Ingegnera meccanica, mamma e allenatrice di volley: "Ragazze, non tiratevi mai indietro!"

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 22 Giu 2020 in Storie

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Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Tatiana Palombi, 36 anni, Mechanical Development Senior Engineer presso Flex, multinazionale statunitense che opera in ambito business to business (B2B) nel settore della tecnologia e dell’elettronica.

Sono nata e cresciuta a Milano; dopo il liceo scientifico, ho studiato al Politecnico, frequentando la triennale in Disegno industriale e la specialistica in Design engineering.

La chiave di volta nella mia scelta è stata la consegna delle tavole di disegno alla mia professoressa di arte. C'è stata una discussione perché lei era convinta che ci fosse un errore: io ho portato avanti fino alla fine la mia idea e lei si è accorta che avevo ragione, così mi ha fatto la battuta: "Hai imparato a disegnare!". Da lì mi sono detta "Magari è questo il mio campo".

Ho trovato una via di mezzo tra Architettura e Ingegneria, che fosse un mix fra teoria e pratica. Dopo la triennale, volevo approfondire la parte più tecnica, sia fisica che meccanica, e il corso in Design engineering aveva proprio questo obiettivo. Una decisione che mi ha portato bene: oggi sono Mechanical Development Senior Engineer nella multinazionale Flex e sono sicura di aver fatto la scelta giusta per le mie capacità.

Sono stata la prima laureata della mia famiglia, mio padre è operaio e non ha finito le superiori, mia madre custode e si è fermata alla quinta elementare. Mi hanno sempre supportato e mi hanno permesso di studiare senza lavorare, concentrandomi solo su quello. Mia madre mi ha confessato che, quando le ho detto che volevo iscrivermi all'università, le sono tremate le ginocchia. Il liceo non era stato facile, ma l'università l'ho scelta ed è stato tutto diverso.

Ci sono stati sacrifici, anche perché alle medie ci siamo trasferiti fuori Milano e, ogni giorno, dovevo fare oltre un'ora di viaggio, ma tutto è stato ripagato. I miei genitori, pur non avendo studiato, sono i miei modelli, perché mi hanno insegnato il rispetto verso il lavoro, le regole e le scadenze, ma  soprattutto verso le persone che lavorano con te.

Anche le esperienze di vita mi hanno aiutato a diventare quella che sono. Ho fatto sei anni di volontariato in ambulanza, diventando istruttrice del gruppo di formazione. Ho giocato sin da piccola a pallavolo e attualmente sono alla mia decima stagione da allenatrice delle giovanili. Ho smesso di giocare un anno dopo aver avuto la mia bambina, che oggi ha sette anni. I valori dello sport sono valori indispensabili che tutti dovrebbero avere e trasferire nella vita quotidiana: la lealtà, il rispetto di chi lavora con te e per te. Quello che dico sempre alle mie ragazze è che si vince e si perde insieme. 

Il mio primo approccio al lavoro è stato, prima della conclusione della specialistica, un tirocinio presso il Cnr di Lecco. Un'esperienza molto intensa e formativa, anche perché ho trovato nei colleghi grande pazienza nel colmare le mie lacune. Durante i sette mesi di tirocinio, ho curato il mio progetto di tesi, consistente nella creazione di un oggetto utilizzabile da bambini affetti da paralisi cerebrale infantile. Ho anche avuto modo di testarlo in un vicino ospedale: è stato emozionante vedere che il bambino, grazie al mio prototipo, riusciva a scrivere.

Dopo la laurea tutto è stato molto rapido: il 19 dicembre 2008 ho discusso la tesi, a gennaio ho iniziato a inviare curriculum a pioggia e a metà febbraio ho cominciato a lavorare. Ho ottenuto un contratto a progetto in un'azienda di Desio a carattere familiare, specializzata in interfacce uomo macchina (lavatrici, lavastoviglie, macchine da caffè industriali etc.). A settembre il contratto a progetto si è trasformato in apprendistato e poi, dopo un anno e mezzo, sono stata assunta a tempo indeterminato. Questa esperienza mi ha permesso di imparare a lavorare, ad avere a che fare con clienti e colleghi e con progetti sempre diversi. Ho avuto la fortuna di trovare due responsabili intelligenti e capaci, che hanno avuto la voglia di insegnarmi il lavoro.

A luglio 2011 me ne sono andata, ma per una scelta personale. Lì avevo conosciuto mio marito, perito tecnico in ambito elettronico, e mi sono detta che non potevamo lavorare nello stesso posto. Durante la crisi del 2008, tante persone erano rimaste a casa perché lavoravano nella stessa azienda. Così ho cominciato a cercare ed è arrivata Flex, un'occasione di crescita personale, visto che passavo da un'azienda a carattere familiare a una multinazionale statunitense con sedi in tutto il mondo.

