Categoria: Storie

«Un'esperienza arricchente», Francesca racconta il suo stage alla Corte di giustizia europea

La Corte di Giustizia dell'Unione europea offre ogni anno una cinquantina di posti per tirocinanti europei laureati in giurisprudenza o scienze politiche, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 15 settembre, e verrà selezionato, è previsto per marzo 2018. Francesca De Grazia, 26 anni, ha partecipato al progetto quest’anno e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Lussemburgo.Sono nata a Fiesole, in provincia di Firenze, dove ho preso la laurea magistrale in giurisprudenza italo-francese nel dicembre del 2016. È un programma organizzato dalle università di Firenze e Paris 1 Panthéon-Sorbonne che permette di ottenere, dopo cinque anni di studi, sia la laurea in giurisprudenza italiana che la Maitrise en Droit francese, consentendo l’accesso alle professioni legali in entrambi i paesi. Ogni anno cinquanta studenti vi accedono dopo un test di ammissione: venticinque selezionati dall’università italiana e altrettanti da quella francese, ma quando mi sono iscritta, nel 2011 erano solo quindici per ateneo. Il corso prevede la frequenza con relativi esami dei primi due anni a Firenze, del terzo e quarto anno a Parigi e per il quinto anno un primo semestre di lezioni a Parigi e un secondo dedicato alla redazione della tesi di laurea in Italia.Avevo studiato il francese al liceo linguistico Machiavelli Capponi che, tramite l’accordo bilaterale tra Francia e Italia Esabac, rilascia un doppio diploma – la maturità italiana e il Baccalaureat francese – permettendo l’accesso diretto all’università in entrambi i Paesi. Opzione concretizzatasi con questo corso di laurea. Oggi sono molto soddisfatta della scelta: ho approfondito cultura e metodi universitari stranieri, perfezionato il francese, acquisito apertura ed elasticità mentali stimolando la mia curiosità.Il primo stage che ho fatto è stato un curriculare estivo di due mesi, da metà giugno a metà agosto del 2015, al Tribunale di Sorveglianza di Firenze: un tirocinio obbligatorio del corso di laurea. Avevo trovato l’avviso nella sezione degli annunci di tirocinio del sito dell’ateneo. Non ricevevo alcun rimborso spese, ma l’esperienza è stata formativa e interessante: mi ha permesso di acquisire una conoscenza completa del diritto penitenziario e dell’esecuzione penale.Nel 2014 e 2015, durante l’anno accademico, ho fatto del volontariato a Parigi in un carcere tramite l’associazione francese Genepi, offrendo lezioni di italiano una volta alla settimana ad alcuni detenuti della prigione di Fresnes.Poi nel settembre del 2016, mentre finivo di scrivere la tesi dedicata alla mediazione penale, ho iniziato un master annuale all’université Paris 1 – Pantheon – Sorbonne in diritto penale. Non avevo una borsa di studio, ma era un master pubblico e in Francia le tasse universitarie, anche per i master, sono molto basse: ho pagato meno di 400 euro. Ho approfondito aspetti del diritto penale grazie a materie che non avevo potuto studiare durante la laurea magistrale – e credo sia stato determinante per la mia selezione, il mese seguente, per uno stage alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, in Olanda.Ormai mi ero appassionata alla dimensione sovranazionale del diritto penale e consultando il sito della Corte penale internazionale avevo scoperto questi tirocini. Così ho presentato la mia candidatura e sono stata selezionata per uno stage di sei mesi, da settembre 2017 a marzo di quest’anno, nell’ufficio del direttore della divisione dei servizi giudiziari, nella cancelleria della Corte. L’ufficio fornisce servizi amministrativi e supporto giuridico agli organi giudiziari e coordina varie sezioni. Ho collaborato con tutte quelle interne, lavorando con persone provenienti da tutto il mondo. Purtroppo non avevo un rimborso spese – quindi, ancora una volta, ho dovuto contare solo sui miei genitori. Ma il sacrificio economico è stato indubbiamente ripagato dall’esperienza, estremamente positiva sia dal punto di vista dei rapporti umani con stagisti, colleghi e tutor, sia per la varietà e l’importanza delle mansioni affidate. Ho, però, concluso lo stage con un mese di anticipo perché, dopo aver fatto domanda per la prima sessione del 2018, mi è stato offerto un tirocinio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che non potevo proprio rifiutare! Non solo perché finalmente era previsto un rimborso spese, ma anche per l’occasione unica che mi veniva offerta.I colleghi e superiori della Corte all’Aja, con cui si era creato un ottimo rapporto, mi hanno suggerito di fare domanda per eventuali posizioni lavorative che si apriranno in futuro: ma sono sempre meno. Una volta, invece, era molto più frequente vedersi offrire un’assunzione post stage. Poi l’istituzione tende a mantenere una rappresentazione geografica del personale equilibrata assumendo in egual numero persone dai vari Stati membri: ultimamente per l’Italia c’è una sovra rappresentazione, e dunque ridotte possibilità di nuove assunzioni.Un paio di anni fa avevo scoperto i tirocini presso la Corte di giustizia e questo, infatti, era già il mio terzo tentativo di candidatura. Due mesi dopo ho ricevuto una proposta per un tirocinio con rimborso spese dal primo marzo al 31 luglio. Così ho concluso in anticipo lo stage alla Corte penale internazionale per andare in Lussemburgo, visto che i periodi di tirocinio nelle istituzioni europee non sono negoziabili. Ho avuto pochi giorni per organizzare il trasloco perciò ho cercato una sistemazione a distanza, in un appartamento da sola in una zona ben servita dai mezzi pubblici. Non è stata certo la soluzione più economica: il rimborso spese previsto dalla Corte, 1.120 euro mensili, nel mio caso è bastato a malapena a coprire l’affitto, che costava più di mille euro. Anche questa volta, quindi, ho dovuto contare sui miei genitori. Ma so che altri tirocinanti hanno speso meno scegliendo residenze o grandi condivisioni – fino a dieci-venti persone nello stesso appartamento! – o allontanandosi dalla città. Comunque è difficile spendere meno di 600-800 euro, visto che il costo degli affitti in Lussemburgo è molto elevato. Il rimborso spese, poi, non prevede buoni pasto, ma ci è stato fornito un abbonamento ai mezzi pubblici. Sono stata assegnata all’Unità di traduzione italiana presso la Direzione generale del multilinguismo, responsabile della traduzione dei documenti giuridici prodotti. Traducevo i documenti sia dal francese sia dall’inglese. L’inserimento all’interno della Corte di Giustizia è stato ottimo: nelle prime settimane vengono proposte ai tirocinanti attività formative per illustrare il ruolo dei vari servizi ai quali sono assegnati e, nel caso delle unità di traduzione, anche formazioni approfondite per acquisire familiarità con i metodi di lavoro e di ricerca dei giuristi linguisti – un momento particolarmente formativo ma anche un’ottima opportunità per instaurare buoni rapporti sin da subito con altri tirocinanti. Inoltre, il capo dell’Unità di traduzione Italiana e tutti i giuristi linguisti con cui ho lavorato si sono dimostrati gentilissimi e disponibili a dare spiegazioni, rendendo l’ambiente lavorativo davvero molto piacevole. L’ottimo rapporto con i colleghi rende particolarmente formativo questo stage: al tirocinante è assegnato un funzionario giurista linguista per la revisione di ogni documento, e le eventuali correzioni vengono discusse insieme, permettendo di avere continui feedback sul lavoro svolto. Si partecipa attivamente alle attività principali della Direzione del multilinguismo, visto che le traduzioni proposte diventano i documenti ufficiali prodotti dalla Corte. Ho avuto la possibilità di assistere ad alcune udienze e alla pronuncia delle sentenze che avevo tradotto personalmente, rendendomi conto concretamente del ruolo svolto anche da noi stagisti.L’aspetto più interessante è l’esperienza multiculturale e multilingue visto che si lavora quotidianamente con persone provenienti da tutti gli Stati membri. In più venivano proposti ogni settimana dei pranzi linguistici: occasioni per riunirsi a tavola con tirocinanti e funzionari allenando una lingua straniera. Ho partecipato a uno di questi pranzi in spagnolo, un’iniziativa molto interessante! E poi si partecipa attivamente alla costruzione del diritto europeo: lavorando alla traduzione spesso si conoscono in anteprima tutte le evoluzioni della giurisprudenza della Corte.