Nuove regole sugli stage, Emilia ancora in alto mare. Cgil: «C'è disaccordo sulle linee guida»

Anna Guida

Anna Guida

Scritto il 06 Mag 2013 in Notizie

«La Regione Emilia Romagna sta ancora lavorando alla legge regionale che recepirà le indicazioni sui tirocini e pertanto al momento non è in grado di dire nulla»: è questa la risposta dietro cui si trincera l’assessore al Lavoro Patrizio Bianchi, attraverso l'ufficio stampa della giunta. Ma allora a che punto è l’Emilia rispetto alla deadline del 24 luglio, entro cui ogni Regione dovrebbe tradurre in legge i contenuti del documento concordato a gennaio in sede di Conferenza Stato-Regioni.
In effetti neppure Puglia, Veneto e Campania - le Regioni interpellate sinora nel "viaggio alla scoperta dell'attuazione delle linee guida" avviato dalla Repubblica degli Stagisti ad aprile - hanno emanato leggi o provvedimenti: ma almeno hanno già in mano una bozza e i loro assessori non hanno avuto problemi a illustrare il testo che intendono portare in aula per la discussione, spiegandolo punto per punto (indennità obbligatoria, durata massima, proporzione stagisti / dipendenti e così via).
Il primo silenzio arriva, a sorpresa, dall’Emilia Romagna. Eppure non si può certo dire che qui il fenomeno stage sia irrilevante: secondo le stime della Repubblica degli Stagisti nel 2011 sono stati attivati ben 55mila tirocini, 31.280 in imprese private (dati Unioncamere Excelsior), più o meno 18mila in enti pubblici e almeno 6mila in associazioni non profit. Non solo: oltre un anno fa, ben prima delle linee guida di gennaio, la Regione aveva promesso che avrebbe presto emanato una legge in materia.
Eppure oggi nessuno in Regione sembra sapere proprio della normativa in arrivo, nemmeno il presidente della Commissione lavoro e istruzione, Beppe Pagani [nella foto a destra]: «La Commissione non ha ancora in mano niente perché sta aspettando che la giunta le dia un testo su cui lavorare. Non sappiamo neppure se si tratterà di un disegno di legge regionale, di un provvedimento di giunta o di un regolamento…».
Nonostante tutto la giunta, attraverso l’addetto stampa Barbara Musiani, afferma di non essere in ritardo: «La Regione ha tempo sino a fine luglio per legiferare. L’assessore sta lavorando su questo tema e ha già sentito le parti sociali, ma non siamo ancora in una fase tale da poter parlare dei punti concreti della legge». Ma se l’assessore Bianchi
[nella foto a sinistra] se ne sta già occupando, perché non spiegare a cosa sta lavorando concretamente, che tempistiche prevede, quale “congrua indennità” e quali altre garanzie intende introdurre per i tirocinanti, quali sono le proposte dei diversi attori coinvolti? «Perché la discussione con le parti sociali non è ancora avvenuta», spiega Claudio Cattini, responsabile del dipartimento formazione e ricerca della Cgil Emilia Romagna. «Noi non abbiamo ancora potuto vedere nessun testo, né discutere con le altre associazioni sindacali e datoriali, né presentare le nostre idee. Al momento l’assessore ci ha solo annunciato l’imminente avvio di un ragionamento rispetto alle linee guida di gennaio. Mi aspetto che nelle prossime due settimane questo tavolo di discussione e contrattazione prenda effettivamente vita, ma al momento non c’è una data precisa».
Ma questo “ragionamento” con le parti sociali  non era già stato avviato più di un anno fa, come lo stesso Cattini aveva dichiarato alla Repubblica degli Stagisti a gennaio 2012? Già allora sembrava che dovesse arrivare a breve una legge regionale che regolamentasse la materia. «Sì, la discussione era stata effettivamente avviata ed era giunta pochi mesi dopo a una sua conclusione, e cioè che fosse meglio non toccare nulla. Mi spiego meglio: l’Emilia ha già una legge regionale in materia, la n° 12 del 2003. Dopo l’iniziativa toscana ci eravamo chiesti se fosse il caso di introdurre anche qui una normativa più dettagliata che prevedesse, per esempio, un’indennità obbligatoria per gli stagisti. Ma poi l’assessore e le parti sociali avevano convenuto sul fatto che fosse meglio “tenersi” la legge del 2003, la quale afferma in modo chiaro un principio per noi essenziale: il tirocinio non è un contratto di lavoro né uno strumento di inserimento lavorativo, ma una modalità didattica».
