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A Milano si chiude lo StartupWeekend: 185 partecipanti e 13 progetti sviluppati in 54 ore

L’obiettivo era toccare il primato delle 150 iscrizioni. Alla fine, per la decima edizione italiana di StartupWeekend, al Talent Garden (TAG) di Milano sono arrivati in 185, da tutta Italia e anche dall’estero (Svezia, Danimarca, Romania). «Abbiamo avuto una percentuale elevata di partecipanti stranieri, in tutto una decina, e di ragazze, più di venti. Il bilancio è positivo», spiega Emil Abirascid, fondatore del network Startupbusiness e co-fondatore di TAG, che hanno organizzato l’evento (di cui la Repubblica degli stagisti è stata media partner insieme a Indigeni Digitali, Che Futuro!, StartupItalia e IED) in collaborazione con Frontiers of Interaction. Le 54 ore da startupper sono iniziate venerdì 1 febbraio con la presentazione delle idee d’impresa, poi messe al voto. Dai circa 60 pitch iniziali, sono state selezionate così 13 progetti, intorno a cui si sono aggregati altrettanti team. L’intera giornata di sabato e la mattinata di domenica sono state occupate dal lavoro – in certi casi continuo: alcuni team non hanno dormito – e dal confronto con i coach, che hanno dato suggerimenti e consigli. Alle 15 di domenica, poi, la presentazione delle idee davanti alla giuria, composta da imprenditori ed esperti, e alle 18 il responso, che ha valorizzato la partecipazione femminile, con due dei tre progetti vincitori creati da ragazze. Al primo posto, per «l’originalità dell’idea e il fit con l’esperienza culinaria italiana», Bon Appetour, una piattaforma web «che permette ai turisti di poter fare esperienze autentiche trovando famiglie locali insieme alle quali poter cucinare e mangiare, invece di andare al ristorante», racconta Rinita Vanjre, 21 anni, indiana, che dopo gli studi a Singapore si è trasferita in Svezia per lavorare alla società di ingegneria meccanica Diamorph ed è venuta a Milano per partecipare allo StartupWeekend insieme a Inez Wihardjo, co-founder di Bon Appetour. L’idea, come succede quasi sempre, è nata dall’esperienza personale: «Ho viaggiato molto, ma mangiare cibo tradizionale è sempre difficile, o molto costoso. Il fatto di cucinare insieme, invece, oltre che economico, diventa anche uno strumento di integrazione». Ora l’obiettivo è creare un network internazionale: «Nel team c’erano persone che vivono in Svezia, Italia, Romania. Inoltre, io conosco bene la realtà asiatica. Pensiamo di avviare da subito progetti paralleli in diversi Paesi».Al secondo posto, Donee Donee, un sistema online che aiuta l’utente a scegliere e acquistare il regalo giusto in rete, premiato per «la rispondenza a un bisogno diffuso e la chiarezza dell’opportunità di monetizzazione». Il sito, spiega l’ideatore Marco Fantozzi, 37 anni, di professione video designer, «ricorda gli eventi e analizza i gusti e le preferenze degli amici, dando anche suggerimenti sul regalo da acquistare. La lampadina mi si è accesa pensando alla mia esperienza personale: spesso mi sono dimenticato di compleanni e anniversari, e una semplice applicazione sarebbe bastata a salvarmi dalle figuracce». La situazione attuale fa ben sperare: «A Natale 2012, in Italia sono stati acquistati 5 milioni di regali on line. Ci sono dei siti che fanno cose simili, ma nessuno ricorda le date e dà consigli».Medaglia di bronzo, per «la qualità del prototipo sviluppato e l’attenzione al design della user experience», a CookEat, un servizio che permette di selezionare, acquistare e ricevere a domicilio tutto ciò che serve per preparare una cena: ricette, ingredienti di prima qualità, vino. «E’ pensato per chi non ha tempo di fare la spesa, ma non vuole risparmiarsi il piacere di cucinare», spiega la founder Sara Bonomi, 24 anni, che dopo la triennale in Bocconi ha fatto un master in Marketing a Barcellona e un’esperienza di lavoro a San Francisco, nell’acceleratore d’impresa Rockstart. «L’idea è nata vedendo che ci sono molti siti di e-commerce e molti altri di ricette, ma sempre separati. Puntiamo sul dare alle persone il piacere di cimentarsi con la cucina, risparmiando loro però l’acquisto degli ingredienti o la ricerca dei piatti». Premio speciale, per «il potenziale di disruption dei mercati», a Meeko, una piattaforma che fa incontrare la domanda e l’offerta di tutor per l’erogazione di ripetizioni direttamente online, consentendo poi di esprimere giudizi sulle lezioni. I presupposti per una startup simile, ci sono tutti: «Ogni famiglia spende all’anno, secondo il Codacons, dai 600 agli 800 euro per le ripetizioni e a disposizione delle scuole ci sono l’87% in meno di fondi pubblici per il recupero pomeridiano. Sul web non esiste niente di simile», spiega Riccardo Avanzi, 26 anni, collaboratore di ricerca all’università di Trento sull’interazione uomo-macchina. Le altre startup si concentravano sul settore sanitario (Askinghealth, Mercurio), eventi e acquisti (Should be do, Check bonus), trasporti (Taxi Rider), gestione di dati (Gtouch, Adubox), università (UGrade, GoFlatMate). Al di là dei vincitori, fa notare Abirascid, «la cosa importante è vivere la learning experience di formare un team e dar vita a un’impresa in poco più di due giorni. Non tutte le idee presentate erano originali, ma è interessante vedere come la cultura legata alla creazione di nuove imprese stia attecchendo anche in Italia: c’è una consapevolezza crescente dei diversi elementi critici da considerare quando si progetta una startup». In molti casi, la tecnologia non è fine a se stessa: «E’ significativo che accanto alla creazione del business, si tenga conto sempre più spesso anche della ricaduta sociale dell’attività», conclude Abirascid. Gli startupper sono d’accordo. Alla domanda su che cosa fosse l’innovazione, in tanti ieri non hanno avuto dubbi. La risposta di Vitor Storch le riassume tutte: «Innovare è creare un valore per la società». Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - A Milano arriva la seconda edizione di StartupWeekend- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano

Zara: per fare il commesso serve lo stage. E così l'azienda risparmia

Uno stage per diventare commessa: sembra un paradosso e invece è una realtà per il colosso dell'abbigliamento Zara. Sul forum della Repubblica degli Stagisti tempo fa era arrivata la segnalazione di Darietta, che scriveva di aver ricevuto, proprio da Zara «una proposta di stage per trecento euro al mese per otto ore lavorative giornaliere. Per accrescere la professionalità come commessa, una vergogna!». Da allora nulla è cambiato: basta fare un giro sul portale di recruiting di Inditex (gruppo che comprende Zara, Pull&Bear, Stradivarius e Massimo Dutti) per constatare che le offerte di stage per addetti vendita sono pubblicate in bella vista (ed è curioso che ce ne siano solo per l'Italia e nessun altro Paese europeo). Eccone una: a Sassari si cerca uno stagista addetto alle vendite full time e con  diploma o laurea conseguiti da non più di dodici mesi (assicurato però un rimborso spese più buoni pasto). Ma possibile che serva un titolo accademico, e un periodo di formazione aggiuntiva, per imparare a vendere o fare da assistente in negozio? Peraltro in negozi come Zara dove i commessi non si occupano di seguire i clienti, che nella maggior parte dei casi si arrangiano da soli, ma di tenere l'ordine e smistare i capi? La Repubblica degli Stagisti ha provato a contattare l'ufficio stampa di Inditex per chiedere spiegazioni, ricevendo picche. «Siamo un gruppo troppo grande per poter fornire risposte in tempi brevi» affermano. E anche se la Repubblica degli Stagisti ha avuto pazienza, e ha aspettato molte settimane, nemmeno così le risposte sono arrivate. E pure chi dovrebbe difendere la categoria cade dalle nuvole: «Non è mai emerso nulla da delegati regionali sul problema degli stagisti dentro i negozi di Zara» giura Sabina Bigazzi, funzionaria nazionale di Filcams. Dissociandosi però in modo netto: «Per me uno stagista in negozio non ci dovrebbe essere mai, è solo manodopera a costo zero o sottopagata. Tuttavia io posso intervenire sull'abuso, se si è nei parametri di legge ho le mani legate, posso contestarli solo sul piano sindacale e politico». E infine assicura: «Voglio verificare. Forse è un problema rimasto in ultima fila tra quelli che abbiamo affrontato». Beatrice Cimini, funzionario Filcams del Lazio, è certa invece che quello degli stage in negozio sia un fatto appurato e sempre più comune. A Roma per esempio, dove sono otto i negozi del marchio, gli stagisti sono circa dieci, hanno un rimborso di 300 euro mensili per 40 ore lavorative, e usufruiscono di 22 buoni pasto legati alle presenze. Quanto alla durata, in genere si tratta di tre mesi, rinnovabili, ma il dato si ricava solo dalle segnalazioni ricevute, spiega la Cimini (che proprio di Zara si occupa): l'azienda infatti non specifica mai nell'annuncio quanto durerà. Quanto all'uso dello stage «è legale e costa di meno. Gli stagisti/commessi vengono pagati poco, e la società risparmia» chiarisce. L'unico svantaggio è che «il personale è meno disposto a svolgere a un costo minore le stesse mansioni di chi è assunto e per questo si fa più fatica a reperirlo». Un uso a dir poco distorto dello stage che non fa onore a questa azienda. Recita l'articolo 18 della legge 196 del 1997 che il tirocinio è creato «al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro». È chiaro che la legge si rivolge a professioni di alto profilo, per cui è necessario un tempo di apprendimento. Ma purtroppo molti "soggetti ospitanti" puntano invece solo al risparmio. Eppure il gruppo di cui fa parte Zara assicura ai dipendenti un trattamento di tutto rispetto. Paolo P., commesso di un negozio del centro di Roma, descrive alla Repubblica degli Stagisti cosa viene riservato a chi entra in azienda con regolare contratto di lavoro. «Si fa prima un contratto determinato, di uno o tre mesi a seconda se si sceglie il full o il part time». Dopodiché «al terzo rinnovo, se il neoassunto piace al responsabile, scatta il contratto a tempo indeterminato», provvisto di tutte le ormai rarissime tutele del caso (maternità, ferie pagate etc.). Gli stipendi sono discreti: 600/700 euro netti per un part time di 18 ore, salendo  fino a 1200 euro netti per un tempo pieno di 40 ore settimanali. E poi le possibilità di carriera ci sono, spiega il commesso: «Se vali puoi, attraverso un percorso piramidale, diventare viceresponsabile junior di un negozio, essere promosso responsabile prodotto e arrivare pure agli uffici come responsabile nazionale». Facendo un rapido calcolo, solo su Roma, utilizzando dieci stagisti a 300 euro al mese al posto di lavoratori regolarmente assunti, Zara risparmia ben 9mila euro al mese, che spalmati su tre mesi di stage fanno 27mila euro, e addirittura 54mila su sei mesi. Un vantaggio non da poco.Del resto Zara non è l'unica catena a fare uso degli stage in negozio. È apparso di recente sul portale Jobsoul un annucio della multinazionale Kiabi che cerca per 400 euro mensili e un full time di cinque giorni settimanali - weekend inclusi - «studenti giovani e motivati che hanno voglia di imparare e fare una prima esperienza nel mondo della grande distribuzione». Qui lo stagista non starà certo con le mani in mano, specificano: dovrà imparare nozioni come «etichettaggio, sistemazione e impiantazione del prodotto». Ma questo solo nella prima fase. Nella seconda, a cui – spiegano - arriva solo chi ha «compreso, praticato ed interiorizzato le basi del mestiere di addetto vendita», il candidato dovrà gestire in autonomia un perimetro del negozio e in particolare imparare cose come la «tenuta del perimetro e la regola delle tre P (Pieno, Prezzo, Pulito)» o «l'aggressività del prezzo». E il bello viene ora: la condizione per candidarsi è essere studente o neolaureato in Lettere e Filosofia. Altro che gli sbocchi nell'insegnamento o nel giornalismo: ora a chi viene dalla formazione umanistica tocca andare a vendere. L'azienda, contattata dalla Repubblica degli Stagisti, si rifiuta di commentare: dunque non resta che tornare all'annuncio, in cui si legge che lo stage serve a «scoprire la base del mestiere di responsabile di reparto. È una prima esperienza che permette di capire l’importanza della relazione con i clienti e del merchandising». Ma soprattutto che lo stagista deve «contribuire a sviluppare il fatturato del proprio perimetro». E per fortuna che dovrebbe essere formazione.  Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Professioni del commercio tra le più richieste. Un'opzione sbarcalunario per chi è poco choosy- Dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno gli studenti dell'Orientale di Napoli denunciano: nella newsletter di ateneo offerte di stage come commessi- Stagisti sfruttati, i casi finiti in tribunale- Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze E anche:- Vademecum per gli stagisti: ecco i campanelli d'allarme degli stage impropri - se suonano, bisogna tirare fuori la voce      

A Milano arriva la seconda edizione di StartupWeekend

Startupper per un giorno, anzi, per tre. Dal 1° al 3 febbraio, allo spazio di co-working Talent Garden (TAG) di Milano, si terrà la decima edizione italiana di StartupWeekend, un fine settimana lungo durante il quale imprenditori e soprattutto aspiranti tali potranno scoprire se le proprie idee di business funzionano, provando a impostarne la realizzazione con un team. È la seconda volta che la più grande competizione internazionale per imprese innovative, un format nato negli Stati Uniti ed esportato in tutto il mondo, dalla Mongolia al Sudafrica, da Londra al Brasile, fa tappa nel capoluogo lombardo. «L’evento comincia il venerdì sera, quando i partecipanti espongono il “pitch”, l’idea di impresa, cercando di appassionare i presenti e invogliarli a far parte della propria squadra. La sera stessa vengono votate tutte le idee presentate e quelle più apprezzate diventano oggetto dello sviluppo già nelle ore successive. «In media, ne vengono presentate circa 50 o 60 e ne vengono selezionate 10-15», spiega Donatella Cambosu del network Startupbusiness, che organizza l’evento (di cui la Repubblica degli stagisti è media partner insieme a Indigeni Digitali, Che Futuro!, StartupItalia e IED) in collaborazione con TAG e a Frontiers of Interaction. Subito dopo si formano i team che, racconta Davide Dattoli, co-fondatore di Talent Garden e referente italiano di StartupWeekend, «per avere successo dovranno essere il più possibile variegati: insieme a designer e developer, c’è bisogno di un esperto di marketing e uno di business administration». Il sabato e la domenica mattina sono dedicati allo studio della strategia e allo sviluppo concreto del prodotto. I team si occupano di programmazione di software e App, studiano la grafica, elaborano i primi elementi del business plan, pensano alla strategia di marketing. Se c’è bisogno, possono confrontarsi con i “coach”, esperti  digitali che danno suggerimenti e consigli. Il momento della verità arriva la domenica pomeriggio, quando i progetti vengono presentati e votati da una giura di imprenditori ed investitori, rappresentanti di incubatori e di fondi di Venture capital. In platea siedono potenziali  business angel e operatori del settore: «Siamo stati contattati da diverse grandi aziende interessate a progetti innovativi digitali: alla presentazione finale ci saranno anche rappresentanti di gruppi internazionali, da Samsung a Unicredit», continua Dattoli (nella foto insieme ai co-fondatori di TAG Marcello Merlo ed Emil Abirascid). Di solito vengono selezionati tre progetti, ma non ci sono premi in denaro. Il primo vince tre mesi di permanenza gratis a TAG, gli altri crediti on line per accedere a diversi strumenti digitali (per esempio Amazon web services) utili per gli startupper. «La cosa importante» precisa Donatella Cambosu «è l’opportunità di sviluppare un’idea di business e vedere se può funzionare. Se è vero che per molti partecipanti lo StartupWeekend rappresenta un’esperienza formativa e non l’inizio di un’impresa, ci sono stati anche casi di idee presentate durante uno degli eventi passati e poi diventate start up di successo». All’edizione milanese del 2011, per esempio, era stato presentato Save the Mom, un’App che si propone di aiutare le mamme impegnate nella gestione della vita familiare, coinvolgendo papà, figli, nonni, zii e tate. In poco più di quattro mesi, il progetto è diventato realtà: il lancio è avvenuto l’8 marzo scorso, insieme all’annuncio di un accordo con il mensile femminile Myself, che ha inserito l’organizer familiare sul proprio sito. InToino è una start up arrivata seconda allo Startup Weekend torinese del giugno scorso. Ha creato un’App che permette a tutti di progettare schede Arduino e sensori compatibili, senza dover per forza conoscere i codici di programmazione. È stata selezionata tra le 16 idee più interessanti da Le Web, la conferenza sul digitale che si è tenuta a dicembre a Parigi. All’evento romano del 2010 ha invece fatto il suo esordio Qurami, un’App per saltare le code negli uffici pubblici, all’ambulatorio, o al museo, che consente di prenotare il posto in fila tramite smartphone, verificare l'attesa in tempo reale e ricevere una notifica all'avvicinarsi del proprio turno. Da ottobre 2012, il servizio funziona nelle segreterie di quattro università romane (La Sapienza, Roma Tre, Luiss e Tor Vergata) ed è comparso anche nei primi uffici degli enti pubblici, come la Provincia di Roma e i Comuni di Firenze e Trieste.Partecipare costa 75 euro a persona, ma c’è uno sconto del 25% per gli studenti. L’obiettivo degli organizzatori, racconta Dattoli, è rendere l’edizione milanese al TAG la più partecipata di sempre: «Le precedenti edizioni italiane, da Brescia a Catania, hanno avuto molto successo: in tutti gli eventi c’erano almeno un centinaio di ragazzi. Questa volta puntiamo a raggiungere almeno i 150 iscritti, e siamo già vicinissimi. Milano è la capitale italiana del digitale e il 1° febbraio al TAG arriveranno aspiranti startupper da tutta Italia».   Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano  

