Fab lab, l’officina dove il futuro (anche professionale) si plasma in 3D

Irene Dominioni

Irene Dominioni

Scritto il 04 Ago 2017 in Approfondimenti

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Il futuro del mondo del lavoro è, e sempre più sarà, nel digitale. Già da qualche anno, infatti, nelle classifiche dei mestieri più ricercati, in Italia e non solo, svettano figure come il programmatore, lo sviluppatore, il data scientist e il digital designer. Ma le competenze digitali sono davvero così necessarie? La risposta è sì. Se per ora alcuni di questi mestieri rimangono emergenti e rari, ancora separati dal normale universo delle discipline professionali, inevitabilmente le nuove tecnologie si inseriranno sempre più in ogni contesto, sia lavorativo che di normale vita quotidiana. E la loro padronanza, che oggi rappresenta semplicemente una carta in più da giocare a livello lavorativo, è destinata a diventare la normalità. Personalità come Alessandra Stella, direttore scientifico del Parco Tecnologico Padano a Lodi, hanno rimarcato la necessità universale di imparare il coding e la programmazione, non soltanto per chi intende lavorare in questo campo. Mentre Carlo Pietrassanta, AD di Microsoft Italia, sostiene che le aziende non dovrebbero limitarsi ad assumere giovani, ma affidare loro la primaria responsabilità di digitalizzarle, inserendoli nel board direttivo e rendendoli protagonisti del cambiamento.

Un ideale certamente positivo, ma ancora si fatica a ingranare: basti pensare a episodi come quello avvenuto soltanto qualche tempo fa all’università Statale di Milano, dove era sorta una polemica per l’intenzione del rettorato di introdurre il numero chiuso in diverse facoltà, ad esclusione dei soli dipartimenti di Matematica, Fisica, Giurisprudenza e Geologia. La ragione? Il numero di immatricolazioni a corsi come Filosofia, Storia e Beni Culturali continua a crescere in percentuali a doppia cifra, il tasso di abbandono dopo il primo anno rimane alto e l’inoccupazione dei neo-laureati a tre anni di conseguimento dal titolo non è meno preoccupante.

opendotChe fare per invertire il trend? Diverse sono le proposte destinate ai giovani per quantomeno iniziare ad avvicinarsi ai temi della tecnologia e del digitale.

A Milano, dopo l’esperienza di MiGeneration Lab, programma di formazione digitale gratuito destinato a giovani Neet, diversi fab lab hanno proseguito le attività di formazione, offrendo corsi su diversi temi aperti a tutti. Questi laboratori di fabbricazione digitale rappresentano un buon punto di partenza, perché il loro carattere fortemente locale e ad alto concentrato di tecnologia è ideale per imparare ad utilizzare software e hardware e arricchire il curriculum di competenze tecniche. Per saperne di più la Repubblica degli Stagisti ha parlato con Yatta!, Opendot Lab e WeMake della rilevanza che corsi di coding, fashion design, IoT, realtà virtuale e così via ricoprono per fornire ai giovani le competenze necessarie per competere nel mondo del lavoro di domani.

Nonostante il livello di scolarizzazione di coloro che partecipano alle formazioni dei fab lab sia tendenzialmente alto, la categoria sociale che descrive meglio i frequentatori di questi spazi è quella dei “curiosi”. enrico bassiSi può infatti partire anche da zero e, spesso e volentieri, per intraprendere un corso è sufficiente possedere un po’ di dimestichezza con il pc.

«La trasversalità è fondamentale» conferma Enrico Bassi, design engineer e co-fondatore di OpenDot, riferendosi a quante persone diverse un makerspace può arrivare a coinvolgere. Perché, in fondo, il punto di forza del fab lab è proprio l’accessibilità della tecnologia. «Non vuol dire che non si fa fatica ad impararla, ma che è semplificata il più possibile. Quando impari a fare qualcosa che non credevi di poter fare, qualsiasi sia il livello di complessità, questo ti dà fiducia e ti aiuta a tirare fuori il tuo potenziale».

Quello della capability, ovvero la consapevolezza e l'accrescimento delle proprie capacità, viene riconosciuto da tutti come il maggior valore che le attività del fab lab sanno trasmettere. Bassi racconta che, grazie a questi stimoli, qualcuno è anche riuscito a trovare lavoro: «una ragazza, per esempio, aveva la passione per gli orecchini e ha capito che poteva costruirseli utilizzando una stampante 3D piuttosto che costruirli a mano, trovando così una serie di soluzioni che hanno reso i suoi prodotti più competitivi; un altro aveva immaginato un accessorio per la bicicletta, un tavolino da picnic per le gite fuori porta montato direttamente sulla bici; mentre altre ragazze hanno iniziato insieme a Save the Children attività rieducative per bambini con dei pupazzi costruiti con una ricamatrice a controllo numerico».

marco lanzaAnche per chi non ha svolto un percorso di studi strettamente legato alle nuove tecnologie, quindi, un corso in un fab lab può contribuire allo sviluppo di nuove competenze, scoperte ed energie. «Lo scopo dell’associazione è quello di fornire degli strumenti per lavorare» dice Marco Lanza, che si occupa di coordinare Yatta! e la sua parte di laboratorio. «La formazione è imprescindibile dall’aspetto tecnico, e anche l’aspetto motivazionale è centrale nel far scattare la scintilla dell’interesse e della passione per portare avanti la conoscenza e l’applicazione delle nuove tecnologie».

