, gli Stati Uniti o la Cina, toccando con mano diverse culture. Periodi all’estero che mi hanno aiutato ad arricchire sia la mia formazione professionale sia la capacità di relazionarmi con culture diverse.Oggi la mia aspirazione a breve termine è di proseguire nel processo di crescita professionale intrapreso grazie a nuovi progetti che mi permettano di approfondire sempre più i processi aziendali di tutte le country Magneti Marelli e di migliorare le mie skills nel project management. Le aspettative a lungo termine, invece, sono di intraprendere una carriera che mi porti ad affrontare sfide manageriali all’interno di realtà multinazionali come quella in cui mi trovo ora, coordinando un team di persone.Sono convinto che esplorare realtà diverse dall’Italia sia fondamentale per la crescita personale e lavorativa di chi voglia migliorarsi. E al momento ho trovato questa opportunità proprio lavorando per una multinazionale su progetti che mi permettono anche di andare all’estero. Non escludo in futuro di fare anche un’esperienza più lunga.Credo di essere stato molto fortunato con il mio stage in Magneti Marelli perché la qualità di un tirocinio dipende dall’attenzione che il tutor dà al nuovo arrivato e io ho trovato sia manager che referenti Hr pronti a “perdere del tempo” per addestrarmi sulle difficoltà dell’impatto con il mondo del lavoro. Ho alcuni colleghi di università che dopo cinque anni al Politecnico si ritrovano, invece, ad essere stagisti presso aziende che non li valorizzano e li usano solo per coprire a rotazione posizioni su cui non si vuole assumere. Portandoli così a una sfiducia verso l’intero sistema, che sommata agli esigui rimborsi spesa induce tanti a cercare opportunità più all’estero che in Italia.Un consiglio ai colleghi neolaureati? Siate curiosi e non abbiate paura di affidarvi ai vostri tutor cercando di chiedere e di assorbire più nozioni possibili sul mondo del lavoro.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Quarto anno di liceo all'estero, esperienza unica: ma ecco alcuni errori da non fare

Ogni anno oltre 2.000 giovani tra i 15 e i 18 anni trascorrono un periodo di studio all’estero durante le scuole superiori, attraverso i programmi di Intercultura. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccogliere le loro storie: questa è quella di Anna Cailotto.Ho 24 anni e sono di Verona, ma al momento mi trovo a Milano per uno stage curriculare presso Ashoka Italia, nell’ambito del corso di laurea specialistica in Business and Development Studies presso la Copenhagen Business School.Nel 2010, a 17 anni, sono partita per gli Stati Uniti, dove ho frequentato il quarto anno di liceo. Tutto è nato perché mia sorella, di quattro anni più grande di me, si era informata sui progetti Intercultura e dei volontari erano venuti a casa mia per illustrarli. Io avevo 13 anni e avevo espresso grande entusiasmo. Qualche anno dopo mia madre mi ha ricordato di quell’entusiasmo e mi ha proposto di partire. Io mi sono detta “Perché no?!”: è stata una scelta fatta con un po’di “incoscienza”, nel senso che non avevo idea di cosa mi aspettasse e di come questa esperienza potesse determinare molte cose della mia personalità e del mio futuro.All’inizio non ero stata presa perché avevo inserito tra le preferenze i posti più ambiti (Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda etc.), però mi ero affezionata all’idea di partire, così ho accettato di cambiare destinazione e andare in Repubblica Domenicana. Proprio perché ho dimostrato questo entusiasmo per la partenza sono salita in graduatoria e, dato che si era liberato un posto per gli Stati Uniti, quella è stata la mia destinazione.Prima della partenza, Intercultura affianca gli studenti con un percorso di accompagnamento, fatto di incontri dove si affrontano le dinamiche culturali. Io li ho presi con leggerezza, mentre potendo tornare indietro darei loro più importanza. Idem per gli incontri organizzati negli Usa: io ero molto lontana dalla loro sede e ci andavo poco, ma il mio consiglio è di seguirli il più possibile, dato che ti preparano ad affrontare le difficoltà legate all’esperienza e ti fanno conoscere persone con cui confrontarsi e condividerle.Ho vissuto negli Stati Uniti da agosto a luglio. La mia scuola era in Kansas, ad Abilene, una cittadina di 8mila abitanti. Non avevo una borsa di studio, quindi l’anno all’estero è stato interamente finanziato dalla mia famiglia. Ad ospitarmi era una coppia di americani che aveva già accolto cinque italiani e che inizialmente non era intenzionata a continuare ad ospitare. Per questo, rispetto ad altre esperienze che ho visto, è mancato l’entusiasmo nella condivisione delle reciproche culture. Tuttavia mi sono trovata bene, sono anche venuti in Italia a trovare me e gli altri ragazzi. Il fatto di immergersi totalmente nella cultura locale entrando a far parte di una famiglia è bellissimo ed è una cosa che ad esempio l’Erasmus non ti dà.Per quanto riguarda la scuola, io provenivo da un liceo scientifico con indirizzo linguistico, quindi partivo già da una buona conoscenza dell’inglese. Non avevo una classe fissa, ma il gruppo cambiava a seconda delle lezioni: c’era quello di American history, quello di English Literature e così via. L’approccio lì era molto più dinamico e pratico. Quasi ogni lezione era scandita in una parte di teoria e una in cui questa veniva applicata attraverso degli esercizi pratici. Per esempio per le lezioni di storia ho dovuto fare diverse interviste a degli abitanti anziani di Abilene. Tutti mi dicevano che avrei imparato poco, invece non è stato così: le cose che ho studiato me le ricordo bene. Certo i contenuti erano più facili rispetto a quelli che affrontavo in Italia e mancava la profondità di analisi che ero abituata a usare, in particolare durante le lezioni di filosofia, nel mio liceo italiano. In generale, però, è stato molto stimolante studiare con un metodo diverso e penso che su certi punti il metodo italiano e quello americano dovrebbero incontrarsi.Io ero una ragazza estroversa, e paradossalmente, per una delle prime volte nella mia vita, mi sono trovata in difficoltà. Mi sentivo i fari addosso, e poi c’era l’ostacolo della lingua. Ma il fatto di dover gestire la mia “diversità” mi ha dato molto, e ho fatto anche delle belle amicizie. La vita sociale, trattandosi di una piccola cittadina, era guidata dalle attività scolastiche, che erano tantissime: musica, sport, teatro, arte. Io ad esempio suonavo il sassofono nella banda. E poi ho imparato a giocare a softball. Gli allenamenti erano tosti, tre ore ogni giorno e pure la partita della domenica. Gli altri ci giocavano da dieci anni mentre io quando sono arrivata non conoscevo nemmeno le regole. Però è stato bello, perché gli americani ti motivano tanto e ti premiano per i piccoli progressi. Partecipare alle attività della scuola è la chiave per inserirsi. Mi sono anche scontrata con degli aspetti che non condividevo della cultura americana, ma che è stato interessante scoprire per poi riflettere sulla mia identità.Durante l’anno in America ho mantenuto i contatti con la scuola italiana, scambiando mail con alcuni docenti, anche se non avevo l’obbligo di compilare report. Al rientro in Italia ho dovuto sostenere un esame di ammissione al quinto anno di liceo. Ho studiato tutta l’estate perché sapevo che un ragazzo della mia scuola che aveva trascorso il quarto anno all’estero era stato bocciato. Penso che questo sia stato dovuto al fatto che non avesse documentato adeguatamente la sua assenza. Oltre al percorso di accompagnamento prima e durante l’esperienza e alla ricerca della famiglia ospitante, ha senso appoggiarsi a delle associazioni anche per questo. Alla fine l’esame è stato abbastanza tosto, c’erano tutti i miei professori, ma è andato molto bene.Riadattarsi all’Italia paradossalmente è stato più difficile che adattarsi all’America. Dopo aver vissuto tante cose, ritrovi tutto uguale a come l’hai lasciato. Torni con tante riflessioni culturali e non ti senti capita. Tutti ti chiedono se sei cambiata, ma non sai cosa rispondere perché ne prendi veramente consapevolezza solo con il tempo. L’esperienza all’estero mi ha portato a fare una selezione nei rapporti, tra le persone che mi aspettavano a braccia aperte e quelle che erano andate avanti per la loro strada e anche questo mi ha spiazzato.Tuttavia il quarto anno di superiori all’estero mi ha aperto tante porte. Ho studiato Economia e Scienze Sociali alla Bocconi, dove penso di essere entrata grazie a questo. Gli ammessi, infatti, o si erano diplomati con 100 o avevano vissuto un’esperienza all’estero. Lo consiglio per questo e perché è un’esperienza che ti rafforza molto, ti fa conoscere di più te stesso e capire che non c’è un giusto e uno sbagliato, ma un’infinità di scelte. Quando si dice “ti apre la mente” è vero! Scopri che sullo stesso mondo le persone vivono in un modo totalmente diverso e questo ti insegna a giudicare di meno, ti dona un approccio diverso che va oltre la superficialità.Dopo la laurea ho deciso di frequentare la specialistica in Danimarca. Un’esperienza molto diversa, meno sconvolgente. Ho scelto di tornare all’estero perché mi sono innamorata del corso di Business and Development Studies e perché lì potevo studiare gratuitamente: la Copenhagen Business School è gratuita per tutti gli studenti europei!Oggi sto facendo uno stage curriculare di quattro mesi presso Ashoka Italia, mi occupo di fundraising e organizzazione di workshop per l’accelerazione dell’impatto degli imprenditori sociali. Poi finirò l’università e deciderò cosa fare. Quel che è certo è che voglio mantenere le mie radici in Italia. Negli Usa ho maturato una grande passione per il mio Paese. A differenza di altre persone che all’estero diventano scettiche verso l’Italia, io sono diventata più consapevole dei suoi lati positivi, che ci fanno stare bene. Sono andata fuori per arricchirmi, ma tornerò per contribuire a migliorare il mio Paese.Testo raccolto da Rossella Nocca  

28 anni e già tanti stage e contratti alle spalle, poi finalmente quello giusto: «Ragazzi, non accontentatevi»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alfredo Caserta, 28 anni, oggi assunto con un contratto a tempo indeterminato in Contactlab.Abito a Voghera, in provincia di Pavia, dove nel 2003 mi sono iscritto all’Istituto tecnico industriale e ho frequentato il corso di elettronica e telecomunicazioni della durata di cinque anni, per diplomarmi nel giugno 2008. Durante gli studi, per capire un po' di più l’indirizzo che avevo scelto, ho lavorato nel periodo estivo, per due anni, presso una ditta di automazione di Voghera, dove svolgevo la mansione di aiutante operaio come volontario, quindi senza alcun rimborso spese.Finito l’istituto tecnico e dopo qualche periodo di fermo, ho ricevuto diverse offerte di lavoro in azienda, ma solo tramite una persona che conoscevo ho ricevuto una proposta per me allettante come tecnico IT presso la Log Service Europe Group, dove il 3 marzo 2009 ho cominciato uno stage di sei mesi con un rimborso spese di 600 euro al mese e la prospettiva di un’assunzione al termine del tirocinio. Durante il periodo di tirocinio ho avuto un ottimo rapporto con il mio tutor e proprio grazie a lui ho ricevuto la proposta di continuare la mia esperienza in azienda come apprendista. Così il 3 settembre 2009 ho cominciato l’apprendistato triennale con una Ral che partiva dai 19mila euro per arrivare ai 22mila. Al termine di questa esperienza, il 3 settembre 2012 sono stato assunto a tempo indeterminato con il ruolo di System Administrator. In pratica mi occupavo di dare assistenza hardware e software agli utenti, della gestione delle utenze, e della configurazione di apparati hdw (pc-terminali radio-stampanti). Purtroppo la crisi ha colpito anche questa azienda e così la mia esperienza è terminata il 29 maggio 2015. Ma tutto questo non mi ha demoralizzato! Anzi, mi ha dato la possibilità di rimettermi in gioco. Così dopo qualche mese di ricerca il 16 dicembre 2015 ho cominciato a lavorare come collaudatore di impianti in fibra ottica per conto Vodafone, presso DBA LAB Spa: un ruolo e una posizione lavorativa completamente diversa da quella che avevo inzialmente intrapreso. All’inizio sono stato assunto tramite un’agenzia interinale per un mese e dopo sono stato assunto direttamente dall’azienda con un contratto a tempo determinato di circa 1.200 euro al mese fino al 31 marzo 2016.A quel punto sono passati altri due mesi di stop fino al 6 giugno dello stesso anno quando ho iniziato come consulente presso Sky Italia Srl con un contratto a progetto di due mesi, scaduti i quali, il 1 agosto, sono stato assunto a tempo determinato fino al 31 ottobre 2016. Nel frattempo una persona che conoscevo mi ha parlato di Contactlab, un’azienda di cui avevo già sentito parlare, e delle possibilità di lavoro