Il tempo in Emilia Romagna pare essersi fermato. E l’affermazione questa volta non è dovuta alla contemplazione dei suoi bellissimi centri storici medievali: sul terreno degli stage, pare che il dibattito sia rimasto esattamente allo stesso punto in cui si era impantanato più di un anno fa. Ma in mezzo non ci sono state le linee guida emanate dalla Conferenza Stato-Regioni, che avrebbero dovuto scuotere dal torpore le giunte e le assemblee legislative di tutta Italia? «Ovviamente sì, ed è per questo che l’assessore Patrizio Bianchi ci ha annunciato che presto dovremo riparlarne», spiega Cattini [nella foto a destra]. «Se ancora non si è fatto niente non è per negligenza né per disinteresse, ma perché su questo terreno in Emilia ci sono parecchie tensioni e contraddizioni». Sarebbe a dire? «Le associazioni sindacali regionali sui tirocini hanno un’idea molto chiara, che non collima pienamente con i principi espressi nelle linee guida: per noi il tirocinio è una modalità didattica e non una transizione al lavoro. Riteniamo che non abbia proprio senso parlare di tirocinio di inserimento/reinserimento, perché non vediamo dove sia il contenuto formativo: una persona che ha perso il lavoro e deve apprendere nuove competenze per rientrare nel mercato va indirizzata verso un percorso formativo di riconversione o di specializzazione, al cui interno può essere previsto anche un tirocinio. Ma che contenuto formativo ha lo stage in sé, slegato da qualsiasi percorso di didattica, anche formale? E davvero pensiamo che tutte le aziende abbiano una struttura adeguata all’accoglienza e alla formazione? L’uso del tirocinio come strumento di sfruttamento di forza lavoro sottopagata, o anche solo come strumento di selezione dei giovani da assumere come apprendisti, è un uso assolutamente distorto che va fermato e condannato. Ci sono già altre forme per facilitare l’ingresso di giovani e meno giovani nel mercato del lavoro: per gli under 30 l’apprendistato, recentemente modificato dalla riforma Fornero; poi ci sono gli incentivi per l'assunzione di donne e lavoratori over 50 rimasti senza impiego, le nuove misure a favore delle start up, il "bonus ricerca" per assumere personale altamente qualificato. In tutti i casi, si stipula un vero contratto di lavoro, che prevede un minimo salariale, il versamento di contributi, il riconoscimento di diritti inalienabili a tutti i lavoratori come maternità, ferie e malattia. Il tirocinio non può e non deve in alcun modo essere usato in sostituzione di questi. Le aziende e gli enti che ne abusano fanno concorrenza sleale a quelle che invece ricorrono alle forme contrattuali più adeguate. Inoltre, siamo molto perplessi sull’idea di regolare i soli tirocini extracurriculari, come previsto dalle linee guida. Se si vuole legiferare sugli stage, lo si deve fare su tutti, perché esiste un nocciolo di diritti minimi da garantire a tutti i tirocinanti, a partire da un’indennità congrua che per noi non può essere inferiore a 500 euro lordi, e dalla garanzia che dietro ogni tirocinio ci sia una seria progettazione formativa, fatta da enti qualificati e certificati».
Ma, a questo punto, ci sono i tempi necessari per rispettare la deadline del 24 luglio? «I tempi ci sono se si arriva a una bozza entro fine maggio», risponde Cattini. «L’importante è che ci sia la volontà politica di sciogliere in modo chiaro e univoco i nodi concettuali che stanno alla base della discussione e, ancor prima, della definizione stessa di tirocinio».

di Anna Guida

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