È stata un’esperienza molto formativa: ho approfondito la conoscenza del diritto dell’Unione e del funzionamento della sua principale istituzione giuridica e preso maggiore consapevolezza dell’importanza dell’integrazione europea. Ho stretto profondi rapporti di amicizia con altri tirocinanti anche grazie all’organizzazione di aperitivi settimanali. Lavorando per ogni documento con un revisore diverso, ho conosciuto la maggior parte delle persone che lavorano nell’unità italiana: sono stati tutti molto disponibili nei miei confronti senza mai far percepire la distanza gerarchica. Sono convinta che questa esperienza, come quella all’Aia, abbia permesso di ampliare la mia rete di rapporti personali-professionali facendomi incontrare persone che potranno fornirmi spunti per le mie scelte future.Oggi ho capito che mi piacerebbe lavorare in un’istituzione o organismo giuridico internazionale, magari trovando un lavoro nel settore che più mi appassiona: il rapporto fra il diritto penale e i diritti umani. Per questo sto presentando domande di lavoro sia in Ong che in altre istituzioni internazionali. Ho fatto domanda per un tirocinio alla Corte europea dei diritti dell’uomo e, dopo un colloquio telefonico, sono attualmente in lista d’attesa. Non escludo di conseguire il titolo di avvocato: posso farlo sia in Francia sia in Italia, ma penso che opterò per l’ordinamento francese. Lì ci sono modalità di esame più adeguate, senza tirocini prima dell’esame e con migliori prospettive lavorative.Ora, quindi, non ho un contratto di lavoro: sono tornata a vivere a Firenze con i miei ma probabilmente le domande che sto facendo mi porteranno nuovamente all’estero. Perché ho cercato stage fuori dall’Italia? Per le indennità e il tasso di assunzione post tirocinio troppo bassi qui. Poi, nell’ambito giuridico, si dà un’elevata importanza al voto di laurea anche per stage che non prevedono rimborso spese, come quelli presso la Corte di Cassazione o la Corte Costituzionale, precludendo spesso anche solo la candidatura a chi non rientra in quei requisiti. Mentre all’estero il voto è preso in considerazione solo in un momento successivo.A spingermi a fare domanda per tirocini internazionali hanno contribuito anche le storie della Repubblica degli Stagisti! Penso che conoscere le esperienze altrui sia molto utile. A quanti vogliano svolgere un tirocinio in un’istituzione internazionale io a mia volta consiglio di lavorare sulla conoscenza delle lingue, fare esperienze all’estero, di volontariato o stage, e dare coerenza al proprio percorso, punti che permettono di differenziarsi e arricchire lettere di motivazione e cv su cui si basano le selezioni. Per un tirocinio alla Corte di Giustizia nell’ambito della traduzione giuridica è poi determinante anche la curiosità per il mondo della traduzione, oltre alla conoscenza e all’interesse per il diritto dell’unione europea e per quello comparato.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Il primo curriculum inviato dopo la laurea mi ha portato uno stage e poi un contratto di apprendistato!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Gabriele Colombini, 29 anni, oggi assunto in apprendistato in Nestlé.Ho frequentato il liceo classico a Rimini, la mia città, e poi ho tentato il test di accesso a Medicina. Non l'ho superato, nel contempo però avevo scoperto che all’università di Ferrara partiva un corso di laurea in economia, non specializzato: tre anni per dare una panoramica di tutti gli ambiti economici. L’ho vista come un’opportunità e pensato che avrei visto in seguito su cosa focalizzarmi. Così nel 2008 ho cominciato l’università, con una borsa di studio sui 4mila euro lordi totali, e mi sono laureato nel marzo 2012.Dopo ho scelto la laurea specialistica in marketing e comunicazione all’università di Urbino, dove mi sono iscritto nel 2012 e laureato nel marzo 2015. Non è stato per niente complicato inserirsi nel nuovo ambiente perché era una realtà piccola: in aula eravamo venticinque persone, sembrava di tornare ai banchi di scuola del liceo!Finita l’università sono andato un po' in vacanza prima di cominciare la stagione estiva, come ogni anno. Per dieci anni, infatti, ho lavorato in un camping come front desk receptionist: mi occupavo dell’accoglienza in reception e alla fine ero diventato responsabile a livello organizzativo sia delle persone del front desk sia della gestione delle prenotazioni e del portale web. Lavoravo con dei contratti a tempo determinato da maggio a settembre, con uno stipendio netto di circa 1600 euro al mese.Un lavoro che, in seguito, mi è servito molto in Nestlé: nel campeggio ero a contatto tutti i giorni con persone di tutto il Mondo e saper comunicare con gli altri è una cosa fondamentale qui in azienda. Parlando tutti i giorni in inglese con gli ospiti del camping ho avuto un'ottima base che mi ha permesso fin da subito di lavorare con gli uffici esteri di Nestlé: ho avuto la mia prima call internazionale con la Germania solo quindici giorni dopo l’inizio dello stage! Ho preso la laurea magistrale a marzo, ma avevo finito gli studi a settembre: sei mesi in cui ho scritto la tesi e iniziato a mandare curriculum, anche all’estero. Ho fatto un colloquio in un'azienda con sede in Germania: mi era stato proposto un contratto di stage per quattro mesi, ma il rimborso spese era molto basso così non ho accettato. Avevo mandato un altro curriculum per uno stage di sei mesi in un’agenzia di comunicazione che organizza grandi eventi per il bussiness to bussiness con sede a Toronto, in Canada. Ero molto tentato: ma poi non so, qualcosa mi ha frenato.Dopo la laurea ho fatto di nuovo la stagione estiva, poi vacanza all'estero per due mesi e a dicembre sono tornato alla ricerca di un lavoro. Il primo curriculum che ho inviato è stato in Nestlé e sono stato contattato per il colloquio. La mia ricerca è stata molto breve, devo ammetterlo: sono stato fortunato. Ho scoperto Nestlé grazie a un compagno di università che lì faceva uno stage. Ho mandato la candidatura attraverso il sito dell’azienda dopo Natale e sono stato chiamato per un colloquio i primi dell’anno. Quel colloquio non è andato a buon fine, ma ero piaciuto all’Hr che mi ha proposto un secondo colloquio la settimana dopo, per un altro ruolo. Alla fine sono stato chiamato per cominciare il mio stage di sei mesi dal 1° marzo 2016, come corporate sells di supporto alla rete di sell out, quindi non venditore diretto al cliente ma supporto alla forza vendita sul territorio. Il mio rimborso spese era di 720 euro al mese più alcuni benefit come la mensa e la palestra gratuita per i dipendenti. Mi occupavo della parte della gestione del software che utilizzano per i rilevamenti dei punti vendita, interfacciandomi con circa 130 persone. Avevo un tutor, la line manager nel settore in cui lavoravo, ma essendo un team multifunzionale sono stato poi affiancato dalle due persone dirette allegate al sell out che mi hanno seguito nei primi mesi per rendermi autonomo nel mio lavoro.A dieci giorni dalla fine dello stage mi è stato proposto un contratto di apprendistato di due anni. Poiché durante il mio stage ho seguito un progetto internazionale innovativo, una volta assunto ho continuato a lavorare sullo stesso progetto, solo con più responsabilità. Ho seguito questo progetto fino a febbraio 2018, quando sono entrato nel mondo del sell in: ora sono responsabile della gestione dell'assortimento del business delle pizze Buitoni e di Infant Nutrition.Il mio stage è finito a metà settembre del 2016 e il giorno dopo ho cominciato l’apprendistato: ricordo quel giorno, ero super contento. Mi trovavo bene in azienda ed essere riconfermato è stato un grande riconoscimento. La mia ral annuale oggi è di 32mila euro con alcuni benefit come la palestra, lo sconto sui mezzi pubblici, una serie di agevolazioni per visite sportive e specializzate. E poi abbiamo la possibilità di lavorare da casa e gestire il nostro tempo. Non devo per forza essere puntuale la mattina alle nove: posso entrare prima o dopo e gestire il tempo in base ai miei impegni.Oggi vivo a Milano, città molto grande dove all’inizio è stato difficile ambientarsi. Poi grazie allo sviluppo di nuove amicizie con colleghi di ufficio sono riuscito ad ambientarmi e oggi mi piace vivere qui. Certo vengo da una città di mare e, quindi, d’estate prendo il treno il venerdì pomeriggio e torno in spiaggia per ripartire il lunedì mattina: qualcosa che posso fare grazie anche all’orario flessibile che ho in Nestlé. Però ormai inizio a sentire Milano un po’ la mia città.Venendo da due anni di università in marketing la mia ambizione per i prossimi anni è quella di lavorare nella parte di categoria del business e non solo delle vendite. E magari andare all’estero. Entrando in Nestlé ho detto fin dall’inizio che mi sarebbe piaciuto: d’altronde lavoro per una multinazionale presente in 130 Paesi, e non mi dispiacerebbe un domani avere la possibilità di vedere da vicino un mercato diverso dal nostro.Quando ho mandato il curriculum in Nestlé ho iniziato a fare delle ricerche sull’azienda, per informarmi meglio. E tra i risultati c’era una storia sulla Repubblica degli stagisti, come questa, a un ragazzo che aveva fatto uno stage e poi era stato assunto con un contratto di apprendistato. Proprio in quell’intervista c’erano informazioni utili sul rimborso spese e i benefit e leggendola ho pensato subito che avevo fatto bene a mandare la mia candidatura! Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Ho scoperto il servizio volontario europeo digitando su Google “vivere all’estero senza soldi”, e mi ha cambiato la vita