Procedura sospesa e nuovo budget incerto: in Sardegna è caos tirocini

Il primo dei 1.400 tirocini formativi con voucher promossi dalla Regione Sardegna viene assegnato martedì 15 gennaio alle ore 10:14. L’ultimo, alle 12:11 dello stesso giorno. In mezzo, il caos. Due ore scarse in cui il sito, a cui stanno cercando di collegarsi circa 12.000 persone, va in tilt. Molti aspiranti stagisti non riescono ad accedere al portale e intasano le linee telefoniche dell’Agenzia per il lavoro della Sardegna chiedendo spiegazioni. L’ente che gestisce il bando dei Tirocini formativi e di orientamento (TFO) risponde on line denunciando sul sito un «attacco di hacker», ma nonostante questo non blocca la procedura telematica per aggiudicarsi i 6 mesi di tirocinio, con un’indennità di 500 euro lordi al mese. La sera stessa, il presidente della Regione Ugo Cappellacci annuncia su Facebook: «Considerato che l’avvio dei nuovi voucher formativi per cause non dipendenti dalla volontà dell’amministrazione non si è potuto svolgere in maniera tale da garantire in concreto a tutti gli aspiranti la possibilità di accedere e partecipare, la Giunta annullerà la procedura e la ripeterà con tutte le cautele e le garanzie che il caso richiede. Inoltre, considerato l’elevato numero di domande pervenute, aumenteremo le risorse finanziarie al fine di poter soddisfare un cerchia ancora più ampia di richiedenti». Una dichiarazione che ha l’effetto di aprire un vaso di Pandora: molti di coloro che non sono riusciti a portare a termine la procedura per aggiudicarsi il tirocinio ringraziano Cappellacci, ma cresce la protesta dei 1.400 fortunati. E così, a mente fredda, il governatore ci ripensa: «Stiamo facendo le verifiche tecniche sulla gestione del sito per capire se, al di là dei tentativi non riusciti di intrusione da parte di hacker, quei voucher possano essere regolarmente assegnati», dichiara il 16 gennaio. L’ipotesi che prende corpo negli ultimi giorni prevede di considerare validi i 1.400 TFO aggiudicati il 15 gennaio e fare un secondo bando con una dotazione economica che sia almeno uguale, ossia 5 milioni di euro. Il direttore dell’Agenzia Stefano Tunis ha già messo on line la lista dei beneficiari, ma l’assessore al Lavoro della Regione Antonello Liori vorrebbe l’annullamento e la ripetizione della procedura per tutti i partecipanti. Per ben due settimane, la Repubblica degli Stagisti ha cercato di intervistare il governatore sardo, che però si è negato. Dall’ufficio stampa della Regione spiegano che «si sta pensando di fare un secondo bando, ma la decisione verrà presa in una delle prossime riunioni della giunta. Considerando i vincoli del patto di stabilità e che siamo in esercizio provvisorio di bilancio, si sta cercando di recuperare 5 milioni di euro, che potrebbero raddoppiare». Sul presunto attacco da parte degli hacker, che in molti considerano poco probabile – si sarebbe trattato, piuttosto, di rallentamenti dovuti a un’infrastruttura informatica incapace di supportare oltre 10.000 accessi contemporaneamente – Tunis ha presentato un esposto. Le irregolarità, però, non finiscono qui. La procedura prevedeva l’invio telematico all’Agenzia del progetto formativo, condiviso da azienda e tirocinante. Una volta che il soggetto ospitante ha compilato la propria parte, abbinava il progetto al tirocinante prescelto, che aggiungeva i propri dati. Margherita C.  commentando sulla pagina Facebook del presidente la promessa di annullamento del bando, racconta di alcune anomalie del sistema: «Alcuni hanno avuto la possibilità di abbinare sin da ieri i tirocinanti, altri prima delle 10:00, altri hanno abbinato il tirocinante di cui non era caricato il cv... Che garanzie abbiamo che il sistema non abbia fatto figli e figliastri?» e chiarisce: «Sono un consulente del lavoro ed ho certezza che un'azienda a cui seguo la contabilità e la gestione del personale aveva abbinati dalla sera prima i progetti con i tirocinanti... e ieri durante la mattinata ha potuto abbinare un altro tirocinante di cui non era riuscita, per il blocco nei caricamenti, a caricare il cv! Purtroppo il sistema informatico creato non é molto affidabile. Io ho partecipato più volte alla distribuzione online di risorse limitate anche su base nazionale... mai mi è successo di non riuscire a caricare una pagina in ben due ore che sono stata collegata sul mio pc!». Gli aspiranti stagisti avevano l'obbligo di registrarsi al sito e inserire il proprio curriculum, in base al quale, presumibilmente, doveva avvenire la scelta da parte delle aziende. Tra imprese e tirocinanti potevano quindi esserci stati dei contatti anche prima, ma l'abbinamento del progetto formativo allo stagista da parte dell'azienda sarebbe dovuta avvenire, in tutti i casi, solo dalle 10 del 15 gennaio.Al di là della procedura inaffidabile, lenta e macchinosa, continua a far discutere anche il fatto che la maggior parte degli annunci riguardasse mansioni basse, per le quali non c’è bisogno di un periodo formativo di sei mesi. «Spero che Lei si voglia sincerare anche della correttezza delle proposte dei soggetti ospitanti: parlo di quei soggetti, soprattutto privati, che cercano tirocinanti per imparare a lavare i piatti, servire ai tavoli, per cui non mi sembra necessario un tirocinio di sei mesi. O sbaglio? Perchè non mi sembra il caso di sprecare risorse con persone che vogliono avere manodopera a spese dei contribuenti» scrive Francesca M., 36 anni, una laurea in Lettere e una in Tecniche della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, commentando le dichiarazioni del governatore.Altro punto debole di questi bandi, denunciato dal Comitato di indagine sulle politiche attive del lavoro in Sardegna è che «162 nomi compaiono in entrambe le liste dei beneficiari (dei bandi 2012 e 2013, ndr)»: «L’11,5% dei voucher andrà a persone che già l'anno scorso avevano beneficiato dei fondi regionali». Il regolamento non pone limiti a riguardo, ma secondo i ragazzi del Comitato una clausola che impedisse di ottenere un tirocinio per due anni di seguito sarebbe stata necessaria: «Anche questa volta la Regione ha dimostrato di non curarsi della condizione in cui molti giovani versano, si è scelto infatti di escludere chi non ha avuto, precedentemente, la possibilità di formarsi, riconfermando invece alcuni candidati che avevano già beneficiato del bando regionale in passato».   Veronica Ulivieri Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Torna il caso Tfo in Sardegna: stage per operai e commesse di bella presenza pagati dalla Regione- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Tirocini per operai, inservienti e camerieri in Sardegna: il consigliere regionale Marco Meloni prepara un'interrogazione per l'assessore- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso: forse dopo vorrà aprire una stazione di servizio sua»        

Tirocini extracurriculari, linee guida approvate: le Regioni legiferino entro luglio

