Categoria: Storie

“Poi è arrivato il lockdown, ed è cambiato tutto”: un 25enne racconta la sua laurea e il suo primo lavoro... da casa

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Filippo Barzaghi, 25 anni, oggi con un contratto di apprendistato in Prometeia.Ho sempre avuto una forte passione per le materie tecnico-scientifiche, motivo per cui ho scelto prima il liceo scientifico e poi una laurea in Ingegneria. Durante la scuola superiore ho dato ripetizione di matematica per guadagnare qualcosina ed essere indipendente economicamente e fino allo scorso anno ho giocato agonisticamente a calcio, poi purtroppo non riuscendo a conciliarlo con il lavoro ho dovuto mollare. Credo che aver praticato uno sport di squadra sia stato fondamentale per la mia crescita personale: il calcio è una scuola di vita e mi ha insegnato molte dinamiche tipiche del lavorare in team oltre ad aiutarmi a potenziare le mie soft skills.La mia prima esperienza all’estero è del 2012, quando ero ancora alle superiori, e grazie al progetto Estate INPSieme, erogato dall’Inps, ho passato due settimane a Warwick, nel Regno Unito. Era un progetto di potenziamento della lingua inglese che cosentiva ai giovani tramite una borsa di studio di partecipare a una vacanza studio. Il programma comprendeva alloggio e pasti, per cui le spese sono state minime.Nel settembre del 2014 ho cominciato il mio percorso universitario al Politecnico di Milano, scegliendo la laurea triennale in Ingegneria Gestionale che ho conseguito nel settembre del 2017. A quel punto ho deciso di continuare gli studi con la magistrale dello stesso indirizzo. Grazie all’iscrizione al Politecnico ho potuto in questa seconda fase svolgere ben due semestri di studio all’estero. Ad aprile dell'anno successivo infatti, contemporaneamente al corso universitario mi sono iscritto al Master QTEM, Quantitative Techniques for Economics and Management, un programma valido solo per gli studenti della facoltà di Ingegneria gestionale a cui il Politecnico di Milano aveva appena aderito. È un network che riunisce studenti talentuosi da diversi atenei che possono quindi svolgere due semestri di studio all’estero beneficiando di un network di aziende partner. La selezione si è basata inizialmente solo sui risultati accademici degli studenti di Ingegneria gestionale. Superata questa prima fase ho dovuto sostenere come requisito obbligatorio il GMAT, Graduate Management Admission Test [un test per determinare l'attitudine personale agli studi aziendali a livello universitario e post-universitario, ndr]. Grazie a questo master ho svolto parte del secondo anno, dal luglio al dicembre del 2018, a Melbourne in Australia e il terzo anno, da settembre a maggio del 2019 a Montreal, in Canada. In pratica ho svolto all’estero l’anno che avrei dovuto seguire al Politecnico e ho potuto conseguire contemporaneamente al diploma di laurea magistrale anche il master. Visto che è un progetto di cui fa parte la mia università non ho dovuto pagare nulla per partecipare al di fuori di vitto e alloggio e in entrambi i casi ho ricevuto una borsa di studio mensile di circa 340 euro. In Australia ho vissuto insieme ad altri due studenti italiani del Politecnico che sono partiti nell’ambito dello stesso programma: l’affitto era pari a 440 euro al mese. Siamo stati fortunati perché di solito i costi sono ben più alti. In Canada, invece, ho voluto provare un’esperienza diversa così sono andato a vivere con studenti non italiani. Ero in un appartamento con altri quattro ragazzi, tre americani e un canadese, e pagavo circa 440 euro al mese di affitto. Ma anche in questo caso i costi sono solitamente più alti. In entrambe le esperienze le principali differenze che ho trovato rispetto all’università italiana sono sia nella modalità di insegnamento, con classi più piccole e di conseguenza una partecipazione attiva degli studenti, sia nella valutazione, con buona parte del voto finale che si basa su lavori di gruppo e progetti fatti durante il semestre. Mi sono trovato molto bene in entrambi i paesi e le due culture mi hanno sorpreso positivamente per disponibilità e apertura mentale delle persone. Ambientarsi è stato facile e anche qui il calcio ha avuto la sua parte! Sia in Australia sia in Canada sono entrato a far parte di una squadra di soccer e questo mi ha permesso di conoscere ancora di più la cultura e fare amicizie. In futuro mi piacerebbe tornare in questi due paesi: la loro mentalità e modo di vivere in maniera spensierata rispecchia molto i miei ideali. Tornato in Italia mi sono messo a completare gli studi e a lavorare sulla tesi. Nel frattempo, durante l’estate dello scorso anno, ho partecipato al Career Day organizzato dal Politecnico. Stavo cercando un’esperienza lavorativa perché non volevo chiudere il mio percorso universitario senza aver mai fatto un’esperienza sul campo. Alla fine mi sono candidato per uno stage di sei mesi presso Prometeia e nel giro di una/due settimane sono stato contattato per un primo colloquio conoscitivo. A questo sono seguiti altri due colloqui, più tecnici, con il partner e il senior manager. Finiti i tre colloqui pensavo di cominciare lo stage e, invece, sono stato ricontattato dall’Hr che mi ha proposto direttamente un contratto di apprendistato di tre anni. Entusiasta per la proposta ho subito accettato e cominciato questo cammino. La proposta era di una Ral che ammonta a 25mila euro lordi annui, più una parte variabile fino al 30 per cento della retribuzione in base alla performance, buoni pasto del valore di 100 euro al mese e benefit aziendale che si aggira sui mille euro. Ho cominciato la mia prima esperienza lavorativa il 10 ottobre dell'anno scorso, pochi mesi prima che tutto fosse chiuso causa Covid. Ricordo bene il mio primo giorno di lavoro in azienda: avevo l’adrenalina a mille, con le stesse sensazioni dei primi giorni di scuola. I miei colleghi sono stati subito molto disponibili e l’ambiente mi è parso familiare. Credo questo abbia facilitato il mio inserimento: riuscire a entrare sin da subito nei meccanismi di un team positivamente è sempre merito dei tuoi compagni di squadra. In Prometeia sono entrato come Junior Consultant, ma in questi mesi ho fatto esperienza su diversi fronti. La cosa più positiva ad oggi è avere mansioni diverse e non ripetitive: ogni giorno sei alle prese con varie attività: ho supportato il project manager nello sviluppo operativo dei tasks, steso dei requisiti business per il cliente, redatto analisi funzionali, testato software e gestito processi bancari. Giornate piene che iniziano tra le 8.30-9.30 del mattino e vanno avanti fino alle 19.30.Poi è arrivato il lockdown ed è cambiato tutto. Non solo abbiamo iniziato a lavorare in smartworking, ma anche la mia fase finale di studio pre laurea è stata a distanza! Lavorare da casa mi ha sicuramente consentito di essere più concentrato sulla tesi. Quando la sera finivo di lavorare mi concentravo sulla stesura e il fine settimana non poter uscire causa lockdown mi ha permesso di passare il tempo libero scrivendo! È stata un’esperienza provante ma sicuramente gratificante. La mia relatrice è stata sempre disponibile a organizzare incontri via Skype per monitorare la stesura del testo. Ad aprile, il giorno della laurea: sembrava uno come tanti, l’ho vissuto con molta serenità. Ero nella casa a Milano che ho preso in affitto insieme alla mia fidanzata, quindi lei era l’unica persona presente fisicamente nella stanza durante la discussione. Ma famiglia e parenti erano collegati in remoto tramite un link che l’università ci ha permesso di condividere con i parenti più stretti. Mi piace pensare che questa modalità atipica di laurearmi mi distingua e mi dia la possibilità di poter raccontare ai miei figli, in futuro, questa esperienza con un pizzico di orgoglio. È stata una laurea diversa da quella di primo livello, principalmente è mancata la possibilità di festeggiare fisicamente con famiglia, amici e parenti. Ma la mia università ha deciso di organizzare una cerimonia di proclamazione quando l’ergenza sarà conclusa: avrò così modo di festeggiare per bene con tutti.Intanto sto continuando a lavorare da remoto, ormai da febbraio. I mesi passati da ottobre all’inizio dello smart working mi hanno dato la possibilità di costurirmi una base solida grazie a cui ho potuto lavorare con più autonomia. Credo che Prometeia abbia gestito al meglio questa situazione di emergenza: la comunicazione è sempre stata ineccepibile e pur lavorando da remoto ho continuato a interagire costantemente con il mio team. Questa modalità consente più flessibilità e una maggiore gestione del proprio tempo però, certo, riduce i contatti umani. Sotto questo punto di vista ho risentito dell’impossibilità di entrare in contatto fisicamente con il mio team. Penso che in futuro un compromesso tra lavoro in ufficio e da remoto possa essere la soluzione migliore, che giova sia al dipendente sia all’azienda. Sono contento della scelta fatta e di aver puntato sulla consulenza  e in futuro mi piacerebbe provare anche l’esperienza lavorativa all’estero.Non sono passato attraverso uno stage, ma conosco i problemi, vedendoli nei miei amici. Il principale è il rimborso spese: vedere ripagati anni di sacrifici con rimborsi spesso bassi non è un incentivo per giovani laureati. E poi spesso non sono finalizzati all’assunzione. In questo senso credo che la Carta dei diritti dello stagista sia un ottimo strumento per mettere in evidenza i diritti dei giovani neolaureati, spesso trascurati, e i doveri delle aziende. Credo che proprio per questo dovrebbe essere sponsorizzata di più dalle università.Scegliere il mondo della consulenza significa fare dei sacrifici e a chi volesse intraprenderlo consiglio di seguire corsi di formazione e tenersi aggiornati costantemente per padroneggiare le conoscenze di propria competenza e crearsi un network. E non perdere il contatto con la realtà: perché il lavoro è importante ma la vita e l’aspetto sociale contano di più. Marianna Lepore

Veneta e cittadina del mondo: “Lo stage alla Corte di Giustizia dell'Ue, la mia sesta esperienza all'estero”