che offriva. Così ho mandato il mio curriculum all’ufficio del personale e in pochi giorni ho ricevuto la telefonata per il primo colloquio con l’Hr! Poco dopo ho avuto un secondo colloquio, questa volta tecnico e infine sono stato chiamato per uno stage di sei mesi con il ruolo di System Engineer che ho iniziato il 3 novembre 2016. In questi sei mesi avevo un rimborso spese di 700 euro al mese. Finito lo stage, con mia grande sorpresa, sono stato assunto a tempo indeterminato, il 3 maggio 2017, sempre con lo stesso ruolo ma con una retribuzione di circa 1.100 euro al mese. Sono stato molto contento perché mi garantisce più sicurezza.Rispetto alle altre situazioni aziendali in cui ho lavorato, qui in Contactlab penso di aver trovato la migliore situazione lavorativa possibile: è un ambiente positivo, un’ottima organizzazione, mi trovo molto bene con i colleghi e ho delle buone prospettive future sia professionali che personali. Oggi all’interno di Contactlab mi occupo del supporto tecnico hardware e software agli utenti, sia dipendenti che consulenti. La mia giornata dipende molto dalle richieste interne che riceviamo e in base a queste cerco di risolvere i problemi e mettere in pratica quello che ho imparato fino ad ora.Non vivo ancora per conto mio, ma ho in programma di farlo entro l’anno prossimo con l’acquisto di una casa. E anche se al momento il mio stipendio mi consente di mantenermi, spero con il passare del tempo, magari anche tramite nuovi sbocchi, di arrivare a guadagnare di più. Per ora vivo ancora a Voghera, quindi faccio il pendolare con Milano ormai da quasi due anni, ma con i mezzi sono ben servito. Tanto che non è nelle mie intenzioni quella di trasferirmi lì. Anche perché per arrivare al lavoro se non ci sono intoppi ci impiego un’ora circa, non male anche per una grande città! In futuro vorrei continuare a lavorare nel settore informatico. E acquistare le competenze necessarie per ricoprire al meglio dei ruoli di maggiore responsabilità, ma sempre qui, all’interno di Contactlab. Per il momento, quindi, non ho ancora mandato curriculum all’estero, ma questo non vuol dire che escluda la possibilità di farlo in futuro. Anche perché ho molti amici e colleghi che hanno deciso di avere esperienze lavorative fuori dall’Italia. Forse anche perché uno dei problemi principali per i giovani, che oggi devono passare per forza attraverso uno stage prima di avere qualsiasi tipo di contratto, è l’essere nella buona parte dei casi sottopagati per un lavoro a tempo pieno. Con cifre che si mantengono al di sotto dei 600 euro.Per questo penso la Repubblica degli Stagisti sia un buon mezzo di informazione per i giovani, perché parla di esperienze lavorative condivise aiutando chi lavora o sta cercando un impiego ad orientarsi in questo difficile mondo del lavoro.Un consiglio finale ai miei coetanei? Cercate di migliorarvi continuamente e soprattutto di non accontentarvi.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore  

Da giocatore professionista di hockey su prato a project manager per EY

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Telemaco Rossi, 25 anni, oggi assunto con un contratto di apprendistato in EY.Sono nato e cresciuto a Roma, dove ho frequentato prima l’istituto tecnico per ragionieri programmatori e poi mi sono iscritto all’università Roma Tre alla laurea triennale in Economia e gestione delle imprese. In realtà non volevo continuare gli studi, il mio sogno era fare il programmatore, ma con il tempo ho realizzato che l’istituto superiore scelto era per ragionieri! Così, anche su suggerimento dei miei genitori, mi sono iscritto all’università nel settembre 2011 e ho scelto di fare, appunto, economia. Presa la laurea triennale, in meno di tre anni nel luglio 2014, ho realizzato che non avevo alcuna competenza per iniziare a lavorare, così dopo aver valutato l’ipotesi di trasferirmi in Inghilterra e studiare all’estero, ho deciso di rimanere a Roma e studiare in inglese alla Luiss.Mi sono iscritto alla laurea specialistica in lingua inglese in Management nel settembre 2014 e laureato nel luglio 2016.Al contrario di molti miei coetanei non ho avuto l’opportunità di fare l’Erasmus, ma ho ugualmente vissuto all’estero per quattro mesi in Germania durante la triennale. Da agosto a novembre 2013, infatti, ho vissuto a Monchengladbachm, vicino Dusseldorf, dove ho fatto la mia prima esperienza come giocatore professionista di hockey su prato, anche se non avevo un contratto di lavoro. Giocavo per il Gladbach HTC, che come rimborso spese mi dava una casa, una macchina, delle squadre da allenare e su mia richiesta lavoravo in una tipografia industriale di proprietà del manager della squadra. Allenavo squadre u12 maschili e femminili e per me è stato importante, perché mi ritengo un educatore prima ancora di un allenatore. Ho fatto due campi estivi ed è stata una bellissima esperienza. Che mi ha aiutato tantissimo anche a imparare la lingua prima ancora di iniziare le lezioni di tedesco. Mi appuntavo tutte le nuove parole tedesche che sentivo dai bambini e ricordo che in tre giorni ne segnai almeno 180!In Italia sono stato giocatore della nazionale di hockey su prato per nove anni, ricevendo in questo caso una diaria di circa 40 euro al giorno per i giorni di raduno. E sono stato anche allenatore del club HC Roma, sia maschile che femminile, con un rimborso spese di circa 200 euro mensili. L’esperienza all’estero l’ho ripetuta per altri quattro mesi questa volta in Inghilterra, durante la specialistica, sempre per seguire la mia passione sportiva: l’hockey su prato. Questa volta avevo un contratto di quattro mesi, da gennaio ad aprile 2016, come allenatore di livello internazionale e un rimborso spese di 800 £, una macchina, una casa e i pasti all’interno del college dove lavoravo come allenatore. Il mio impegno lavorativo era di tre giorni alla settimana e il mio rapporto di lavoro era direttamente con l’Head of Sports del college. Mi occupavo di allenare e formare squadre under 14, 16, 18 per un totale di circa 60 studenti. Finita quest’esperienza mi è stato chiesto di tornare a settembre con l’opportunità di vivere all’interno del college e di espandermi al cricket e al rugby, ma visto il mio percorso di studi ho cercato di iniziare una carriera lavorativa differente. Così ho mandato un auto candidatura a EY facendo application sul loro sito e ho ricevuto una email dal team di advisory in cui mi veniva