Le nuove linee guida sui tirocini da oggi sono una realtà. L’intesa tra stato e Regioni è stata trovata, e il documento è stato sottoscritto questo pomeriggio, proprio pochi minuti fa. Prima di entrare nel merito, però, bisogna ribadire subito due cose. Innanzitutto che queste linee guida non riguardano che una parte di tutti gli stage attivati ogni anno in Italia, e cioè quelli definiti "extracurriculari" – fatti al di fuori dei percorsi formativi. Si tratta più o meno della metà degli stage, 250mila su un totale di mezzo milione. Le tutele e prescrizioni introdotte da questo documento, dunque, non riguarderanno chi fa stage mentre è iscritto a scuole, università, master e corsi di formazione. Inoltre non rientrano «tra le materie oggetto delle linee guida» anche altri quattro tipi di tirocinio: «i periodi di pratica professionale, nonchè i tirocini previsti per l’accesso alle professioni ordinistiche; i tirocini transnazionali, ad esempio quelli realizzati nell’ambito dei programmi comunitari per l’istruzione e per la formazione, quali il Lifelong Learning Program; i tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso; i tirocini estivi». Almeno, però, gli enti pubblici non saranno esonerati dal rispettare queste prescrizioni se ospiteranno tirocinanti extracurriculari: «Le presenti linee guida contengono criteri applicabili anche per i casi in cui il soggetto ospitante sia una pubblica amministrazione». La seconda premessa. Le linee guida non hanno efficacia immediata, non sono formalizzate in un atto normativo, e non hanno pertanto forza di legge. Per diventare operative avranno bisogno che ciascuna delle venti regioni italiane emetta una propria legge regionale, che ricalchi (si spera fedelmente) i principi concordati. Quando allora si potrà davvero dire che le tutele introdotte dalle linee guida saranno davvero implementate? Nel documento le Regioni si impegnano a farlo entro 6 mesi, dunque entro la fine di luglio. Sarà davvero così? Nessuno può saperlo, bisognerà attendere e monitorare con attenzione il lavoro dei vari consigli regionali su questo tema.Fatto questo preambolo, ecco i contenuti delle linee guida. Innanzitutto il compenso garantito per gli stagisti, la famosa «congrua indennità» minima già anticipata dalla riforma Fornero. La cifra su cui il governo e le Regioni si sono accordati è davvero molto bassa, solo 300 euro al mese, e per giunta lordi (la Repubblica degli Stagisti ha approfondito qui il problema generato dal lordo-netto in alcuni casi). Ma meglio di niente: nulla vieta in effetti alle Regioni di fissare un minimo più alto, magari commisurato al costo della vita sul proprio territorio. L'intesa sul testo infatti, è stata accompagnata da una dichiarazione in cui le Regioni si impegnano a prevedere un rimborso minimo di 400 Euro nelle proprie leggi e normative. L’assessore al Lavoro della Regione Toscana Gianfranco Simoncini, coordinatore della commissione Istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni, ha ricordato sulla sua pagina Facebook che «La Toscana nella sua legge ha già stabilito 500 euro». Quei 500 euro che in effetti, specialmente per la Lombardia e le altre regioni del centro-nord, sembrano una cifra più congrua (e non a caso è esattamente quella che la Repubblica degli Stagisti fin dal 2009 prevede nella sua Carta dei diritti dello stagista).Nelle linee guida vi è anche un altro aspetto interessante: il divieto di attivare stage per mansioni a bassa specializzazione, quelle che spesso vengono definite «ripetitive o meramente esecutive», o per risparmiare sul costo del lavoro impiegando stagisti per attività stagionali. Il passaggio del documento che esplicita questo divieto è il seguente: «Al fine di riqualificare l’istituto e di limitarne gli abusi, si concorda sui seguenti principi: a. il tirocinio non può essere utilizzato per tipologie di attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo; b. i tirocinanti non possono sostituire i lavoratori con contratto a termine nei periodi di picco delle attività e non possono essere utilizzati per sostituire il personale del soggetto ospitante nei periodi di malattia, maternità o ferie nè per ricoprire ruoli necessari all’organizzazione dello stesso». Bando dunque alle stagiste commesse, agli stagisti cassieri al supermercato e a tutto il sottobosco di stage a basso contenuto formativo utilizzati talvolta addirittura platealmente – come nel recente caso del programma TFO della Regione Sardegna – al posto dei contratti di apprendistato? Anche qui bisognerà attendere e vedere come le singole Regioni recepiranno questo principio. Purtroppo si sa che c’è sempre qualcuno che cerca di stoppare o annacquare questo tipo di risoluzioni sostenendo la tesi che «qualsiasi attività lavorativa ha bisogno di un periodo formativo»: la speranza è che venga messo a tacere, e che prevalga il buonsenso.Nelle linee guida si trovano poi indicazioni sulla durata massima – 6 mesi per neodiplomati e neolaureati, 12 mesi per disoccupati e inoccupati, 24 mesi per disabili – e sulla proporzione tra stagisti e dipendenti, che dovrà essere calcolata conteggiando solo quelli assunti a tempo indeterminato. Viene introdotto il divieto di realizzare «più di un tirocinio con il medesimo tirocinante» e quello di ospitare stagisti per aziende che abbiano «effettuato licenziamenti negli 12 mesi precedenti l’attivazione del tirocinio» o che abbiano in corso procedure di cassa integrazione: ma attenzione, qui il divieto vale solamente «per attività equivalenti a quelle del tirocinio» e «nella medesima unità operativa». Le linee guida mettono anche in guardia dal cercare di fare i furbi, cambiando semplicemente nome (forse i lettori più affezionati ricorderanno il caso dei superstage della Regione Calabria, ribattezzati "programma Voucher" nel - vano - tentativo di sfuggire alle critiche) agli stage nel tentativo di sfuggire alle prescrizioni: «Le presenti linee guida rappresentano standard minimi di riferimento anche per quanto riguarda gli interventi e le misure aventi medesimi obiettivi e struttura dei tirocini, anche se diversamente denominate». Chiamate i vostri tirocini come volete, insomma, ma dovrete comunque adeguarvi.Le linee guida approvate oggi sono certamente un passo nella giusta direzione. Sono però estremamente deboli, e necessitano di ulteriori passaggi normativi che probabilmente non tutte le Regioni saranno in grado di (o non avranno interesse a) produrre nei tempi previsti. L’attenzione della Repubblica degli Stagisti sull’iter di questi provvedimenti regionali sarà dunque altissima. E resta comunque poi il problema di tutti gli altri stagisti, quelli che restano fuori dal cappello di tutele di queste linee guida. Perchè agli stagisti curriculari non sono stati garantiti gli stessi diritti? Le Regioni in questo caso si tirano indietro, dicendo che la loro competenza è solo su quelli extracurriculari e che per i curriculari è lo Stato a dover legiferare. Bene, allora è tempo di chiedere allo Stato una bella legge anche sui tirocini curriculari. Per evitare che – secondo l’amaro italico detto che fatta la legge si trova l’inganno – tutti coloro che vorranno continuare ad abusare degli stagisti e a sfruttarli finiscano semplicemente per andare a pescare gli studenti anzichè i neolaureati e i disoccupati.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Linee guida sugli stage, 400 euro al mese di rimborso «obbligatorio»: ma solo in teoria- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Tutto sulle nuove regole degli stage in Lombardia- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in LombardiaE anche:- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso»- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuose- Padova, le linee guida sui tirocini di qualità ci sono ma non vengono applicate- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»

Tirocini estivi alla Banca Mondiale, 200 posti per Washington

C’è tempo fino al 31 gennaio per candidarsi a uno dei tirocini offerti dalla Banca mondiale (World bank), l'istituzione specializzata dell'Onu che si occupa di lotta alla povertà e di aiuti e finanziamenti per gli Stati in difficoltà. La sede centrale della World bank è a Washington. Gli stage sono rivolti a studenti che abbiano conseguito almeno la laurea triennale e che siano iscritti a un master, a un corso di laurea magistrale o specialistica o a un dottorato. In particolare i tirocini sono rivolti ai candidati impegnati nei seguenti ambiti di studio: economia, finanza, sviluppo umano (sanità pubblica, istruzione, nutrizione, popolazione), scienze sociali (antropologia, sociologia), agricoltura, ambiente e sviluppo del settore privato. L'internship programme mira sia al miglioramento delle competenze acquisite durante gli studi sia a favorire un'esperienza lavorativa in ambito internazionale. Le mansioni possono essere molto varie perché dipendono dal profilo del candidato e dalle necessità del momento. Vanno dalla ricerca e pianificazione di progetti all'organizzazione di eventi, alla collaborazione con i ricercatori nella raccolta e compilazione di dati. Tutti i tirocini, che durano dalle quattro alle dodici settimane, si svolgono a Washington, ma durante l'anno vengono talvolta aperte delle posizioni nelle sedi della Banca mondiale di Parigi, Bruxelles, Berlino, Marsiglia, Londra, Roma e Ginevra, che sono pubblicizzate qui. I tirocini il cui bando scade il 31 gennaio, programmati per il periodo estivo giugno-settembre, sono pagati sulla base del monte ore di lavoro e, in alcuni casi, è prevista anche un’indennità per le spese di viaggio. Il compenso, comunque, è variabile a seconda dell'esperienza, del tipo di lavoro richiesto e dell'ufficio nel quale si è impiegati. I vincitori comunque devono provvedere autonomamente al vitto, così come alla ricerca e al pagamento dell’alloggio. Requisito indispensabile per candidarsi è l’ottima conoscenza dell’inglese e sono considerati titoli preferenziali la conoscenza di un’altra lingua tra francese, spagnolo, russo, arabo, portoghese e cinese. Priorità viene data anche ai candidati in possesso di buone competenze informatiche e di esperienze di lavoro pregresse. Si richiede anche capacità di lavorare in gruppo e motivazione basata su un forte interesse per le politiche di sviluppo.La Banca mondiale riceve circa 5mila candidature per i tirocini estivi e altre 2-3mila candidature per i tirocini invernali, questi ultimi con scadenza del bando fissata al 31 ottobre. Sono circa 150-200 i candidati selezionati ogni anno, a seconda della richiesta dei dirigenti della banca e della disponibilità economica. Dato l’elevato numero di candidature, la Banca non comunica a tutti i candidati l’esito della selezione, ma contatta solo quelli ritenuti idonei. Chi è interessato a un tirocinio alla Banca mondiale può candidarsi online, presentando la domanda a questo link. Oltre ai tirocini la World bank, nel corso dell'anno, offre un'altra occasione unica rivolta solo ai cittadini italiani under 30 che abbiano conseguito almeno una laurea triennale: il Jpo, Junior professional officers, un programma di lavoro di due anni, talvolta estendibili a tre, finanziato dal ministero degli Esteri italiano, che dà la possibilità di essere pienamente integrati nel team di lavoro della sede di Washington. Il numero di posti disponibili è negoziato ogni anno dalla Banca mondiale e dal governo italiano, ma  dal 2009 a oggi è drasticamente diminuito rispetto al passato e il ministero ha inviato solo un paio di candidati all'anno. Ci si può candidare ogni anno entro il 31 ottobre inviando la documentazione a Undesa, il dipartimento dell'Onu per gli affari economici e sociali, che pubblica il bando sul suo sito. I colloqui si tengono tra maggio e luglio, mentre la partenza è prevista tra ottobre e dicembre. Il programma Jpo non coinvolge solo la Banca mondiale, ma anche altre istituzioni specializzate dell'Onu. Antonio Siragusa  Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese- Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa    