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Miriana Squillaci.Ho venticinque anni e sono nata nella bellissima Sicilia, dove mi sono diplomata al liceo socio-psicopedagogico col massimo dei voti. Dopo il liceo ho però deciso di non continuare con l’università, vista la mia scarsa fiducia nell’attuale sistema educativo, e di intraprendere l’esperienza che mi ha cambiato la vita: il Servizio volontario europeo. Durante il liceo ho prestato servizio come volontaria in tre associazioni della mia città: il centro di aggregazione popolare Gapa, dove scrivevo per il giornale dell’associazione “I cordai” e facevo animazione per bambini e adolescenti; Talikakum, dove affiancavo le responsabili del centro nella realizzazione di attività per bambini tra i due e i sei anni; e la Croce Rossa, con cui realizzavo attività di animazione in ospedali pediatrici e residenze per anziani. Queste esperienze dal valore professionalizzante mi hanno fatto scoprire la mia passione per l’educazione non formale, verso cui ho deciso di indirizzarmi con e dopo lo Sve. Terminato il liceo volevo infatti mettermi alla prova con un’esperienza all’estero e, non avendo molte possibilità economiche, ho digitato su Google “vivere all’estero senza soldi”, e così ho scoperto questa opportunità. All’inizio mi era sembrata una possibilità troppo bella per esser vera ma poi, conosciuta una volontaria Sve greca che collaborava con la mia associazione d’invio a Catania, ho avuto conferma che quella fosse la mia chance. Ho iniziato a cercare progetti e ho trovato il progetto perfetto, “Volunteering Museum Ro”, che mi avrebbe portata in Romania per un anno. Con l’appoggio della mia associazione d’invio ho scritto la lettera di motivazione e compilato un questionario, e in pochi giorni ho ricevuto l’invito a un colloquio via Skype dall’associazione Actor Nervi. Inglese a parte, il colloquio è andato abbastanza bene e in pochi mesi stavo già preparando la valigia per partire alla volta di Bucarest.L’obiettivo del progetto era promuovere il volontariato nei musei e attrarre il pubblico giovane, partendo dall’idea che non c’è futuro senza memoria. Organizzavamo inoltre attività di animazione negli ospedali pediatrici della città. Inizialmente ho condiviso l’appartamento con quattro ragazze (una italiana, una estone, una spagnola e una tedesca), dopodiché con due ragazze, italiana ed estone, e un ragazzo lituano. Devo dire che, anche se a volte può essere complicato vivere con persone con culture molto diverse dalla tua, questa è stata per me un’esperienza fantastica: ho preso nove chili mangiando pasta e pane fritto con uovo a qualsiasi ora della notte, ospitato persone provenienti da ogni parte del mondo e passato momenti unici.La principale difficoltà che ho incontrato è stata inizialmente la lingua: non parlavo né rumeno né inglese e comunicare con il resto dei volontari è stato difficile per i primi tre mesi. Poi ho imparato che, a differenza di quanto accade a scuola, nessuno giudicava i miei errori: allora ho messo da parte la paura, mi sono buttata e in poco tempo ho imparato entrambe le lingue. Anche dal punto di vista economico non ho avuto problemi, non ho dovuto anticipare nulla né chiedere aiuto alla mia famiglia; i viaggi di andata e ritorno sono stati coperti dalle mie associazioni di invio e accoglienza, così come la spesa per i mezzi di trasporto all’interno della città. Anche l’alloggio era totalmente a carico dell’associazione di accoglienza, che pagava affitto e bollette. In più ho ricevuto ogni mese un pocket money di 160 euro (circa 700 lei in moneta locale): cucinando insieme ai miei coinquilini e programmando tutte le spese sono anche riuscita a comprarmi, prima di ripartire, un computer portatile, dato che sul mio avevo accidentalmente versato una tazza di tè.Una volta terminato lo Sve sono tornata in Italia con l’idea di studiare all’università. Ho superato vari test di ammissione, ma poi ho capito che non sarei riuscita ad andare avanti: dopo l’esperienza dell’educazione non formale, che mi aveva dato tanto, volevo proseguire su quella strada. Per questo dopo poche settimane sono partita per la Spagna come ragazza alla pari, anche se l’esperienza si è rivelata decisamente poco positiva. Dopo due mesi sono tornata in Italia promettendomi che non sarei più ripartita e invece, dopo 7 mesi, sono ripartita alla volta della Spagna insieme a Raul, uno studente Erasmus nella mia città, con cui ho creato l’associazione giovanile Mille Cunti che si occupa di organizzare attività sia locali – come dinamizzazione dei musei, informazione giovanile – che europee: scambi giovanili, Servizio volontario europeo. Amo quel che faccio: ho un contratto di lavoro di 17 ore settimanali, guadagno 345 euro al mese e vivo col mio compagno di vita e di avventura. Certo, mi piacerebbe guadagnare un po’ di più per fare tutto con più tranquillità, ma sono soddisfatta del mio tenore di vita e non cambierei nessuno stipendio con la possibilità di svegliarsi ogni mattina con la voglia di andare a lavorare. Se ho iniziato tutto questo è stato grazie allo Sve, che considero il miglior programma dell’Unione Europea, l’unico a cui possono accede anche giovani con limitate risorse economiche. A me ha insegnato che tutto è possibile e che non si smette mai di imparare. Ho guadagnato moltissima sicurezza in me stessa e nei miei sogni, cosa che ha favorito lo spirito d’iniziativa e la capacità di trasformare una semplice idea in un progetto; ho scoperto la bellezza del lavoro di squadra, mi sono fatta moltissimi amici e, a livello linguistico, ho imparato rumeno, spagnolo e inglese. Credo che le associazioni di invio dovrebbero dare più peso alla parte formativa dello Sve e non presentarlo come un’esperienza all’estero utile solamente per migliorare le competenze linguistiche: è un dare e ricevere continuo, che fa crescere sia a livello professionale che umano. Probabilmente l’aspetto migliore è la capacità che lo Sve ha di “distruggere” le nostre convinzioni, di farci sentire un po’ persi e costretti a imparare tutto di nuovo, come da bambini. Cadono i pregiudizi e gli stereotipi, ti confronti con ragazzi provenienti da tutto il mondo.Se dovessi dare un consiglio ai giovani interessati a quest’esperienza direi di non scegliere in base al Paese ma in base al progetto: per quanto possa piacere una città, è difficile restare e mantenere il buon umore se poi bisogna fare qualcosa che non piace. E il secondo consiglio è quello di cercare subito un progetto, un’associazione d’invio e preparare la valigia. Per incontrarsi non c’è niente di meglio che perdersi in questa meravigliosa avventura!Testo raccolto da Giada Scotto 

«Uno stage post diploma in Sic e oggi a 19 anni ho già un contratto di lavoro subordinato»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Andrea Seu, 19 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Sic. Mi sono diplomato l’anno scorso all’istituto tecnico della mia zona, in provincia di Monza - l'Hensemberger, indirizzo informatica. Ho scelto il tecnico per avere al termine della maturità una doppia opzione: il mondo del lavoro e quello universitario. Una decisione che mi ha portato fortuna visto che oggi, a diciannove anni, ho già un contratto di lavoro subordinato!Pensavo di specializzarmi in Storia all’università; ma poi, vista la precaria situazione del lavoro giovanile e il futuro incerto per questa laurea, ho cominciato a fare qualche colloquio per capire se il salto nel mondo del lavoro era possibile. Il primo è stato per uno stage in un’azienda di informatica di Monza, per la gestione di servizi web. Non ero però molto convinto perché alcuni compagni di scuola che l’avevano frequentata per l’alternanza scuola lavoro me l’avevano sconsigliata. Anche io ho avuto la fortuna di fare due esperienze di alternanza scuola lavoro il terzo e quarto anno di studi superiori, in due aziende piccole di Villafranca e Concorezzo, entrambe della durata di tre settimane: la prima nel marzo 2016, la seconda nel giugno 2017. Purtroppo la scuola non mi ha aiutato a cercare le aziende. Comunque ce l'ho fatta; durante ebtrambi i periodi di alternanza ho svolto lavori di help desk, riparazioni di computer, formattazioni, mansioni che riguardavano uno stretto contatto con il cliente. Il lavoro era distante dalla mia formazione ma entrambi i tutor, capi e unici dipendenti, mi hanno insegnato tutto quello che serviva. Esperienze molto formative perché mi hanno messo in contatto con la parte hardware dei computer, un ambito trattato molto poco a scuola, ma non essenziali visto che il lavoro che svolgo oggi è diverso.Quello in SIC è stato il mio secondo colloquio. L’azienda aveva contattato la scuola per avere dei nominativi: la professoressa di informatica l’aveva annunciato in classe e mi ero proposto. La descrizione dell’azienda mi aveva colpito subito. Il primo e unico colloquio è stato agli inizi di maggio 2017. Poi poco prima della maturità ho saputo che ero stato scelto per uno stage di sei mesi da ottobre 2017 a marzo 2018 con finalità di assunzione. Il rimborso spese previste era di 650 euro lordi più ticket giornalieri da 7,50. Essere scelto come stagista mi ha reso felice: ero abituato solo alla paghetta di mio padre e avere a diciannove anni un vero e proprio stipendio è stato molto bello.Durante lo stage ho svolto mansioni di programmatore sviluppatore Oracle e Php, a supporto dei servizi che l’azienda offre ai clienti. All’inizio erano attività semplici, poi con il tempo è aumentata l’importanza dei compiti assegnati. I tutor sono stati gentili e disponibili, mi hanno affiancato e insegnato molto. E sono convinto che per quantità e qualità di apprendimento ho imparato più in questi mesi che in interi anni di scuola. Ricordo ancora il mio primo giorno di stage: emozionante e imbarazzante, mi ero appena lanciato in un mondo completamente diverso da quello scolastico. Avevo molte aspettative e paure, per prima quella di fallire. Mi sono velocemente integrato in azienda e con i colleghi pian piano è nato un sano rapporto di amicizia. Finito lo stage mi è stato proposto un contratto di apprendistato della durata di due anni e mezzo con una retribuzione mensile di 1.237 euro e i buoni pasto da 7,50. Ho firmato il contratto una settimana prima del termine del tirocinio. Ero entusiasta: voleva dire che il mio lavoro era apprezzato e che volevano puntare su di me! E pensare di avere un lavoro solo nove mesi dopo gli esami di maturità mi faceva fare i salti di gioia.Oggi in SIC ho il ruolo di sviluppatore e sono coinvolto in vari progetti con difficoltà e problematiche differenti. Mi occupo di linguaggi Oracle e Php, che hanno molte potenzialità e diversi tipi di utilizzo. Il mio sviluppo comprende sia il controllo che la risoluzione di problematiche segnalateci dagli utenti, sia lo sviluppo di nuove funzioni e progetti, in cui collego la manipolazione dei dati di Oracle alla possibilità