Erasmus, stage e servizio volontario europeo: noi giovani in cerca della nostra strada

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 02 Dic 2017 in Storie

#buone opportunità #esperienza all'estero #servizio volontario europeo

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Francesca Mahmoud Alam.

Ho 24 anni e sono della provincia di Grosseto, dove ho svolto la prima parte dei miei studi frequentando il liceo linguistico. Già a 14 anni sognavo infatti di viaggiare per il mondo e al liceo ho avuto modo di studiare l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Le lingue non sono però la sola passione che ho sviluppato alle superiori: ho infatti scoperto anche un forte interesse per il giornalismo ma, non sapendo bene quale decisione prendere per il post-diploma, ho deciso di prendermi un anno di pausa per riflettere bene.

Così, tra un viaggio in Brasile e un tentato trasferimento a Edimburgo, ho deciso di andare a vivere a Bologna e iscrivermi lì al corso di laurea in Scienze della comunicazione. Grazie a questa facoltà ho intrapreso i primi passi nel mondo del giornalismo, avendo avuto anche l’opportunità di fare uno stage nella redazione de Il Nuovo Diario Messaggero di Imola. Come quasi tutti gli stage curricolari non prevedeva una indennità, ma l’esperienza è stata davvero utile: il mio compito era infatti quello di scrivere articoli di giornale di ogni tipo, dallo sport alla cultura passando per la cronaca; dovevo poi aggiornare la pagina Facebook, fare interviste e correggere bozze.

Durante l’ultimo anno di università ho inoltre vinto la borsa Erasmus per studiare un semestre nella facoltà di giornalismo di Bilbao, una città di cui mi sono innamorata e in cui spero di poter tornare il prima possibile. L’Erasmus è un’esperienza unica, che consiglio, ed anche per questo mi sono sempre tenuta informata anche su tutte le altre opportunità Erasmus+, tra cui il Servizio volontario europeo. Ero arrivata a giugno del mio ultimo anno di università e, mancandomi solo un esame, ho iniziato a pensare al mio futuro dopo la laurea. Aprendo la pagina web dell’associazione Porta Nuova Europa ho deciso così di chiedere qualche consiglio riguardo i progetti Sve contattando la coordinatrice, Filomena Fadda, la quale ha subito risposto alla mia mail consigliandomi un progetto di comunicazione in Spagna, a Valencia. Il progetto sembrava perfetto per me, quindi non ci ho pensato due volte. Mi sono candidata subito e, dopo un colloquio Skype con la responsabile dell’associazione ospitante Dasyc, ho ricevuto la comunicazione sperata: ero stata selezionata.

Sono arrivata a Valencia il primo ottobre, dove ho trovato ad attendermi in aeroporto il responsabile dell’associazione incaricato di facilitare l’arrivo dei volontari fornendo informazioni sulla città, sugli eventi nelle vicinanze, ma anche sulla cultura del paese in cui si va a svolgere lo Sve. Dopo questo piccolo “assaggio” sono però dovuta tornare subito a Bologna per discutere la tesi di laurea, ritornando stabilmente a Valencia a fine novembre. Vivevo nel quartiere di Benimaclet (secondo me il migliore della città) insieme a tre studenti spagnoli, grazie ai quali il mio spagnolo è migliorato tantissimo e in poco tempo. Devo dire che all’inizio ho avuto qualche difficoltà, perché mi sentivo sola in una città che non conoscevo per niente. Ma poi, pian piano, ho iniziato ad abituarmi e a farmi degli amici che sono diventati col tempo quasi una seconda famiglia.

La mia associazione ospitante si occupava di combattere l’esclusione sociale e il mio progetto prevedeva varie attività in questa direzione: sono stata infatti per dieci mesi una “professoressa” di informatica base per anziani, ma anche – nel pomeriggio –  volontaria in una scuola che ha come obiettivo quello di garantire una formazione anche ai bambini provenienti da famiglie che versano in una difficile condizione economica. Il mio compito a scuola era quello di aiutare nell’organizzazione di attività formative quali per esempio l’insegnamento della lingua inglese e vari giochi e attività dopo la mensa. In ufficio aiutavo invece la responsabile della comunicazione realizzando foto, video e organizzando eventi.

Lo Sve è stato quindi formativo sotto tanti punti di vista, anche se insegnare a scuola è stato inizialmente difficile: non riuscivo a trovare il giusto approccio con i bambini e questo mi ha portata ad avere per un periodo un atteggiamento negativo. Confrontarmi con i miei colleghi e con chi aveva più esperienza di me mi ha però aiutata a superare l’iniziale difficoltà. Determinante nel ritrovare la giusta carica e il giusto stimolo è stato anche il secondo corso di formazione: lo Sve prevede infatti un corso di formazione iniziale, prima che il progetto inizi, e uno intermedio, a metà del percorso, grazie al quale sono riuscita a riflettere molto sul mio progetto e sulle motivazioni che mi avevano spinta a partire.

Dal punto di vista economico non ho avuto problemi: Valencia è una città di per sé molto economica e il progetto copriva sia le spese di vitto e alloggio che quelle sanitarie e di viaggio. Ho ricevuto inoltre un pocket money mensile di 105 euro che mi ha permesso di togliermi qualche sfizio, anche se i viaggi che ho fatto me li sono potuti permettere grazie soprattutto ai risparmi che avevo da parte.

L’esperienza Sve è stata tra le migliori che abbia fatto finora nella mia vita. È veramente un viaggio incredibile, grazie al quale vieni completamente catapultato in un diverso contesto, vivendone tutti gli aspetti. Hai l’opportunità di conoscere un posto nuovo, di far parte di una nuova comunità imparando a conoscerne la cultura e le tradizioni. A tutto questo si aggiungono poi la possibilità di approfondire la conoscenza di un’altra lingua e di conoscere tantissime persone. Io, grazie allo Sve, ho imparato a conoscere meglio me stessa ma anche ad ascoltare gli altri, guardando le cose con altri occhi e sotto nuovi punti di vista. E poi, chi lo avrebbe mai detto che sono un’ottima professoressa di informatica? Ho messo in pratica alcune conoscenze frutto dell’università ma ne ho anche acquisite molte nuove. Non ho solo “imparato” a insegnare, ma sono anche migliorata nel fare foto e video, anche se la strada da fare per diventare davvero bravi in questo campo è lunga. Le soddisfazioni che ho avuto durante questo percorso sono sicuramente la conferma che ne è valsa la pena.

Finito lo Sve sono tornata in Italia e, dopo aver lavorato un po’ nel mese di agosto, adesso mi sono trasferita a Roma per iniziare la specialistica in Media, comunicazione digitale e giornalismo, così da proseguire il percorso che ho iniziato e mettere a frutto le nuove conoscenze acquisite durante lo Sve. Il mio consiglio è infatti quello di farlo e di viverlo a pieno, dando il cento per cento. È un’occasione importante, unica, e va sfruttata fino in fondo.

Testo raccolto da Giada Scotto

Community