chiesto di partecipare al Meet the Future. Ho partecipato all’evento e ho iniziato a fare una serie di colloqui da cui è nata l’opportunità di fare lo stage: sei mesi come consulente digitale, con mansioni di analista sia in termini di Big data che di social network. Meet the Future si è tenuto a giugno ed è passato circa un mese per il colloquio conoscitivo fatto a luglio. Poi l’ultimo colloquio il 4 agosto con una Senior manager e a ottobre 2016 ho cominciato lo stage. Il rimborso spese era di 850 euro al mese con l’aggiunta di buoni pasto. Al termine mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni con una retribuzione pari a 24.500 euro annui.Così ho cominciato il mio contratto di apprendistato il 10 aprile di quest’anno, esattamente il giorno dopo la fine del mio stage. Oggi all’interno di EY sono un project manager: seguo un progetto che ha l'obiettivo di installare il Wi-Fi all'interno di 620 stazioni italiane. Coordino tutti i fornitori presenti nel progetto per attrezzare le stazioni e allo stesso tempo fornire soluzioni digitali per implementare nuove soluzioni di user experience all'interno del portale di stazione ed attrarre nuovi partner attraverso strumenti di Big Data analytics. In pratica ogni giorno forniamo stati di avanzamento del progetto sia dal punto di vista infrastrutturale (deploy delle stazioni) che applicativo (test dei portali di stazione). Mensilmente produciamo dei documenti che attestano lo stato di avanzamento dei lavori, e per finire forniamo nuovi benchmark per capire come vengono utilizzate le stesse tecnologie in tutto il mondo per sviluppare nuove soluzioni.In passato ho anche mandato il curriculum all’estero e sto cercando di muovermi in questa direzione attraverso un’esperienza di mobility all’interno di EY. Se mi guardo intorno ho amici sparsi per il mondo, ma anche tanti senza lavoro: perciò credo di essere abbastanza fortunato ad avere un lavoro che mi dà uno stipendio puntuale ogni mese. Soprattutto considerando il fatto che non ho avuto altre precedenti esperienze di stage, prima di quella in EY. La mia esperienza con il mondo dello stage, quindi, è andata piuttosto bene. Ma penso che sia sotto gli occhi di tutti il fatto che lo stagista viene usato in molte realtà come un rimpiazzo a cui non viene mai fatto un contratto fisso. Perciò condivido i principi presenti nella Carta dei diritti dello stagista: perché sono fortemente necessari per tutelare la mia generazione.Con EY sono stato fortunato, visto che è stata la mia prima e unica esperienza lavorativa. Quelle precedenti, infatti, erano solo di tipo sportivo. Ho deciso di smettere con l’hockey proprio quest’anno e non per il lavoro. Credo, infatti, che il binomio lavoro sport funziona fino a quando si ha voglia di continuare a farlo.Ma qualcosa nello sport è cambiato negli ultimi anni: per troppi interessi di potere si è sviluppato un completo allontanamento tra il livello dirigenziale e gli atleti che veramente rappresentano lo sport. E che sono tutti: i bambini che giocano nelle scuole, gli adolescenti che seguono una passione e gli adulti professionisti. Sono stato rappresentante dei giovani di tutta Italia per promuovere idee e innovazione all’interno dell’hockey, ma sono sempre e solo finite nei meandri della federazione. E quando con altri dieci ragazzi abbiamo scritto una lettera elencando quello che non andava in nazionale e suggerendo soluzioni perché volevamo partecipare a un’Olimpiade, siamo stati allontanati dalla squadra: ma avevamo solo tanta voglia di fare. Credo che si stiano perdendo di vista i valori dello sport e ho sentito molti incolpare i giovani di questo, perché sono viziati e non sanno sacrificarsi. E invece oggi i giovani sono anche più determinati di una volta. Vogliono fare carriera e la vogliono subito. Ma devono ricordarsi di avere sempre un piano B per affrontare la situazione. Sono un sostenitore della tecnica del bastone e della carota: una via di mezzo tra la presunzione di sapere tutto degli adulti e l’arroganza del volere tutto e subito dei giovani. Oggi bisogna diventare bravi leader dando spazio ai giovani e insegnandogli cos’è il sacrificio, l’umiltà, il rispetto dei ruoli. Perciò ai miei coetanei do un consiglio: siate sempre pronti ad accettare ogni sfida e abbiate tanta voglia di imparare.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Il problema degli stage in Italia? Pagati troppo poco» dice Linda, che in Bosch ha avuto tutta un’altra storia

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Linda Gafaro Barrera, 29 anni, oggi assunta con un contratto a tempo indeterminato in Bosch.Sono nata a Parma da madre italo-australiana e padre colombiano, così i frequenti viaggi tra i paesi di origine mi hanno permesso di imparare le lingue e crescere in un ambiente multiculturale. Ho fatto il liceo scientifico a Parma, svolgendo saltuariamente lavori come hostess a eventi e convegni. Avendo fin da giovane una grande passione per la matematica, probabilmente ereditata da mia mamma che ha studiato proprio questa materia in Australia, finite le superiori nel 2007 ho scelto di iscrivermi al Politecnico di Milano per studiare ingegneria energetica. Nel 2010 ho preso la laurea triennale e mi sono iscritta alla laurea specialistica sempre in ingegneria energetica che ho conseguito nel dicembre 2012. Durante il quinto anno universitario ho iniziato a cercare aziende presso cui svolgere la tesi di laurea magistrale. Ho inviato molte autocandidature e svolto colloqui con quattro aziende, tra cui Bosch ed Enel. Il progetto e la realtà più interessante mi è sembrata proprio quella di Bosch Rexroth per lo studio e la realizzazione di una pensilina fotovoltaica per la ricarica di vetture elettriche. Mi è stato proposto uno stage curriculare di sei mesi, che all'epoca non prevedeva rimborso spese ma aveva inclusi i pasti in mensa, dal giugno al dicembre 2012.Durante lo stage le mie mansioni erano completamente focalizzate al raccoglimento e all’analisi dei dati necessari per la tesi. Ho anche potuto partecipare alla costruzione e al montaggio del prototipo. Il rapporto con il tutor è stato di grande collaborazione e sono stati tutti disponibilissimi nell’assistermi nel completamento del mio progetto. Finito lo stage e presa la laurea specialistica mi è stato proposto uno stage formativo come sistemista meccatronico della durata di sei mesi, da gennaio a giugno 2013, con un compenso netto mensile