di mostrarli via web di Php.Questo settore mi ha colpito fin dal primo momento e continua a farlo: ci sono continue sfide e proseguire in questa direzione non mi dispiacerebbe affatto. Al momento non ho sogni particolari: non ho nemmeno vent'anni, non so cosa mi riserva il futuro. A quattro mesi dal diploma, però, già lavoravo e se il mio orizzonte dovesse mantenersi così ne sarei più che felice. La mia esperienza in SIC è stata positiva, ma nel mondo dello stage oggi si pretende troppo. Negli annunci si cercano giovani con esperienza e abilità più che solide, senza voler spendere energie per insegnargli un lavoro. Mentre in uno stage dovrebbe accadere proprio questo. Ai giovani che pensano di seguire un percorso professionale come il mio, dico di non disdegnare il mondo del lavoro. Con uno stage e un apprendistato il percorso formativo può essere comunque valido. Può, ad esempio, dare nozioni assenti in un mondo prettamente scolastico, avendo il vantaggio di mettere lo stagista di fronte alla realtà, spesso una sfida più che stimolante.Ai miei genitori sarebbe piaciuto che andassi all’università, e all’inizio erano sorpresi per le mie scelte. Ma col passare dei mesi, vedendomi felice, si sono tranquillizzati e continuano a farmi i complimenti e a sorridere quando gli altri genitori gli chiedono come mi trovo al lavoro. Non so se un domani deciderò di seguire qualche corso universitario. Penso che non si smetta mai di imparare: lavorando ti confronti continuamente con ambienti e realtà che ti insegnano qualcosa, anche su materie di cui prima ignoravi l’esistenza. Però non si sa mai: non mi dispiacerebbe in futuro intraprendere anche quella strada, magari in campo storico, per dare sfogo alla mia passione. Ora però, meglio concentrarsi sul lavoro!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Grazie allo Sve in Siberia ho "rotto il ghiaccio" anche col public speaking»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Federica Poggio.La mia storia inizia 27 anni fa a Valenza Po, una città in provincia di Alessandria nota a livello internazionale per la produzione di gioielli. Sin da piccola ho avuto la possibilità di viaggiare molto ed è a questo, oltre che al mio percorso di scuola superiore in ragioneria, che devo la mia grande passione per le lingue straniere, che mi ha portata a scegliere la facoltà di lingue e culture moderne dell’università di Pavia – dove mi sono laureata con una specializzazione in inglese, francese e russo.Il mio primo contatto col mondo del lavoro l’ho avuto già nel periodo delle scuole superiori, quando ho fatto l'addetta alle vendite in alcuni negozi e dato lezioni private di lingua straniera, ma è stato durante l’università che ho accumulato il maggior numero di esperienze. Per prima cosa ho svolto uno stage di due mesi presso una ditta orafa della mia città, nel quale avevo il compito di mantenere i contatti coi clienti esteri, gestire la contabilità e produrre cataloghi dei prodotti dell’azienda. Il rapporto con il tutor e i colleghi era ottimo, ma si trattava di un semplice stage formativo che non prevedeva alcuna possibilità di successiva assunzione. Nella primavera 2016 ho avuto invece l’opportunità di fare un altro stage, stavolta di quattro mesi, presso la Flc-Cgil di Alessandria: dovevo occuparmi principalmente di lavoro di segreteria, compilazione di documenti e gestione agenda appuntamenti. Anche in questo caso ho avuto un ottimo rapporto con i colleghi e l’esperienza, sebbene non perfettamente in linea con i miei studi, è stata soddisfacente sia dal punto di vista lavorativo che da quello umano.L’ultimo tirocinio che ho svolto e che ho deciso di interrompere per partecipare allo Sve è stato invece in una ditta di incastonatura locale dove ero assunta come impiegata commerciale estero. L’esperienza era abbastanza in linea con la mia formazione e l’ambiente era piacevole, ma le prospettive di carriera non mi erano mai state chiarite e, per questo, ho preferito lasciare e provare a candidarmi per il Servizio volontario europeo, del quale sono venuta conoscenza grazie ad una mia amica che, avendo questa opportunità su Facebook e sapendo il mio interesse per la Russia, me ne ha subito parlato. Si trattava di un progetto di sei mesi a Krasnoyarsk, in Siberia, presso l’associazione Interra. Ho deciso subito di inviare la candidatura e, dopo aver effettuato alcuni colloqui preliminari con gli organizzatori italiani e russi, ho saputo di essere stata selezionata per partire. Non era la mia prima volta in Russia, ma non ero mai stata così a lungo lontano da casa, quindi ero elettrizzata ma anche spaventata all’idea di non sapere bene a cosa andavo incontro. Avevo un’idea generale, tante aspettative.. ma lo Sve si è rivelato essere molto di più. Appena arrivata a Krasnoyarsk ho trovato ad aspettarmi Aygul, la ragazza mia coetanea che mi avrebbe ospitata in questi mesi, insieme a suo padre. Mi hanno trattata sin da subito come una di famiglia, facendomi vivere la città e la loro quotidianità, portandomi a visitare luoghi tipici, ma anche al cinema, a teatro. In associazione invece mi sono stati presentati quella che sarebbe stata la mia tutor e tutti i miei colleghi. Dopo due settimane ho conosciuto anche l’altra volontaria con cui ho immediatamente stretto amicizia e collaborato a progetti per ben tre mesi. I miei compiti erano tanti e variegati: partecipavo a progetti in biblioteche locali, aiutavo nella gestione del lavoro e nell’esecuzione di attività pratiche e laboratori, davo una mano con la gestione del sito web e fornivo informazioni sullo Sve e sui programmi Erasmus + a giovani locali e organizzazioni studentesche. Tenevo poi quotidianamente un corso di lingua italiana a ragazzi con cui non ho stretto solo un rapporto “professionale” ma anche di amicizia: abbiamo organizzato escursioni, uscite serate e partecipato ad eventi locali. Tra le tante attività a cui ho preso parte ho avuto anche la possibilità di insegnare inglese per alcuni giorni in una scuola privata e di tenere una conferenza sul tema del volontariato in un’università locale; è stata un’esperienza unica e molto emozionante, essendo la prima volta che parlavo in pubblico. E che pubblico: oltre duecento persone!A rendere possibile tutto questo è stata anche la mia conoscenza del russo, col quale non ho avuto nessun tipo di problema: l'ho utilizzato quotidianamente nell'interazione coi colleghi, durante le lezioni di lingua italiana e in tutte le attività che ho svolto. Qualche problema è invece sorto con il freddo, dato che "Siberia" coincide con gelo! Ma devo dire che è sufficiente attrezzarsi e coprirsi in maniera adeguata: il classico "vestirsi a cipolla" (includendo l'intimo termico) è perfetto, dato che fuori fa freddissimo (-45 gradi) ma nelle varie strutture la temperatura è normale. A conclusione di questa meravigliosa esperienza ci sono state le festività natalizie, che ho trascorso non in Italia ma con la mia nuova “famiglia russa”. La mia famiglia di origine mi è mancata, certo, ma grazie ad Aygul, la sua famiglia e gli amici che mi sono fatta ho avuto la possibilità di vivere un “doppio Natale”: il 25 dicembre ho festeggiato alla maniera europea, con tanto di regali ricevuti, mentre il 7 gennaio abbiamo celebrato il Natale ortodosso. Anche per quanto riguarda la parte economica non ci sono stati problemi: ho dovuto anticipare i soldi di visto e viaggio, ma mi sono stati rimborsati appena rientrata in Italia. Alloggiando in famiglia non avevo spese se non quelle relative al vitto, da sostenere con il pocket money di 200 euro che percepivo ogni mese e che mi ha permesso di mantenermi senza eccedere nell’uso dei miei risparmi e senza chiedere aiuto alla mia famiglia: facevo la mia spesa personale e cucinavo a casa, solitamente per la colazione e la cena, mentre a pranzo mangiavo quasi sempre fuori. 200 euro sono giusti per vivere in un paese come la Russia, se gestiti bene. La sola cosa che mi rimprovero è di aver esplorato poco i dintorni, avrei dovuto viaggiare di più. Ma le distanze in Russia sono enormi, e raggiungere certe mete mi avrebbe portato via un sacco di giorni e anche di soldi.Dopo tutto questo la fine dello Sve è stato un vero shock dal punto di vista emotivo. È un’esperienza unica, che ti cambia davvero: parti con mille dubbi, insicurezze, e torni diverso. Cresci personalmente e professionalmente, gestisci cose che non credevi di essere in grado di fare. Acquisti coraggio, autostima e autonomia. Durante questi sei mesi ho acquisito competenze in ambito organizzativo, sono migliorata nella conoscenza delle lingue e ho guadagnato sicurezza e fiducia in me stessa grazie soprattutto alle varie occasioni di public speaking. Quando sono tornata in Italia mi sono dedicata soprattutto ad amici e famiglia, ho collaborato con l’associazione Nous facendo training a ragazzi in partenza per vari Sve e ho cercato un lavoro. A fine aprile partirò infatti per Rodi, dove lavorerò come receptionist fino a ottobre, con la possibilità di praticare molto l’inglese e il russo, già approfonditi nei sei mesi a Krasnoyarsk.Consiglio di fare uno Sve a chiunque ne abbia la possibilità, buttandosi, uscendo dalla propria comfort zone. Si scoprono situazioni e si vivono esperienze uniche, si diventa persone nuove, più aperte, grazie anche le difficoltà che si incontrano durante il percorso. Testo raccolto da Giada Scotto

Girl Power, «Assunta al primo colpo grazie alla laurea in ingegneria gestionale»