Voto impossibile per studenti Erasmus, la rabbia dei 25mila da Facebook a Palazzo Chigi

È partito da una pagina Facebook, lanciata lo scorso 11 gennaio, il dibattito sulla (im)possibilità di votare all'estero per chi si trova temporaneamente lontano dalla sua residenza, per esempio perchè sta facendo un Erasmus. Un problema sempre esistito, ma che da qualche settimana a questa parte ha attirato l’attenzione di media, istituzioni e politica, tanto da far scendere in campo la Crui, molti partiti politici e il presidente del consiglio Mario Monti. In vista delle prossime elezioni politiche, i 25mila studenti che attualmente si trovano all’estero per un progetto Erasmus denunciano l’impossibilità di esercitare il diritto al voto. La distanza dalla propria città di residenza è tale da non permettere di tornare a casa durante il weekend per andare alle urne e attualmente non sono previste agevolazioni sui trasporti che possano facilitare gli spostamenti. Il secondo “intoppo” è di tipo legislativo. Alcune disposizioni in vigore prevedono la possibilità di votare dall’estero per corrispondenza, ma a determinate condizioni. Innanzitutto è necessario essere iscritti, alla data del 31 dicembre 2012, all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. Per farlo, però, è indispensabile essere residenti all’estero da un periodo di tempo superiore ai 12 mesi. Condizione impossibile per gli studenti Erasmus: gli scambi all’estero durano al massimo un anno.Una seconda possibilità per esercitare il voto fuori dall’Italia è prevista dal decreto legge n.223 del 18 dicembre 2012, che sancisce il diritto di votare per corrispondenza per «appartenenti alle Forze Armate e alle Forze di Polizia, temporaneamente residenti all’estero per motivi di servizio o di missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata di permanenza prevista sia superiore a tre mesi e inferiore a 12 mesi; professori e ricercatori universitari, in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non superiore a dodici mesi, che, alla data di entrata in vigore del decreto del presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovino all’estero da almeno tre mesi». È evidente che gli Erasmus non rientrano in queste categorie.Da qui una petizione online, rivolta al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. Provocatoria l’immagine che accompagna la petizione, un rotolo di carta igienica con su scritto: «Ecco quanto vale il mio voto». L’appello, che a oggi ha quasi 12mila sostenitori, rivendica il diritto al voto e chiede al ministero di impegnarsi per garantirlo anche agli Erasmus. Nei giorni scorsi il ministro si è limitato però a ribadire che la normativa attuale non prevede nessuna possibilità per chi studia all’estero, chiudendo così la porta a qualsiasi soluzione. La voce degli studenti non resta però isolata. Venerdì scorso dal proprio sito la Crui si è schierata a fianco degli Erasmus, chiedendo al ministro degli Esteri Giulio Terziun incontro per discutere del problema. Ministro che, proprio ieri ha aperto alla possibilità di un accordo che preveda per gli studenti che si trovano all’estero il voto per corrispondenza, già contemplato in altri stati europei. Alle dichiarazioni della Conferenza dei rettori si affiancano quelle (numerosissime) provenienti dal mondo della politica. Partiti ed esponenti delle istituzioni ingaggiano una vera e propria lotta a suon di tweet e comunicati, abbracciando la causa degli Erasmus. Una delle voci più autorevoli in campo è stata quella del presidente del Consiglio Mario Monti che attraverso una nota diffusa domenica 20 gennaio sul sito di Palazzo Chigi chiede ai titolari di Viminale e Farnesina di fare il possibile per gli italiani all’estero per motivi di studio. Monti, schierandosi in prima persona, ha di fatto «gelato» la risposta sbrigativa data i giorni precedenti da Anna Maria Cancellieri. Nella giornata di domenica, anche il Partito Democratico torna sul problema tramite un comunicato di Marco Meloni, responsabile Università e ricerca, Laura Garavini, componente della commissione Politiche europee e candidata alle prossime elezioni nella circoscrizione Europa, e Maria Chiara Carrozza, candidata capolista alla Camera in Toscana. Meloni spiega alla Repubblica degli Stagisti il problema: «La questione principale è la presenza di un rete consolare in grande difficoltà dopo anni di tagli: gestire la temporanea iscrizione di militari e ricercatori è relativamente semplice perché si tratta di poche persone. Gestire, ad esempio, l’iscrizione degli Erasmus all’Aire comporterebbe, invece, una mole di lavoro molto più importante». Questa è, invece, la soluzione lanciata dal suo partito: «La nostra proposta è di inserire gli studenti Erasmus o overseas, nonché stagisti e giovani lavoratori precari, ufficialmente registrati in un’università estera o con un regolare contratto di stage o lavoro, nell’elenco dei cittadini temporaneamente all’estero ammessi al voto. Ora si valuta la possibilità di offrire uno sconto sul 70% dei voli: oltre che essere costosa questa proposta è difficilmente implementabile per gli studenti che stanno effettuando scambi in altri continenti». Anche se sarebbe comunque meglio di niente. Come ha affermato la commissaria Ue all'Istruzione Androulla Vassiliou, «gli studenti all'estero non dovrebbero essere svantaggiati e dovrebbero essere trattati come i militari in missione e gli insegnanti che lavorano all'estero».  Ma se gli studenti Erasmus sono sul piede di guerra, le cose per chi studia fuori sede in Italia non vanno meglio. Più di un anno fa la Repubblica degli Stagisti aveva parlato delle difficoltà di voto per gli studenti che frequentano università al di fuori della propria regione di residenza, sollevate grazie a una petizione lanciata su un blog da un gruppo di studenti siciliani trapiantati a Torino per motivi di studio. Sulla scia del dibattito sollevato per gli Erasmus, i giovani di «Io voto fuori sede» decidono ora di tornare più che mai a farsi sentire attraverso un comunicato che ribadisce come al momento neppure per i fuori sede, in numero nettamente superiore – sono circa 800mila – rispetto agli Erasmus, nulla è stato concluso. La battaglia continua anche su Twitter, dove è stato lanciato l’hashtag #iovotofuorisede. Negli ultimi anni sono arrivate in Parlamento diverse proposte di legge, fino all’ultima, il ddl del senatore dell’Idv Francesco Pardi, presentato a ottobre 2012, che propone anche in Italia l’adozione del modello danese, prevedendo il voto presso la città dove si studia o lavora. Nel caso del nostro Paese l’idea è la registrazione presso la prefettura della città e la possibilità di esprimere in quella sede la propria preferenza, un mese prima del voto. Le schede elettorali sarebbero poi spedite alla circoscrizione di pertinenza e scrutinate insieme alle altre i giorni successivi alle elezioni. La discussione di questa proposta, iniziata in Commissione Affari costituzionali, si è purtroppo arenata concludendosi in un nulla di fatto.Oggi, insomma, quasi un milione tra studenti Erasmus e fuori sede rischiano ancora una volta di vedere negato il proprio diritto al voto. Dopo tante parole e nessun provvedimento, si attende ora il Consiglio dei Ministri, convocato per oggi pomeriggio. All’ordine del giorno il tema del voto a distanza. Che si tratti di esprimere la propria preferenza per corrispondenza o beneficiare di agevolazioni economiche per raggiungere più facilmente il seggio, poco conta. L’importante è che almeno uno dei quelli che ora sembrano solo meri slogan elettorali si trasformi quantomeno in un’azione concreta per consentire di esercitare un diritto di tutti.Chiara Del Priore    Per approfondire questo argomento leggi anche: - Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge»- E se il voto di un ventenne contasse triplo?-Per avere più giovani in politica: «Ragazzi, alle elezioni votate i vostri coetanei»

L'equo compenso è legge, ora ci vuole la Commissione: sarà 14 euro il compenso minimo per i giornalisti?