Inizialmente non è stato facile, sono passata da una semplice tastiera a progetti complessi, con tempistiche molto più lunghe e interazione tra meccanico, elettronico, software. Dovevo interfacciarmi con figure, come il Quality Assurance, di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.

Il mio ruolo – ingegnera meccanico di sviluppo – consiste nel recepire i requisiti del cliente e tradurli rendendoli comprensibili a tutti e univoci, poi sviluppare il prodotto, presentare due/tre idee al cliente, quindi arrivare al prodotto finale e affrontare le varie fasi di test, sia in autonomia internamente sia presso enti certificatori, per vedere se i requisiti chiesti dal cliente sono stati centrati. Poi si analizzano i risultati e, in caso positivo, si procede alla messa in produzione. I team possono variare fra le sei e le dodici persone, a seconda della complessità del prodotto.

In Flex il reparto qualità è a predominanza femminile, mentre il reparto tecnico è meno rappresentato, nel gruppo meccanico siamo cinque donne su una ventina, ma stiamo crescendo. Io per carattere sono abituata a lavorare più con gli uomini, lo trovo più facile perché gli uomini fanno meno polemiche sterili. Ma, in generale, quello che mi piace di questo gruppo è che ognuno è in grado di prendere la parte positiva del lavoro degli altri, d'altronde in questo campo se uno resta indietro restano indietro tutti.

A otto mesi dall'arrivo in azienda sono rimasta incinta. Dopo tre mesi l'ho detto al mio responsabile, che mi ha risposto "Tu da questa sera porti il computer a casa: se la mattina ti alzi e non stai bene lavori da lì". Non ne ho avuto bisogno, ma è stato importante per me sapere di avere quella possibilità. Lui era particolarmente sensibile all'argomento e al quinto mese si è rifiutato di mandarmi negli Stati Uniti per una trasferta: all'inizio non l'ho capito, ma poi l'ho ringraziato.

Ho fatto la scelta di restare a casa quasi un anno, quindi i cinque mesi obbligatori più sei facoltativi. Una volta ritornata, c'è stato un susseguirsi di possibilità di crescita professionale. Non c'è mai stato il pensiero: "Sei una mamma, ti metto da parte".

Flex è un ambiente stimolante e premiante, dove se si lavora bene i riconoscimenti arrivano, anche sottoforma di bonus, sia legati al raggiungimento di obiettivi di Gruppo che individuali. A me piace lavorare con chi ne sa più di me, essere una spugna, soprattutto per la parte teorica, visto che io sono più pratica. Però adesso mi piacerebbe fare il salto di qualità e diventare io il riferimento per gli altri!

Anche per il periodo di emergenza, mi ritengo fortunata perché il mio lavoro non ha subito conseguenze. Prima ancora del lockdown, a fine febbraio, l’azienda ha attivato lo smart working e ci ha invitati caldamente a restare a casa. Ognuno di noi ha il suo computer portatile a uso personale, siamo sempre stati messi nelle condizioni di poter lavorare fuori, quindi non è stato difficile adattarsi. Flex ci ha chiesto di mantenere lo stesso orario, di otto ore al giorno, enfatizzando la richiesta “ogni tanto staccatevi!”. Sono previsti incontri regolari in video call con i nostri manager, per confrontarci.

La capacità di organizzarci da subito è stata apprezzata dai nostri clienti, che hanno visto continuità nel lavoro e ci hanno premiato per questo. Sin dai primi giorni abbiamo dato dimostrazione che la nostra capacità e qualità nel lavoro non venivano intaccate e che il non essere controllati a vista non inficiava le performance, e anche i vertici e il Team HR lo hanno riconosciuto. Quindi, se prima dell’emergenza il lavoro da casa era poco sfruttato, ora mi auguro che questa possibilità verrà mantenuta, almeno per un paio di giorni a settimana. Sarà importante soprattutto per i primi tempi, quando ancora i nostri figli resteranno a casa da scuola e noi, tornando in ufficio, ci esporremmo al rischio di portare il contagio. 

Ai ragazzi e alle ragazze consiglio: non mollate mai, non si può sperare di riuscire sempre al primo colpo, di geni ce ne sono pochi. Bisogna avere umiltà e, soprattutto per le ragazze, più consapevolezza delle proprie capacità e meno scrupoli. Essere donna non deve essere motivo per tirarsi indietro: alle volte ci complichiamo la vita da sole, abbiamo difficoltà nel metterci in gioco di fronte a una figura senior di sesso maschile, a tenere la voce nel tono corretto. 

Non fatevi spaventare dal fatto che storicamente l'ingegneria è un mondo prettamente maschile. Per come la vedo io, anche nei momenti di crisi, un tecnico ha la capacità mentale di adattarsi, riciclarsi in una situazione diversa: se la cava sempre!

Rossella Nocca

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