La Corte di Giustizia dell'Unione europea offre ogni anno una cinquantina di posti per tirocinanti europei laureati in giurisprudenza o scienze politiche, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. L'avvio degli stage per chi farà domanda (entro il 15 settembre) e verrà selezionato è previsto per marzo 2021. Sara Marpino, 25 anni, ha partecipato al progetto quest’anno e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza in Lussemburgo.Il mio primo contatto con l’estero è cominciato nell’agosto 2012 quando ho lasciato il liceo scientifico che stavo frequentando a Portogruaro, in provincia di Venezia, per partire alla volta del Canada e frequentare il quarto anno delle superiori grazie a una borsa studio di Intercultura. È stata un’esperienza davvero “life-changing” perché, oltre a imparare il francese e migliorare l’inglese, ho capito quanto l’uscire dalla mia zona di comfort mi facesse crescere a velocità accelerata. Avevo conosciuto Intercultura tre anni prima, quando mio fratello era partito per tre mesi in Belgio. Non ho pagato nulla perché ho ottenuto una borsa di studio totale: vivevo in una famiglia canadese che è diventata per me una vera e propria seconda famiglia con cui sono tuttora in contatto. Preso il diploma sono tornata in Italia dove ho frequentato l’ultimo anno di liceo concluso a luglio 2014 e ho iniziato a essere volontaria per l’associazione.L’esperienza in Canada credo sia stata la più formativa tra le tante che avrei poi fatto all’estero negli anni seguenti. È stata la più lunga, la prima da sola all’estero e vista la mia giovane età ero molto più flessibile e meravigliata dalle differenze. Mi sono poi iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Trieste, andando a vivere in un appartamento con un’amica e compagna di studi. All’inizio ero indecisa tra Giurisprudenza e Scuola interpreti, vista la mia grande passione per le lingue. Oggi credo di aver fatto la scelta migliore, essendo riuscita ad imparare per conto mio il francese, l’inglese, lo spagnolo e un po’ di portoghese. A Trieste mi sono trovata bene da subito e fatto fronte a tutte le spese grazie a una borsa di studio dell’università. Ho sempre puntato a mantenere un buon equilibrio tra esami, vita sociale e sport – gioco da sempre a basket – cercando di organizzarmi al meglio con gli esami per trovare il tempo di fare delle esperienze internazionali. Ho partecipato, nel 2015, al programma Erasmus + “Youth mobility againts crisis” in Polonia. Si tratta di un programma breve, di dieci giorni, a cui partecipano una trentina di ragazzi di nazionalità diverse e in cui si alternano attività teorica a lavori di gruppo e workshop. Ho pagato una quota di 100 euro – tutto il resto, volo, vitto e alloggio, era incluso. Durante il secondo anno di università sono poi partita per uno stage senza rimborso spese in uno studio legale in Argentina: volevo imparare lo spagnolo e allo stesso tempo iniziare a conoscere l’atmosfera del mondo del lavoro. Lo stage non era organizzato dall’università. Ho contattato, tramite un amico argentino che mi ha ospitato durante il mio soggiorno, la scuola di lingue e lo studio legale. Tutto è durato solo qualche settimana perché ho finito gli esami a fine luglio e i corsi ricominciavano a metà settembre.La passione per l’estero è continuata, così il quinto anno di università sono partita per l’Erasmus in Portogallo, dove ho superato gli esami “a scelta” compresi nel mio programma di studi. Sono rimasta a Porto per quasi cinque mesi e l’inserimento è stato molto facile perché c’erano molti altri studenti Erasmus come me. L’università mi dava una borsa di studio di circa 200 euro al mese, che però non bastavano nemmeno a coprire l’affitto  – che di 350! Mi sono poi laureata a luglio 2019 con 110 e lode.Con un titolo di studio finito avevo voglia di fare una prima esperienza professionale, anche questa volta all’estero. Mi sarebbe piaciuto tornare in Canada per migliorare inglese e francese contemporaneamente: così ho fatto uno stage di tre mesi nella sede centrale di AFS Canada, a Montreal, dall’ottobre al dicembre 2019. Ho contattato direttamente la vicepresidente di AFS Canada, chiedendole se ci fossero delle possibilità per stagisti. Mi occupavo, con altre due colleghe, dell’evoluzione di un nuovo progetto ed avevo compiti molto diversi: dalla logistica, al controllo dei dossier, al contatto diretto con i candidati. Avevo un rimborso spese di 300 dollari al mese più le spese di trasporto. Tornata in Italia ho cominciato la pratica forense in uno studio legale in provincia di Pordenone. Ma è durato solo due mesi perché poi sono partita nuovamente per lo stage alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, iniziato il primo marzo. Non era l’unica istituzione europea per cui avevo fatto domanda: nel settembre 2019, infatti, avevo fatto varie application senza crearmi troppe illusioni. Lo stage all’Unione europea è sempre stato un sogno per me. Ho saputo di essere stata selezionata quando ero in ufficio, in Canada e ricordo ancora di aver pianto dalla felicità con la mia collega, che era ormai diventata una grande amica. Ho da subito cercato una camera in Lussemburgo, per evitare di dovermi trovare a pagare prezzi esagerati. Abito con altri nove ragazzi, stagisti o lavoratori, tutti maschi, che ormai sono diventati una famiglia per me. Pago 750 euro al mese, quindi i 1177 euro di rimborso spese della Corte mi permettono di pagarmi vitto e alloggio, anche perché i trasporti pubblici sono gratuiti in tutta la nazione. Il primo giorno alla Corte ero emozionatissima: l’edifico era bellissimo, imponente e brillante. Il mio ufficio, con tanto di targhetta con il mio nome e la dicitura “giurista linguista”, si trovava al diciassettesimo piano della torre C. Alla Corte si respira Europa, si sentono parlare 5-6 lingue diverse ogni giorno e tutti, dagli stagisti, alle guardie, ai capi, sono davvero disponibili. Lavoro nell’Unità di Traduzione Giuridica Italiana e mi occupo quindi di traduzione giuridica, che richiede comunque un previo lavoro di ricerca, dalle varie lingue all’italiano. Lo stage di quest’anno è stato sicuramente diverso dal solito. Purtroppo, dopo poche settimane dall’inizio, la Corte è stata chiusa a causa del Covid 19, e mi sono trovata a lavorare in smart internshipping. Il tirocinio continua a distanza anche ora che in Lussemburgo è tornato tutto alla normalità, a parte l’uso obbligatorio delle mascherine. La Corte, infatti, ha deciso che noi stagisti non torneremo più in ufficio prima della fine del tirocinio. Ovviamente da casa non è stato possibile fare tutto esattamente come prima, non avendo accesso agli stessi programmi. Ma i colleghi dell’Unità italiana hanno sempre cercato di fare in modo che potessimo lavorare al meglio delle nostre possibilità. Per fortuna avevo fatto in tempo a farmi dei buoni amici tra gli stagisti: si era, infatti, già creata una bella compagnia composta per lo più da italiani, francesi e belgi. Siamo rimasti in contatto durante la quarantena, e, non appena è stato possibile, abbiamo ricominciato a frequentarci. Da quando sono in Lussemburgo mi sono resa conto di quanto qui le opportunità siano maggiori e le condizioni di lavoro nettamente migliori. Per questo ho deciso che tra pochi giorni – una volta terminato lo stage, il 31 luglio – resterò a lavorare qui. Credo che il problema degli stage in Italia sia che gli stagisti sono considerati, anche quando lavorano a tempo pieno e sono ampiamente qualificati, lavoratori di serie B. Ritengo avvilente che i giovani italiani debbano lavorare per anni accontentandosi di rimborsi spese. Con un sistema universitario brillante come il nostro è davvero triste che anche i migliori studenti si sentano costretti ad andare all’estero per vedere le proprie fatiche ripagate. È indubbio che gli stage permettano di “farsi le ossa” e acquisire preziose competenze, ma non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia che li possa sostenere economicamente per anni. Qui, per esempio, il governo “aiuta” chi ha stipendi bassi. Se il tuo affitto è più del 25% del tuo stipendio, hai diritto a dei sussidi. È evidente che la situazione economica italiana è diversa da quella di molti stati europei, ma non per questo è giusto che a rimetterci debbano essere i giovani che cercano di farsi spazio nel mondo del lavoro. Se questa è la situazione in Italia, non ci si può poi lamentare della “fuga dei cervelli”. Amo il mio Paese e se potessi ci resterei volentieri ma purtroppo, per ora, non mi pare un’alternativa valida.Ai ragazzi italiani, soprattutto ai laureati in giurisprudenza, consiglio fortemente di candidarsi per uno stage nelle istituzioni europee: è un’esperienza estremamente appagante, che permette di aprire gli occhi sulla realtà del mondo del lavoro all’estero. E per avere più chance di passare la selezione consiglio di imparare il francese che è essenziale insieme a qualche altra lingua, di fare più esperienze internazionali e magari scegliere tra gli esami opzionali quelli di diritto dell’Unione europea.Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Ingegnera meccanica, mamma e allenatrice di volley: "Ragazze, non tiratevi mai indietro!"