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che, in campo scientifico più che altrove, di fronte al merito non ci sia pregiudizio che tenga. La storia di oggi è quella di Sara Gianotti, 27 anni, ingegnera di processo e Project Manager per Bosch Rexroth, che sarà una delle testimonial dell’edizione 2018 del progetto women@Bosch: il 15 maggio parteciperà alla tappa all'università di Bologna.Sono originaria di Macerata Feltria, in provincia di Pesaro-Urbino; ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono trasferita a Bologna per studiare ingegneria gestionale, sia alla triennale che alla magistrale. Oggi sono Manufacturing engineer e Project Manager per Bosch. E proprio per la mia azienda da quest'anno partecipo al progetto women@bosch, per raccontare alle future ingegnere la mia giovane esperienza in Bosch e parlare di alcuni aspetti tecnici dell’ingegneria gestionale che sono riuscita ad applicare nella mia esperienza lavorativa. Sono sempre stata appassionata delle materie matematiche e tecniche. Dopo le superiori ero indecisa tra ingegneria gestionale e meccanica, ma le argomentazioni della gestionale mi convincevano di più, poiché ritenevo che mi avrebbero permesso di avere una visione più ampia dello spettro produttivo rispetto invece che alla meccanica che nella maggior parte dei casi verte più sulla progettazione del prodotto in tutte le sue varie forme ed era più lontana dai miei interessi. La mia famiglia mi ha lasciato libera di scegliere quello che preferivo, anche se mia mamma è ingegnere, e in qualche modo la cosa può avermi influenzato. Tuttavia lei, dopo essersi trasferita in Italia dalla Finlandia per amore, dopo il matrimonio ha fatto la scelta di occuparsi solo della famiglia. Pochi mesi dopo la laurea mi hanno chiamato a fare un colloquio per uno stage come ingegnere di manutenzione in Bosch. Non mi ero candidata per la posizione, devono aver attinto dal database dell’università, anche perché mi ero laureata proprio con una tesi in manutenzione. Lo stage era volto a implementare un progetto di TPM – che sta per Total Productive Maintenance – per una macchina automatica nello stabilimento di Nonantola, in provincia di Modena, con l’obiettivo di ottimizzarne la produttività in termini di qualità, efficienza e disponibilità. L’esperienza è stata molto positiva sia per me che per l’azienda, che al termine dei sei mesi mi ha fatto un contratto di apprendistato di due anni dopo di che, a novembre dello scorso anno, mi ha proposto un contratto a tempo indeterminato. Sono entrata nel team Manifacturing Engeenering, in cui sono ingegnere dei processi. Inoltre, da poco più di un anno, sono diventata anche Project Manager di una linea di prodotto, che attualmente è in fase di re-design dal punto di vista produttivo, e questo mi porta ad interfacciarmi con vari enti interni alla mia azienda ma anche con una serie di fornitori esterni. Di questo lavoro mi piace la possibilità di crescita che una multinazionale come Bosch è in grado di offrire, senza bisogno di cambiare azienda. E amo le attività che svolgo, in cui riesco a mettere in pratica quanto studiato, il che è molto stimolante. Nel mio ente siamo tutti molto giovani, ma ci sono persone che – pur se giovani – hanno molta esperienza, c’è molta diversità, che aiuta a crescere e a colmare le proprie lacune. Soprattutto per chi, come me, è entrata in Bosch alla prima occupazione nel settore. Nel passaggio dalla carriera universitaria a quella professionale la cosa più difficile non è stata solo imparare a “lavorare come ingegnere” ma soprattutto approcciarsi con tante persone e mentalità differenti tra loro e da me. L’ambito umano è il più complesso da comprendere e gestire, la parte prettamente tecnica si riesce, in ogni caso, a svolgerla attraverso lo studio, il confronto e la determinazione. Finora non ho mai avvertito un gap di genere. Nel mio corso di studi c’era equilibrio tra uomini e donne, e nel mio team di lavoro addirittura siamo in maggioranza: cinque donne e due uomini! Sono convinta che ogni ragazza deve fare quello che più le piace, e se si tratta di ambienti ad oggi prevalentemente maschili, questo non deve essere un vincolo per non seguire i propri sogni.Professionalmente non dobbiamo sentirci diverse – perché non lo siamo. Anzi le donne nella maggior parte dei casi sono più precise e sanno gestire più dettagliatamente il lavoro, cosa che nell’ingegneria può essere un valore aggiunto.Testimonianza raccolta da Rossella Nocca 

Mitsuru Suzuki: «Vi racconto come dopo lo stage al Parlamento UE sono rimasto a lavorare a Bruxelles»

Chiudono il prossimo 15 maggio le selezioni per i tirocini Schuman al Parlamento europeo. Circa 1.200 euro il rimborso spese in palio e tre le opzioni disponibili: generale, giornalismo e Premio Sacharov. Qui di seguito la testimonianza di Mitsuru Suzuki, che ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza.Sono nato a Brescia nel 1990 da padre giapponese e madre napoletana. Ho studiato al liceo scientifico e poi mi sono trasferito a Milano per studiare Giurisprudenza. Ho scelto questa facoltà per diversi motivi: la spendibilità del titolo in diversi ambiti, la passione per la giustizia e la politica e lacuriosità verso i meccanismi dello Stato e del diritto. Già durante gli studi avevo compreso bene che mi interessava una carriera all’estero: sono stato due volte in Erasmus in Germania – a Francoforte sul Meno e a Osnabrück – e lì ho dato esami di stampo internazionale e concettuale, come diritto privato comparato, diritto ambientale internazionale e antropologia del diritto. Laureato in tempo e a pieni voti con una tesi di diritto amministrativo comparato sulle differenze tra Italia e Germania nella gestione dell’immigrazione, ho scelto poi di svolgere la pratica professionale, sia perché da giovani è molto più facile essere presi, sia perché il titolo di avvocato non fa mai male. L’esperienza, però, non mi è piaciuta: ero sì pagato più della media, ma lavoravo molto e, soprattutto, secondo la mia esperienza l’ambiente forense italiano è difficile perché molto gerarchico. Così ho iniziato ad aspirare a una carriera nelle istituzioni europee. Non avendo molta conoscenza di diritto europeo, ho deciso di seguire un master di un anno di diritto europeo e internazionale alla Libera Università di Amsterdam. L’esperienza mi ha cambiato la vita: la città è magnifica, la gente è molto aperta, ho potuto perfezionare l’inglese e imparare un po’ di olandese. Nel frattempo ho fatto due stage, entrambi con un compenso: il primo per sei mesi come assistente di ricerca di un professore, il secondo per altri sei mesi come ricercatore presso una ONG internazionale chiamata La Strada International. Il tutto lavorando come cameriere la sera. L’idea di fare domanda per uno stage alle istituzioni europee – ho fatto domanda sia per il Parlamento che per la Commissione – mi è venuta dopo una visita a Bruxelles organizzata dall’università: la città e il suo ambiente internazionale mi hanno ispirato molto. Sono stato selezionato durante l’estate 2017 per lo stage al Parlamento europeo, che ho svolto da ottobre 2017 a fine febbraio 2018 al Directorate-General for Parliamentary Research Services (DG EPRS), il centro di ricerca del Parlamento europeo. Ero inserito nell’unità “Comparative law library unit” che si occupa di fornire studi giuridici e di organizzare eventi sul diritto comparato. Lì mi sono occupato di diverse cose: correggere le traduzioni di testi giuridici, fare ricerca su richiesta del mio supervisore, partecipare ai convegni, scrivere report e in generale fare ricerca in materia giuridica e politica per il Parlamento. L’ambiente, per chi è appassionato di questi temi, è fantastico: si assiste a come il diritto si forma, fra riunioni, votazioni e “conversazioni” tra parlamentari, e particolarmente istruttivo per me è stato poter partecipare ad una “missione” a Strasburgo, dove ho assistito ad una sessione plenaria – quella in cui tutti i parlamentari europei si riuniscono per votare.Per quanto riguarda gli aspetti più pratici, ricevevo una borsa di studio di circa 1300 al mese. Considerato che a Bruxelles gli affitti delle stanze costano dai 350 ai 500 al mese circa, non solo ho potuto vivere bene, ma ho anche potuto mettere da parte qualcosa. Io sono stato fortunato perché trovato casa tramite amici, ma in generale consiglio di mettersi a cercare tra i gruppi Facebook dedicati con un paio di mesi di anticipo, perché sotto data di inizio dello stage c’è molta più competizione. La città mi piace il giusto, ha il difetto di non essere molto pulita, poco a misura dei ciclisti e non molto verde, ma i lati positivi sono che è molto internazionale e aperta, molto viva in termini di iniziative culturali e anche a buon mercato. A Bruxelles sono poi rimasto anche dopo la fine dello stage, e ora lavoro per una consultancy politica: informiamo le aziende clienti sulle novità politiche europee che potrebbero influenzare i loro affari e sviluppiamo delle strategie per influenzare la legislazione a loro favore. Per quanto riguarda la ricerca di lavoro, le esperienze al Parlamento o alla Commissione UE sono valutate in modo estremamente positivo, e alcuni annunci a Bruxelles le indicano tra i requisiti di base, soprattutto tra le società di lobby e di consultancy, dove la conoscenza dell’ambito istituzionale è elemento essenziale. In particolare ricordo ai giuristi che, oltre alle lobby e consultancy, a Bruxelles si trovano anche le sedi di alcuni famosissimi studi legali. Ma trovare lavoro a Bruxelles da italiani può essere complicato, visto che sono tanti i connazionali che lavorano in questi ambienti – si dice che il mercato del lavoro di Bruxelles sia il più competitivo d’Europa! Per riuscire a emergere è molto importante saper sfruttare i propri contatti e avere competenze distintive, come un’ottima conoscenza