di 750 euro più la copertura di tutti i pasti in mensa.Mentre svolgevo lo stage in Bosch Rexroth mi è stato proposto dal tutor della tesi un lavoro come assistente di laboratorio durante le esercitazioni di elettrotecnica al Politecnico di Milano. Ho accettato un contratto a progetto da marzo a giugno 2013 per 24 ore di prestazione, sei lezioni da quattro ore l’una, pagate 45 euro lordi l’ora. Per svolgere le ore come assistente di laboratorio, Bosch Rexroth mi ha concesso di assentarmi dallo stage. Il mio compito era di assistere il docente durante la lezione, preparare il materiale necessario per lo svolgimento dei laboratori, aiutare gli studenti a completare gli esercizi assegnati e rispondere a dubbi e domande.Finito lo stage, nel giugno del 2013 Bosch Rexroth mi ha proposto un contratto di apprendistato della durata di tre anni con ingresso come quarto livello contratto del commercio e scatti di livello ogni anno fino al secondo livello. Ho iniziato l'apprendistato 15 giorni dopo la fine del tirocinio con una retribuzione annuale lorda iniziale di 25mila euro e retribuzione variabile di 2.500 euro, oltre ad aumenti di Ral di 2.500 euro ad ogni scatto. Oggi ho un contratto a tempo indeterminato con una Ral di 33.400 euro più variabile di 5mila euro. In Bosch Rexroth lavoro nella divisione che si occupa di impianti chiavi in mano e realizza impianti unici speciali che utilizzano componentistica sia Rexroth sia di altri fornitori, assemblandole per creare macchine di automazione industriale e testing. Preparo le offerte tecniche e l’analisi costi in base al capitolato fornito dai clienti, per gli ordini acquisiti preparo le distinte materiale dei nostri componenti e di quelli di fornitori esterni, mi interfaccio con i fornitori preparando richieste di offerta e valutando i prodotti o le prestazioni che acquistiamo, verifico passo passo che quanto prodotto da Bosch Rexroth sia conforme con quanto richiesto dal cliente. Quindi seguo la costruzione e la messa in servizio degli impianti presso i cantieri e preparo i cronoprogrammi di progetto. La competenza principale che ho sviluppato in questi anni è come gestire grandi progetti di ingegneria dell’automazione.Professionalmente ho ancora molto da imparare, ma se penso a come ero quattro anni fa mi rendo conto che sono cresciuta tantissimo. Mi piacerebbe continuare a lavorare in automazione industriale, focalizzandomi sulla parte logica di funzionamento degli impianti. Nel settore dell’automazione tutto evolve continuamente e molto velocemente e non si può mai smettere di aggiornarsi!Al momento non ho mandato il curriculum all’estero ma non escludo di farlo in futuro. Non ho fretta, però! Mi sono trasferita con la mia famiglia in Australia per due anni all'età di dieci anni: ho imparato l’inglese senza problemi e ho fatto un’esperienza bellissima. Per l’ambiente in cui sono cresciuta faccio fatica a fare una vera distinzione tra Italia ed estero, non vedo praticamente nessuna differenza. Quindi se dovesse capitare l’occasione buona non esiterei a trasferirmi. D’altronde mio fratello lavora a Londra e ho tanti amici che lavorano tra Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, Germania, Francia e Giappone.Credo che il problema principale degli stage oggi in Italia sia principalmente che vengono pagati troppo poco, sminuendo il valore della persona. Ho letto la Carta dei diritti dello Stagista della Repubblica degli Stagisti e, in base alla mia esperienza, sono d’accordo con i vari punti: ma a mio avviso il compenso base indicato è... fin troppo basso! Penso dovrebbe essere molto vicino a quello poi dato con il contratto di lavoro. Uno stage per un laureato a 500 euro non credo sia accettabile per un adulto che dovrebbe mantenersi da solo e, quando ci laureiamo, ormai abbiamo tutti almeno 25 anni. Senza contare, poi, che in alcune città, penso ad esempio Milano, mantenersi anche con mille euro al mese è molto difficile.Ai giovani che si apprestano a entrare nel mondo del lavoro consiglio di cercare un ambiente che gli permetta di crescere, dove si possano vedere sempre cose diverse. Perché più cose si vedono all’inizio, prima si capisce la direzione di carriera da intraprendere.Sono stata fortunata in Bosch e ne ho avuta una nuova prova proprio in questi mesi. A inizio mese sono diventata mamma di una bimba, Amelia, e la notizia della mia gravidanza è stata accolta in azienda con la stessa gioia di una famiglia, anche ai livelli direzionali. Una reazione che rende molto onore al gruppo e che è un bellissimo stimolo per una giovane donna lavoratrice!  Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Erasmus, stage e servizio volontario europeo: noi giovani in cerca della nostra strada

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Francesca Mahmoud Alam.Ho 24 anni e sono della provincia di Grosseto, dove ho svolto la prima parte dei miei studi frequentando il liceo linguistico. Già a 14 anni sognavo infatti di viaggiare per il mondo e al liceo ho avuto modo di studiare l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Le lingue non sono però la sola passione che ho sviluppato alle superiori: ho infatti scoperto anche un forte interesse per il giornalismo ma, non sapendo bene quale decisione prendere per il post-diploma, ho deciso di prendermi un anno di pausa per riflettere bene. Così, tra un viaggio in Brasile e un tentato trasferimento a Edimburgo, ho deciso di andare a vivere a Bologna e iscrivermi lì al corso di laurea in Scienze della comunicazione. Grazie a questa facoltà ho intrapreso i primi passi nel mondo del giornalismo, avendo avuto anche l’opportunità di fare uno stage nella redazione de Il Nuovo Diario Messaggero di Imola. Come quasi tutti gli stage curricolari non prevedeva una indennità, ma l’esperienza è stata davvero utile: il mio compito era infatti quello di scrivere articoli di giornale di ogni tipo, dallo sport alla cultura passando per la cronaca; dovevo poi aggiornare la pagina Facebook, fare interviste e correggere bozze. Durante l’ultimo anno di università ho inoltre vinto la borsa Erasmus per studiare un semestre nella facoltà di giornalismo di Bilbao, una città di cui mi sono innamorata e in cui spero di poter tornare il prima possibile. L’Erasmus è un’esperienza unica, che consiglio, ed anche per questo mi sono sempre tenuta informata anche su tutte le altre opportunità Erasmus+, tra cui il Servizio volontario europeo. Ero