Ho scoperto il servizio volontario europeo digitando su Google “vivere all’estero senza soldi”, e mi ha cambiato la vita

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 26 Giu 2018 in Storie

#buone opportunità #educazione non formale #servizio volontario europeo

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Miriana Squillaci.

Ho venticinque anni e sono nata nella bellissima Sicilia, dove mi sono diplomata al liceo socio-psicopedagogico col massimo dei voti. Dopo il liceo ho però deciso di non continuare con l’università, vista la mia scarsa fiducia nell’attuale sistema educativo, e di intraprendere l’esperienza che mi ha cambiato la vita: il Servizio volontario europeo.

Durante il liceo ho prestato servizio come volontaria in tre associazioni della mia città: il centro di aggregazione popolare Gapa, dove scrivevo per il giornale dell’associazione “I cordai” e facevo animazione per bambini e adolescenti; Talikakum, dove affiancavo le responsabili del centro nella realizzazione di attività per bambini tra i due e i sei anni; e la Croce Rossa, con cui realizzavo attività di animazione in ospedali pediatrici e residenze per anziani. Queste esperienze dal valore professionalizzante mi hanno fatto scoprire la mia passione per l’educazione non formale, verso cui ho deciso di indirizzarmi con e dopo lo Sve.

Terminato il liceo volevo infatti mettermi alla prova con un’esperienza all’estero e, non avendo molte possibilità economiche, ho digitato su Google “vivere all’estero senza soldi”, e così ho scoperto questa opportunità. All’inizio mi era sembrata una possibilità troppo bella per esser vera ma poi, conosciuta una volontaria Sve greca che collaborava con la mia associazione d’invio a Catania, ho avuto conferma che quella fosse la mia chance. Ho iniziato a cercare progetti e ho trovato il progetto perfetto, “Volunteering Museum Ro”, che mi avrebbe portata in Romania per un anno. Con l’appoggio della mia associazione d’invio ho scritto la lettera di motivazione e compilato un questionario, e in pochi giorni ho ricevuto l’invito a un colloquio via Skype dall’associazione Actor Nervi. Inglese a parte, il colloquio è andato abbastanza bene e in pochi mesi stavo già preparando la valigia per partire alla volta di Bucarest.

L’obiettivo del progetto era promuovere il volontariato nei musei e attrarre il pubblico giovane, partendo dall’idea che non c’è futuro senza memoria. Organizzavamo inoltre attività di animazione negli ospedali pediatrici della città. Inizialmente ho condiviso l’appartamento con quattro ragazze (una italiana, una estone, una spagnola e una tedesca), dopodiché con due ragazze, italiana ed estone, e un ragazzo lituano. Devo dire che, anche se a volte può essere complicato vivere con persone con culture molto diverse dalla tua, questa è stata per me un’esperienza fantastica: ho preso nove chili mangiando pasta e pane fritto con uovo a qualsiasi ora della notte, ospitato persone provenienti da ogni parte del mondo e passato momenti unici.

La principale difficoltà che ho incontrato è stata inizialmente la lingua: non parlavo né rumeno né inglese e comunicare con il resto dei volontari è stato difficile per i primi tre mesi. Poi ho imparato che, a differenza di quanto accade a scuola, nessuno giudicava i miei errori: allora ho messo da parte la paura, mi sono buttata e in poco tempo ho imparato entrambe le lingue.

Anche dal punto di vista economico non ho avuto problemi, non ho dovuto anticipare nulla né chiedere aiuto alla mia famiglia; i viaggi di andata e ritorno sono stati coperti dalle mie associazioni di invio e accoglienza, così come la spesa per i mezzi di trasporto all’interno della città. Anche l’alloggio era totalmente a carico dell’associazione di accoglienza, che pagava affitto e bollette. In più ho ricevuto ogni mese un pocket money di 160 euro (circa 700 lei in moneta locale): cucinando insieme ai miei coinquilini e programmando tutte le spese sono anche riuscita a comprarmi, prima di ripartire, un computer portatile, dato che sul mio avevo accidentalmente versato una tazza di tè.

Una volta terminato lo Sve sono tornata in Italia con l’idea di studiare all’università. Ho superato vari test di ammissione, ma poi ho capito che non sarei riuscita ad andare avanti: dopo l’esperienza dell’educazione non formale, che mi aveva dato tanto, volevo proseguire su quella strada.

Per questo dopo poche settimane sono partita per la Spagna come ragazza alla pari, anche se l’esperienza si è rivelata decisamente poco positiva. Dopo due mesi sono tornata in Italia promettendomi che non sarei più ripartita e invece, dopo 7 mesi, sono ripartita alla volta della Spagna insieme a Raul, uno studente Erasmus nella mia città, con cui ho creato l’associazione giovanile Mille Cunti che si occupa di organizzare attività sia locali – come dinamizzazione dei musei, informazione giovanile – che europee: scambi giovanili, Servizio volontario europeo.

Amo quel che faccio: ho un contratto di lavoro di 17 ore settimanali, guadagno 345 euro al mese e vivo col mio compagno di vita e di avventura. Certo, mi piacerebbe guadagnare un po’ di più per fare tutto con più tranquillità, ma sono soddisfatta del mio tenore di vita e non cambierei nessuno stipendio con la possibilità di svegliarsi ogni mattina con la voglia di andare a lavorare.

Se ho iniziato tutto questo è stato grazie allo Sve, che considero il miglior programma dell’Unione Europea, l’unico a cui possono accede anche giovani con limitate risorse economiche. A me ha insegnato che tutto è possibile e che non si smette mai di imparare. Ho guadagnato moltissima sicurezza in me stessa e nei miei sogni, cosa che ha favorito lo spirito d’iniziativa e la capacità di trasformare una semplice idea in un progetto; ho scoperto la bellezza del lavoro di squadra, mi sono fatta moltissimi amici e, a livello linguistico, ho imparato rumeno, spagnolo e inglese. Credo che le associazioni di invio dovrebbero dare più peso alla parte formativa dello Sve e non presentarlo come un’esperienza all’estero utile solamente per migliorare le competenze linguistiche: è un dare e ricevere continuo, che fa crescere sia a livello professionale che umano. Probabilmente l’aspetto migliore è la capacità che lo Sve ha di “distruggere” le nostre convinzioni, di farci sentire un po’ persi e costretti a imparare tutto di nuovo, come da bambini. Cadono i pregiudizi e gli stereotipi, ti confronti con ragazzi provenienti da tutto il mondo.

Se dovessi dare un consiglio ai giovani interessati a quest’esperienza direi di non scegliere in base al Paese ma in base al progetto: per quanto possa piacere una città, è difficile restare e mantenere il buon umore se poi bisogna fare qualcosa che non piace. E il secondo consiglio è quello di cercare subito un progetto, un’associazione d’invio e preparare la valigia. Per incontrarsi non c’è niente di meglio che perdersi in questa meravigliosa avventura!

Testo raccolto da Giada Scotto 

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