delle lingue, una formazione articolata e possibilmente delle solide esperienze professionali alle spalle. Essenziale è, in generale, essere aperti e curiosi e cercare di crescere sempre. Io ho impiegato circa tre mesi per trovare il mio impiego attuale, fortunatamente le esperienze di lavoro precedenti mi hanno aiutato, ma può volerci pazienza e personalmente io ho capito solo molto tardi l’importanza del network a Bruxelles. Se però ce l’hai fatta a Bruxelles, potrai farcela in tutta Europa (o forse in tutto il mondo) dopo!In generale quella dello stage al Parlamento europeo è un’esperienza che consiglio assolutamente. Secondo la mia esperienza, i lati più positivi sono la possibilità di capire meglio come funziona l’Unione Europea, di essere a stretto contatto con le novità politiche europee, di trovarsi in un ambiente internazionale e di conoscere persone interessanti. Lo svantaggio più grande è semplicemente il fatto che poi le possibilità di restare a lavorare nel Parlamento sono molto scarse – la Commissione però dà qualche chance in più.Se dovessi dare un consiglio, suggerirei di valutare bene il DG per cui fare domanda – frugare nei gruppi Facebook o su LinkedIn e chiedere informazioni a qualcuno che ha già lavorato in una certa unità può essere molto utile – di sfruttare bene il periodo di stage per fare molte conoscenze e di non aspettare troppo per iniziare a cercare lavoro: cinque mesi passano molto in fretta!Testo raccolto da Irene Dominioni

L'informatica è il mestiere del futuro ed è anche «un lavoro creativo, emotivo e psicologico». Parola di esperto

Sicurezza informatica, big data, industria 4.0. L’informatica oggi è una materia sempre più trasversale, le cui competenze stanno diventando indispensabili per alcuni dei settori che influiscono maggiormente sulla vita delle persone. Di conseguenza gli sbocchi occupazionali aumentano e con essi la richiesta di nuove figure specializzate. Secondo l’ultima indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, a un anno dalla laurea triennale in Scienze e tecnologie informatiche il tasso di occupazione è del 64,5% e la retribuzione netta mensile media di 1.269 euro. Ma i numeri crescono considerevolmente dopo la laurea magistrale: a un anno dal titolo il 93,4% dei laureati ha trovato occupazione, con una retribuzione netta mensile media di 1.489 euro. Ma come mai il biennio è così rilevante in un settore in cui fra l'altro l'autodidattica prende sempre più piede? «Il divario nel tasso di occupazione fra laureati triennali e magistrali è dovuto principalmente, a mio avviso, al fatto che nel nostro paese viene dato ancora troppo peso ai titoli a scapito delle reali capacità e potenzialità delle persone e, peggio, alla scarsa considerazione che viene data alle esperienze professionali» sostiene Giovanni Grandesso, presidente dell'Anip, l'albo nazionale degli informatici professionisti.«Il paradosso maggiore consiste nel considerare l'IT un elemento strategico, essenziale per la competitività e lo sviluppo» aggiunge «mentre nello scegliere coloro che ne rappresentano la "materia prima", i mattoni portanti, si procede con criteri di selezione e valutazione legati a modelli vecchi, inefficaci nel campo delle "nuove" tecnologie». L'Anip, che è una associazione no profit, si propone proprio di «colmare i vuoti lasciati dalle varie organizzazioni private di categoria, anche attraverso l'erogazione di percorsi formativi di livello evoluto, non riscontrabile nel mercato della formazione "classica"», spiega il presidente. Formazione e aggiornamento professionale obbligatori, copertura assicurativa, networking e collaborazioni in reti di imprese, lavoro e incarichi professionali: questi alcuni dei temi e attività dell'associazione, orientati al severo rispetto delle regole deontologiche ed etiche. «Dal 2001, anno della nostra fondazione, abbiamo elaborato oltre 8mila curriculum e ne abbiamo cestinati altrettanti privi dei requisiti formali richiesti, dalle soft skills alle esperienze pregresse di almeno cinque anni fino al rispetto dei valori del nostro manifesto» spiega Grandesso: La laurea non è condizione necessaria per iscriversi, e sette domande su dieci provengono da informatici senza titoli specifici ma con all'attivo mediamente dieci anni di esperienza pratica.  Secondo il presidente Anip «l'autodidattica oggi incide sul settore per il 90%, se accompagnata dalla pratica. La maggior parte delle informazioni / soluzioni tecniche si trova in rete grazie a un modello di condivisione tipico della categoria. L'offerta formativa inoltre è molto ampia, erogata sia da enti autorevoli che da piccole realtà, sino ad arrivare ai singoli professionisti, tra formazione a distanza, webinar, video conferenze etc».  Di pari passo con questo fenomeno, tuttavia, l’appeal degli studi in Informatica cresce di anno in anno. Dall’anno accademico 2006/2007 a oggi gli iscritti al primo anno sono passati da 7.354 a 10.217, con un aumento del 28%. Quello che invece non è cambiato è purtroppo il divario di genere: la percentuale di uomini è rimasta predominante (86-87%). Per invogliare le ragazze a scegliere materie come l'Informatica sono state promosse diverse iniziative sia pubbliche che private. Ad esempio nel dicembre scorso il Miur ha stanziato 3 milioni di euro a favore delle iscrizioni ai corsi di laurea scientifici. In particolare, gli atenei potranno prevedere l'esonero parziale o totale dalle tasse o altre forme di sostegno allo studio, e inoltre riceveranno il 20% di risorse in più per le iscrizioni femminili. Tra i progetti privati, citiamo il "Women in Technology Scholarships", promosso da Booking.com in collaborazione con la University of Oxford e la Delf University of Technology, che a partire dall'anno accademico 2018/2019 assegnerà borse di studio per un totale di 500mila euro alle ragazze che sceglieranno di proseguire la propria formazione nel settore dell'Information Technology.    Al momento non è possibile quantificare la platea dei professionisti dell’informatica attivi in Italia. «Non siamo in grado di fornire numeri attendibili o stime. Quella che viene in generale individuata come la categoria degli "informatici"» spiega Grandesso «è in realtà un insieme eterogeneo, non ancora classificato, di attività in rapidissima evoluzione e non regolato dal alcun ente o organismo in via esclusiva».Ma quello che si può dire per certo è che la domanda non manca. «In particolare, il mercato richiede progettisti di software, tecnici specialisti di applicazioni informatiche, progettisti elettronici e tecnici specialisti di linguaggi di programmazione. E in futuro serviranno meccatronici, ovvero figure con un mix di conoscenza meccaniche, elettroniche e software; esperti di intelligenza artificiale ed esperti di VR, realtà virtuale e realtà aumentata». «Nessun informatico rimane senza lavoro: se i laureati aumentassero di dieci volte troverebbero ugualmente impiego»: è netta l’affermazione di Franco Fummi, direttore del dipartimento di Informatica dell’università degli Studi di Verona, riconosciuto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario come uno dei  dipartimenti universitari di eccellenza 2018-2022 per l’Informatica (gli altri dipartimenti eccellenti sono quello dell'università La Sapienza” e dell'università di Salerno), meritevoli di speciali finanziamenti statali.  Il settore nel quale saranno principalmente investiti i fondi sarà quello dell’Industria 4.0. «Si tratta del settore che probabilmente esploderà di più, in quanto l’informatica darà vantaggio alla linea di produzione» spiega Fummi: «Per il futuro si prevede infatti il passaggio da una produzione di massa a una produzione massivamente personalizzata, in cui l’oggetto ordinato online sarà prodotto nel momento in cui lo ordiniamo esattamente come lo vogliamo. Questo determinerà una riconfigurazione continua dei sistemi di produzione e richiederà tante nuove professionalità».  Perciò orientare la propria formazione post laurea verso questo ambito può essere secondo Fummi una scelta vincente: «Tra le possibilità segnalo il master in Computer games development, che può sembrare qualcosa di lontano, ma non lo è. Infatti la realtà virtuale su cui si basano tutti i giochi può essere applicata anche nel mondo industriale: strumenti come la visione aumentata o le tecniche di manipolazione e simulazione possono contribuire alla produzione».Un ruolo importante nella quarta rivoluzione sarà giocato anche dalla robotica, «che diventerà sempre più collaborativa, con i robot che non si sostituiranno – come qualcuno crede – alle persone, ma ricopriranno ad esempio alcuni dei compiti più affaticanti. Come ad esempio la robotica chirurgica, secondo la quale il chirurgo durante gli interventi viene assistito da robot specializzati», aggiunge Fummi. Altro settore in espansione è quello della sicurezza informatica, per il crescente bisogno di rendere più sicure le applicazioni informatiche, diventate vitali per tanti ambiti. Dal report Cybersecurity talent: the big gap in cyber protection del Digital Transformation Institute di Capgemini è emerso che tra le varie competenze quelle legate alla cybersecurity registrano il maggiore divario tra domanda e fornitura interna. E il nostro paese ha cominciato ad adeguarsi da un punto di vista formativo, istituendo corsi di laurea in Sicurezza informatica, come quello dell’università di Milano, che è stato il primo in Italia; e avviando percorsi di formazione post laurea, come il master in Cyber Security della Bologna Business School.  