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Tatiana Palombi, 36 anni, Mechanical Development Senior Engineer presso Flex, multinazionale statunitense che opera in ambito business to business (B2B) nel settore della tecnologia e dell’elettronica.Sono nata e cresciuta a Milano; dopo il liceo scientifico, ho studiato al Politecnico, frequentando la triennale in Disegno industriale e la specialistica in Design engineering. La chiave di volta nella mia scelta è stata la consegna delle tavole di disegno alla mia professoressa di arte. C'è stata una discussione perché lei era convinta che ci fosse un errore: io ho portato avanti fino alla fine la mia idea e lei si è accorta che avevo ragione, così mi ha fatto la battuta: "Hai imparato a disegnare!". Da lì mi sono detta "Magari è questo il mio campo".Ho trovato una via di mezzo tra Architettura e Ingegneria, che fosse un mix fra teoria e pratica. Dopo la triennale, volevo approfondire la parte più tecnica, sia fisica che meccanica, e il corso in Design engineering aveva proprio questo obiettivo. Una decisione che mi ha portato bene: oggi sono Mechanical Development Senior Engineer nella multinazionale Flex e sono sicura di aver fatto la scelta giusta per le mie capacità.Sono stata la prima laureata della mia famiglia, mio padre è operaio e non ha finito le superiori, mia madre custode e si è fermata alla quinta elementare. Mi hanno sempre supportato e mi hanno permesso di studiare senza lavorare, concentrandomi solo su quello. Mia madre mi ha confessato che, quando le ho detto che volevo iscrivermi all'università, le sono tremate le ginocchia. Il liceo non era stato facile, ma l'università l'ho scelta ed è stato tutto diverso. Ci sono stati sacrifici, anche perché alle medie ci siamo trasferiti fuori Milano e, ogni giorno, dovevo fare oltre un'ora di viaggio, ma tutto è stato ripagato. I miei genitori, pur non avendo studiato, sono i miei modelli, perché mi hanno insegnato il rispetto verso il lavoro, le regole e le scadenze, ma  soprattutto verso le persone che lavorano con te.Anche le esperienze di vita mi hanno aiutato a diventare quella che sono. Ho fatto sei anni di volontariato in ambulanza, diventando istruttrice del gruppo di formazione. Ho giocato sin da piccola a pallavolo e attualmente sono alla mia decima stagione da allenatrice delle giovanili. Ho smesso di giocare un anno dopo aver avuto la mia bambina, che oggi ha sette anni. I valori dello sport sono valori indispensabili che tutti dovrebbero avere e trasferire nella vita quotidiana: la lealtà, il rispetto di chi lavora con te e per te. Quello che dico sempre alle mie ragazze è che si vince e si perde insieme. Il mio primo approccio al lavoro è stato, prima della conclusione della specialistica, un tirocinio presso il Cnr di Lecco. Un'esperienza molto intensa e formativa, anche perché ho trovato nei colleghi grande pazienza nel colmare le mie lacune. Durante i sette mesi di tirocinio, ho curato il mio progetto di tesi, consistente nella creazione di un oggetto utilizzabile da bambini affetti da paralisi cerebrale infantile. Ho anche avuto modo di testarlo in un vicino ospedale: è stato emozionante vedere che il bambino, grazie al mio prototipo, riusciva a scrivere.Dopo la laurea tutto è stato molto rapido: il 19 dicembre 2008 ho discusso la tesi, a gennaio ho iniziato a inviare curriculum a pioggia e a metà febbraio ho cominciato a lavorare. Ho ottenuto un contratto a progetto in un'azienda di Desio a carattere familiare, specializzata in interfacce uomo macchina (lavatrici, lavastoviglie, macchine da caffè industriali etc.). A settembre il contratto a progetto si è trasformato in apprendistato e poi, dopo un anno e mezzo, sono stata assunta a tempo indeterminato. Questa esperienza mi ha permesso di imparare a lavorare, ad avere a che fare con clienti e colleghi e con progetti sempre diversi. Ho avuto la fortuna di trovare due responsabili intelligenti e capaci, che hanno avuto la voglia di insegnarmi il lavoro.A luglio 2011 me ne sono andata, ma per una scelta personale. Lì avevo conosciuto mio marito, perito tecnico in ambito elettronico, e mi sono detta che non potevamo lavorare nello stesso posto. Durante la crisi del 2008, tante persone erano rimaste a casa perché lavoravano nella stessa azienda. Così ho cominciato a cercare ed è arrivata Flex, un'occasione di crescita personale, visto che passavo da un'azienda a carattere familiare a una multinazionale statunitense con sedi in tutto il mondo.Inizialmente non è stato facile, sono passata da una semplice tastiera a progetti complessi, con tempistiche molto più lunghe e interazione tra meccanico, elettronico, software. Dovevo interfacciarmi con figure, come il Quality Assurance, di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.Il mio ruolo – ingegnera meccanico di sviluppo – consiste nel recepire i requisiti del cliente e tradurli rendendoli comprensibili a tutti e univoci, poi sviluppare il prodotto, presentare due/tre idee al cliente, quindi arrivare al prodotto finale e affrontare le varie fasi di test, sia in autonomia internamente sia presso enti certificatori, per vedere se i requisiti chiesti dal cliente sono stati centrati. Poi si analizzano i risultati e, in caso positivo, si procede alla messa in produzione. I team possono variare fra le sei e le dodici persone, a seconda della complessità del prodotto.In Flex il reparto qualità è a predominanza femminile, mentre il reparto tecnico è meno rappresentato, nel gruppo meccanico siamo cinque donne su una ventina, ma stiamo crescendo. Io per carattere sono abituata a lavorare più con gli uomini, lo trovo più facile perché gli uomini fanno meno polemiche sterili. Ma, in generale, quello che mi piace di questo gruppo è che ognuno è in grado di prendere la parte positiva del lavoro degli altri, d'altronde in questo campo se uno resta indietro restano indietro tutti.A otto mesi dall'arrivo in azienda sono rimasta incinta. Dopo tre mesi l'ho detto al mio responsabile, che mi ha risposto "Tu da questa sera porti il computer a casa: se la mattina ti alzi e non stai bene lavori da lì". Non ne ho avuto bisogno, ma è stato importante per me sapere di avere quella possibilità. Lui era particolarmente sensibile all'argomento e al quinto mese si è rifiutato di mandarmi negli Stati Uniti per una trasferta: all'inizio non l'ho capito, ma poi l'ho ringraziato.Ho fatto la scelta di restare a casa quasi un anno, quindi i cinque mesi obbligatori più sei facoltativi. Una volta ritornata, c'è stato un susseguirsi di possibilità di crescita professionale. Non c'è mai stato il pensiero: "Sei una mamma, ti metto da parte".Flex è un ambiente stimolante e premiante, dove se si lavora bene i riconoscimenti arrivano, anche sottoforma di bonus, sia legati al raggiungimento di obiettivi di Gruppo che individuali. A me piace lavorare con chi ne sa più di me, essere una spugna, soprattutto per la parte teorica, visto che io sono più pratica. Però adesso mi piacerebbe fare il salto di qualità e diventare io il riferimento per gli altri!Anche per il periodo di emergenza, mi ritengo fortunata perché il mio lavoro non ha subito conseguenze. Prima ancora del lockdown, a fine febbraio, l’azienda ha attivato lo smart working e ci ha invitati caldamente a restare a casa. Ognuno di noi ha il suo computer portatile a uso personale, siamo sempre stati messi nelle condizioni di poter lavorare fuori, quindi non è stato difficile adattarsi. Flex ci ha chiesto di mantenere lo stesso orario, di otto ore al giorno, enfatizzando la richiesta “ogni tanto staccatevi!”. Sono previsti incontri regolari in video call con i nostri manager, per confrontarci. La capacità di organizzarci da subito è stata apprezzata dai nostri clienti, che hanno visto continuità nel lavoro e ci hanno premiato per questo. Sin dai primi giorni abbiamo dato dimostrazione che la nostra capacità e qualità nel lavoro non venivano intaccate e che il non essere controllati a vista non inficiava le performance, e anche i vertici e il Team HR lo hanno riconosciuto. Quindi, se prima dell’emergenza il lavoro da casa era poco sfruttato, ora mi auguro che questa possibilità verrà mantenuta, almeno per un paio di giorni a settimana. Sarà importante soprattutto per i primi tempi, quando ancora i nostri figli resteranno a casa da scuola e noi, tornando in ufficio, ci esporremmo al rischio di portare il contagio. Ai ragazzi e alle ragazze consiglio: non mollate mai, non si può sperare di riuscire sempre al primo colpo, di geni ce ne sono pochi. Bisogna avere umiltà e, soprattutto per le ragazze, più consapevolezza delle proprie capacità e meno scrupoli. Essere donna non deve essere motivo per tirarsi indietro: alle volte ci complichiamo la vita da sole, abbiamo difficoltà nel metterci in gioco di fronte a una figura senior di sesso maschile, a tenere la voce nel tono corretto. Non fatevi spaventare dal fatto che storicamente l'ingegneria è un mondo prettamente maschile. Per come la vedo io, anche nei momenti di crisi, un tecnico ha la capacità mentale di adattarsi, riciclarsi in una situazione diversa: se la cava sempre!Rossella Nocca

Le università dovrebbero far conoscere le aziende che rispettano la Carta dei diritti dello stagista!