arrivata a giugno del mio ultimo anno di università e, mancandomi solo un esame, ho iniziato a pensare al mio futuro dopo la laurea. Aprendo la pagina web dell’associazione Porta Nuova Europa ho deciso così di chiedere qualche consiglio riguardo i progetti Sve contattando la coordinatrice, Filomena Fadda, la quale ha subito risposto alla mia mail consigliandomi un progetto di comunicazione in Spagna, a Valencia. Il progetto sembrava perfetto per me, quindi non ci ho pensato due volte. Mi sono candidata subito e, dopo un colloquio Skype con la responsabile dell’associazione ospitante Dasyc, ho ricevuto la comunicazione sperata: ero stata selezionata. Sono arrivata a Valencia il primo ottobre, dove ho trovato ad attendermi in aeroporto il responsabile dell’associazione incaricato di facilitare l’arrivo dei volontari fornendo informazioni sulla città, sugli eventi nelle vicinanze, ma anche sulla cultura del paese in cui si va a svolgere lo Sve. Dopo questo piccolo “assaggio” sono però dovuta tornare subito a Bologna per discutere la tesi di laurea, ritornando stabilmente a Valencia a fine novembre. Vivevo nel quartiere di Benimaclet (secondo me il migliore della città) insieme a tre studenti spagnoli, grazie ai quali il mio spagnolo è migliorato tantissimo e in poco tempo. Devo dire che all’inizio ho avuto qualche difficoltà, perché mi sentivo sola in una città che non conoscevo per niente. Ma poi, pian piano, ho iniziato ad abituarmi e a farmi degli amici che sono diventati col tempo quasi una seconda famiglia. La mia associazione ospitante si occupava di combattere l’esclusione sociale e il mio progetto prevedeva varie attività in questa direzione: sono stata infatti per dieci mesi una “professoressa” di informatica base per anziani, ma anche – nel pomeriggio –  volontaria in una scuola che ha come obiettivo quello di garantire una formazione anche ai bambini provenienti da famiglie che versano in una difficile condizione economica. Il mio compito a scuola era quello di aiutare nell’organizzazione di attività formative quali per esempio l’insegnamento della lingua inglese e vari giochi e attività dopo la mensa. In ufficio aiutavo invece la responsabile della comunicazione realizzando foto, video e organizzando eventi.Lo Sve è stato quindi formativo sotto tanti punti di vista, anche se insegnare a scuola è stato inizialmente difficile: non riuscivo a trovare il giusto approccio con i bambini e questo mi ha portata ad avere per un periodo un atteggiamento negativo. Confrontarmi con i miei colleghi e con chi aveva più esperienza di me mi ha però aiutata a superare l’iniziale difficoltà. Determinante nel ritrovare la giusta carica e il giusto stimolo è stato anche il secondo corso di formazione: lo Sve prevede infatti un corso di formazione iniziale, prima che il progetto inizi, e uno intermedio, a metà del percorso, grazie al quale sono riuscita a riflettere molto sul mio progetto e sulle motivazioni che mi avevano spinta a partire. Dal punto di vista economico non ho avuto problemi: Valencia è una città di per sé molto economica e il progetto copriva sia le spese di vitto e alloggio che quelle sanitarie e di viaggio. Ho ricevuto inoltre un pocket money mensile di 105 euro che mi ha permesso di togliermi qualche sfizio, anche se i viaggi che ho fatto me li sono potuti permettere grazie soprattutto ai risparmi che avevo da parte. L’esperienza Sve è stata tra le migliori che abbia fatto finora nella mia vita. È veramente un viaggio incredibile, grazie al quale vieni completamente catapultato in un diverso contesto, vivendone tutti gli aspetti. Hai l’opportunità di conoscere un posto nuovo, di far parte di una nuova comunità imparando a conoscerne la cultura e le tradizioni. A tutto questo si aggiungono poi la possibilità di approfondire la conoscenza di un’altra lingua e di conoscere tantissime persone. Io, grazie allo Sve, ho imparato a conoscere meglio me stessa ma anche ad ascoltare gli altri, guardando le cose con altri occhi e sotto nuovi punti di vista. E poi, chi lo avrebbe mai detto che sono un’ottima professoressa di informatica? Ho messo in pratica alcune conoscenze frutto dell’università ma ne ho anche acquisite molte nuove. Non ho solo “imparato” a insegnare, ma sono anche migliorata nel fare foto e video, anche se la strada da fare per diventare davvero bravi in questo campo è lunga. Le soddisfazioni che ho avuto durante questo percorso sono sicuramente la conferma che ne è valsa la pena. Finito lo Sve sono tornata in Italia e, dopo aver lavorato un po’ nel mese di agosto, adesso mi sono trasferita a Roma per iniziare la specialistica in Media, comunicazione digitale e giornalismo, così da proseguire il percorso che ho iniziato e mettere a frutto le nuove conoscenze acquisite durante lo Sve. Il mio consiglio è infatti quello di farlo e di viverlo a pieno, dando il cento per cento. È un’occasione importante, unica, e va sfruttata fino in fondo. Testo raccolto da Giada Scotto

"In Italia il giornalismo è rimasto al secolo scorso"

Sono aperte le iscrizioni per i Master of Science (MS) e i Master of Arts (MA) della Columbia Journalism School, tra i percorsi più ambiti per giovani giornalisti e aspiranti tali. Le deadline sono il 15 dicembre e il 9 gennaio. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Vittoria Traverso, 29 anni, ex allieva del Master of Arts.Sono nata a Torino. A 18 anni mi sono trasferita in Inghilterra per studiare Geografia al King’s College di Londra. Geografia come la intendono gli anglosassoni, ovvero un percorso multidisciplinare incentrato sul rapporto uomo-ambiente. Mi sono specializzata in sviluppo sostenibile con una tesi sulla gestione dei rifiuti nelle megalopoli asiatiche, nello specifico Manila, la capitale delle Filippine. Dopo la laurea ho fatto uno stage in Ghana lavorando per Aurora African Business Network, una ong che si occupa di formare donne nel settore agro-alimentare locale. Ho poi fatto un master alla London School of Economics con uno stage all’ Asian Development Bank, sempre a Manila, questa volta occupandomi di trasporti sostenibili. Dopo lo stage all’Adb ho lavorato per la think tank – in italiano forse diremmo “centro studi” – di Accenture a Londra, un team internazionale che svolge attività di ricerca su macro-trend globali come l’impatto della tecnologia, il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione. Dopo due anni ho deciso di tentare il salto verso il