Un altro dei “lavori del futuro” sarà quello del data scientist, lo scienziato dei Big data. Secondo la società di consulenza McKinsey solo negli Usa ne mancano all’appello 190mila. I data scientist diventeranno necessari non solo nelle grandi multinazionali, ma anche nelle piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione. E ancora, nuove figure saranno richieste nel settore dei cosiddetti sistemi embedded.  «L’informatica oggi è pervasiva, in quanto è diventata la parte intelligente di qualsiasi oggetto» spiega Fummi: «L’obiettivo di questo nuovo ramo è far diventare gli oggetti sempre più intelligenti, dai sensori delle automobili ai dispositivi mobili». Quali solo i linguaggi di coding che bisogna assolutamente conoscere per lavorare nell’informatica oggi? «In questo momento un laureato in informatica deve saper utilizzare principalmente tre sistemi di programmazione: C++, Java e Python, richiesti nel 90% dei casi» risponde Fummi: «Ovviamente dipende dagli impieghi, ad esempio per le app Java la fa da padrone, mentre per i sistemi più complessi prevale C++. Ma quello che dico sempre agli allievi è che l’importante è capire i meccanismi, anche perché tra dieci anni sarà tutto diverso, è un mondo in continua evoluzione».Il confronto con l’estero in questo settore è particolarmente importante. «La nostra formazione è una delle migliori in Europa, ma a livello lavorativo la figura dell’informatico è spesso più valorizzata all’estero, ad esempio quello tedesco è un mercato estremamente vantaggioso» puntualizza Fummi: «I nostri studenti sono invogliati a svolgere tirocini curriculari in Germania, Francia, Russia, Inghilterra. E i dottorandi sono tenuti ad andare all’estero almeno per sei mesi durante il percorso e poi anche nel post dottorato». Tante anche le realtà stimolanti per un’esperienza post laurea: in Austria, a Graz, c’è una piccola “Silicon Valley”; a Monaco di Baviera c’è grande fermento nelle automobili e nella robotica; in Francia a Grenoble c’è un tecnopolo per i sistemi sicuri e affidabili; e in Svizzera ci sono due importanti aree industriali di ricerca, all’università di Losanna e all’ETH, l’Istituto di Tecnologia di Zurigo. Quanto all’Italia, gli investimenti di grandi colossi come Apple e Cisco hanno sicuramente dato un segnale importante, ma tanto resta ancora da fare. Secondo il direttore del dipartimento di Informatica di Verona «il prossimo passo dipenderà da come finirà la battaglia per la creazione dei competence centre: se essi verranno finanziati e approvati, allora le grandi aziende vedranno queste aggregazioni con un occhio di riguardo, in quanto potranno guardare a una rete di competenze da mettere insieme e non alle singole università». Uno dei consigli che il direttore Fummi ci tiene a dare agli studenti di Informatica è quello di non fermarsi dopo la laurea triennale: «Con la magistrale si possono trovare lavori più stimolanti e meglio retribuiti. La differenza è che il laureato triennale sa risolvere problemi informatici con le tecniche dello stato dell’arte, il laureato magistrale sa anche porsi il problema di qual è la migliore soluzione, quindi si spinge oltre lo stato dell’arte». Sì, perché «il lavoro dell’informatico è anche un lavoro creativo, emotivo e psicologico. E le migliori soluzioni non sono quelle ottimali dal punto di vista tecnico ma quelle che incontrano il bisogno delle persona e ne migliorano la vita».Rossella Nocca

«Stage in Nestlé, trampolino per il futuro: molte più aziende dovrebbero aderire all'Rds network!»

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Eleonora Ciampi, 28 anni, oggi assunta a tempo indeterminato in Nestlé. Il mio sogno nel cassetto è sempre stato fare la dentista, ma si è infranto con il test d’ingresso di Odontoiatria, che è gestito a livello nazionale. Pur avendo studiato, non l’ho superato, complice anche i pochissimi posti a disposizione. Non è stato semplice metabolizzare la sconfitta. Avevo appena terminato il liceo scientifico nella mia città, Livorno, e ho deciso che potevo prendermi un anno sabbatico per studiare nuovamente per il test e riflettere. L’anno seguente ho ritentato il test, ma anche questa volta senza successo. Nello stesso periodo avevo, però, tentato anche quello per la facoltà di Farmacia dell’università di Pisa, superandolo. All’inizio non ero entusiasta, oggi, però, penso che sia stata la scelta migliore che potessi fare!Una volta laureata, nell’aprile 2016, ho chiesto ai miei genitori di regalarmi un mese in Inghilterra in un college per migliorare il mio inglese. Credevo, infatti, che l'inglese sarebbe stato utile per un percorso di carriera in azienda, avevo già deciso, infatti, che tra il lavoro in farmacia e la carriera aziendale avrei preferito la seconda. Durante l’università ho fatto un tirocinio obbligatorio di 900 ore in farmacia, necessario per imparare la professione. Lì ho capito che questo lavoro non era per me. Durante il mio soggiorno negli UK ho scoperto su Facebook che la mia università aveva condiviso nella bacheca l’evento Sanpellegrino Innovation Campus: ho cercato su internet qualche informazione in più e scoperto che Sanpellegrino avrebbe selezionato 18 ragazzi under 30 per “innovare” i propri brand, nel corso di una settimana presso l’H-Farm. Per partecipare alle selezioni era richiesto il curriculum e la risposta, in forma di foto, articolo o video, alla domanda cosa fosse per noi l’innovazione. Sembrerebbe semplice, ma trasmettere questo concetto non lo è! L’evento, però, mi ispirava e ho iniziato a farmi questa domanda per giorni. E alla fine ho messo su carta la mia risposta, partendo da una foto scattata poche settimane prima proprio a Bristol.Ho inviato tutto e pochi giorni dopo sono stata chiamata dall’HR perché il mio brano era piaciuto. Dovevo quindi andare in sede Nestlè agli inizi di giugno 2016 per il colloquio: il più strano che abbia mai fatto, tipo “speed date”! C’erano tantissimi candidati quel giorno, penso un centinaio, divisi in tre gruppi. Ho fatto il colloquio con quattro persone, con ognuno potevo parlare massimo cinque minuti, poi suonava una campanella e dovevamo passare all’intervistatore seguente.Una volta finito, la prima cosa che ho pensato è stata: «voglio lavorare in questa azienda». Avevo avuto la sensazione di sentirmi a casa. Il giorno seguente mi hanno chiamata per dirmi che ero stata selezionata e che dall’11 al 15 Luglio sarei dovuta partire per questa esperienza con Sanpellegrino.Lo stesso giorno della telefonata, però, erano uscite anche le date per l’esame di stato da farmacista che consiste in una prova scritta, tre prove pratiche di laboratorio e un orale. E l’ultima prova sarebbe stata proprio il 13 luglio. È stata una scelta difficile: partecipare al San Pellegrino Campus o fare l’esame da farmacista per cui avevo studiato. L’Hr dell’azienda, che avevo informato della situazione, mi ha lasciata libera di prendere la mia decisione in un weekend.Ma andando controcorrente a quello che la maggior parte delle persone mi consigliava, ho deciso di partire per l’Innovation Campus: mi sembrava un treno che passava una sola volta nella vita. Mentre l’esame per l’abilitazione da farmacista potevo tranquillamente farlo al secondo appello a Novembre, come poi ho fatto superandolo.È stato un periodo molto intenso: l’esame di stato, il Sanpellegrino innovation campus e nel frattempo anche un colloquio con Gensan. Poco prima di partire per l’Innovation Campus, infatti, mi era stato comunicato che ero stata scelta per cominciare il mio stage il 18 luglio in questa azienda di integratori per sportivi.Così dall’11 al 15 sono partita per il Sanpellegrino Innovation Campus dove ho lavorato con altri due ragazzi sul brand Belté. Non avevo mai fatto marketing e per me è stata una settimana stimolante. Sono tornata a casa stanca ma estremamente carica. E pur non avendo mai parlato di retribuzione, anche perché abbiamo lavorato per soli cinque giorni con vitto, alloggio e trasporti tutto pagato, alla fine ci hanno anche dato un contributo a testa di 500 euro.Finito il Campus ho cominciato lo stage a Pisa. Avevo mandato il curriculum a inizio maggio e dopo un mese mi avevano chiamata per il colloquio. A metà luglio ho cominciato lo stage di sei mesi come Customer Service con un rimborso spese di 700 euro più la mensa aziendale. Durante il tirocinio assistevo il mio tutor nel gestire gli ordini che arrivavano via e-commerce e tramite gli agenti di vendita, e davo supporto ai clienti che chiamavano per avere più informazioni sui prodotti. Non ho concluso lo stage perché a metà settembre sono stata chiamata da Nestlé. Non è stato facile dire al mio tutor in Gensan che cambiavo azienda, ma lui è stato molto felice per me!L’Hr di Nestlé mi aveva vista durante il Sanpellegrino Innovation Campus e mi ha chiamata agli inizi di settembre 2016 perché c’era una posizione aperta come stagista per Nestlé Health Science. Ho fatto il colloquio e sono stata scelta per uno stage in Trade Marketing nel canale Farmacia di Nestlé Health Science, con un rimborso spese di 700 euro al mese più la mensa aziendale. Mi sono occupata dello sviluppo del Progetto TEN, in cui ho partecipato attivamente alla selezione di dieci stagisti neolaureati in facoltà scientifiche che sarebbero poi andati dai circa 900 medici di famiglia di Milano per promuovere informazione e sensibilizzarli sui temi della malnutrizione e della disfagia. Il Progetto TEN è il primo progetto al mondo di Nestlé Health Science, e i medici dovevano poi proporre ai pazienti di effettuare due test di screening – MNA per la malnutrizione e EAT-10 per la disfagia - validati per gli over 65, in modo da avere un’indicazione della percentuale di persone malnutrite o con problemi di deglutizione in una città grande ed eterogena come Milano.Ero la