Alla fine la legge sull’equo compenso giornalistico è stata firmata dal presidente Napolitano lo scorso 31 dicembre, dando un buon motivo a tanti giornalisti precari e freelance di festeggiare l’arrivo del nuovo anno con un po’ di fiducia. Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2013, la legge n. 233 ha quindi fatto un altro passo avanti per diventare applicabile. Dal 18 gennaio è operativa ed entro trenta giorni, come previsto dall’art. 2, dovrà essere istituita la Commissione, che durerà in carica tre anni, chiamata a definire entro due mesi l’equo compenso giornalistico per «gli iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato». 
Un primo traguardo è stato quindi raggiunto, ma c’è ancora molta strada da fare.Il prossimo passo, infatti, è la formazione della commissione che dovrà essere composta da un rappresentante per il ministero del lavoro e per il ministero dello sviluppo economico, da uno per le organizzazioni sindacali dei giornalisti più rappresentative, da uno delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro dei committenti più rappresentativi e da un rappresentante dell’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.  Vera novità della legge è l’istituzione di un elenco di quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed emittenti radiotelevisive, anche telematici, che garantiscano il rispetto dell’equo compenso, dandone adeguata pubblicità. Proprio la mancata iscrizione in questo elenco per più di sei mesi comporterà la decadenza del contributo pubblico in favore dell’editoria. La scelta dei membri della commissione si rivela determinante per avere un risultato all’altezza ed evitare di perdere altro tempo utile per i precari e freelance. L’Ordine dei giornalisti ha già trasmesso al competente sottosegretario della Presidenza del Consiglio, Paolo Peluffo, il nome del presidente Enzo Iacopino come rappresentante in seno alla commissione, notizia che il presidente ha subito condiviso sulla sua pagina facebook. L’obiettivo è recuperare anni di ritardo per arrivare a rispondere a una semplice domanda: a quanto ammonta un equo compenso per un giornalista? Nel 2011 a Firenze, durante il primo convegno di precari e freelance da tutta Italia per approvare la Carta di Firenze, il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, aveva fatto un accenno alla cifra di 14 euro, in parte ripresa dall'allora presidente Roberto Natale che in un’intervista alla Repubblica degli Stagisti aveva ricordato lo slogan adottato nelle campagne di questi anni «che un giornalista sia pagato almeno quanto una collaboratrice domestica per ciascuna ora di lavoro».
 Per quanto sia ancora presto per parlare di cifre, la Repubblica degli Stagisti ha provato a capire qual è la cifra “equa” parlando con Nicola Chiarini, co-fondatore di Re:fusi coordinamento giornalisti freelance precari atipici del Veneto e membro della commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi e con Valeria Calicchio, di Errori di Stampa coordinamento giornalisti precari di Roma. Entrambi concordi sul fatto che ci sono troppi fattori da prendere in considerazione nello stabilire l’equo compenso, Calicchio e Chiarini non si sbilanciano. «Come coordinamento abbiamo deciso che fino a quando la commissione non si riunisce non si può dire qual è la quota perché non si può andare al ribasso» dice la prima: «Una volta che la commissione si sarà riunita cercheremo di fare pressione per presentare il nostro dossier sulle retribuzioni e sulle tariffe vergogna, Per mille euro un mese non basta, e organizzeremo una campagna anche con i freelance». Di variabili complesse per stabilire la cifra parla anche Nicola Chiarini: «Quella della commissione sarà una proposta molto articolata perché oltre alle declinazioni classiche della carta stampata o dell’emittenza televisiva ci sono tutte le complessità legate al web e anche lì bisognerà decidere con che metro andare a misurare la cosa». E aggiunge che se dalla Commissione saranno chiamati a dare un contributo non si tireranno indietro. Di numeri al momento non vuol parlare nemmeno Giovanni Rossi (nella foto), segretario generale aggiunto e presidente della commissione lavoro autonomo della Fnsi, che ricorda come la priorità al momento per il sindacato sia quella di ricomporre il gruppo dirigente dopo le dimissioni del presidente, Roberto Natale, candidato alle elezioni politiche per Sinistra ecologia e libertà. La soluzione potrebbe parzialmente arrivare da alcune riunioni che si svolgeranno nel corso della settimana e soltanto dopo aver ridefinito il board, possibilmente entro gennaio, sarà possibile indicare chi rappresenterà la federazione in questa commissione. «Immagino che come ha fatto l’Ordine verrà delegato qualcuno di primo piano» anticipa Rossi alla Repubblica degli Stagisti. «Posso ipotizzare che sceglieremo o il segretario generale stesso o qualcuno attorno a questo ruolo. Ma non abbiamo ancora discusso di nomi: credo che li avremo per fine mese e che sarà proprio il periodo in cui ci verrà chiesto di indicarlo».
Il percorso è ancora lungo insomma: la legge deve diventare operativa e solo a quel punto il sottosegretario potrà procedere alla nomina e all’insediamento della commissione. Poi, spiega Rossi, bisognerà stabilire anche i criteri con cui questa commissione giungerà a definire l'ammontare del compenso “equo”. «Gli editori finora hanno sempre sostenuto che il riferimento è il codice civile. Peccato che esso non dica nulla sul trattamento economico e prevede che le parti si mettano d’accordo in piena autonomia». Insomma l'intenzione degli editori sembrerebbe essere quella di giocare d'astuzia e provare a fermare la definizione di una retribuzione minima per il lavoro giornalistico sostenendo che nel codice civile è previsto che committente e professionista si mettano d'accordo tra loro, senza bisogno di tabelle o tariffari. «Ma la legge sull'equo compenso, invece, dice che ci deve essere un riferimento» ribadisce Rossi: «Potremmo prendere le tabelle contrattuali contenute nel contratto Fnsi-Fieg, ad esempio per l’articolo 2 o per l’articolo 12, ma solo come riferimento: metteremo questo materiale a disposizione della commissione come base per iniziare a lavorare». La discussione sarà quindi molto complicata e bisognerà ovviamente anche tener conto delle caratteristiche delle aziende: «Per questo fino ad ora nessuno si è sbilanciato e io stesso faccio fatica a immaginarmi una cifra adeguata per tutti. Certamente prenderemo come base anche i tariffari che a suo tempo l'Ordine emetteva, anche se la legge che ha istituito l’ordine dei giornalisti, a differenza di quelle per gli altri ordini professionali, non ha previsto che ci fosse un tariffario per il lavoro autonomo. L’ordine ha emesso dei tariffari, pur non vincolanti, fino a quando l’autorità per la garanzia della concorrenza e del mercato glielo ha inibito sostenendo che essi rappresentassero una turbativa di mercato». Ma insomma, i 14 euro ad articolo di cui parlava Siddi a Firenze nel 2011 rappresentano orientativamente la cifra che potrebbe essere indicata come equo compenso? «Il ragionamento che faceva Siddi in quella sede era più o meno questo: attestiamoci su delle cifre non “traumatiche”, che non abbiano l’effetto di spingere gli editori a disdire le collaborazioni. Ed è certamente un aspetto da tenere presente. Se poi saranno davvero 14 euro, o di più o di meno, questo francamente oggi non so dirlo». 
La grande conquista, fa notare Rossi, è che oggi c’è una legge che impone di trovare una risposta a questa domanda perciò bisognerà cercare di evitare che la commissione s’impantani e non riesca a produrre entro i 60 giorni previsti un tariffario. L’obiettivo per il presidente della commissione lavoro autonomo è «riuscire a stabilire delle cifre che abbiano un punto medio di dignità. Se invece venissero codificati per legge trattamenti economici non accettabili, sarebbe un boomerang gigantesco rispetto alla battaglia che abbiamo condotto». Decidere quindi in tempi rapidi a quanto ammonti l’equo compenso per evitare che perda la sua forza: sulla carta è previsto che gli editori che non si adeguino entro sei mesi dall’uscita del tariffario perdano i contributi pubblici, ma il problema, nota Rossi, è che negli anni le sovvenzioni sono diventate sempre di meno e se un futuro governo dovesse ridurle al minimo anche la sanzione perderebbe la sua forza. Al momento, quindi, da sindacato e coordinamenti nessuna cifra certa, solo molta prudenza e l’invito a chi sarà presente in commissione a confrontarsi con i soggetti su cui poi la norma dovrà essere applicata. Vale a dire i collettivi dei precari. Senza dimenticare che la conquista di questa legge, pur importantissima, non rappresenta la soluzione del problema perché, chiude Rossi, «per il lavoro nero e precario la soluzione sarebbero programmi di assunzione e di strutturazione dei colleghi che già lavorano come se fossero dipendenti». Non resta dunque che attendere la fine di gennaio per i prossimi sviluppi, con le nomine dei componenti della commissione.    Marianna Lepore Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Natale, presidente Fnsi: «La legge sull'equo compenso è un pungolo per gli editori» - Equo compenso per i giornalisti, sfuma l'approvazione della legge ma i freelance non demordono - Enzo Carra: «Dal 2013 equo compenso per i giornalisti freelance» e anche:- Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità- Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi cos'è un pezzo?»