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Micaela Franchini, 28 anni, oggi con un contratto di apprendistato Meta System.Sono nata a Serramazzoni, un paese di 8mila abitanti immerso nelle montagne modenesi. La mia prima esperienza lavorativa è stata nell’estate tra la quarta e la quinta superiore, quando avevo 17 anni, e ho partecipato a un mese di Summer Job all’estero offerto dall’azienda in cui lavora mia madre, operante nel settore del packaging alimentare, Tetra Pak. [che peraltro è un'altra delle aziende dell'RdS network!] Il programma offriva di seguire le attività di uno degli uffici interni svolgendo piccole mansioni a supporto dei dipendenti. Ho deciso di provare e dopo un piccolo test di ingresso mi sono spostata nella sede svedese, nell’agosto 2009. È stato un mese pieno di nuove emozioni: prima di allora non avevo mai viaggiato da sola! L’inglese non è stato un problema, mi è sempre piaciuta come lingua e lo studiavo volentieri anche a scuola. Ho ricevuto un rimborso che mi ha permesso di coprire unicamente le spese di viaggio e ho dovuto pagare l’alloggio – vivevo in casa da sola – grazie all’aiuto dei miei genitori, ma in quel contesto e data la mia età, la maggior retribuzione è stata la grande opportunità che ho avuto e il segno che quell’esperienza mi ha lasciato. Se dovesse capitare di avere un’occasione del genere la si dovrebbe cogliere senza batter ciglio.Lund mi ha trasmesso un senso di serenità incredibile: una città multietnica e dinamica, arricchita dalle esperienze di persone provenienti da ogni parte del mondo, che hanno portato le loro esperienze e abitudini per brevi, lunghi periodi o in modo permanente e in qualsiasi tipologia di settore.Terminato il liceo mi sono inserita nell’attività commerciale di mio padre, in una realtà contenuta e operante nel settore agricolo. Mi è sempre piaciuto il suo contesto lavorativo ed è questa affinità che forse inconsciamente mi ha spinta verso la decisione che avrei poi preso poco dopo in merito alla scelta dell’indirizzo universitario.Presa la maturità nel 2010, ho anche cominciato l’università: alcuni miei compagni di corso si sono presi il tempo per viaggiare e fare svariate esperienze prima di iniziare gli studi universitari. Con il senno di poi non è stata una mossa del tutto sbagliata la loro, soprattutto quando non si hanno le idee chiare su che strada intraprendere.Mi sono iscritta a Ingegneria gestionale, nella facoltà di Reggio Emilia, probabilmente anche per le svariate opportunità che questo percorso mi avrebbe poi offerto. Ho fatto i primi anni di triennale in modalità part-time, alternando allo studio il lavoro nell’attività di mio padre. Dopo il primo anno di corso mi sono trasferita a Modena: il pendolarismo con Reggio Emilia era meno faticoso e l’azienda di mio padre dove continuavo a lavorare in part time era a Vignola, quindi così ero a metà strada. È stata la mia prima esperienza di vita fuori casa: per fortuna non avevo spese di fitto da pagare visto che l’appartamento era di famiglia. In più lo condividevo con altre tre ragazze così anche le spese erano più sostenibili. In quel periodo il lavoro part time mi ha consentito di sviluppare alcune soft skills che oggi reputo estremamente importanti per muoversi nel mondo del lavoro. Ero una persona molto più timida e introversa e oggi posso dire di aver imparato ad affrontare alcune situazioni con maggiore sicurezza e fiducia in me stessa.La prima esperienza professionalizzante attinente al mio percorso di studi l’ho fatta internamente all’università, attraverso il tirocinio obbligatorio della triennale, collaborando con il gruppo di ricerca universitario LCA working group. Ho sviluppato qui la prima tesi di laurea, basata sullo studio di Life Cycle Assessment applicata al prodotto di una ceramica locale. Era il 2016 e sono stati mesi di collaborazione molto interessanti, nei quali il senso di organizzazione ha giocato un ruolo fondamentale.Presa la laurea di primo livello, gli anni della magistrale sono stati totalmente diversi, vissuti in maniera più concentrata. Mi sono trasferita a Reggio Emilia, dove ho condiviso l’appartamento con un’altra persona pagando 500 euro di affitto al mese. Reggio è una città universitaria, è stato facile ambientarsi. In più il bacino della pianura padana ha molto da offrire ai giovani neolaureati. La richiesta di ingegneri gestionali aumentava sempre di più e anche i corsi all’interno dell’università si modificavano di pari passo con i cambiamenti che le imprese stavano subendo in seguito allo sviluppo tecnologico.Questa volta ho deciso di fare un percorso di stage in azienda piuttosto che interno all’università. Ho vinto una sorta di borsa di studio offerta da un’azienda multinazionale del territorio, operante nel settore di macchine per l'agricoltura e l'industria, tramite un seminario facoltativo incentrato sulla Lean Organization.La selezione è avvenuta in seguito a valutazione basata su breve esame finale e giornate di workshop in stabilimento. Era uno stage finalizzato alla stesura della tesi: ho frequentato un corso facoltativo e sono stata una delle tre persone selezionate con il test finale con la possibilità di fare il tirocinio in azienda anche qui, se c'è su linkedin mettiamo il nome. Ho iniziato il percorso insieme ad altri due ragazzi. Il mio si è incentrato in contesto logistico. Mi sono occupata dell’ottimizzazione del flusso interno di movimentazione del prodotto finito, tramite simulazione basata su dati reali raccolti sul campo. Il tirocinio è partito a settembre del 2018 fino a febbraio 2019, nello stabilimento di Reggiolo: avevo un rimborso spese di 600 euro al mese, con tessera mensa inclusa. Il mio progetto di tesi è andato avanti parallelamente con altre attività di cui l’azienda necessitava in quel momento, su tematiche di Lean organization e World Class Manufacturing. Ho avuto il supporto del professore e del tutor aziendale. La mia intenzione, una volta terminati i sei mesi di stage, era quella di concentrarmi sull’elaborazione della tesi e sul conseguimento della laurea.Poi, prima ancora di avere in tasca il titolo, sono stata contattata dalle risorse umane di Meta System di Reggio Emilia, che avevano trovato il mio curriculum su Almalaurea. C’è stato un primo contatto telefonico, poi un incontro su skype e infine una giornata di workshop in azienda. Avevo già sentito parlare di Meta System proprio tramite il sito Almalaurea, visto che aveva partecipato a un career day. E cercando altre informazioni in rete le ho trovate proprio in un articolo della Repubblica degli stagisti! È stato utile perché c’erano informazioni sulla tipologia del percorso e sul rimborso spese in maniera dettagliata. Prima di oggi non avevo, però, mai approfondito il testo della Carta dei diritti dello stagista: penso che sia un’informazione utile che potrebbe essere divulgata in primis tramite l’università.Sono stata selezionata attraverso il “Talent Day”, una giornata organizzata da Meta System in cui alcuni candidati venivano selezionati direttamente dai vari responsabili. Dopo di che è iniziato un tirocinio con un rimborso spese mensile di 800 euro: sei mesi di rotazione da marzo a settembre 2019 in diverse aree aziendali, logistica, qualità acquisti, project management, produzione. Così ho potuto assistere allo sviluppo dello stesso progetto automotive attraverso diversi punti di vista. Durante il periodo di stage ho avuto modo di approfondire conoscenze gestionali già acquisite, è stata una fase di perlustrazione fondamentale per capire quali fossero i processi aziendali e come fossero gestiti attraverso le mansioni specifiche dei vari dipartimenti. La disponibilità dei colleghi è stata forse la cosa più importante che ha caratterizzato questi mesi di prova.Terminato lo stage mi è stata fatta la proposta di un contratto di apprendistato di due anni, al termine del quale avrò un contratto a tempo indeterminato; oggi comunque ho una retribuzione annua lorda di circa 26mila euro.  A questo punto mi sono spostata definitivamente in uno dei reparti in cui ero passata: qualità della fornitura. È un lavoro che presenta sfaccettature statiche e dinamiche allo stesso tempo: ci sono attività di ufficio abbastanza specifiche, tra cui raccolta e analisi dei dati fornitore e altre spostate principalmente verso l’esterno, trasversali agli altri dipartimenti interni. Elaborazione dati e loro presentazione al cliente, gestione delle attività legate allo sviluppo del progetto dei singoli componenti e approfondimento dei diversi processi di produzione tramite visite ai fornitori sono le attività sui cui sto lavorando. È un settore in cui non ci si annoia mai.In futuro mi aspetto di approfondire aspetti inerenti al miglioramento continuo del processo del fornitore, di raggiungere un buon livello di indipendenza nelle scelte risolutive. Aspiro ad acquisire una competenza tecnica di un certo livello, con capacità gestionali all’altezza della situazione, accompagnata da una visione complessiva del processo.Dopo l’esperienza in Svezia non ho più pensato a lavori o trasferte all’estero, non perché disdegnassi l’idea. È un’opzione da tenere in considerazione, soprattutto pensando alle richieste e alle necessità del mercato del lavoro oggi. Ed è una delle cose che viene sempre chiesta in sede di colloquio: la risposta deve essere affermativa. Ecco se tornassi indietro forse l’unica cosa che cambierei è fare l’Erasmus, esperienza che mi è mancata. Con la diffusione dell'emergenza Coronavirus Meta System mi ha dato la possibilità di lavorare fin da subito da casa, in modalità smart working. Questo mi ha permesso di lavorare come se fossi a fianco dei miei colleghi, pur mantenendo le distanze di sicurezza. È un approccio al lavoro diverso, che non avevo mai sperimentato prima d’ora, ma in situazioni del genere è una buona alternativa, che permette di portare avanti le attività evitando un blocco drastico. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Stage da casa, molti pro e qualche (piccolo) contro

C’è una spaccatura, in Italia, tra chi ha potuto proseguire – e sta proseguendo – il suo stage da remoto durante il lockdown e chi non ha avuto questa opportunità, perché non era possibile svolgere le mansioni da casa oppure perché la Regione di riferimento ha vietato  la modalità “agile”. Gli stagisti che sono stati lasciati a piedi questi due mesi sono rimasti privi di attività e hanno visto tagliata la propria fonte di reddito, ossia l’indennità mensile. Fortunatamente per molti invece è stato possibile proseguire lo stage da casa.È il caso di Virginia Scardilli, ventitreenne piemontese, che dopo una triennale in Economia a Torino, un programma Exchange di sei mesi in Canada presso l’Université du Québec di Montréal, ora sta finendo la magistrale in Management alla Bocconi di Milano e da inizio febbraio è anche stagista in Marsh, una delle aziende virtuose che fanno parte del network della Repubblica degli Stagisti. «Dopo circa un mese di stage in ufficio abbiamo iniziato a lavorare in modalità smartworking: il percorso formativo comprende alcune ore dedicate alla formazione e altre impiegate in attività di sales/commerciale» racconta: «Il passaggio è stato improvviso, come d'altronde per molte attività lavorative. È stato comunicato tramite e-mail dall’azienda e sono state immediatamente riprogrammate tutte le attività previste, in modalità telematica. È stato assegnato un tutor di riferimento per ognuno di noi stagisti, con il compito di supportarci e assegnarci le attività da svolgere». Dal punto di vista della strumentazione tecnologica nessun problema, dato che un laptop le era stato consegnato pochi giorni dopo l’inizio dello stage. «La tecnologia è fondamentale in questo momento ed è ciò che permette la continuità delle mie attività». Ma anche l’aspetto umano non va trascurato: «Il contatto con i colleghi e con il mio tutor è quotidiano e costante. Dopo l’assegnazione delle attività da parte del tutor, nei giorni successivi avvengono aggiornamenti e feedback sullo stato di avanzamento del lavoro. La distanza ha in qualche modo rafforzato le relazioni e la collaborazione anche coi colleghi».Scardilli è inserita all’interno di un percorso particolare che Marsh prevede per formare i giovani talenti, il “Sales Graduate Program”, rivolto a neolaureati interessati a una carriera commerciale nell'ambito della consulenza strategica, in particolare nell’intermediazione assicurativa. Il Program prevede una alternanza di momenti di formazione tecnica in aula e di formazione on-the-job con il costante affiancamento di un tutor durante tutte le fasi delle trattative commerciali. «Trattandosi di un Graduate Program, è stato chiaro fin da subito l’obiettivo da parte dell’azienda di puntare alla crescita professionale degli stagisti» aggiunge Scardilli: «il proseguimento delle attività in questi mesi senza interruzioni ha permesso che ciò potesse verificarsi». La giovane bocconiana al momento prosegue il suo stage da Moncalieri, in provincia di Torino, dove vive insieme ai genitori e alla sorella: «Solitamente lavoro dalla mia camera al mattino e dal giardino al pomeriggio. Nonostante la mia casa permetta ad ogni membro della famiglia di avere il proprio spazio in cui lavorare e studiare, spesso lo condivido con mia sorella per favorire la concentrazione e l’impegno» dice: «Anche se lo smartworking permette ad ognuno di noi una gestione più autonoma del tempo, cerco comunque di rispettare le ore lavorative standard: 9-13 e 14-18. Avere la giornata organizzata e pianificata rende più efficace il mio lavoro, soprattutto da remoto». Ma è consapevole che poter continuare è stata una fortuna: «Alla maggior parte dei miei amici e conoscenti lo stage è stato interrotto, con la conseguente perdita dell’indennità mensile. Per molti di loro è stato un duro colpo, specialmente per chi vive fuori sede in una città come Milano dove gli affitti e il costo della vita sono alti».E c’è addirittura chi non solo fa lo stage ma contemporaneamente consegue anche la laurea e viene perfino assunto… tutto da casa. E’ il caso di Michele Nigro, 26enne ingegnere pugliese, da novembre dello scorso anno in stage presso Prometeia, una società di consulenza che da due anni fa parte dell’RdS network. Lui non solo sta completando lo stage da remoto, ma in questo periodo si è anche laureato, conseguendo la specialistica in Ingegneria Informatica presso l’università di Bologna, e tra pochi giorni passerà dallo stage a un vero contratto di lavoro, perché Prometeia ha deciso di assumerlo. Fino a metà marzo raggiungeva tutte le mattine in bicicletta l’headquarter di Prometeia, a Bologna: uno stage svolto mentre ancora era studente, con orari flessibili per permettergli di mettere la preparazione della tesi in cima alla lista delle proprietà. Poi di colpo tutto è cambiato: «Qualche giorno prima della chiusura, quando era tutto ancora indefinito, ci è stato chiesto se avremmo avuto problemi a lavorare da casa» ricorda. Per lui  nessun problema: con il portatile «fornito dall’azienda», e una buona connessione internet («ottima, fortunatamente») la prosecuzione dello stage da casa è avvenuta senza problemi. Ma certo la circostanza  è quantomeno insolita: «Mai avrei immaginato di farlo», sopratutto «per un periodo così lungo e a causa di una situazione del genere».La scelta di proseguire da casa è secondo lui quella giusta: «in questo modo posso avere continuità di apprendimento: restare fermo sarebbe stato controproducente». Anche la sua giornata-tipo è cambiata radicalmente. Sta passando questo periodo di lockdown in casa con la sua fidanzata, che fa l’infermiera: «Mi sveglio un po’ più tardi. Riesco a lavorare senza problemi, grazie agli strumenti che l’azienda ha fornito e alla disponibilità dei colleghi. Ho capito fin da subito di essere entrato a lavorare in un ambiente pieno di persone estremamente disponibili, e me ne rendo conto ancora di più adesso. Gli altri sono sempre ben disposti ad aiutarmi per qualsiasi dubbio o difficoltà, in particolar modo il mio tutor con il quale sono ovviamente in contatto molto più spesso». Ma certo qualche accorgimento è stato necessario: «Non essendoci una separazione netta tra ambiente lavorativo e privato, la gestione dei tempi è differente». Tra i pro «posso staccare per fare spesa, non devo preoccuparmi di preparare il pranzo per il giorno dopo». Tra i contro «capita di lavorare nel fine settimana perché voglio – o non ho fatto in tempo – a portare a termine qualche compito». E poi «lo svago nel tempo libero è limitato a ciò che si può fare in casa: TV, videogame, libri».Lo stage a distanza può anche essere un modo per cambiare ritmi e anche recuperare tempo prezioso. È il caso di Giovanna D’Angerio, stagista all'interno dell'ufficio People di everis, la primissima azienda ad aver aderito al network della Repubblica degli Stagisti ormai undici anni fa: «La mia giornata tipo iniziava con circa un’ora di viaggio in treno verso la sede di Milano, in via Arconati, con la speranza di non arrivare in ritardo a causa dei prevedibili ritardi. Poi pochi metri a piedi ed eccomi in ufficio: accensione del pc, inizio delle attività lavorative e coordinamento con le colleghe. Ambiente luminoso e accogliente. Al termine della giornata lavorativa rieccomi sul treno, con la stessa speranza del viaggio di andata: non regalare tempo ai ritardi». Da due mesi il problema del ritardo dei treni, beh, non esiste più. Trentatré anni, pavese, laureata in Giurisprudenza con una tesi in Diritto tributario, D’Angerio aveva iniziato la pratica forense, ma poi capito che il mondo dei tribunali non faceva per lei: da qui il viraggio verso un master in Giurista d’Impresa a Milano, terminato con un focus proprio sullo smart working.Oggi vive a Pavia, da sola: «Lavorando da casa certamente percepisco meno la stanchezza del viaggio, al quale dedicavo circa due ore al giorno! Impiego quel tempo leggendo il quotidiano, lavorando la maglia, creando puzzle, chiacchierando un po’ di più al telefono con la famiglia, guardando film… Le ore scorrono. Per fortuna affacciandomi al balcone ho la possibilità di vedere e parlare con persone che come me non possono fare altro che proteggersi dalla pandemia stando il più possibile in casa». Il passaggio allo smart internshipping «non è stato affatto difficoltoso, in quanto nei giorni in cui si è iniziato a parlare di diffusione del contagio, per scrupolo, portavo il pc portatile con me e dalla ricezione della comunicazione della “chiusura degli uffici”, avevo già tutto l’occorrente per lavorare da casa». Tutto bene dunque? Sì, ma non per sempre: «Anche in questa situazione di “emergenza” ho tutto ciò che mi occorre per poter lavorare e restare in contatto con le colleghe: grazie alla tecnologia abbiamo la possibilità di condividere documenti e informazioni. Nel contempo, credo anche che per quanto la tecnologia svolga un ruolo centrale, non potrà però regalarci il contatto umano – la classica “pacca sulla spalla” di un collega in un momento di sconforto o l’entusiasmo del raggiungimento di un obiettivo condiviso». Dunque bene lo smart internshipping, ma nella speranza di poter presto tornare a vedere i colleghi anche di in carne ed ossa.

“Uno stage in EY mentre ancora studiavo Finanza all'università, e da lì subito l'assunzione”

Oggi è l'International Girls in ICT day, una giornata dedicata alla promozione delle opportunità di carriera per  le donne in ambito digitale. La consulenza, settore in cui operano anche alcune aziende del network RdS, molto spesso richiede competenze di questo tipo: il nostro suggerimento alle ragazze è quindi quello di non lasciarsi intimidire da materie  e funzioni aziendali tradizionalmente considerate "maschili". Qui raccogliamo la storia di Veronica Cerioni, 26 anni, specializzata in Finanza, ieri stagista e oggi dipendente di EY.Sono marchigiana e durante le scuole superiori ho sempre lavorato: facevo l'assistente bagnanti nelle stagioni estive, sia al mare sia in piscina. Mi facevano un contratto stagionale di tre mesi, e non guadagnavo male: intorno ai 1.500 euro al mese! Appena preso il diploma, a 18 anni, mi sono trasferita a Roma per studiare Economia all’università La Sapienza. Fin dall’inizio ero orientata verso questo tipo di studi e ho optato per la Capitale per poter usufruire di un contesto ampio, internazionale e stimolante. Vivevo in un appartamento in condivisione e pagavo all’incirca 300-350 euro al mese più le spese. La mia esperienza romana è stata possibile solo grazie al supporto economico dei miei genitori e alle borse di studio vinte nei vari anni di università. Erano erogate in base a una graduatoria annuale di reddito e merito e mediamente erano sui 3mila euro annuali suddivisi in due-tre tranches. Ambientarsi a Roma è stato facile: ho fatto subito amicizia con i miei compagni di università. Durante il secondo semestre del secondo anno ho deciso di partecipare al progetto Erasmus: pensavo fosse un’occasione unica di vivere all’estero uscendo un po’ dalla propria zona di comfort ed era perfetto per entrare in contatto con culture e metodi di studio differenti. Sono stata a Lille, in Francia, per sei mesi, da gennaio a giugno del 2014: è stata un’esperienza molto sfidante che consiglierei a tutti, soprattutto se si ha la possibilità di stare fuori un anno intero. Anche in questo caso il supporto dei miei è stato fondamentale: ricevevo una borsa di studio intorno ai 300 euro che non erano assolutamente sufficienti a coprire tutte le spese. Vivevo infatti in un piccolo monolocale indipendente all’interno di una residenza per studenti, pagando quasi mille euro al mese spese comprese. Prima di partire conoscevo già un pochino il francese ma solo a livello grammaticale: l’Erasmus è stata l’occasione per approfondirlo e impararlo bene.Presa la laurea triennale ho deciso di proseguire gli studi orientandomi su una specialistica in Finanza. Non mi convinceva molto l’offerta della Sapienza, così ho deciso di trasferirmi a Milano dove dall’ottobre 2015 ho frequentato l’università Bicocca: mi sono convinta a scegliere proprio questo ateneo dopo aver partecipato all’open day, perché mi sembrava che avesse un’offerta formativa più interessante di tutte le altre università pubbliche milanesi. L’impatto del cambiamento è stato importante, perché non c’era molta soluzione di continuità tra gli argomenti trattati in triennale e quelli previsti nella specialistica. Dopo un primo anno impegnativo, il secondo è stato decisamente in discesa. Anche in questo caso la mia vita di studente fuorisede è stata possibile solo grazie al supporto dei miei genitori e alle borse di studio erogate dalla Bicocca, che ammontavano circa ai 1.500 euro. Lì a Milano ho fatto subito amicizia con i miei compagni di corso, la buona parte fuori sede come me!Poco prima della fine del secondo anno di specialistica, nell’aprile 2017, decido di candidarmi al Graduate Program di EY che sarebbe iniziato a fine luglio. Avevo già deciso che la mia città sarebbe stata Milano, ma l’accesso al programma era riservato solo ai laureati e io prima di settembre non lo sarei stata. Poco dopo, però, l’Hr mi ricontatta per una posizione che sarebbe diventata vacante nel team di Business Development & Origination, che si occupa di controllo di gestione per la service line TAS e di monitoraggio delle opportunità nel mercato M&A. Ho fatto alcuni colloqui e alla fine mi è stato offerto uno stage di sei mesi a 800 euro al mese più buoni pasto da 7 euro al giorno. Ho accettato e cominciato lo stage nel giugno 2017: mi mancavano ancora tre esami e la tesi. E anche qui il sostegno dei miei è stato fondamentale: sebbene lo stage prevedesse un rimborso spese, non era sufficiente a coprire tutti i costi di una città come Milano.Ricordo molto bene il mio primo giorno di stage. Sono stata accolta dalla mia “buddy”, una figura che viene assegnata a ogni nuovo ingresso e che ha il compito di accoglierti e di darti delle indicazioni introduttive, anche le più banali come la struttura del building. La mia “buddy” era la ragazza che aveva fino ad allora ricoperto il mio stesso ruolo e stava per lasciarlo per una promozione: lei mi ha affiancata anche nel periodo immediatamente successivo all’ingresso. Mi ha introdotta al team e ha cercato di spiegarmi in piccole dosi quale sarebbe stato il mio ruolo. Quello in EY è stato il mio primo stage. Qui mi sono sentita subito a mio agio, grazie alla mia tutor con cui tuttora lavoro e appunto alla collega che lasciava la posizione. Mi hanno fin da subito coinvolta in tutte le attività e seguita con attenzione. A settembre 2017 termino tutti gli esami e inizio a scrivere la tesi con l’obiettivo di laurearmi a marzo dell’anno seguente. Nel frattempo a dicembre il mio stage finisce ed EY mi propone un rinnovo di sei mesi per continuare a scrivere la tesi. Accetto e continuo lo studio fino a laurearmi nel marzo 2018. A giugno finisco anche il secondo periodo di stage e mi arriva la proposta di assunzione: un apprendistato di due anni con una Ral poco superiore al 20mila euro più buoni pasto giornalieri da sette euro. Da allora la mia vita è cambiata: sono diventata pienamente autosufficiente a livello economico, senza dover più gravare sulle spalle dei miei genitori!Quattro mesi prima di iniziare a lavorare in EY, a inizio 2017, ero stata selezionata per un business game di quattro giorni presso un'altra società sempre nel settore della consulenza. Il programma consisteva nello svolgere un business game in gruppi da quattro persone e quello vincitore sarebbe voltato a Lisbona per la finale europea. La ricordo come un’esperienza molto interessante e stimolante, che mi ha dato la possibilità di avere un primo contatto con quello che sarebbe stato il mondo del lavoro. Qualche mese dopo, contemporaneamente alla chiamata di EY, ho ricevuto l’invito ad un colloquio per un programma conosciuto in università che ha l'ambizione di preparare i futuri leader. Mi ha subito entusiasmata, avevo già dei feedback positivi dall’edizione precedente e quindi ho deciso di applicare. L’iter di selezione è stato abbastanza lungo ma alla fine l’esito è stato positivo. Cento ragazzi hanno partecipato ad una quattro giorni di full immersion, con workshop, incontri e speech di personaggi di spicco del nostro contesto economico e culturale. È stato esilarante e ancora oggi esiste una rete di contatti e ragazzi che è molto attiva e dinamica. Peccato che in nessuno dei due casi fosse previsto un riconoscimento in denaro, o una possibilità di assunzione al termine. Ma è probabile che aver partecipato a queste iniziative abbia reso il mio cv più ricco, e quindi indirettamente mi abbia aiutato ad essere scelta da EY.Oggi mi occupo principalmente di controllo di gestione della service line TAS, Transaction Advisory Services, che a sua volta si occupa di operazioni di finanza straordinaria tra corporate o tra Private Equity e Corporate. Nello specifico monitoro la produzione mensile e le vendite della service line, i principali clienti e settori, i KPI dei partners e degli executives. Una parte importante dell’anno è dedicata al budget/revenue plan per account. I miei principali interlocutori sono i partner e gli executives e sono anche in contatto frequente con le altre funzioni quali Business Development e Finance. Una parte importante del lavoro è svolta grazie al supporto di un team basato in India. L’altra anima del team si occupa invece di Origination, quindi del monitoraggio delle aziende sul mercato. Non esiste una vera e propria giornata tipo perché dipende dalle richieste di analisi che arrivano. La mia retribuzione da ottobre del 2019 è salita, e ora ammonta a un po’ più di 30mila euro annui più buoni pasto giornalieri da sette euro e bonus annuale legato alle performance personali e della Service Line nella sua totalità. La mia esperienza in EY contribuisce ogni giorno ad aumentare il mio grado di autonomia nel saper gestire situazioni complesse e deadline... alcune volte molto strette! Ho sviluppato una buona capacità di analisi e imparato ad usare alcuni tool molto utili.La mia aspirazione è continuare a rafforzare competenze ancora più tecniche nell’ambito del controllo di gestione rimanendo sempre in contesti ad ampio respiro. A causa dell'emergenza Coronavirus sto svolgendo il mio lavoro interamente da remoto dal 24 febbraio. Sin dai primi segnali, infatti, la società ci ha vivamente consigliato di attuare questa modalità di lavoro e di recarci in ufficio solo per motivi non differibili. Poi la situazione è purtroppo peggiorata e il suggerimento è diventato un obbligo. Per me non è cambiato molto: sto lavorando esattamente come prima, senza alcun impedimento o difficoltà in quanto eravamo precedentemente già dotati di tutti gli strumenti necessari per farlo da casa. Infatti la modalità smart working fa già parte della nostra azienda da prima dell’emergenza sanitaria, una possibilità che abbiamo sempre avuto, chiaramente entro alcuni limiti. E in situazioni di difficoltà come questa, apprezzo molto che ci venga consentito svolgere la nostra attività da remoto permettendoci di essere ugualmente operativi. Credo che il problema principale dello stage oggi in Italia sia il difficile binomio tirocinio – università. Ho provato personalmente l’esperienza e secondo me la cultura lavorativa e la struttura dell’università italiana non incentivano l’accoppiata studio lavoro. Non tutti gli atenei prevedono stage curriculari, quindi se decidi di farlo significa duplicare lo sforzo: a parità di tempo a disposizione devi portare a termine due compiti a tempo pieno – lavoro e studio – invece di uno. Il secondo semestre della specialistica, quando ormai uno studente è in dirittura d’arrivo, non è sempre libero da esami. Così ti ritrovi a lavorare e studiare la sera tardi e nei weekend. E durante la scrittura della tesi non tutti i professori sono comprensivi nei confronti di uno studente-stagista, diventa complicato anche solo andare al ricevimento studenti. Nel mio caso, in EY sono stata fortunata, ma comunque... lo sforzo non è stato indifferente!Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Girl Power, «Quindici giorni dopo la laurea in matematica, il lavoro in una grande società di consulenza»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti dà voce alle testimonianze di donne – occupate nelle aziende dell’RdS network – che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Selene Comolli, analista quantitativo per Prometeia, società di consulenza, sviluppo software e ricerca economica, tra le principali nelle soluzioni per il Risk e il Wealth Management, e nei servizi per gli investitori istituzionali a livello europeo.Ho 36 anni e sono originaria della provincia di Biella, ma vivo e lavoro a Bologna. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritta a Matematica a Pavia, prima alla triennale e poi alla specialistica, prediligendo un percorso applicativo, orientato in particolare alla finanza quantitativa, su cui ho svolto anche la tesi. Oltre agli esami di probabilità, processi stocastici, teoria della misura e analisi numerica, ho scelto di inserire all’interno del mio percorso anche esami di programmazione. La matematica mi è sempre piaciuta, ma sin dall’inizio sapevo di non voler fare qualcosa di esclusivamente teorico o nell’ambito dell’insegnamento, ma di voler cercare un’applicazione pratica, una “messa a terra” delle competenze che stavo maturando. Certo, nella mia scelta rispetto al percorso ho considerato le maggiori opportunità fornite dalle materie scientifiche, ma Matematica rimane comunque una facoltà selettiva e impegnativa, dove ci vuole passione e predisposizione. Nel 2008, dopo la laurea, ho subito cominciato a fare colloqui e, in quindici giorni, sono stata selezionata per uno stage in Prometeia, l’azienda dove attualmente lavoro come analista quantitativa nella competence line Pricing Unit & Financial Innovation. La nostra struttura fa al contempo ricerca e supporto al business su tematiche quantitative/specialistiche. Ad esempio, recentemente ho preso parte a un gruppo di lavoro per l’evoluzione di un prodotto/modello finalizzato alla stima del capitale economico per il rischio di credito. Il progetto prevedeva un cantiere interno di sviluppo e, contestualmente, il rilascio della soluzione al cliente, in collaborazione quindi con le business line che hanno supportato il cliente nell’adozione del modello stesso. Lavorare per un’azienda che non fa solo consulenza ma presenta anche una propria offerta a livello di prodotto è molto bello e stimolante. La competence line di cui faccio parte è composta da una decina di persone, di giovane età, sia uomini che donne. Non è affatto raro che alcuni di noi lavorino su tematiche specifiche a supporto di altre unità e in collaborazione con altre competence line. Si tratta di un ambiente stimolante, ricco di competenze specialistiche in ambiti completamente diversi: un grande valore aggiunto. Per questo motivo mi piace quello che faccio e credo sinceramente di non avere mai smesso di imparare da quando sono qui. Mi sento molto fortunata, perché il mio lavoro rispecchia in pieno le mie aspettative.Quest’anno mi è anche stata data l’opportunità di portare agli studenti la mia esperienza attraverso la partecipazione a un percorso di project work, realizzato grazie a una collaborazione tra Prometeia e il corso di Quantitative Finance dell’università di Firenze. Durante un numero limitato di workshop di mezza giornata per studenti, diverse figure dell’azienda hanno affrontato un particolare argomento in ambito finanziario. Successivamente i ragazzi sono stati divisi in gruppi di lavoro e hanno realizzato dei project work con la supervisione di tutor. Il tutto si è concluso con una giornata di presentazione dei lavori. Nella mia parte ho affrontato l’approccio ai modelli di stima del capitale economico e i ragazzi hanno lavorato per disegnare e implementare un modello semplificato di stima del capitale attraverso l’utilizzo di una piattaforma sviluppata da Prometeia, avendo quindi la possibilità di vedere da un lato, in aula informatica, l’applicazione del modello, e dall’altro le modalità di lavoro e collaborazione "tipiche” di una competence line. È stata una bella esperienza e abbiamo raccolto molti feedback positivi.Nel mondo della finanza quantitativa le opportunità sono molteplici. Di solito quando si parla di questo ambito si pensa subito all’estero, ma in realtà ci sono aziende, come Prometeia, che valorizzano e hanno bisogno di questo tipo di competenze. Anche in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo mi sento fortunata, perché ho la possibilità di mantenere i miei impegni lavorando in smart working con tutto il supporto dell'azienda. L'adattamento non è stato traumatico perché, essendo sempre in giro per la consulenza, eravamo già attrezzati sia a livello di strumentazioni, con computer personali e cellulari aziendali, sia di gruppi di lavoro, con video chiamate e condivisione schermo. Inoltre possiamo contare su una struttura interna di organizzazione e gestione delle risorse umane che ci garantisce punti di confronto e di supporto. Nonostante si trattasse per me della prima esperienza di smart working non ho riscontrato problemi e le mie scadenze non hanno subito variazioni. Certo manca, inevitabilmente, l'aspetto umano, che nella consulenza è molto importante. In conclusione, per lavorare in un contesto come questo bisogna essere elastici. È una sfida, ma è anche un’opportunità perché, soprattutto nei primi anni di esperienza, si possono sperimentare ambiti diversi e lavorare con persone con grandi competenze. Un aiuto anche per capire meglio che tipo di percorso professionale costruire.Alle ragazze e ai ragazzi consiglio: siate smart, abbiate una mente aperta e provate anche ciò che pensate non faccia per voi: non precludetevi nulla!Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

“Ho sentito il fuoco del volontario”, quattro giovani del servizio civile raccontano perché hanno deciso di continuare

Avrebbero potuto restare a casa, senza rischi e continuando a percepire il loro rimborso spese mensile. E invece oltre 3mila giovani volontari del servizio civile, da Nord a Sud, hanno scelto di continuare la loro esperienza per dare il proprio contributo durante l’emergenza Covid-19. Questo prima ancora che, il 4 aprile, il Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale annunciasse la ripresa dei progetti.«Tutti i nostri volontari sono rimasti attivi» racconta Veronica Somma, operatore locale di progetto presso l’Associazione R.O.S.S. (Reparto Operativo Soccorso Stabia) di Castellammare di Stabia, da dodici anni nel mondo del volontariato, dal terremoto di Amatrice all’emergenza Coronavirus «e abbiamo riconvertito i nostri progetti, perché le persone più deboli avevano bisogno di noi».La Repubblica degli Stagisti ha raccolto le testimonianze di alcuni volontari che, nonostante l'iniziale sospensione del servizio civile, con la possibilità di usufruire di «giorni di permesso straordinario per causa di forza maggiore» fino al 3 aprile scorso, hanno scelto di restare operativi, nell'ambito di progetti promossi da Arci Servizio Civile e Amesci funzionali a fronteggiare l'emergenza Coronavirus.  Miriam Sicilia, 28 anni, volontaria nel progetto “Comunit-aria” presso il Comune di Cisternino (Brindisi)Dopo la circolare di sospensione del 10 marzo, mi hanno detto che c’era la possibilità di continuare il mio servizio presso il Coc, il centro operativo comunale, attivato in casi di emergenza. Non ho avuto alcun dubbio, forse anche perché non ero ancora entrata nel pieno della consapevolezza di cosa fosse questo virus. Tuttavia oggi lo rifarei, perché sono sempre stata legata al mio paese, dove ho scelto di rimanere, e oggi posso rendermi utile per la mia comunità. Ci occupiamo di ricevere le telefonate delle persone in quarantena obbligatoria o fiduciaria e degli anziani per la consegna della spesa e dei farmaci, interfacciandoci con Croce Rossa, Unitalsi e Protezione civile e offriamo anche un supporto psicologico. Quello che più mi colpisce è quanta povertà stia emergendo. Sentire dall’altra parte della cornetta un “grazie” o semplicemente un tono di voce che cambia ti fa sentire appagata. Di questa esperienza mi porterò dietro il non dare per scontato nulla. Oggi mi sono riscoperta molto più paziente e so che, anche se per risollevarci ci vorrà un po’, dopo tutto questo avrò le spalle più forti per farlo.Alì Mammer, 20 anni, volontario nel progetto "Comune Amico" presso il Comune di Casale di Scodosia (Padova) Il mio progetto consiste nell’assistenza agli anziani, per questo non ho mai pensato di fermarmi. Anzi, l’emergenza ha rafforzato la mia volontà di fare il servizio: sapevo che le persone avrebbero avuto bisogno più di prima. Infatti il nostro servizio oggi si è ampliato: consegna di pasti giornalieri agli over 65, ma anche medicinali, spesa, commissioni in banca o in posta, accompagnamento in ospedale per visite etc. È bello vedere la riconoscenza negli occhi delle persone. Questa esperienza ci sta cambiando la visione del mondo: stiamo capendo quanto sia importante sostenersi, darsi un aiuto nei momenti di difficoltà. Dario Di Palma, 21 anni, volontario nel progetto Campania Aib presso l'Associazione R.O.S.S. (Reparto Operativo Soccorso Stabia) di Castellammare di Stabia (Napoli)Tutto è iniziato dalla telefonata di una signora anziana che, in lacrime, ci ha chiesto un aiuto per gli alimenti. Da lì abbiamo sentito il “fuoco del volontario”, una fiamma attiva in tutti noi, e abbiamo capito che non desideravamo altro che renderci utili per la nostra comunità. Abbiamo montato le tende per il triage in ospedale e oggi prestiamo assistenza per l’imbarco e lo sbarco passeggeri al porto e prepariamo e consegniamo i pacchi alimentari. Le giornate cominciano alle cinque e mezza per chi presta servizio al porto e finiscono alle otto e mezza di sera. Ma vedere le persone che ci sorridono ripaga di tutto. Sin da piccolo volevo entrare nella Protezione civile perché la vedevo vicina ai cittadini, oggi finalmente posso fare qualcosa per chi ne ha bisogno. Martina Amenta, 23 anni, volontaria nel progetto "Un'esperienza nell'emergenza" presso la Croce Reale di Venaria (Torino)Il mio progetto consiste in un servizio di 118 assistenziale, per il trasporto negli ospedali di pazienti in dialisi. Inizialmente ne avevo scelto un altro sulla promozione culturale, ma sono stata ritenuta più idonea per questo e oggi sono contentissima che sia andata così. Sto imparando a rapportarmi con la paura attraverso i pazienti che, essendo più vulnerabili, hanno bisogno di essere rassicurati. Certo all’inizio ho pensato che, entrando a contatto con persone più esposte, avrei messo più a rischio di contagio anche i miei genitori. Tuttavia lo spirito del volontario è proprio quello di provare a essere utile, no?Altre storie di volontari si possono trovare sui canali social del Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, che ha avviato la campagna #noirestiamoconvoi, proprio per dare risalto ai “volti” di alcuni dei tanti giovani che si si stanno impegnando durante questa emergenza. Rossella Nocca

