Manager a soli 28 anni: «Le donne sono carri armati. Il segreto? Essere preparate»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 07 Dic 2020 in Storie

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La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma anche in altri ambiti considerati tradizionalmente "maschili", come Audit e revisione di bilanci aziendali. In Italia le donne manager rappresentano ancora solo il 24,7 per cento del totale (Unioncamere, 2019), ma sono in aumento. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontare alcune delle loro storie attraverso una rubrica, Girl Power, che ha la voce di tante donne convinte che in certi campi, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Nadia Abu Ne' Meh, Audit Senior Manager presso il gruppo EY.

Ho 34 anni, sono nata a Monza da madre italiana e padre originario della Giordania e fino a quattro anni fa ho vissuto a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Dal 2016 invece vivo a Roma. Mi sono diplomata in ragioneria e poi ho frequentato l'università Bicocca di Milano: prima la triennale in Economia e Amministrazione delle imprese e poi la specialistica in Amministrazione, Auditing e Controllo. Sin da piccola mi ha sempre affascinato il mondo dei numeri e dell'organizzazione, e poi mi piacevano le lingue: ho studiato l'inglese e il francese.

Quando ancora frequentavo l'università mi si è presentata la possibilità di svolgere uno stage curriculare presso EY, multinazionale con cui avevo avuto modo di entrare in contatto durante un business game che mi era stato consigliato dal docente di Economia aziendale. I manager che avevo conosciuto mi avevano fatto un'ottima impressione: erano persone giovani, brillanti, accoglienti.

Lo stage a Milano è durato da ottobre a dicembre, e da allora non sono più andata via. A gennaio mi hanno offerto un contratto di apprendistato: il mio primo vero lavoro – prima di EY avevo svolto solo due stage durante il liceo presso la Banca di credito cooperativo e l'Agenzia delle entrate, oltre ad altri piccoli lavori saltuari.

Nei primi mesi di lavoro ho scritto la tesi, ispirandomi al progetto con un cliente che stavo seguendo per analizzare i lati positivi e negativi dei sistemi di controllo imposti dalle disposizioni americane alle società quotate. Il mio primo team è stata la mia prima famiglia lavorativa: sono stati gli anni più belli.

Il primo ruolo al momento dell’ingresso in EY è rappresentato dalla figura dello staff: un ruolo di supporto al team per le mansioni più operative, ma già di responsabilità. Può capitare di essere mandati da soli a parlare e a richiedere informazioni ai referenti o di fare l'inventario in un'azienda, rappresentando in quel momento la società: un'esperienza sfidante e formativa.

Dopo due anni sono diventata senior e poi, al secondo anno in questo ruolo – io ne solo avevo 28! – mi hanno proposto di anticipare il passaggio a manager, che solitamente avviene dopo tre anni. Per me ha significato molto, perché è stato assolutamente meritocratico, ma ha portato anche un carico di responsabilità in più. Una persona mi disse: Stai in guardia, molto spesso i referenti vogliono vedere una persona con i capelli bianchi: stava a significare che la mia giovane età poteva “spaventare”, in quanto la maggior parte delle persone in azienda si aspetta di interloquire con persone di esperienza. 

Essere manager significa dover dividere il tempo tra i vari team – una quindicina. Occorrono capacità organizzative e di gestione dei clienti ma anche delle risorse: un aspetto che mi è sempre piaciuto. Io lavoro nel settore industriale, con aziende produttive dalla piccola e media impresa fino alla società quotata in Borsa.

Entrare in un mondo così importante a meno di trent'anni, avere a che fare con referenti molto più grandi dai quali puoi imparare anche solo stando seduta allo stesso tavolo è molto sfidante.
Il vero valore di questo lavoro è proprio poter confrontarsi con persone molto preparate e competenti, vedere come funzionano le cose in un'azienda dalla A alla Z, cosa che mi ha sempre appassionato.

Noi ci occupiamo in particolare di revisione dei conti, certifichiamo il bilancio delle aziende: il rapporto con ciascun cliente dura tra i tre e i nove anni e in taluni casi anche oltre, laddove sia previsto dalla legge che il contratto possa essere rinnovato. Si inizia con la fase di rilevazione dei processi aziendali e poi, dopo la chiusura del bilancio al 31 dicembre, si procede alla sua analisi secondo i principi di revisione allo scopo di formulare un giudizio. Un passaggio molto importante per le aziende.

A settembre 2016, a tre anni dalla promozione a manager, ho chiesto il trasferimento a Roma per ricongiungermi con il mio fidanzato – ora, da due anni, marito – che lavorava lì in proprio come geometra. Il mio lavoro è rimasto lo stesso, e alla fine dell'anno sono stata promossa senior manager: ora sono al decimo anno in EY.

Sebbene si lavori tanto, questa società lascia lo spazio per costruirsi una propria vita – si va sempre di più verso una conciliazione tra vita privata e lavorativa. Certo all'inizio mio marito non concepiva i miei orari o il mio lavorare anche nel weekend, ma poi ha capito.

Non mi spaventa l'idea della maternità, anche se l'azienda corre veloce e per stare al passo so che dovrò riuscire a tornare operativa in tempi brevi – non perché mi sia richiesto, ma per la volontà di tornare appena possibile dai miei team di lavoro e dai clienti che seguo.

Da marzo fino all'estate siamo stati in smart working: abbiamo lavorato molto, noi i mezzi per gestire il lavoro in remoto li avevamo da tempo, un po' meno preparate erano le aziende piccole nostre clienti. Inevitabilmente è mancato il contatto umano, che nelle situazioni complicate "ammorbidisce": al telefono è molto più facile che si arrivi allo scontro, l'empatia un po' si perde. Ma alla fine i risultati li abbiamo portati comunque a termine. Ora stiamo cominciando a tornare dai clienti, laddove esistono le condizioni di sicurezza per farlo. Ci viene data la libertà di organizzarci tra lavoro da remoto e in sede.

Nel mio percorso ho sempre ricevuto il sostegno della mia famiglia: di mia madre, impiegata comunale, e di mio padre, medico. Inoltre di grande ispirazione sono stati la mia professoressa e relatrice di tesi – una donna decisa, senza compromessi – e il mio primo capo, che aveva soli tre anni più di me, ma voleva "mordere" il lavoro, sembrava che tutto gli riuscisse con facilità.

Solo un paio di volte, con i referenti, ho avvertito la sensazione di non essere la persona che volevano avere di fronte a discutere di alcune tematiche. Si trattava di persone molto grandi di età, condizionate da una certa forma mentis, quindi un po' spiazzate dal confrontarsi con una donna di ventott'anni. Questo si può combattere solo dimostrando di essere persone preparate: su tutto il resto si può discutere, sulla preparazione no.

Quindi alle ragazze consiglio di non farsi spaventare dalle situazioni: le persone preparate non devono temere nulla. Io cerco di essere di esempio: se non so una cosa, mi riprometto di approfondire e, solo dopo, di dare una risposta. Non bisogna mai essere superficiali e approssimativi, ma avere basi solide. E poi ci vuole un pizzico di coraggio per affrontare i cambiamenti e crescere. 

Le ragazze sono dei carri armati, precise, affidabili: io ho avuto anche team completamente al femminile e, quando si capisce che si può lavorare bene insieme, nasce una squadra vincente!

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

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