«Grazie allo Sve in Siberia ho "rotto il ghiaccio" anche col public speaking»
La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Federica Poggio.La mia storia inizia 27 anni fa a Valenza Po, una città in provincia di Alessandria nota a livello internazionale per la produzione di gioielli. Sin da piccola ho avuto la possibilità di viaggiare molto ed è a questo, oltre che al mio percorso di scuola superiore in ragioneria, che devo la mia grande passione per le lingue straniere, che mi ha portata a scegliere la facoltà di lingue e culture moderne dell’università di Pavia – dove mi sono laureata con una specializzazione in inglese, francese e russo.Il mio primo contatto col mondo del lavoro l’ho avuto già nel periodo delle scuole superiori, quando ho fatto l'addetta alle vendite in alcuni negozi e dato lezioni private di lingua straniera, ma è stato durante l’università che ho accumulato il maggior numero di esperienze. Per prima cosa ho svolto uno stage di due mesi presso una ditta orafa della mia città, nel quale avevo il compito di mantenere i contatti coi clienti esteri, gestire la contabilità e produrre cataloghi dei prodotti dell’azienda. Il rapporto con il tutor e i colleghi era ottimo, ma si trattava di un semplice stage formativo che non prevedeva alcuna possibilità di successiva assunzione. Nella primavera 2016 ho avuto invece l’opportunità di fare un altro stage, stavolta di quattro mesi, presso la Flc-Cgil di Alessandria: dovevo occuparmi principalmente di lavoro di segreteria, compilazione di documenti e gestione agenda appuntamenti. Anche in questo caso ho avuto un ottimo rapporto con i colleghi e l’esperienza, sebbene non perfettamente in linea con i miei studi, è stata soddisfacente sia dal punto di vista lavorativo che da quello umano.L’ultimo tirocinio che ho svolto e che ho deciso di interrompere per partecipare allo Sve è stato invece in una ditta di incastonatura locale dove ero assunta come impiegata commerciale estero. L’esperienza era abbastanza in linea con la mia formazione e l’ambiente era piacevole, ma le prospettive di carriera non mi erano mai state chiarite e, per questo, ho preferito lasciare e provare a candidarmi per il Servizio volontario europeo, del quale sono venuta conoscenza grazie ad una mia amica che, avendo questa opportunità su Facebook e sapendo il mio interesse per la Russia, me ne ha subito parlato. Si trattava di un progetto di sei mesi a Krasnoyarsk, in Siberia, presso l’associazione Interra. Ho deciso subito di inviare la candidatura e, dopo aver effettuato alcuni colloqui preliminari con gli organizzatori italiani e russi, ho saputo di essere stata selezionata per partire. Non era la mia prima volta in Russia, ma non ero mai stata così a lungo lontano da casa, quindi ero elettrizzata ma anche spaventata all’idea di non sapere bene a cosa andavo incontro. Avevo un’idea generale, tante aspettative.. ma lo Sve si è rivelato essere molto di più. Appena arrivata a Krasnoyarsk ho trovato ad aspettarmi Aygul, la ragazza mia coetanea che mi avrebbe ospitata in questi mesi, insieme a suo padre. Mi hanno trattata sin da subito come una di famiglia, facendomi vivere la città e la loro quotidianità, portandomi a visitare luoghi tipici, ma anche al cinema, a teatro. In associazione invece mi sono stati presentati quella che sarebbe stata la mia tutor e tutti i miei colleghi. Dopo due settimane ho conosciuto anche l’altra volontaria con cui ho immediatamente stretto amicizia e collaborato a progetti per ben tre mesi. I miei compiti erano tanti e variegati: partecipavo a progetti in biblioteche locali, aiutavo nella gestione del lavoro e nell’esecuzione di attività pratiche e laboratori, davo una mano con la gestione del sito web e fornivo informazioni sullo Sve e sui programmi Erasmus + a giovani locali e organizzazioni studentesche. Tenevo poi quotidianamente un corso di lingua italiana a ragazzi con cui non ho stretto solo un rapporto “professionale” ma anche di amicizia: abbiamo organizzato escursioni, uscite serate e partecipato ad eventi locali. Tra le tante attività a cui ho preso parte ho avuto anche la possibilità di insegnare inglese per alcuni giorni in una scuola privata e di tenere una conferenza sul tema del volontariato in un’università locale; è stata un’esperienza unica e molto emozionante, essendo la prima volta che parlavo in pubblico. E che pubblico: oltre duecento persone!A rendere possibile tutto questo è stata anche la mia conoscenza del russo, col quale non ho avuto nessun tipo di problema: l'ho utilizzato quotidianamente nell'interazione coi colleghi, durante le lezioni di lingua italiana e in tutte le attività che ho svolto. Qualche problema è invece sorto con il freddo, dato che "Siberia" coincide con gelo! Ma devo dire che è sufficiente attrezzarsi e coprirsi in maniera adeguata: il classico "vestirsi a cipolla" (includendo l'intimo termico) è perfetto, dato che fuori fa freddissimo (-45 gradi) ma nelle varie strutture la temperatura è normale. A conclusione di questa meravigliosa esperienza ci sono state le festività natalizie, che ho trascorso non in Italia ma con la mia nuova “famiglia russa”. La mia famiglia di origine mi è mancata, certo, ma grazie ad Aygul, la sua famiglia e gli amici che mi sono fatta ho avuto la possibilità di vivere un “doppio Natale”: il 25 dicembre ho festeggiato alla maniera europea, con tanto di regali ricevuti, mentre il 7 gennaio abbiamo celebrato il Natale ortodosso. Anche per quanto riguarda la parte economica non ci sono stati problemi: ho dovuto anticipare i soldi di visto e viaggio, ma mi sono stati rimborsati appena rientrata in Italia. Alloggiando in famiglia non avevo spese se non quelle relative al vitto, da sostenere con il pocket money di 200 euro che percepivo ogni mese e che mi ha permesso di mantenermi senza eccedere nell’uso dei miei risparmi e senza chiedere aiuto alla mia famiglia: facevo la mia spesa personale e cucinavo a casa, solitamente per la colazione e la cena, mentre a pranzo mangiavo quasi sempre fuori. 200 euro sono giusti per vivere in un paese come la Russia, se gestiti bene. La sola cosa che mi rimprovero è di aver esplorato poco i dintorni, avrei dovuto viaggiare di più. Ma le distanze in Russia sono enormi, e raggiungere certe mete mi avrebbe portato via un sacco di giorni e anche di soldi.Dopo tutto questo la fine dello Sve è stato un vero shock dal punto di vista emotivo. È un’esperienza unica, che ti cambia davvero: parti con mille dubbi, insicurezze, e torni diverso. Cresci personalmente e professionalmente, gestisci cose che non credevi di essere in grado di fare. Acquisti coraggio, autostima e autonomia. Durante questi sei mesi ho acquisito competenze in ambito organizzativo, sono migliorata nella conoscenza delle lingue e ho guadagnato sicurezza e fiducia in me stessa grazie soprattutto alle varie occasioni di public speaking. Quando sono tornata in Italia mi sono dedicata soprattutto ad amici e famiglia, ho collaborato con l’associazione Nous facendo training a ragazzi in partenza per vari Sve e ho cercato un lavoro. A fine aprile partirò infatti per Rodi, dove lavorerò come receptionist fino a ottobre, con la possibilità di praticare molto l’inglese e il russo, già approfonditi nei sei mesi a Krasnoyarsk.Consiglio di fare uno Sve a chiunque ne abbia la possibilità, buttandosi, uscendo dalla propria comfort zone. Si scoprono situazioni e si vivono esperienze uniche, si diventa persone nuove, più aperte, grazie anche le difficoltà che si incontrano durante il percorso. Testo raccolto da Giada Scotto