«Stage al Consiglio dell’Ue, durissimo entrarci per gli italiani: ma vale la pena tentare più volte»

Il Consiglio dell'Unione europea offre ogni anno un centinaio di posti per tirocinanti europei con almeno la laurea di primo livello, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. E mette a disposizione anche alcuni posti per studenti senza rimborso spese ma con assicurazione medica e rimborso spese di viaggio. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 16 marzo, e verrà selezionato, è previsto per settembre 2020. Alessio Foderi, 25 anni, ha partecipato al progetto da febbraio a giugno 2019 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Bruxelles. Vengo da un piccolo paese in provincia di Grosseto, dove le opportunità lavorative non sono molte. Finito il liceo linguistico, mi sono trasferito a Pisa per studiare mediazione linguistica, città dove mi sono poi laureato nel luglio 2016. Durante questi anni dedicati alla traduzione e all’interpretariato – in cui ho avuto modo di approfondire la conoscenza di inglese e francese e iniziare a studiare il russo – si è affiancata la passione per il giornalismo. Nata quasi per caso e in maniera molto artigianale fra i microfoni di RadioEco, una delle prime web-radio universitarie, molto conosciuta sul territorio pisano. Lì ho lavorato due anni in maniera volontaria: ho sia condotto come speaker un programma settimanale dedicato all’associazionismo che scritto per il sito di varie tematiche. Mi piaceva talmente tanto questo mondo che ho deciso, subito dopo la laurea triennale, di tentare l’accesso alle scuole di giornalismo. È andato bene il primo tentativo e ad ottobre 2016 ho cominciato il master biennale dell’università Lumsa di Roma,  riconosciuto dall’Ordine dei giornalisti. A Bruxelles ci sono finito tre anni dopo. Se per molti un tirocinio nelle istituzioni europee è un punto di partenza, per me è stato una sorta di traguardo successivo. Ho sempre sognato di mettere piede nella bolla europea e capire dall’interno come funzionasse. Avevo mandato delle application per i tirocini curricolari in traduzione al momento della laurea triennale, ma non erano andate a buon fine. Così, anni più tardi, ho visto su internet il consueto bando del Consiglio dell’Unione europea e ho deciso di ritentare, questa volta nel settore comunicazione, mentre stavo preparando l’esame da giornalista professionista per l’iscrizione all’Albo. Non bisogna arrendersi, infatti, se la prima domanda non va a buon fine: il processo di selezione per questo tipo di stage è molto duro e soprattutto la competizione per noi italiani aumenta tantissimo, visto che fra gli stati membri siamo in cima alla lista per numero di candidature. Riprovarci è stato positivo perché due mesi dopo ho ricevuto la notizia della preselezione e poi, superato un colloquio telefonico, la conferma che rientravo fra i sessanta tirocinanti del periodo Febbraio-Giugno 2019. Così ho deciso di mollare tutto quello che stavo facendo e, superato lo scritto per l’ammissione all’Albo, sono partito per Bruxelles per questa nuova avventura.Nonostante per me non fosse la prima esperienza all’estero – avevo già alle spalle un tirocinio a Londra in un’agenzia di traduzione e uno a Parigi nella redazione esteri del quotidiano Libération – e neanche la prima lavorativa, l’entusiasmo di varcare le porte dell’istituzione era moltissimo. Sono stato assegnato all’unità chiamata Organisational Development, relativamente nuova al Segretariato generale che include tre mini-nuclei di lavoro, fra cui l’attività editoriale di internal communication. Il mio ruolo infatti era la scrittura e l’editing di articoli in inglese e francese per l’intranet del Consiglio e la realizzazione di interviste e approfondimenti per un giornale cartaceo diffuso internamente. Ho anche creato e montato video per alcuni canali di comunicazione interni al Consiglio. E oggi  posso tranquillamente dire che questa esperienza è una delle più belle che ho avuto la fortuna di fare.A Bruxelles, città che ho adorato, non è stato difficile trovare una stanza: la mia era a Botanique, 15 minuti di mezzi da Rue de la Loi, dove si trovano tutte le istituzioni. Né è stato complicato sopravvivere grazie all’assegno riservato ai tirocinanti, che consente tranquillamente di mantenersi senza gravare economicamente per quei mesi sulla famiglia, visto che un affitto medio è di 500-600 euro per una stanza e l’assegno mensile del tirocinio ammonta a 1.150 euro. Una somma che equivale di fatto a uno stipendio italiano. Ecco perché moltissimi connazionali fanno domanda per questi tirocini. L’ambiente del Consiglio, poi, è piccolo e gli stagisti sono molti di meno rispetto alle centinaia di Parlamento e Commissione europea: questo fa sì che ci si conosca tutti, si condividano esperienze e si faccia squadra.Ricordo il mio primo giorno di stage: di solito viene fatta una presentazione generale di tutto il periodo e poi si viene accompagnati nell’ufficio di competenza. Nel mio caso sono stati tutti gentilissimi, facendomi trovare cartelli di benvenuto davanti al pc e spiegandomi gradualmente il lavoro che avrei fatto. Ho trovato delle persone stupende, che fin dai primi giorni hanno capito le mie competenze e i miei punti deboli, valorizzato le mie capacità, consentendomi di sviluppare tutta una serie di social skills che in un contesto come quello brussellese sono fondamentali. Tra i pregi dello stage c’è il fatto che il tirocinante può “modellare”, ed è incoraggiato a farlo, il suo tirocinio con tutta una serie di esperienze complementari, possibilità spesso negata anche da grandi aziende e enti pubblici italiani. Così i compiti assegnati possono essere integrati con esperienze volontarie all’interno del Consiglio: nel mio caso ho seguito i vertici europei sia lavorando per l’ufficio stampa che per i social media. Ho anche partecipato al comitato editoriale di una rivista di monitoraggio think tank su temi specifici. Altro pregio è il lavoro dell’ufficio tirocini che organizza per ogni gruppo di trainees visite in tutte le istituzioni e study trip anche a Strasburgo e Lussemburgo. Insomma, anche se nel mio caso non ero completamente privo di esperienza, ho imparato moltissimo: le persone che ho incontrato mi hanno sempre dato un feedback, un consiglio e un aiuto. Credo poi che ogni funzionario europeo ha la sua storia e questa possa essere un’ispirazione per il futuro di chiunque si affacci in quella bolla. È veramente difficile trovare un difetto a questa esperienza.Finito il tirocinio sono tornato in Italia e sono stato richiamato da Skytg24, testata dove avevo svolto i due stage obbligatori della mia scuola di giornalismo. Qui ho avuto un tempo determinato durante i mesi estivi e dopo ho deciso di restare a Milano, dove al momento lavoro come giornalista freelance, collaborando con varie testate online. Sono in contatto con vari colleghi rimasti a Bruxelles che adesso lavorano quasi tutti, anche perché il programma è molto orientato alla ricerca di un lavoro successivo. Quello che ho tratto dall’esperienza europea è sicuramente la flessibilità di adattarsi, la capacità di reinventarsi e la necessità di condividere. Tutte queste nozioni state utili anche alla mia professione e soprattutto a un giornalista in erba. Chi vuole fare questo mestiere oggi spesso non si rende conto di due aspetti: i cambiamenti velocissimi della società (con relativi rischi e opportunità) e le infinite applicazioni di questa professione in altri ambiti. Non bisogna cristallizzarsi alla figura nuda e cruda che si ha in testa, ma essere mentalmente aperti ad adattarsi e sfruttare le applicazioni delle proprie competenze. Stando nella bolla ho visto molti giornalisti lavorare in contesti molto stimolanti e sicuramente diversi da quelli dell’immaginario collettivo. Il giornalismo è profondamente in evoluzione e solo cercando di accompagnare questo movimento si può riuscire a raggiungere i propri obiettivi.Avendo fatto molti stage in Italia credo che la maggior differenza con l’estero sia la considerazione dello stagista: fuori dai nostri confini chi svolge uno stage di qualsiasi tipo viene visto come una risorsa, apprezzato, integrato e valorizzato. Spesso da noi, invece, non è così e lo stagista viene confinato a mansioni per le quali è svalutato, sottopagato (quando è pagato) e sovra-qualificato. Insomma la fiducia è forse la parola chiave e il più grande vulnus italiano. Sono consapevole che un tirocinio nelle istituzioni è forse un’esperienza talmente bella che può esser considerata un’eccezione, ma la regola dovrebbe essere cercare di cogliere nella persona –nuova risorsa che raggiunge una squadra già esistente – tutte le sue qualità, migliorarle e farla crescere professionalmente.Quindi se uno stage al Consiglio Ue è tra i vostri desideri, continuate a provare a far domanda. E ricordate che è fondamentale parlare bene inglese, meglio anche il francese, sapersi mettere in gioco e in discussione e avere un ottimo spirito di iniziativa. Sarete poi avvantaggiati se avete già studiato o lavorato all’estero.Questa esperienza ha arricchito il mio bagaglio dal punto di vista umano: ho imparato come bisogna muoversi in un contesto pubblico, istituzionale e multiculturale. Per questo raccontarla su la Repubblica degli Stagisti, testata che conosco da molto tempo e dove ho letto varie storie ed esperienze, è un vero piacere. Credo che la sua utilità sia appunto lo scambio di informazioni e l’ispirazione che ognuno può trarre da storie altrui. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

«Da Palermo a Berlino a Bruxelles, la passione per le lingue mi ha portato al Consiglio dell’Ue»

Il Consiglio dell'Unione europea offre ogni anno un centinaio di posti per tirocinanti europei con almeno la laurea di primo livello, con un buon rimborso spese: più di 1000 euro mensili. E mette a disposizione anche alcuni posti per studenti senza rimborso spese ma con assicurazione medica e rimborso spese di viaggio. L'avvio degli stage per chi farà domanda entro il 16 marzo, e verrà selezionato, è previsto per settembre 2020. Giulia Romano, 26 anni, ha partecipato al progetto da settembre 2019 a gennaio 2020 e ha raccontato alla Repubblica degli Stagisti la sua esperienza a Bruxelles.Sono nata a Palermo da mamma siciliana e papà campano, ma ho sempre vissuto a Ronciglione, un piccolo paese in provincia di Viterbo. Da sempre abituata a parlare in casa diversi dialetti, ho sviluppato fin da piccola una certa predisposizione all’apprendimento delle lingue e una grande passione per le culture straniere. Per questo non ho mai avuto dubbi sul mio percorso di studi: preso il diploma al liceo classico linguistico di Viterbo, mi sono iscritta alla laurea triennale in Lingue e culture moderne e successivamente a quella magistrale in Lingue e culture per la comunicazione internazionale, laureandomi nel 2018, entrambe presso l’Università degli studi della Tuscia di Viterbo, studiando l’inglese, il tedesco e il francese.Nel corso dei miei studi ho avuto diverse esperienze che mi hanno avvicinata al mondo del lavoro. Ho svolto il mio primo tirocinio curriculare da settembre a ottobre 2015 presso il Comune di Viterbo, dove mi sono dedicata principalmente ad attività di ricerca sul tema della comunicazione istituzionale e il secondo durante la magistrale presso l’Ufficio mobilità e cooperazione internazionale dell’università, da ottobre a marzo 2017. In questo secondo caso mi sono occupata di attività amministrative e assistenza agli studenti italiani e stranieri nell’ambito del programma Erasmus. Ho scelto queste due sedi tra una serie di enti e aziende convenzionate con l’università ma essendo entrambi tirocini curriculari non ho percepito alcun compenso, solo i crediti formativi.Per circa un anno ho lavorato anche nella biblioteca dell’università attraverso un contratto di collaborazione studentesca part-time, grazie al quale ho percepito un compenso totale di circa 900 euro. Successivamente ho lavorato come volontaria del Servizio Civile Nazionale, con un rimborso spese di circa 400 euro mensili, presso l’associazione MODAVI Onlus di Viterbo nell’ambito del progetto “DIKE: together against violence”, sensibilizzando la comunità sul tema della violenza contro le donne e organizzando attività di promozione sociale sul territorio della provincia.Ho anche avuto due meravigliose esperienze Erasmus, fondamentali sia dal punto di vista professionale che personale. Durante la triennale ho vissuto per cinque mesi, da ottobre 2013 a febbraio 2014 a Saarbrücken, città universitaria a sud della Germania, frequentando per un semestre l’Università del Saarland. È stato davvero bello vivere la realtà universitaria di un altro paese: ho seguito contemporaneamente diversi corsi di tedesco, inglese e francese alla facoltà di Germanistica, imparando davvero tanto grazie ad un approccio più pratico e diretto rispetto a quello italiano, molto più teorico e basato sullo studio individuale. Era la mia prima esperienza all’estero: ho imparato a cavarmela da sola e ad affrontare numerose difficoltà in un ambiente totalmente nuovo, a convivere con altre persone, nel mio caso altre due studentesse, e a gestire autonomamente tutte le mie spese. Avevo una borsa di studio di circa 350 euro mensili che è stata sicuramente di aiuto ma non sufficiente a coprire tutto il mio soggiorno in Germania. L’estate seguente alla laurea magistrale, invece, sono partita per un tirocinio post laurea di tre mesi, da giugno a fine agosto 2018, presso l’Institute for Cultural Diplomacy di Berlino, città di cui mi sono innamorata profondamente. Qui ho avuto modo di organizzare interessantissime conferenze su diversi temi di cultura e attualità, di scrivere articoli per il sito berlinglobal.org e di promuovere le attività dell’ICD sui social media. A differenza del mio primo Erasmus per studio, si è trattato quindi della mia prima volta in un ambiente di lavoro internazionale ed è stata proprio questa esperienza a farmi maturare professionalmente e a convincermi a proseguire la mia carriera nell’ambito della comunicazione e dell’organizzazione di eventi. Anche in questo caso, la borsa di studio di circa 400 euro mensili mi ha aiutato a coprire solo parte delle spese, ma fortunatamente ho trovato Berlino una città molto abbordabile dal punto di vista economico, specialmente se paragonata ad altre capitali europee.Terminato questo tirocinio Erasmus ho deciso di tornare in Italia per cercare lavoro, decisa a mettermi in gioco in una nuova esperienza all’estero. Ero da tempo a conoscenza delle possibilità di stage presso le istituzioni europee, in cui avevo sempre sognato di lavorare, così ho iniziato a candidarmi per vari tirocini di questo tipo, oltre che per posizioni nell’ambito del Servizio Volontario Europeo. Nel frattempo ho svolto alcuni lavori di traduzione per siti web e deciso di ampliare le mie competenze, frequentando un corso di specializzazione presso la Europa Cube Innovation Business School a Roma. Grazie al corso mi sono avvicinata al mondo del project management che mi aveva sempre incuriosita. Ho lavorato per sei mesi alla scrittura di un progetto, simulato sulla base di una reale proposta di bando, la cui valutazione positiva mi ha permesso di ottenere il titolo di Master in Europrogettazione nell’aprile 2019. Nel frattempo ho ricevuto risposta per una delle application fatte: lo stage presso il Parlamento europeo, per cui ho sostenuto un colloquio arrivando all’ultima fase della selezione, senza però superarla. Dopo sono stata contattata anche per un colloquio al Consiglio dell’Unione europea e da numerose associazioni e ONG a livello internazionale. E alla fine nell’estate dello scorso anno ho ricevuto due risposte positive: da un’associazione tedesca per un interessantissimo progetto a contatto con i giovani e dal Consiglio dell’Unione europea. Ho dovuto fare una scelta e deciso di seguire il cuore: nel mese di agosto mi sono trasferita a Bruxelles per iniziare il mio tirocinio al Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea nella sessione settembre – gennaio 2020. Ricordo ancora perfettamente il mio primo giorno di stage, in cui ho provato una sensazione forte e strana, un misto di stupore, paura ed eccitazione per l’avventura che stava per cominciare. C’erano altre cinque ragazze italiane e altri giovani da tutta Europa, per un totale di circa 60 stagisti. Dopo una serie di presentazioni informative e consigli utili, ognuno di noi è stato affidato ai colleghi del proprio ufficio. A me è stato assegnato il dipartimento di Comunicazione e Informazione e in particolare la Outreach Unit, ovvero l’unità che si occupa delle attività di comunicazione con l’esterno, quindi con i cittadini. I miei compiti includevano, tra le altre cose, la gestione delle richieste da parte di coloro che intendevano visitare il Consiglio, l’organizzazione delle visite di gruppo, l’accoglienza dei visitatori presso il “Centro visitatori”, l’accompagnamento durante le visite guidate degli edifici e l’organizzazione di eventi, conferenze e seminari aperti al pubblico. Ho avuto modo di praticare moltissimo l’inglese e il francese, lingue di lavoro principali, di imparare a gestire la comunicazione a livello istituzionale e a relazionarmi con qualsiasi tipo di persona, ma soprattutto di lavorare con un team incredibile che mi ha fatto sentire parte integrante della squadra fin dal primo giorno. Inoltre, grazie al programma organizzato appositamente per i tirocinanti, ci è stata data la possibilità di seguire diversi progetti in base ai nostri interessi, di partecipare a workshop e conferenze, di visitare le altre istituzioni europee (anche a Strasburgo e Lussemburgo) e di partecipare attivamente al lavoro del Consiglio in occasioni uniche come i Summit del Consiglio europeo.Bruxelles, poi, è stata una piacevole scoperta. Non l’avevo mai visitata prima del tirocinio e spesso non ne avevo sentito parlare benissimo. L’ho trovata invece una città a misura d’uomo, stimolante, multiculturale e piena di opportunità. Sono stata abbastanza fortunata da trovare una comodissima stanza in un appartamento con altre tre ragazze nel quartiere di Etterbeek, a soli 10 minuti a piedi dal quartiere europeo, tra i 500 e i 600 euro di affitto (un’ottima soluzione considerando la media degli affitti e la zona in questione). Avevo un rimborso spese di circa 1.100 euro al mese, più una tessera per la mensa con un credito mensile di circa 40 euro e un rimborso per le spese di viaggio da e per il proprio paese all’inizio e alla fine dello stage. Con queste cifre si arriva a gestire più o meno tranquillamente tutte le spese necessarie, senza rinunciare al divertimento. E su questo fronte questa esperienza me ne ha regalato davvero tanto. Tra i miei colleghi di tirocinio ho conosciuto delle persone uniche con cui si è creato un legame davvero profondo che, ne sono certa, la distanza non riuscirà a sciogliere.Al momento, sono appena rientrata a casa e sono alla ricerca di una nuova occupazione. Certamente la situazione in Italia non è semplice per chi si affaccia sul mondo del lavoro e in particolare degli stage che, il più delle volte, nonostante richiedano un certo livello di esperienza, non hanno un adeguato rimborso spese. Non conoscevo la Repubblica degli Stagisti, ma è stato un vero piacere scoprire questo importante strumento per noi giovani e raccontare la mia storia, sperando che possa essere di aiuto a tanti che si trovano adesso ad affrontare questo mondo con la mia stessa curiosità e voglia di fare. E a coloro che intendono intraprendere la mia stessa strada, consiglio di puntare proprio su questa voglia di fare: la selezione per uno stage nelle istituzioni europee non è affatto facile e non esistono particolari segreti per riuscire nell’impresa, ma bisogna continuare a provare, anche se all’inizio si riceve un rifiuto. Ne vale la pena.  Testimonianza raccolta da Marianna Lepore