I fab lab sono luoghi dove si incontrano le professionalità più diverse, ma spesso sono popolati anche da studenti. In particolare, alcuni arrivano dall’università proprio per incrementare certi tipi di competenze che in aula non possono apprendere.

martellosio«Gli atenei ti forniscono un titolo ad esempio da fashion designer, senza preoccuparsi minimamente del fatto che poi tu in realtà non sai progettare digitalmente un cartamodello» puntualizza Cristina Martellosio, responsabile del settore educational e delle politiche giovanili di WeMake. «All’interno delle facoltà c’è molta, troppa teoria, e gli studenti arrivano qui per imparare a fare. L’apprendimento, in fondo, passa soprattutto attraverso l’esperienza. E così piuttosto che presentare un curriculum è quasi più importante mostrare un book dei propri progetti». Dimostrando così che le competenze sono acquisite, non solo sulla carta.

Se è vero che, intraprendendo certi corsi, le persone cercano la professionalizzazione e modi per affinare le proprie competenze, come per la modellazione 3D oppure il digital fashion o la robotica, altri, come quello sui wearable (i dispositivi indossabili come smartwatch e action cam) sono scelti semplicemente per curiosare un po’. Nel mondo del digitale, nessuna competenza viene appresa a vuoto.

In un fab lab c’è quindi anche molta libertà e occasione di sperimentare. «Più che sulle tecnologie, noi lavoriamo sulla forma mentis» afferma di nuovo Bassi. «In una fase storica dettata dal cambiamento, nessuno ti può dire come affrontarlo nel modo migliore. Non ha senso focalizzarsi tanto sulle tecnologie in sé, perché oggi, ad esempio, le stampanti 3D di cinque anni fa sono roba da antiquariato. È un po’ come costruire l’aereo mentre ci stai viaggiando, sono queste le skill che servono per sopravvivere nel mondo di oggi. Ciò che uno fa in un fab lab è imparare ad imparare».

Per questo la filosofia di fondo è quella di valorizzare anche gli sbagli. «Anche quando i progetti dei ragazzi sono troppo ambiziosi, non gli diremo mai che non potranno farcela», dice Martellosio. «Perché noi crediamo molto nell’errore. E anche se uno non riesce a trovare la soluzione scattano comunque motivazione, interesse, incremento delle competenze digitali e quindi una serie di competenze trasversali».

Frequentare un fab lab costituisce dunque un’esperienza positiva per tutti, non solo per chi già vive di pane e tecnologia. In un mondo in continuo mutamento, acquisire le basi per cavalcarlo non potrà che essere di aiuto. «La fabbricazione digitale oggi è esattamente quello che era, negli anni ‘90, imparare ad usare il computer» conclude Bassi. «In futuro sempre più attività, anche le più creative, artigianali e manuali, avranno una componente tecnologica. Se uno fa il ceramista e ad un certo punto inizia a progettare le proprie stampe con una stampante 3D, scoprendo così che può risparmiare considerevolmente, piuttosto che mandarle allo studio che gliele ha prodotte fino a quel momento, non smette di essere ceramista per diventare un modellatore 3D, ma la tecnologia lo aiuta nel suo lavoro. Le tecnologie sono abilitanti ad altre cose, non sono fini a se stesse».

Insomma, accrescere le proprie competenze digitali non significa diventare programmatori o scienziati dei dati. Ma in vista dell’uso sempre più quotidiano che ne faremo, sul lavoro e non solo, è proprio il caso che tutti iniziamo a masticare un po’ più di tecnologia. Esperienze come quelle nei fab lab suggeriscono che la nostra è un’epoca di grandi opportunità per chiunque abbia voglia di mettersi alla scoperta di queste innovazioni, fosse anche solo per hobby o per curiosità. I vantaggi vanno ben oltre il solo punto di vista tecnico, e le possibilità sono infinite, esattamente come le combinazioni di una macchina a controllo numerico. Il programma (di vita) di ciascuno, invece, non ha il livello di predeterminazione di un software, ma non si può certo dire che questo sia un male.

Irene Dominioni

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