«Lo Sve è anche un modo per migliorare le lingue, io ho perfezionato l'inglese e imparato l'olandese»

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 09 Ott 2017 in Storie

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La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Fabiana Castellino.

Ho 27 anni e sono nata e cresciuta a Ragusa, in Sicilia, dove ho frequentato il liceo classico. Ho sempre curato molto la lettura e mi sono avvicinata, come “autodidatta”, alla letteratura e alla filosofia, che ho scelto poi di studiare anche all’università. A 19 anni mi sono infatti trasferita a Roma per studiare filosofia all’università di Roma Tre, dove mi sono laureata alla magistrale con il massimo dei voti.

Dopo la laurea ho provato ad accedere a un programma di dottorato e, nel frattempo, ho lavorato con bambini autistici, imparando le tecniche base di comunicazione ed educazione fondamentali per la loro formazione. Questo lavoro si è rivelato per me un’occasione di crescita personale prima ancora che professionale, anche perché ho avuto la fortuna di incontrare persone con cui ho legato molto anche al di là del rapporto lavorativo.

Dopo un anno ho deciso però di trasferirmi all’estero attraverso un’esperienza Sve, programma conosciuto attraverso il sito di Carriere internazionali proprio in un momento in cui ero interessata a dare una svolta alla mia vita e a crescere ulteriormente grazie a un’esperienza interculturale.

Ho così cercato un’associazione che mi aiutasse nella ricerca del progetto a me più vicino e ho trovato Porta nuova Europa, di Pavia, che mi ha inviato un depliant con vari progetti e un’application dove ho risposto a varie domande che sono state state poi inviate ai responsabili dei progetti per cui io avevo espresso una preferenza. Dopo pochi giorni dall’invio della domanda ho saputo di esser stata presa dalla scuola che avevo segnalato come prima scelta, la Steiner school di Lier, in Belgio. Mentre la mia sending organization era appunto Porta nuova Europa, l’hosting organization in Belgio era Afs interculturele.

Ho lavorato quindi per sei mesi in Belgio, nelle Fiandre, in una scuola steineriana, ovvero una scuola alternativa fondata sul pensiero filosofico di Rudolf Steiner. Il mio compito era quello di supportare le insegnanti di due classi con bambini di età compresa tra i 3 e i 7 anni mediante un lavoro più che altro materiale, che prevedeva di fare attenzione ai bambini durante le gite e preparare loro il pranzo. Devo dire che mi è stata fatta molta pressione per imparare la lingua, in questo caso l’olandese, e il lavoro è stato duro e spesso non molto soddisfacente dato che il mio compito era soltanto pratico-organizzativo e non mi ha concesso quindi di ottenere il tipo di formazione in cui avevo sperato.

Per quanto riguarda l’alloggio, sono stata ospitata dalla famiglia di una bambina che frequentava una delle classi in cui ho svolto lo Sve, e questo mi ha permesso di conoscere a fondo la cultura locale e d’imparare più velocemente la lingua. Dal punto di vista economico, invece, lo Sve mi ha garantito un pocket money di 110 euro mensili, oltre alla totale copertura di vitto e alloggio e a un rimborso spese che copriva il tragitto casa-lavoro. In questo modo il volontario ha di certo una preoccupazione in meno; tuttavia non si deve pensare a un vero stipendio, quanto appunto ad un rimborso, ed è meglio per questo stare comunque attenti alle spese e partire, se possibile, con un piccolo gruzzolo messo da parte. Se si fa attenzione, si riesce a raggiungere comunque un certo livello di indipendenza.

Ammetto che all’inizio è stata molto dura, in primis perché ci si trova di fronte alla barriera linguistica e, quindi, ad un inevitabile isolamento, che può essere però, in ogni caso, perfettamente superato. L’atteggiamento dei fiamminghi non è di immediata apertura al “diverso”, e ci è voluto del tempo per conquistare la loro fiducia. Sono persone molto indipendenti e il loro approccio all’altro è più freddo rispetto a quello degli italiani. Tuttavia, col passare del tempo, alcuni di loro si sono rivelati dei grandi amici.

Ciò che mi sento di consigliare, sulla base della mia esperienza, è di lottare per un progetto che sia all’altezza delle proprie aspirazioni.
La scuola in cui ho lavorato aveva solo bisogno di un assistente e non mi ha dato la formazione che speravo, ma ci sono molti progetti in cui i volontari sono formati ed educati, e possono anche proseguire il cammino. Mi sento quindi di dire che un’oculata scelta del progetto deve anche essere accompagnata, come tutto del resto, da una certa dose di fortuna.

Nonostante le difficoltà, ci sono tanti aspetti che ritengo particolarmente positivi di questa esperienza. Per prima cosa un programma all’estero rafforza lo spirito e il carattere e dà la possibilità di viaggiare, conoscere un paese e gente da tutto il mondo. Inoltre ha un alto potenziale formativo dal punto di vista linguistico e io consiglio proprio di non farselo scappare. In Belgio ho usato soprattutto l’inglese ma ho anche imparato l’olandese. Non bisogna infatti lasciarsi scoraggiare da una lingua poco comune: è la chiave per rendere il proprio Sve più interessante ed entrare a contatto con la gente del posto. È una sfida da cogliere e superare.

Sono tornata in Italia da poco e non ho ancora le idee chiare sul futuro, perché non c’è un settore in particolare nel quale vorrei lavorare. Sono ancora in cerca della mia vocazione ma, dato il percorso fatto, ho di certo intenzione di approfondire l’ambito dell’educazione. Lo Sve mi ha dato sicuramente lo slancio per cogliere nuove sfide in nuovi posti e seguirò quindi le nuove idee che sopraggiungeranno solo grazie a quest’esperienza. Per questo voglio dire ai giovani di non aver timore e provare. Uno Sve vi renderà più forti, più capaci nonostante le difficoltà e vi regalerà sorprese che non potete immaginare finché non vi lanciate.

Testo raccolto da Giada Scotto

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