In un paese dove la “fuga dei cervelli” prosegue senza soluzione di continuità e la possibilità di aprirsi a nuovi orizzonti già durante gli studi superiori fa gola a sempre più ragazzi, il sistema scolastico si divide fra aperture e resistenze, buone pratiche e ostacoli tecnici.
È quanto emerso dal Rapporto 2016 dell’Osservatorio Nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca della Fondazione Intercultura, basato su un campione di 400 dirigenti scolastici delle scuole secondarie superiori. Se l’indice di internazionalizzazione delle scuole è rimasto costante rispetto all’ultima rilevazione del 2014, è invece diminuita di 5 punti la percentuale di scuole che hanno aderito a progetti internazionali (63%). In particolare, hanno aderito ad almeno un progetto internazionale il 70% dei licei e poco più del 50% degli istituti tecnici e professionali.
Perché questa battuta d’arresto nella spinta all’internazionalizzazione? I motivi principali, secondo i dirigenti scolastici intervistati, sono sopratutto tre: la carenza di budget, la mancanza di interesse degli alunni, l’inadeguatezza dei programmi proposti rispetto al profilo dell’istituto scolastico, soprattutto per quanto riguarda tecnici e professionali. E ancora, un sesto dei dirigenti hanno attribuito la “colpa” alla scarsa adesione da parte degli insegnanti e alle procedure complicate per partecipare o alla mancata accettazione della loro richiesta di adesione. Altri fattori critici sono la mancata proposta di adesione, l’insufficienza di informazioni, le problematiche organizzative e la resistenza da parte delle famiglie.
«La diffidenza è spesso dovuta a difficoltà organizzative, come il reinserimento di chi ritorna o l’ospitalità degli studenti stranieri, con la necessità di fare orari personalizzati e di costruire attività specifiche», spiega alla Repubblica degli Stagisti Grazia Fassorra, responsabile Formazione dell’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola (Anp). Limiti che rischiano di privare i ragazzi di «un’esperienza estremamente formativa, in cui mettersi alla prova con coraggio in un ambiente totalmente estraneo, di cui spesso non conoscono la lingua, e acquisire competenze avanzate che in un itinerario normale non è possibile acquisire», aggiunge Fassorra.
«Il sistema scolastico italiano è molto rigido e qualsiasi elemento di novità può destabilizzare. Vedersi mancare un alunno da tre mesi a un anno può comportare un elemento di disturbo» aggiunge Marina Imperato, dirigente scolastico del liceo scientifico statale “Leon Battista Alberti” di Napoli. Il suo istituto è un esempio virtuoso di internazionalizzazione e interculturalità: «Sono in questa scuola da 7 anni e ho raccolto un’eredità favorevole, che ho implementato. La mia scuola è impegnata sul versante interculturale a 360 gradi. Basti pensare al corso di filosofia comparata occidentale/islamica attivato con il supporto dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”» racconta.
Il freno all’internazionalizzazione è spesso rappresentato dai docenti, probabilmente anche perché quelli da profilo internazionale, ovvero con almeno un’esperienza internazionale (collaborazioni con docenti stranieri, insegnamento all’estero, corsi di lingua o di aggiornamento etc.) sono ancora troppo pochi: solo uno su cinque. E così talvolta agli studenti capita di incontrare l’ostruzionismo del corpo docenti, sia nel pre partenza che al ritorno, nella eventuale verifica dell’idoneità all’anno successivo, a discrezione delle singole scuole. «Da noi non è previsto alcun esame» spiega Marina Imperato «perché ci teniamo al risconto valutativo da parte delle scuole ospitanti e perché i nostri alunni si mantengono in costante contatto con la classe e con i docenti».
Una nota positiva è che, pur interessando meno scuole rispetto ad altri paesi europei, in Italia i programmi internazionali vantano una percentuale maggiore di studenti coinvolti, pari al 72%, come la Francia, e inferiore solo a quella della Germania (84%). Un dato che fa ben sperare sulla crescita del fenomeno dell’internazionalizzazione, a cui oggi – secondo Fassorra – va data un’accezione più ampia, «perché nelle scuole stanno arrivando sempre più studenti stranieri e, se le scuole avranno già fatto esperienza, avranno imparato anche l’approccio». Che sia una delle chiavi per l’integrazione?
Rossella Nocca
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