giornalismo, con uno stage per la redazione America 24 di New York, nell'ufficio americano del Gruppo 24 Ore, seguito da un’altra breve esperienza di stage al Financial Times di Londra. Ho quindi deciso di fare domanda per il master di giornalismo della Columbia e nel frattempo ho lavorato come ricercatrice per una società internazionale di service design, Experientia.Il Master of Arts si svolge in nove mesi e si articola in tre componenti: seminari, corsi esterni e corsi pratici. I seminari si svolgono due volte a settimana e trattano un tema specifico, ad esempio l’origine dello stato-nazione in Occidente, che viene affrontato con intense letture preparatorie tratte da varie fonti-testi accademici, articoli giornalistici, documentari. Spesso vengono invitati esperti del settore per rispondere alle domande degli studenti. Come corsi esterni, al di fuori del dipartimento di giornalismo, io ho seguito Religione, Filosofia e Architettura. Infine, c’è la parte pratica ovvero i corsi di skills, come l’utilizzo dei dati o di materiale accademico e la produzione di articoli, inclusa una tesi di laurea che viene preparata da ogni studente con la collaborazione di un supervisore della facoltà in una modalità che dovrebbe ricreare il rapporto reporter-redattore. Tra i workshop ci sono anche quelli dedicati alla professione del freelance, dove giornalisti freelance affermati rispondono alle domande degli allievi. L’idea della scuola è proprio quella di creare professionisti formati da professionisti già inseriti nel settore. Si insegna come va contattato un redattore, come presentare un’idea per un pezzo - il pitch - e come negoziare un compenso.Consiglierei il Master of Arts della Columbia per tanti motivi. Ho avuto l’occasione di confrontarmi con professori che sono esperti mondiali nelle rispettive discipline e che hanno saputo trasmettermi in poco tempo una mole di conoscenza che non avrei mai potuto acquisire solo attraverso i libri. Ciò che rende unico il master è infatti proprio l’accesso alle facoltà dell’intera università. Ed è rarissimo che un professore si neghi a uno studente per una chiacchierata, una “visita” in aula mentre fa lezione o un’intervista. Inoltre alla Columbia ho imparato che non una parola può essere pubblicata se non è prima stato fatto un meticoloso lavoro di  fact-checking, ovvero di verifica delle fonti. Ed è raro che venga pubblicato un articolo senza avere fonti primarie, cioè qualcuno che abbia parlato direttamente con il reporter. In Italia, invece, abbondano articoli frutto di copia-incolla da altre testate, spesso straniere.Al momento lavoro come editorial fellow per una testata digitale, Atlas Obscura, con un contratto di sei mesi. Il lavoro si svolge prevalentemente dalla redazione, mediante email, telefono. Se si lavora su temi newyorchesi, anche fuori dalla redazione. Non so quali saranno i miei prossimi passi, ma in un futuro non troppo lontano spero di poter riuscire a creare e veder crescere un mio progetto personale. Dove mi immagino nel futuro? A breve termine, sicuramente lontano dall’Italia. La speranza è quella di cercare di sviluppare contatti e conoscenze nel mondo dei media/giornalismo anglosassone. Un mercato che, se pure in crisi, è più dinamico di quello italiano.Ad oggi le maggiori testate italiane vengono gestite come organizzazioni del secolo scorso, sia come modello di business che come scelte tematiche. Si parla tantissimo di politica italiana, pochissimo di temi che sono già importanti e saranno fondamentali in un futuro prossimo venturo, come l’intelligenza artificiale, il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione occidentale e le migrazioni.Negli Stati Uniti esiste una lunga tradizione di long-form journalism, articoli lunghi con uno stile narrativo più simile alla letteratura che al giornalismo, che trattano di temi complessi senza cercare di semplificare ma anzi addentrandosi nelle complessità con una combinazione di interviste a esperti, persone coinvolte in prima persona, testi scientifici. Da qualche anno, inoltre, in America è in atto un “rinascimento della radio”, grazie alla grandissima popolarità dei podcast, programmi radio che possono esser ascoltati online. Anche qui è valorizzata la capacita di affrontare temi complessi in modi che spesso le news non riescono a fare. Qualche titolo tra i più famosi: This American Life, Radiolab, Planet Money, Freakonomics, The Hidden Brain, Revisionist History.Un’ulteriore differenza tra il giornalismo americano e quello italiano è l’apertura al cambiamento, sia in termini di mezzi, come il digitale, che a livello di contenuti. Ovviamente l’avvento del digitale ha messo in crisi il settore anche qui, ma c'è stata la capacita di reagire e aprirsi a nuove strade. Ad esempio, nel 2012 la Columbia ha aperto il Brown Institute for Media Innovation, centro dedicato all’innovazione nel mondo dei media in collaborazione con Stanford, che ogni anno finanzia progetti di studenti che vogliono esplorare un tema con metodi innovativi come la realtà virtuale o i big data.Altra enorme differenza, la presenza di donne e giovani in questo settore. Nella mia redazione siamo prevalentemente donne con meno di 40 anni. Ovviamente c’è ancora molta strada da fare per quanto riguarda la diversità etnica, ma è sicuramente un tema che molte redazioni stanno cercando di affrontare. In Italia il mondo dell’informazione è in mano a uomini di sessant’anni e soprattutto, la diversità è un concetto che non viene discusso.Testo raccolto da Rossella Nocca 