Torna il caso Tfo in Sardegna: stage per operai e commesse di bella presenza pagati dalla Regione

La Regione Sardegna ci ricasca: ritornano i tirocini formativi di orientamento, i famosi «Tfo con voucher» pagati dalla Regione, che già a dicembre 2011 la Repubblica degli Stagisti  aveva denunciato per diverse preoccupanti anomalie. Sei mesi di formazione (ma più che altro di lavoro) in aziende, uffici, negozi, enti pubblici, pagati interamente dalla Regione con una indennità di 500 euro lordi mensili. Nella maggior parte dei casi, però, per mansioni di basso e bassissimo profilo, che richiederebbero in realtà una fase di formazione molto rapida e potrebbero essere più correttamente formalizzati attraverso contratti di apprendistato. La prima domanda che viene da farsi riguarda dunque l’efficacia dello strumento dei Tfo, che l’anno scorso avevano riguardato circa 3.200 persone - mentre quest’anno, con un budget dimezzato (5 milioni al posto di 9,6) coinvolgeranno circa 1.500 partecipanti. «Dai questionari che abbiamo sottoposto ad aziende e tirocinanti, risulta che alla fine dei sei mesi il 20,8% degli stagisti ha ricevuto una proposta di regolare contratto dall’azienda dove aveva effettuato il tirocinio e il 3,4% da un’impresa conosciuta comunque grazie ad esso. Il 2,5% non ha accettato l’offerta» dice alla Repubblica degli Stagisti Enrico Garau, responsabile Sardegnatirocini.it, portale di riferimento per il bando. Ma i sindacati non sono affatto convinti di questi dati: «Per capire se i TFO hanno funzionato» ribatte Oriana Putzolu, segretaria confederale della Cisl sarda «bisognerebbe sapere quali tipologie contrattuali sono state applicate. Quanti ragazzi sono stati effettivamente stabilizzati con un contratto a tempo indeterminato?».Le figure più richieste sono, come l’anno scorso, baristi, camerieri, commessi, e persino braccianti agricoli e addetti alle pulizie. Una caffetteria, per esempio, cerca un «aiuto banconiere» (n° 3444) per «allestire e/o sistemare il banco frigo o le vetrine; avviare i macchinari (lavastoviglie, macchina da caffè); prendere le ordinazioni; preparare e pulire il bancone; accogliere i clienti; vendere al pubblico i prodotti; esporre cibi», mentre un negozio offre un tirocinio formativo a un «commesso/a per spostamenti, consegne, montaggio bombole gas» (n° 3606). Un hotel residence cerca un addetto alla reception (n°3381) che durante il tirocinio dovrà acquisire «competenze relative al lavoro di front e back office di una struttura ricettiva, di gestione delle prenotazioni, di accoglienza e assistenza del cliente in un'ottica di customer satisfaction». Una cooperativa sociale offre uno stage (n°3592) a «due tirocinanti da inserire nel settore delle pulizie, manutenzioni e custodia di edifici sia pubblici che privati». Alcune inserzioni, rivolgendosi ad aspiranti stagisti di un solo genere, risultano addirittura illegali: se la Regione ha da pochi giorni rimosso quello per una «banconiera di bella presenza», ne spunta un altro simile (n° 3636) di una società di assicurazioni in cerca di una «ragioniera archivista», che abbia tra i propri requisiti anche la «bella presenza». Diverse aziende cercano «tirocinanti con esperienza»: una vera e propria contraddizione in termini. Un centro medico desideroso di «aumentare la visibilità ed incrementare nuovi fruitori e target», per esempio, offre uno stage (n°3431) e precisa che «è necessario che la figura ricercata abbia una marcata esperienza nel settore del marketing strategico, nella comunicazione di massa». Una società immobiliare (n° 3328) cerca un tirocinante che, tra le altre cose, «supporterà tutor e colleghi nella riorganizzazione degli spazi all'interno degli appartamenti, lo studio del loro arredamento ed eventuali modifiche strutturali, supporterà nella promozione dell'offerta su internet e supporterà il tutor nelle relazioni con le agenzie immobiliari», e chiarisce che per i candidati è «necessaria precedente esperienza nel settore dell'immobiliare-arredamento».Spesso, da preziosa opportunità di formazione professionale, gli stage pagati con soldi pubblici si trasformano in un’occasione ghiotta per le imprese, che così possono usufruire di manodopera a costo zero. E i Tfo sardi non fanno eccezione.  Mauro I., ragazzo sardo laureato in Odontotecnica che ha partecipato a uno degli oltre 3.200 tirocini formativi nel 2012, a febbraio scorso scriveva sulla pagina Facebook del gruppo della Repubblica degli Stagisti: «Nella mia azienda dicono che hanno preso i tirocinanti per far sì che gli operai possano tranquillamente andare in ferie. È uno schifo». Una situazione in cui secondo la Putzolu «non si formano né si qualificano i ragazzi». L’Agenzia per il lavoro regionale, che gestisce il bando, sul sito Sardegnatirocini.it mette le mani avanti spiegando che «non è responsabile dei contenuti pubblicati nei singoli annunci». La Vetrina D/O, aggiunge Garau, «è uno spazio libero in cui tutti possono inserire delle offerte. Noi non riusciamo a controllarle tutte e non so se poi sia veramente un bene togliere quelle che risultano irregolari». Ma «un monitoraggio da parte dell’Agenzia» continua Putzolu «sarebbe necessario, per capire come si spendono i soldi e che efficacia hanno misure come questa». L’assessore al Lavoro della Regione Antonello Liori, dal canto suo, sul rischio sfruttamento dei tirocinanti si difende: «I controlli non spettano a noi. Con i Tfo ci occupiamo di far incontrare domanda e offerta. È vero, c’era un annuncio per una barista di 25 anni e pure di bella presenza: lo abbiamo eliminato. In giro c’è gente scriteriata e delinquente, ma a parte abusi di questo genere, che per noi è facile censurare, non riusciamo a prevedere cosa si può inventare la fantasia delle persone». Il problema vero, dice Marinora Di Biase, segretaria confederale della Cgil regionale, «è che lo strumento dei Tfo viene piegato alle esigenze delle aziende, diventando un canale di lavoro a costo zero». Sfruttamento mascherato da tirocinio, che la Regione promuove senza preoccuparsi delle irregolarità: «I controlli  spettano all’Ispettorato del lavoro e ai sindacati. E poi molte volte le imprese sono pressate dai ragazzi stessi che dicono “Prendimi, tanto non paghi nulla”», continua l’assessore, che arriva a chiedere un aiuto alla Repubblica degli Stagisti: «Se ci fossero da parte vostra dei suggerimenti per evitare questi abusi, noi li accoglieremmo volentieri».Altro aspetto anomalo dei bandi Tfo riguarda i requisiti di età dei destinatari. L'edizione del 2011 era aperta esclusivamente a persone «maggiori di 26 anni» e «di 30 anni se laureati».Un elemento che aveva spinto il consigliere Pd Marco Meloni e alcuni colleghi a presentare, il 29 dicembre 2011, un’interrogazione all’assessore al Lavoro. Il quale oggi dice: «Non ricordo se ho risposto, ma penso di sì». Eppure il consigliere Meloni assicura: «A me non ha mai scritto nessuno». Nel bando 2012 si cambia: possono partecipare tutti i disoccupati o inoccupati residenti in Sardegna che abbiano «compiuto il diciottesimo anno di età». Dunque non solo neodiplomati e neolaureati, ma anche trentenni, quarantenni e addirittura over 50 che hanno perso il lavoro. Con il risultato che i Tfo diventano di fatto ammortizzatori sociali. «Potrebbe anche essere che qualcuno faccia tirocini in attesa di trovare un nuovo impiego», minimizza Liori. Ma la sindacalista Di Biase non lascia passare la frase dell'assessore: «Abbiamo molti disoccupati ultracinquantenni ed è vero, per loro il tirocinio può essere un’opportunità. Purtroppo è una delle poche strade che si può percorrere, perché non c’è, da parte della Regione, una seria politica del lavoro attiva».Veronica UlivieriPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Regione Sardegna promuove stage-vergogna: 10 milioni di euro per tirocini di 6 mesi come inservienti, operai, camerieri. E perfino braccianti agricoli- Tirocini per operai, inservienti e camerieri in Sardegna: il consigliere regionale Marco Meloni prepara un'interrogazione per l'assessore- Sardegna, il direttore dell’Agenzia per il lavoro difende i TFO: «Anche per un benzinaio 6 mesi di stage hanno senso: forse dopo vorrà aprire una stazione di servizio sua»

Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese

La Commissione europea apre le porte ai giovani. C'è tempo fino al 31 gennaio – le candidature sono aperte dall'inizio del mese – per proporsi come stagiaire alla prossima tornata di tirocini. Le posizioni offerte sono circa seicentocinquanta, e il rimborso spese decisamente alto rispetto alla media, - soprattutto italiana: circa 1070 euro al mese (un quarto del salario base di un dipendente appartenente alla categoria AD 5/1) oltre all'assicurazione sanitaria. Importo che è poi maggiorato fino al 50% per i disabili. A ciò si aggiungono le spese di viaggio per chi abita a più di 50 chilometri dalla sede (che però sono corrisposte alla fine del tirocinio, o entro i primi due mesi per chi è associato a una sede diversa da Bruxelles). La durata dello stage, che richiede un impegno full time, è di cinque mesi (si parte a inizio ottobre e si finisce a fine febbraio con due giorni di "ferie" al mese concessi), mentre la destinazione è nella maggior parte dei casi la capitale belga, ma potrebbe capitare anche di essere assegnati alle sedi di Lussemburgo, alle delegazioni, oppure alle rappresentanze (ci sono sedi sparse in tutte le principali città europee).  Due le tipologie di stage per cui candidarsi: i tirocini amministrativi o per traduttori. Nel primo caso si può essere assegnati all'ufficio legislativo, risorse umane o politico e «il lavoro coincide di norma con quello dei funzionari amministrativi all’inizio della carriera alla Commissione; si tratta cioè di raccogliere informazioni e documentazione, organizzare gruppi di lavoro, elaborare relazioni e rispondere a richieste di informazioni etc» come spiegato sul sito; nel secondo caso invece i trainees «vengono assegnati a un’unità di traduzione costituita da traduttori della stessa madrelingua, svolgono le medesime attività dei loro colleghi titolari, ossia traducono verso la propria lingua da almeno altre due lingue comunitarie». Quanto ai requisiti di ammissione, oltre alla cittadinanza europea, per gli stage amministrativi occorre un diploma di laurea minimo triennale (non necessariamente conseguita negli ultimi 12 mesi), una buona conoscenza dell'inglese, francese o tedesco e di una seconda lingua europea. Per i traduttori è invece necessario essere madrelingua di una delle lingue Ue e saper tradurre in altre due lingue, di cui la principale sia inglese, tedesco o francese. Resta escluso chi abbia già effettuato un'esperienza di stage di almeno sei settimane presso un'istituzione europea. Per candidarsi bisogna registrarsi al sito e compilare l'application form, che va poi stampato, firmato e inviato per posta insieme ai documenti (di identità, diploma di laurea e di eventuali lingue) entro il 31 gennaio (fa fede il timbro postale). I candidati saranno selezionati tra marzo e maggio in base a percorso accademico, conoscenza delle lingue e altre skill generali tra cui esperienze lavorative rilevanti in base al percorso scelto. Nella graduatoria semifinale (il cosiddetto blue book, un database per i dipendenti della Commissione europea chiamati a scegliere i candidati) entrano i 2600 candidati con il punteggio più alto. Di questi alcuni potranno essere contattati per un'intervista telefonica ai fini della selezione ma la chiamata non necessariamente equivale all'ammissione al tirocinio. A tutti però, ammessi o meno, verrà comunicato l'esito finale via email. Gli stage alla Commissione europea hanno avuto un particolare successo in Italia: negli ultimi 50 anni il paese di origine con il maggior numero di partecipanti è stato proprio il nostro (quasi 4500). E non è un caso perché gli italiani spiccano nella graduatoria delle richieste: solo nel 2012 sono stati quasi 4mila, più di tutti gli altri - nello stesso periodo i francesi sono stati circa 1200  e i tedeschi 900 - su un totale di 18mila application. I selezionati finali italiani sono stati poi 190. E ancora, secondo altri dati pubblicati sul sito, negli ultimi dieci anni le tirocinanti hanno battuto i colleghi maschi con un rapporto di 70 a 30. E il profilo di uno stagiaire-tipo (dati 2009) è quello di un 26enne che sa parlare oltre quattro lingue e possiede in media due titoli di studio di grado superiore (tipo laurea e master).Quelli alla Commissione europea possono considerarsi tirocini di prestigio, occasioni d'oro anche se non garantiscono un'occupazione futura ma sì un importante arricchimento per il curriculum vitae. A dimostrarlo ci sono alcune partecipazioni eccellenti del passato tra cui si annoverano personalità pubbliche come il principe Felipe di Spagna, l'americano 50enne Michael Froman, oggi assistente aggiunto di Barack Obama (un ristretto numero di posti è riservato infatti anche a cittadini extraeuropei), o ancora il re Mohammed VI del Marocco e lo stesso premier uscente Mario Monti (il programma di tirocini alla Commissione europea è infatti estremamante longevo: il primo bando risale al 1960).  Sempre in questi giorni aprono anche le iscrizioni per i tirocini presso un'altra istituzione europea, l'Europarlamento. Fino alla mezzanotte del 15 febbraio si può fare domanda per la terza tranche di tirocini pagati per traduttori che avranno inizio il 1° luglio (a parte ci sono poi i tirocini curriculari o extracurriculari, senza rimborso spese e quindi da cui guardarsi bene, sia per traduttori che generali). La durata dello borsa è di tre mesi, prorogabili per altri tre, e l'importo è pari a circa 1200 euro mensili più spese di viaggio (alle stesse condizioni della Commissione europea). Per candidarsi serve avere la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea o di un paese candidato all'adesione, una laurea almeno triennale, la perfetta conoscenza di una delle lingue ufficiali dell'Unione europea o della lingua ufficiale di un paese candidato e un'approfondita conoscenza di altre due lingue Ue. Resta escluso chi abbia avuto precedenti esperienze di stage in istituzioni europee. La candidatura si effettua online compilando l'application form (in inglese, tedesco o francese) in un'unica tappa e senza possibilità di modifiche. È consigliabile dunque scaricare il modulo fac simile per prepararsi alla candidatura. Alle persone preselezionate verrà poi chiesto di inviare per posta alcuni documenti (identità, laurea e simili) dopo il 15 marzo, mentre i selezionati, la cui sede di destinazione sarà Lussemburgo, riceveranno una comunicazione via email verso metà maggio, come specificato nelle faq sul web. Ai non ammessi resta comunque la possibilità di fare nuovi tentativi. Da precisare però che non sempre ai candidati finalisti è garantito uno stage, che avviene solo in caso di presenza di posizioni vacanti. Per questo viene compilata una lista di attesa - attiva per un anno - di candidati eleggibili, che saranno contattati in caso di necessità. In pratica l'ufficio tirocini chiama a raccolta gli stagisti, ma poi un singolo ufficio del Parlamento europeo può sì ritenere ideneo un candidato - inserendolo dunque tra i finalisti - ma non avendo bisogno di personale in quel momento, si riserva di chiamarlo per un momento successivo (e comunque entro un anno dalla sua application). Anche qui sono molte le candidature che arrivano ogni anno (e diversi sono anche i programmi di tirocinio durante l'anno): come spiegato sul sito, nel 2009 sono state 4mila per i soli translation traineeship, ma gli ammessi sono stati 2015, di cui 209 con borsa e 6 senza (questi ultimi, trappola in cui evitare di cadere). In genere, si specifica, viene accettato il 5% delle candidature. In entrambi i casi, sia per i tirocini alla Commissione che per quelli al Parlamento europeo, si tratta di ottime chance, di quelle che potrebbero fare la differenza sul curriculum. Il rimborso spese permette di mantenersi in maniera dignitosa anche se si è all'estero e le mansioni assegnate rispondono - almeno sulla carta - a reali criteri formativi. Due elementi rari, di questi tempi, per uno stage.    Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa- Stage alla Commissione europea, è boom di richieste e più di un quarto delle candidature arriva dall'Italia: forse perchè sono ben pagati?- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti- Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio»