Stage al Comitato delle Regioni di Bruxelles, «Non va considerato una "seconda scelta" rispetto al Parlamento e alla Commissione!»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 22 Set 2020 in Storie

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C’è tempo fino al 30 settembre per candidarsi alla sessione primaverile dei tirocini presso il Comitato europeo delle Regioni. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Giulia Traversi, 27 anni, tirocinante della sessione autunnale 2019, che oggi lavora a Bruxelles nelle Risorse umane della Confederazione internazionale dei sindacati.

Ho 27 anni, sono nata e Brescia e cresciuta in Franciacorta. Ho frequentato il ragioneria con indirizzo linguistico, dove studiavo tre lingue, inglese, spagnolo e francese, cui ho aggiunto poi il portoghese. Dopo le superiori mi sono iscritta alla facoltà di Economia a Brescia, facendo la mia prima esperienza di stage presso Coopcooperative.

A fine percorso, ho trascorso due mesi in Irlanda per scrivere la tesi. La prima di tante esperienze all'estero, cui sarebbe seguito un mese di volontariato in Ecuador. Consiglio a tutti di fare un periodo all'estero, perché arricchisce tantissimo.

La magistrale l'ho frequentata a Milano, ma in lingua inglese: il corso era in Management of Human Resources and Labour Studies e prevedeva sei mesi all'estero. Io sono stata in Belgio all'Université catholique de Louvain, un campus universitario a un'ora di distanza da Bruxelles. Ho terminato gli studi nel giugno 2019. 

Successivamente tramite un'associazione studentesca sono stata due mesi a Salvador, in Brasile. Alcuni miei familiari hanno vissuto e lavorato in America Latina e ci sono particolarmente legata. In Brasile ho lavorato nel Dipartimento delle Risorse umane e delle politiche sociali di una ngo, Teto, il cui obiettivo è quello di costruire case per persone svantaggiate che vivono nelle favelas. Vivevo in una host family, a stretto contatto con la comunità locale: è stato il momento più bello della mia vita. Una volta rientrata ho continuato a collaborare con loro – infatti oggi sono ambasciatrice in Europa dei loro progetti.

Dopo il Brasile sono tornata in Belgio, dove mi sono candidata per un tirocinio al Comitato delle Regioni. Sono una persona molto curiosa e, vivendo in Belgio, mi ero avvicinata alle relazioni internazionali e alla Comunità europea e volevo conoscerla dall'interno. In particolare ho scelto il Comitato perché durante l'università avevo fatto per quattro anni la consigliera comunale e la Regione era l'istituzione che dava voce ai politici locali. Così mi interessava conoscere la sua ripercussione a livello europeo e il modo in cui il Comitato poteva aiutare la politica locale. 

Ho superato la selezione dopo un colloquio telefonico in lingua inglese e francese – quest'ultima era particolarmente richiesta per le Risorse umane – sia motivazionale sia sulle mie esperienze precedenti con quelli che sarebbero stati il mio supervisore e il responsabile della mia unità. Spesso il Comitato viene considerato una "seconda scelta" rispetto a Parlamento e Commissione europea, quindi ci tengono molto a capire la reale motivazione.

Ho svolto il mio tirocinio da settembre 2019 a febbraio 2020 presso il Dipartimento delle Risorse umane, il più affine alla mia formazione: mi sono occupata di condizioni di lavoro, gestione degli stagisti e comunicazioni con le risorse umane delle altre istituzioni europee per organizzare eventi e così via.

Fra le varie attività, ho contribuito alla compilazione di un codice etico del Comitato e ho partecipato al Y Factor, progetto che gli stagisti possono fare su base volontaria. Con i miei colleghi abbiamo deciso di concentrarci sulle politiche di riciclo e abbiamo presentato una proposta per armonizzarle a livello europeo, realizzando anche un libricino sul nostro policy briefing, che è stato preso in considerazione dal Comitato: una bella soddisfazione!

Il tirocinio al Cdr mi ha dato una visione a trecentosessanta gradi di come funzionano le cose in un'istituzione europea. Essendo solo in ventidue, eravamo molto seguiti, e con il mio tutor, Marcel, avevo un rapporto molto bello. In generale, veniva data molta importanza allo stagista, per lui le porte erano sempre aperte e si aveva la possibilità, su richiesta, di partecipare a riunioni o plenarie e specializzarsi in determinati temi.

Inoltre ci tenevano molto, durante e dopo, a raccogliere i nostri feedback per ricalibrare in base ad essi le modalità di tirocinio. Era anche disponibile un supporto socio-psicologico per i tirocinanti. Un altro lato bello era che, in un solo giorno, poteva capitarti di parlare cinque lingue diverse e conoscere storie completamente differenti. Nella mia sessione eravamo quattro italiani, poi c'erano tedeschi, bulgari, polacchi...

Se un giorno dovessi lavorare nelle istituzioni, mi piacerebbe entrare in una delegazione dell'Unione europea o nell'European External Action Service, l'organizzazione che si occupa delle relazioni esterne dell'Ue, che dovrebbe a breve pubblicare un bando.

Subito dopo la fine del tirocinio, è iniziato il lockdown ed ero indecisa se rientrare in Italia. Alla fine ho trovato un'opportunità di lavoro qui a Bruxelles, come recruiter presso un'azienda. Avevo un contratto di immersione professionale da 1.900 euro al mese, che si sarebbe trasformato in indeterminato. Ho lavorato in smartworking, ma rispetto all'Italia, dove sentivo con apprensione i miei genitori – mio padre è anche un medico – ho avvertito molto meno il peso della la situazione. Qui, anche se era tutto chiuso, non ci è mai stato impedito di uscire. Tuttavia a mio avviso le misure adottate in Italia si sono rivelate più efficaci, mentre qui i casi sono aumentati e la mascherina ora è obbligatoria tutto il giorno.

A luglio ho deciso di licenziarmi: volevo uscire dall'ambiente aziendale e riprendere a occuparmi di politiche sociali. Sono tornata per un po' in Italia e ora sono di nuovo a Bruxelles, dove ho appena iniziato a lavorare per la Confederazione internazionale dei sindacati. Mi occupo sempre di recruitment ma in un progetto a sfondo sociale: una piattaforma in collaborazione con vari paesi asiatici che valuta la correttezza del reclutamento dei lavoratori immigrati. Qui sono partita da uno stage, ma spero si trasformi presto in un contratto di lavoro.

Qui in Belgio il salario minimo è di circa 1.600 euro e la vita non è più cara che a Milano. Io ho una stanza singola in un appartamento centrale, condiviso con due ragazze francesi, e pago un affitto di 550 euro spese incluse. A parte il clima, che influisce molto sul mio stato d'animo, a Bruxelles si vive bene: è una città in cui puoi camminare nel verde perché ha tanti parchi, vivere i quartieri internazionali: ognuno può trovare la sua dimensione. Io seguo un corso di danza brasiliana, faccio tandem italiano/portoghese, faccio volontariato con associazioni locali.

Il tirocinio in un'istituzione europea è un'esperienza che consiglio a chi ha la curiosità di capire come funziona una realtà europea. Suggerisco però di non pensare che Bruxelles sia l'Ue e basta: spesso la bolla dell'Unione europea ti aliena un po' e finisci per frequentare solo le persone che ci lavorano. Invece Bruxelles è una città piena di bellezze e contraddizioni ed è interessante viverla pienamente, conoscere i vari quartieri, fare volontariato...

L'Italia? La connessione c'è sempre, cerco di mantenere i rapporti con i gruppi di volontariato e con l'attività politica, e poi c'è la mia famiglia. Ad oggi la vedo come un punto di arrivo: non me ne sono andata perché l'Italia non mi piaceva, ma perché sentivo la curiosità di sperimentare altri stili di vita. Per ora il mio focus è ancora fuori, mi piacerebbe tornare in America latina, ma amo l'Italia e nel cuore ho sempre la speranza di ritornarci. Per adesso appena possibile prendo un volo per vedere il sole!

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

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