«Ero alla ricerca di nuovi stimoli, in Belgio con lo Sve ho abbandonato la mia comfort zone»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Fabiola Carella. Ho 24 anni, sono marchigiana e, se dovessi descrivermi, direi che ho sempre avuto una particolare passione per le lingue e l’«internazionalità» che sto, pian piano, cercando di sviluppare. Mi piacerebbe infatti lavorare nel settore del marketing internazionale e, per questo motivo, ho appena iniziato un master in brand management con cui spero di approfondire le mie competenze teoriche e pratiche nel settore per poter, in futuro, coordinare un progetto tutto mio collaborando con persone di differenti nazionalità. Ma il mio interesse per l’interculturalità viene da più lontano: già al momento di scegliere l’università mi sono infatti indirizzata verso il corso di studi in Lingue, mercati e culture dell’Asia dell’università di Bologna, dove ho avuto l’opportunità di studiare il cinese e di approfondire la conoscenza di inglese e portoghese. Durante e dopo l’università ho fatto varie esperienze di studio e lavoro all’estero, a cominciare dall’Erasmus di un anno in Irlanda, presso l’università di Cork, per passare poi, dopo uno stage di tre mesi – senza rimborso spese purtroppo! – presso una catena alberghiera di Bologna, allo Sve in Belgio, che ho deciso di intraprendere non appena conclusa la triennale. Volevo mettermi in gioco con un’esperienza all’estero che andasse oltre lo studio universitario e, dopo essermi informata tramite internet e amici che lo avevano già fatto, ho inviato la candidatura per un progetto che aveva come sending organization la Joint di Milano e come hosting organization la Afs belgium flanders. Appena saputo di esser stata accettata, sono partita per questa nuova avventura che si sarebbe svolta in una piccola cittadina a quindici minuti da Anversa, la capitale delle Fiandre. Dopo aver passato i primi cinque giorni in ostello a Bruxelles per svolgere un training e una serie di workshop preparatori insieme agli altri volontari, sono stata ospitata da una famiglia composta da madre, padre e tre bambini, con cui, nonostante le prime difficoltà di adattamento, posso dire di non aver mai avuto problemi, essendo stata accolta come parte integrante del nucleo familiare. L’idea di ospitarmi, come mi hanno raccontato loro stessi, è venuta dai genitori, i quali volevano offrire ai loro figli la possibilità di sperimentare la convivenza con una persona proveniente da un altro contesto socio-culturale, così da spronarli a fare lo stesso tipo di esperienza una volta raggiunta la giusta età; ma la decisione finale è stata approvata da tutta la famiglia prima di essere, per così dire, “ufficializzata”.Il mio Sve prevedeva un lavoro di supervisione delle attività didattiche e ricreative dei bambini di un asilo di una scuola steineriana, grazie al quale ho avuto la possibilità di conoscere le modalità attraverso cui questo approccio pedagogico viene applicato formalmente in ambito scolastico. La più grande barriera che ho incontrato inizialmente è stata quella linguistica, che sono tuttavia riuscita a superare nel corso dei primi due mesi grazie all’ausilio di una piattaforma di studio online e all’aiuto della famiglia. Tornando indietro, però, inizierei lo studio dell’olandese già prima di partire. Devo dire che anche adattarsi alla vita in famiglia non è stato facile: mi mancavano i miei spazi e, in alcuni casi, avrei preferito risolvere alcune questioni in maniera autonoma piuttosto che con l’intervento della famiglia stessa. Tuttavia ho sempre avuto la fortuna di potermi confrontare con gli altri volontari e con la mia hosting organization, che ha cercato di offrirci tutta l’assistenza necessaria al proseguimento di quest’esperienza con motivazione e costanza. Per quanto riguarda l’aspetto economico ho ottenuto, pur avendo anticipato tutte le spese, il rimborso sia dei costi di viaggio che di quelli di trasporto – da e per il lavoro – mentre non ho avuto contributi extra per il vitto e per l’alloggio in quanto erano in famiglia. Ho percepito poi un pocket money mensile di 110 euro con il quale sono riuscita a viaggiare, visitare musei e partecipare a diverse attività ricreative che mi hanno permesso di scoprire qualcosa in più sulla cultura del posto, a cui si sono aggiunti le giornate e i weekend in vari località delle Fiandre organizzati dalla mia hosting organization al fine di favorire le relazioni tra i volontari e seguire in maniera diretta le nostre esperienze. Per questo mi sento di dire che, con il contributo economico che si riceve, è assolutamente possibile mantenersi anche se, personalmente, ho utilizzato anche parte dei miei risparmi. Una volta terminato lo Sve ho deciso di rimanere all’estero, avendo trovato molto facilmente un impiego in Olanda come assistente agli acquisti per un’azienda locale che importa dall’Italia. Non era un lavoro che aveva molto in comune con la mia esperienza Sve, ma volevo cogliere l’occasione per approfondire la conoscenza della lingua e della cultura olandese, fare un’esperienza lavorativa remunerata e mettermi ulteriormente in gioco in un diverso contesto socio-culturale. Inizialmente mi è stato fatto un contratto di quattro mesi, poi prorogato per altri sei mesi, al termine dei quali ho però deciso di lasciare perché, sebbene mi fossero affidati progetti da seguire in maniera autonoma e ricevessi una retribuzione tale da potermi permettere una totale indipendenza economica, non vedevo molte possibilità di crescita all’interno dell’azienda e ciò si è tradotto in mancanza di motivazione. Per questo ho scelto di tornare in Italia e svolgere qui il master in brand management grazie anche ai soldi che ero riuscita a mettere da parte durante i dieci mesi in Olanda. Lì, contrariamente a quanto accade in Italia, i giovani sono spinti dai genitori e dal governo a rendersi economicamente autonomi il prima possibile: ogni studente lavora nel weekend e di sera e vi sono anche incentivi che permettono, a chi non supera un certo reddito, di pagare l’affitto, le tasse universitarie e l’assicurazione sanitaria. Anche gli stage, poi, prevedono quasi tutti un compenso.Se l’esperienza in Olanda mi ha dunque dato tanto, la stessa cosa vale per lo Sve, grazie al quale ho sviluppato una serie di competenze che non avrei altrimenti mai acquisito con tale velocità: in primis la capacità di adattamento che deriva dall’abbandonare la propria comfort zone e l’imparare a coltivare passioni e interessi che non avevo mai avuto modo di approfondire per mancanza di tempo o perché troppo presa dal raggiungere obiettivi di studio e lavoro. Inoltre ho potuto confrontarmi a 360 gradi con una cultura e un ambiente sociale, lavorativo e familiare diversi e stimolanti sia dal punto di vista personale che da quello professionale.Partire alla ricerca di nuovi stimoli è infatti proprio una delle ragioni per cui vale la pena fare uno Sve, indipendentemente dal fatto che questo rientri o meno nella propria area di competenze. Quello che consiglio è di abbandonare la concezione del “lavorare per essere pagati” o per “conseguire esperienze tali da fare curriculum” e concentrarsi su se stessi per approfondire nuovi interessi, sviluppare nuove capacità e conoscere differenti culture con cui potersi confrontare attivamente.Testo raccolto da Giada Scotto