Rossella Nocca
Scritto il 07 Nov 2017 in Storie
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Sono aperte le iscrizioni per i Master of Science (MS) e i Master of Arts (MA) della Columbia Journalism School, tra i percorsi più ambiti per giovani giornalisti e aspiranti tali. Le deadline sono il 15 dicembre e il 9 gennaio. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Vittoria Traverso, 29 anni, ex allieva del Master of Arts.
Sono nata a Torino. A 18 anni mi sono trasferita in Inghilterra per studiare Geografia al King’s College di Londra. Geografia come la intendono gli anglosassoni, ovvero un percorso multidisciplinare incentrato sul rapporto uomo-ambiente. Mi sono specializzata in sviluppo sostenibile con una tesi sulla gestione dei rifiuti nelle megalopoli asiatiche, nello specifico Manila, la capitale delle Filippine.
Dopo la laurea ho fatto uno stage in Ghana lavorando per Aurora African Business Network, una ong che si occupa di formare donne nel settore agro-alimentare locale. Ho poi fatto un master alla London School of Economics con uno stage all’ Asian Development Bank, sempre a Manila, questa volta occupandomi di trasporti sostenibili.
Dopo lo stage all’Adb ho lavorato per la think tank – in italiano forse diremmo “centro studi” – di Accenture a Londra, un team internazionale che svolge attività di ricerca su macro-trend globali come l’impatto della tecnologia, il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione. Dopo due anni ho deciso di tentare il salto verso il giornalismo, con uno stage per la redazione America 24 di New York, nell'ufficio americano del Gruppo 24 Ore, seguito da un’altra breve esperienza di stage al Financial Times di Londra. Ho quindi deciso di fare domanda per il master di giornalismo della Columbia e nel frattempo ho lavorato come ricercatrice per una società internazionale di service design, Experientia.
Il Master of Arts si svolge in nove mesi e si articola in tre componenti: seminari, corsi esterni e corsi pratici. I seminari si svolgono due volte a settimana e trattano un tema specifico, ad esempio l’origine dello stato-nazione in Occidente, che viene affrontato con intense letture preparatorie tratte da varie fonti-testi accademici, articoli giornalistici, documentari. Spesso vengono invitati esperti del settore per rispondere alle domande degli studenti. Come corsi esterni, al di fuori del dipartimento di giornalismo, io ho seguito Religione, Filosofia e Architettura. Infine, c’è la parte pratica ovvero i corsi di skills, come l’utilizzo dei dati o di materiale accademico e la produzione di articoli, inclusa una tesi di laurea che viene preparata da ogni studente con la collaborazione di un supervisore della facoltà in una modalità che dovrebbe ricreare il rapporto reporter-redattore. Tra i workshop ci sono anche quelli dedicati alla professione del freelance, dove giornalisti freelance affermati rispondono alle domande degli allievi. L’idea della scuola è proprio quella di creare professionisti formati da professionisti già inseriti nel settore. Si insegna come va contattato un redattore, come presentare un’idea per un pezzo - il pitch - e come negoziare un compenso.
Consiglierei il Master of Arts della Columbia per tanti motivi. Ho avuto l’occasione di confrontarmi con professori che sono esperti mondiali nelle rispettive discipline e che hanno saputo trasmettermi in poco tempo una mole di conoscenza che non avrei mai potuto acquisire solo attraverso i libri. Ciò che rende unico il master è infatti proprio l’accesso alle facoltà dell’intera università. Ed è rarissimo che un professore si neghi a uno studente per una chiacchierata, una “visita” in aula mentre fa lezione o un’intervista.
Inoltre alla Columbia ho imparato che non una parola può essere pubblicata se non è prima stato fatto un meticoloso lavoro di fact-checking, ovvero di verifica delle fonti. Ed è raro che venga pubblicato un articolo senza avere fonti primarie, cioè qualcuno che abbia parlato direttamente con il reporter. In Italia, invece, abbondano articoli frutto di copia-incolla da altre testate, spesso straniere.
Al momento lavoro come editorial fellow per una testata digitale, Atlas Obscura, con un contratto di sei mesi. Il lavoro si svolge prevalentemente dalla redazione, mediante email, telefono. Se si lavora su temi newyorchesi, anche fuori dalla redazione. Non so quali saranno i miei prossimi passi, ma in un futuro non troppo lontano spero di poter riuscire a creare e veder crescere un mio progetto personale. Dove mi immagino nel futuro? A breve termine, sicuramente lontano dall’Italia. La speranza è quella di cercare di sviluppare contatti e conoscenze nel mondo dei media/giornalismo anglosassone. Un mercato che, se pure in crisi, è più dinamico di quello italiano.
Ad oggi le maggiori testate italiane vengono gestite come organizzazioni del secolo scorso, sia come modello di business che come scelte tematiche. Si parla tantissimo di politica italiana, pochissimo di temi che sono già importanti e saranno fondamentali in un futuro prossimo venturo, come l’intelligenza artificiale, il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione occidentale e le migrazioni.
Negli Stati Uniti esiste una lunga tradizione di long-form journalism, articoli lunghi con uno stile narrativo più simile alla letteratura che al giornalismo, che trattano di temi complessi senza cercare di semplificare ma anzi addentrandosi nelle complessità con una combinazione di interviste a esperti, persone coinvolte in prima persona, testi scientifici. Da qualche anno, inoltre, in America è in atto un “rinascimento della radio”, grazie alla grandissima popolarità dei podcast, programmi radio che possono esser ascoltati online. Anche qui è valorizzata la capacita di affrontare temi complessi in modi che spesso le news non riescono a fare. Qualche titolo tra i più famosi: This American Life, Radiolab, Planet Money, Freakonomics, The Hidden Brain, Revisionist History.
Un’ulteriore differenza tra il giornalismo americano e quello italiano è l’apertura al cambiamento, sia in termini di mezzi, come il digitale, che a livello di contenuti. Ovviamente l’avvento del digitale ha messo in crisi il settore anche qui, ma c'è stata la capacita di reagire e aprirsi a nuove strade. Ad esempio, nel 2012 la Columbia ha aperto il Brown Institute for Media Innovation, centro dedicato all’innovazione nel mondo dei media in collaborazione con Stanford, che ogni anno finanzia progetti di studenti che vogliono esplorare un tema con metodi innovativi come la realtà virtuale o i big data.
Altra enorme differenza, la presenza di donne e giovani in questo settore. Nella mia redazione siamo prevalentemente donne con meno di 40 anni. Ovviamente c’è ancora molta strada da fare per quanto riguarda la diversità etnica, ma è sicuramente un tema che molte redazioni stanno cercando di affrontare. In Italia il mondo dell’informazione è in mano a uomini di sessant’anni e soprattutto, la diversità è un concetto che non viene discusso.
Testo raccolto da Rossella Nocca
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