coordinatrice da sede di questi dieci stagisti: ci incontravamo una volta al mese per fare delle riunioni e dare nuovi obiettivi. Il progetto è andato molto bene, due di questi dieci stagisti oggi lavorano con un contratto a tempo determinato come Medical Delegate per il marchio Meritene e visitano i medici di famiglia di Milano. Mentre a Roma siamo partiti con un secondo “Progetto TEN”. Per lavorare in Nestlé mi sono trasferita a Milano: inizialmente è stato difficile integrarsi, ma poi mi sono trovata bene e oggi che non vivo più lì ammetto che un po’ mi manca.Mi sono sentita subito a mio agio nel team a cui sono stata assegnata e dopo appena tre mesi dall’inizio dello stage, mi è stato proposto un contratto di un anno, fino al dicembre 2017, come Commercial Project, e una retribuzione lorda di circa 28mila euro annui. Non mi aspettavo l’interruzione anticipata dello stage, è stata una grande gioia! Ho ampliato le attività che svolgevo con il nuovo contratto e sono stata sempre più entusiasta di ciò che facevo.Nel mio caso lo stage è stato un trampolino per il futuro. Spesso, invece, è un investimento a vuoto per lo stagista e la sua famiglia: rimborsi spesa contenuti e affitti alti nelle grandi città sono solo alcuni dei problemi degli stagisti che dopo tanti sacrifici spesso non sono assunti e devono ricominciare tutto da capo.A gennaio ho poi cambiato mansione passando dal canale Farmacia a quello Ospedale di Nestlé Health Science e ora sono Medical Delegate Pediatria per Toscana, Umbria e Marche. NHS è divisa in due canali: quello in Farmacia segue il brand Meritene, quello in Ospedale prodotti specifici per la nutrizione enterale ed orale per esigenze e patologie specifiche. Un passaggio che mi ha portato un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio lordo di 33mila euro. È stata una sorpresa firmare l’indeterminato e questo ha significato cambiare nuovamente vita, lasciando Milano e tornando a vivere a Livorno.Oggi seguo i principali ospedali di queste tre regioni nei vari reparti di pediatria e i centri specializzati in malattie metaboliche ereditarie. La monotonia non fa parte del mio lavoro, mi interfaccio giornalmente con medici, farmacisti ospedalieri e dietisti parlando di nutrizione enterale e fornendo soluzioni presenti nel mio listino. Lavoro quindi sul campo, organizzandomi autonomamente. E grazie al lavoro in sede e a quello oggi da esterna sto cercando di avere una visione a 360 gradi della mia azienda.Non conoscevo la Repubblica degli Stagisti e, guardando il sito, confesso che se lo avessi conosciuta prima sarebbe stato un bene! Penso che lo stage sia uno strumento valido e importante per lo stagista e per le aziende e che molte di più dovrebbero aderire all’RdS network, perché è una garanzia per lo stagista: fare uno stage in una di queste significa che l’azienda si impegna a puntare su di te e sui giovani. E a quelli che vorrebbero entrare nel mio settore professionale dico di non mollare: questo campo offre ancora possibilità di impiego, basta informarsi per bene ed essere flessibili. E ricordarsi che non sempre quello per cui studiamo è quello che faremo nella vita, ma è la base per creare il nostro futuro.  Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Girl Power, «Diventare ingegnera? Ci vuole un bel caratterino»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Angela Lisena, Project Planner in Nestlé.Ho 27 anni, vengo da Molfetta, in provincia di Bari, e ho frequentato il liceo scientifico nella mia città, poi il corso di laurea triennale in Ingegneria industriale e la specialistica in Ingegneria gestionale a Bari.Ho scelto questa facoltà perché mi sembrava più attinente alle mie capacità, molto più razionale e pocodispersiva: un corso di studi compatto e molto pratico, diverso  da Ingegneria meccanica perché più attento ai processi nel loro insieme, con una visione orientata alle interconnessioni tra le parti di un processo fino alla totalità dell’insieme, piuttosto che alla singola macchina. Questo è un approccio che ancora oggi, nelle mie attività lavorative quotidiane, prediligo.Nella mia famiglia sono tutti medici, quindi escludo a priori che qualcuno abbia potuto influenzarmi. Quando ho comunicato ai miei la mia scelta, sono stati contentissimi, conoscevano le mie inclinazioni per le materie ingegneristiche rispetto a quelle mediche e sono stati molto contenti quando hanno visto che ho puntato su ciò che mi piaceva fare piuttosto che sentirmi condizionata da ciò che facevano loro. Qualcuno ha fatto all’inizio la classica domanda “Perché non Medicina come i tuoi genitori?” e la risposta è sempre stata “Perché preferisco poter ambire a qualcosa che è affine a quello che mi piace fare piuttosto che a quello che altri mi immaginerebbero a fare”.Ho sempre studiato presso il Politecnico di Bari: avevo la fortuna di risiedere a pochi chilometri da uno dei tre politecnici d’Italia e tutt’ora non mi pento della formazione che mi ha dato. Tutte le esperienze all’estero che ho vissuto sono stati viaggi studio, nel periodo tra il liceo e l’università, e poi di piacere. Sono una persona che ama esplorare a fondo le mete: penso che l’indipendenza e la maturità che ti dà organizzare un viaggio in completa autonomia ti faccia crescere a prescindere dallo scopo del viaggio in sé. Sicuramente la passione per i viaggi mi ha fatto prendere scelte in maniera molto più leggera rispetto a chi pensa troppo prima di spostarsi anche solo di qualche chilometro.Nel mio corso di laurea la proporzione tra uomini e donne era circa 70 a 30 e a Ingegneria meccanica il divario era ancora superiore. I miei colleghi hanno sempre avuto per le ragazze del nostro corso un atteggiamento di curiosità e ammirazione - mai di discriminazione - dovuto anche al fatto che notoriamente le ragazze sono più precise nello svolgere i proprio compiti. Ho cominciato a lavorare già durante l’Università, portando avanti un progetto di tesi magistrale che prevedeva un tirocinio presso un’azienda di servizi della mia città. Dopo la laurea, ho dedicato i successivi sei mesi all’esame di Stato per l’iscrizione all’Albo degli ingegneri e poi, poco prima dell’esito, ho conosciuto il mondo Nestlé. Ho accettato subito la posizione di stagista come Project Planner e mi sono trasferita da Molfetta a Benevento, dove lavoro attualmente. Subito dopo l’esperienza di stage per cui sono stata assunta, mi è stato proposto di continuare la collaborazione con il team del progetto Benevento e adesso sono in apprendistato sempre presso la sede di Benevento.Inizialmente lo scopo per cui l’azienda cercava nuove figure era l’enorme progetto Nestlé da oltre 50 milioni di euro per fare dello stabilimento Buitoni di Benevento l’hub internazionale per la produzione di pizza surgelata made in Italy. Dopo i primi giorni di formazione canonica, mi è stato assegnato il ruolo di Planner, che all’inizio voleva dire tutto e niente, ma che poi ho capito consistere nel raccogliere tutte le informazioni relative alla gestione delle attività di un intero progetto, nel riuscire ad avere una visione più o meno generale dell’andamento del progetto per ogni reparto. Al momento mi occupo di due progetti che consistono nel revamping dell’intero sito produttivo, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista di utilities, a cui si inseriscono le installazioni di nuove linee di produzione di pizza. Venendo direttamente dall’università, l’impatto con una realtà così ampia, strutturata, e ricca di informazioni del tutto nuove per me è stata la sfida più grande da affrontare, perché dovevo imparare contemporaneamente nuovi concetti e nuove attività - come se fossero materie - e poi dovevo capire con quale logica di interconnessione si interfacciavano tra di loro, per poter assegnare la giusta sequenza temporale a ogni attività.Per mia grande fortuna ho trovato un ambiente di lavoro giovane e molto reattivo al cambiamento: un team che ha reagito all’ingresso di nuove figure cercando di portarci subito a un buon livello di autonomia, sicuramente un team orientato al risultato più per passione che per lavoro. Nel reparto di engineering l’ago della bilancia pende ancora verso la componente maschile per numero di impiegati uomini/ ingegneri. Ma non ho mai avvertito discriminazione, anzi il mio diretto superiore nonché Project Manager di entrambi i progetti per cui faccio pianificazione ha sempre posto l’attenzione sul mio carattere deciso e grintoso di “donna” come una caratteristica distintiva.  A 18 anni volevo diventare il direttore di una grossa struttura sanitaria, così da poter gestire tutte le figure interne. Ad oggi le mie ambizioni non sono cambiate, anzi, si sono anche più radicate: il percorso di formazione per cui sono stata assunta è finalizzato al Project Management. L’unica cosa che è leggermente cambiata è che adesso ho obiettivi di crescita anche all’interno del mondo Nestlé: mi sono appassionata, grazie anche al supporto della mia SHE (Safety, Health, Environment) manager, oltre che amica, al mondo della sicurezza, quindi certamente vorrei approfondire le mie skills di gestione anche in questo settore.Consiglierei a tutte le ragazze che ritengono di avere un bel caratterino e che preferiscono materie più razionali e pragmatiche di intraprendere il percorso dell’ingegneria: ogni ingegneria ha i suoi lati più oscuri e quelli più splendenti, ma tornando indietro penso che farei sempre la stessa scelta. Fortunatamente nella mia generazione si sta sempre più sfatando il mito dell’ingegnere “uomo”, per cui anche il mio appello alle giovani matricole ha una base più solida a cui appigliarsi!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca