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Leggi regionali sugli stage, la Puglia ha già una bozza: «La approveremo entro luglio»

A che punto sono le 20 Regioni italiane rispetto alla deadline del 24 luglio entro cui dovranno (o forse sarebbe più realistico dire dovrebbero?) recepire le linee guida sugli stage emanate dalla Conferenza Stato – Regioni? Sono già passati quasi tre mesi dalla firma dell'accordo sui tirocini extracurriculari, il documento che dovrebbe assicurare a tutti coloro che svolgono stage al di fuori di percorsi di studio - scuole, università, master etc - un rimborso spese di almeno 300 euro al mese. La scadenza si avvicina: ciascuna Regione ha tempo fino al 24 luglio per emanare una propria legge che tuteli – e magari migliori - i principi espressi nelle linee guida. La Repubblica degli Stagisti avvia da questa settimana un’indagine approfondita della situazione, per tracciare una mappa di come si stanno muovendo le Regioni, che tempistiche prevedono, quale “congrua indennità” e quali altre garanzie intendono introdurre per i tirocinanti. Il viaggio inizia dalla Puglia, dove vengono attivati ogni anno oltre 25mila stage. Secondo i dati Unioncamere Excelsior nel 2011 sono stati 15.640 solo nelle imprese private, cui si devono aggiungere – secondo le stime della Repubblica degli Stagisti – tra i 7mila e i 10mila tirocini negli enti pubblici e almeno 3mila nella associazioni e organizzazioni non profit. La percentuale di stagisti laureati/laureandi sul totale è del 40,1%, ben superiore al dato nazionale (31,9%), mentre la percentuale di assunzioni dopo lo stage (9,7%) è di poco inferiore alla media italiana, già molto bassa (10,6%). Guidata dal 2005 da Nichi Vendola, la Puglia non ha emesso finora provvedimenti regionali in materia, come hanno fatto invece Toscana, Abruzzo e Lombardia. Pertanto oggi gli stagisti pugliesi possono fare riferimento solo all’intricatissima normativa nazionale: la legge 142/1998, l'articolo 11 del decreto legge 138/2011 poi annullato dalla sentenza della Corte Costituzionale di dicembre 2012, infine l'articolo sui tirocini della riforma Fornero. Dopo la firma dell’accordo sulle linee guida la situazione sta per cambiare? La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto all’assessore al Lavoro Leo Caroli e a quello al Diritto allo Studio e Formazione Alba Sasso [nella foto], i quali hanno risposto con una prima importante notizia: la giunta ha già in mano una bozza di disegno di legge regionale sugli stage che, come ha promesso la stessa Sasso, «verà discussa nelle prossime settimane». La Repubblica degli Stagisti ha chiesto conferma a Luisa Anna Fiore, responsabile del Servizio Politiche attive per il lavoro, che ha lavorato alla stesura del testo: «La Regione ha predisposto una bozza di disegno di legge che ha costituito oggetto di concertazione con tutte le parti sociali, sia organizzazioni sindacali che datoriali, in modo da assicurare la più ampia condivisione dei contenuti. Al momento, fermo restando la scadenza del 24 luglio, non è possibile fornire indicazioni certe sui tempi di approvazione. La Regione, pur avendo scelto come strumento normativo per il recepimento delle linee guida quello della legge regionale, tuttavia ha previsto che la disciplina cosiddetta di dettaglio costituisca oggetto di un regolamento, cui si fa espresso rinvio e che la giunta adotterà entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento legislativo». Quindi una bozza esiste già e la Regione ha intenzione di emanare la sua legge entro la fine di luglio. Ma ci sono i tempi tecnici per farlo? «Il Consiglio non ha ancora calendarizzato nulla a riguardo», risponde Felice Laudadio [nella foto], addetto stampa del Presidente del Consiglio regionale Onofrio Introna, «perché spetta prima alla giunta predisporre il disegno di legge regionale che sarò poi presentato all'approvazione dei consiglieri. Ma è nell’interesse di tutti, senza distinzioni di colore politico, approvare velocemente una legge che rientra appieno nelle politiche attive a favore dell’occupazione giovanile. Quindi prevedo che quando il disegno di legge sarà pronto l’iter legislativo sarà piuttosto rapido. L’importante è che il testo approdi nelle aule del Consiglio entro la fine di maggio, perché ci siano i tempi tecnici per il rispetto della scadenza».Se tutto andrà liscio, dunque, in Puglia entro pochi mesi la musica dovrebbe cambiare per tutti gli stagisti extracurriculari. Innanzitutto, avranno diritto a un’indennità obbligatoria non inferiore a 400 euro al mese, come spiega Luisa Anna Fiore: «La bozza predisposta prevede una “indennità di partecipazione” parametrata al numero di ore effettivamente svolte dal tirocinante, e comunque non inferiore all’importo mensile di 400 euro, al lordo delle ritenute di legge, rinviando al successivo regolamento la determinazione dell’importo orario». Un aspetto innovativo del documento è poi quello relativo alla durata dello stage: le linee guida indicano come durata massima dei tirocini 6 mesi per quelli formativi, 12 per quelli di inserimento lavorativo, 24 per quelli dedicati a soggetti svantaggiati. Ma la Regione Puglia ha optato per un abbassamento del limite di durata massima a 6 mesi anche per i tirocini di inserimento lavorativo, conservando l’indicazione che era stata riportata nell’art. 11 del decreto legge 138/2011 (poi divenuto legge 148/2011). Per quanto concerne tutte le altre forme di tutela, la bozza pugliese si uniforma sostazialmente a quanto previsto dalle linee guida. Tra i punti più significativi, quello che prescrive che ciascun soggetto ospitante non possa realizzare più di un tirocinio con il medesimo stagista e quello che vieta gli stage per mansioni di basso profilo. Inoltre i tirocinanti non potranno «sostituire i lavoratori con contratto a termine nei periodi di picco delle attività» né essere utilizzati «per sostituire il personale del soggetto ospitante nei periodi di malattia, maternità o ferie né per ricoprire ruoli necessari all’organizzazione dello stesso». Ma, in una zona turistica come la Puglia, come reagirà Federalberghi, che ha già presentato ricorso al Tar giudicando troppo “severe” le linee guida nazionali? «Dovrà adeguarsi», risponde la responsabile del Servizio Politiche attive per il lavoro Fiore: «perchè non sono previste deroghe in nessun settore».Nessuna deroga neppure per le pubbliche amministrazioni: come già indicato nelle linee guida, la bozza pugliese prevede che tutte le regole (compreso l’obbligo di erogazione dell'indennità) valgano anche per i tirocini attivati da enti pubblici. Ma come si risolverà il busillis tra l'obbligo di estendere la normativa agli stage svolti presso amministrazioni pubbliche, e il vincolo (espresso nero su bianco nella legge Fornero) che da queste nuove leggi non derivino nuovi o maggiori oneri per lo Stato? «La nostra bozza prevede che l’iniziativa del soggetto pubblico resti subordinata alla disponibilità di risorse contenute nei limiti della spesa destinata ai tirocini nel corso dell’anno antecedente alla entrata in vigore della legge e/o nei limiti della spesa consentita per finalità formative». Dunque gli enti pubblici pugliesi che non avranno (o non vorranno destinare) fondi per dare l'indennità di 400 euro al mese, da quando entrerà in vigore la legge regionale potranno ospitare solo stagisti curriculari, cioè gli studenti, rinunciando a quelli extra-curriculari.Ma che ne sarà, appunto, dell’altra metà dell’universo degli stagisti, quelli cosiddetti “curriculari”? Le linee guida non li prendono in considerazione, partendo dal presupposto che le Regioni siano competenti solo in materia di tirocini extra-curriculari.Ma non è giusto ignorarli, dato che rappresentano una fetta consistente - circa la metà - di tutti gli stage annualmente attivati in Italia. A febbraio la Repubblica degli Stagisti attraverso il suo Patto per lo stage aveva proposto che le Regioni concordassero con scuole, università ed enti di formazione del territorio alcune garanzie minime (a cominciare da un'indennità di almeno 250 euro al mese) anche per coloro che svolgono stage durante un percorso di studi. Forse la Puglia ha preso in considerazione questo suggerimento? «Il provvedimento regionale regolamenterà esclusivamente i tirocini extracurriculari, rinviando ad altro specifico intervento normativo la disciplina di quelli curriculari», risponde Luisa Anna Fiore. Come dire: al momento no, in futuro chissà.di Anna GuidaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:Regioni, muovetevi: le vostre leggi sui tirocini devono essere pronte entro luglioTirocini extracurriculari, linee guida approvate: le Regioni legiferino entro luglioSimoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»E anche:Patto per lo stage: perché dalle parole si passi ai fattiStagisti in hotel e ristoranti: troppi o troppo pochi?

Nato, cercasi 40 stagisti: 800 euro al mese di compenso, bando aperto fino al 19 aprile

Anche quest'anno la Nato, una delle organizzazioni internazionali più importanti al mondo, apre le porte ai neolaureati con la decima edizione del suo Internship Programme. I selezionati – circa 40 suddivisi in due tornate - svolgeranno uno stage di sei mesi presso il quartier generale dell'istituzione, a Bruxelles, oppure in una delle sedi secondarie. E potranno contare su un buon emolumento: 800 euro lordi al mese (la percentuale di tassazione dipende dal Paese di origine dello stagista) più un rimborso spese per i viaggi di andata e ritorno per l'inizio e la fine dello stage fino a un totale di 1200 euro. C'è tempo fino al 19 aprile per inoltrare la domanda online; oltre alla compilazione dell'application form occorre allegare curriculum vitae e lettera di motivazione di 500 parole sul perché della propria candidatura. Quanto ai requisiti di accesso, è necessaria un'età superiore ai 21 anni, la cittadinanza di uno stato membro della Nato, essere uno studente universitario (e in questo caso aver completato con profitto i primi due anni e essere iscritti al terzo) o un neolaureato (da non più di dodici mesi) e infine conoscere in maniera fluente una delle due lingue ufficiali dell'organizzazione, l'inglese o il francese. Non sono richiesti particolari indirizzi di laurea. Nella pagine del sito dedicata al recruitment si fa riferimento a studi che spaziano dalle scienze politiche e le relazioni internazionali al giornalismo e all'ingegneria. «La diversità è proprio quello che cerchiamo» spiega Virginia Keener, assistente nelle risorse umane in un'intervista sul sito. «A loro volta gli stagisti quando fanno ritorno nei loro Paesi d'origine, avendo acquisito informazioni sulla Nato, apportano una determinata conoscenza sull'organizzazione atlantica. Questo contribuisce a creare anche degli effetti post stage» commenta rispondendo alla domanda sui benefici che ottiene l'istituzione grazie al programma di tirocini. C'è solo una possibilità all'anno di richiedere un tirocinio alla Nato. Le selezioni cominciano in genere in primavera, mentre gli stage hanno inizio a marzo e a settembre dell'anno successivo per una durata indicativa di sei mesi (che può variare ad esempio per necessità accademiche ma non potrà essere inferiore ai tre mesi). I primi a partire saranno operativi dunque da marzo 2014. Il processo di selezione è infatti piuttosto lungo. Terminata la prima scrematura, entro settembre 2013 verrà stilata la cosiddetta shortlist dei finalisti (che riceveranno una notifica da parte dei selezionatori). Gli ammessi, così come gli esclusi, saranno infine selezionati entro fine ottobre 2013 e a entrambi i gruppi verrà comunicata la decisione della commissione tramite mail. Gli interns prescelti avranno anche l'obbligo di sottoscrivere una security clearance, ovvero un nulla osta per la sicurezza rilasciato dal paese d'origine e dall'ufficio di sicurezza della Nato.I criteri di selezione si basano sulla valutazione del curriculum e sulla congruità degli studi in base al dipartimento prescelto ma incide anche il cosiddetto nationality and gender balance, ovvero un sistema di riequilibrio  in base alla provenienza geografica e al genere.Quali dipartimenti scegliere e perché uno stage alla Nato. La gamma è molto vasta, si può optare per l'ufficio legale, il Segretariato generale, la sicurezza, gli affari politici, il controllo, solo per citarne alcuni. Sul sito sono elencati uno per uno con la spiegazione del funzionamento e i commenti degli ex stagisti. Per esempio, per la divisione Relazioni esterne, dipartimento dedicato alla comunicazione con il pubblico, gli ex tirocinanti – in genere con un background in giornalismo ed editing - raccontano di aver svolto lavori di scrittura e realizzazione video, e di aver appreso i meccanismi decisionali interni dell'Alleanza atlantica. Se si sceglie invece il settore Affari politici, che è un po' come il ministero degli Affari Esteri della Nato, uno dei lavori svolti, raccontano gli ex, è stato quello di «realizzare un workshop con esperti e think thank di settore per capire in quale modo la crisi finanziaria influisse sulle risorse a disposizione dell'organizzazione e quindi trovare soluzioni per porvi rimedio e garantire le capacità strategiche di difesa». Terminato l'evento, lo stagiaire si è infine occupato di compilare un documento ufficiale che riassumesse i punti trattati.  In generale comunque le tipiche mansioni di uno stagista - si specifica sulla pagina dedicata al programma - sono quelle di assistenza nella preparazione dei documenti, partecipazione e riassunti delle riunioni, attività di ricerca, supporto nelle pubbliche relazioni e nel lavoro amministrativo. Le precedenti edizioni. La Nato, che ha un organico composto da circa 1300 dipendenti, riceve in media 3200 candidature ogni anno da giovani che hanno mediamente 23 anni. Nel 2012 le domande sono state circa 5000, registrando quindi un considerevole incremento: «gli applicants sono aumentati per via della crisi» commenta Yesim Yenrsoy, dell'ufficio internship della Nato. Tra questi gli italiani sono spesso una parte consistente: nell'edizione del 2011 sono stati 800 e l'anno successivo sono diventati 1300, circa il 35% del totale. A dimostrazione che la crisi finanziaria ha dispiegato i suoi effetti anche tra i nostri connazionali. Quanto alle opportunità di lavoro post stage «non esiste un sistema che garantisca un'assunzione post stage», ci sono dei concorsi, ma poi «sta ai candidati vincerli», spiega alla Repubblica degli Stagisti Céline Shakouri-Dias del dipartimento risorse umane. Tuttavia questa possibilità non è esclusa secondo ciò che si legge nelle faq: «non c'è un collegamento tra lo stage e il lavoro, ma se tutte le condizioni richieste per un'assunzione sono rispettate dallo stagista, questo può entrare a far parte dell'organico». Una ragione in più per partecipare.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Dal turismo all'ambiente, più di 80 stage Leonardo- Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese- Giovani in fuga, ecco l'ebook che aiuta a dire una volta per tutte «Goodbye mamma»- «Non voglio fuggire all'estero, ma realizzarmi professionalmente qui in Italia»

Dal turismo all'ambiente, più di 80 stage Leonardo

Aprile è il momento giusto per chi si è laureato e vuol tentare la carta di un'esperienza di tirocinio all'estero. Sono tre i bandi del programma Leonardo che andranno a scadenza da qui alla fine del mese, che offrono più di 80 borse per altrettanti stage da svolgersi in diversi Paesi europei.Vanno presentate entro mezzogiorno di giovedì 11 aprile le domande di partecipazione al progetto “Giovani cittadini d'Europa”, promosso dal Centro educazione all'Europa di Ravenna in collaborazione con la Fondazione Flaminia, l'università di Bologna e alcune associazioni di categoria del ravvenate. A disposizione ci sono dieci borse per altrettanti percorsi formativi di durata compresa tra le 16 e le 20 settimane, di importo complessivo variabile tra i 2.750 ed i 3.480 euro a seconda della destinazione. Belgio, Lussemburgo, Francia, Grecia, Malta, Portogallo e Spagna le possibili mete. Possono partecipare al bando quanti abbiano conseguito la laurea alla scadenza del bando, e comunque non prima dell'anno accademico 2009/2010, nei corsi di Giurisprudenza, Giurista d'impresa, Cooperazione internazionale, Scienza ambientali, Biologia marina, Diagnostica per il restauro e Conservazione dei beni culturali tenuti al Campus di Ravenna dell'Unibo. Altro requisito la conoscenza dell'inglese e, in alcuni casi, della lingua del Paese ospitante. Non può candidarsi chi abbia già compiuto 32 anni, goda di altre borse concesse da uno degli enti promotori o risieda in uno dei Paesi ospitanti. La selezione dei candidati avverrà nel mese di maggio, mentre le partenze sono previste per giugno. Le domande dovranno essere inviate sia in forma cartacea alla Fondazione Flaminia sia via email al Centro di educazione all'Europa.Il giorno successivo, venerdì 12 aprile, scade un altro bando inserito nel'ambito del Progetto Leonardo. Si tratta di “Teen”, acronimo che sta per “Tourism and environment training experience in Europe for new-graduates”, ed è rivolto ai neolaureati delle università di Trento, Bolzano, Verona e della Basilicata, così come ai residenti in Trentino, Basilicata e in provincia di Verona che abbiano conseguito un titolo accademico da non più di 12 mesi. Il progetto si articola su 35 borse di studio di importo compreso tra i 3.500 ed i 4.300 euro lordi, della durata di 26 settimane ciascuno, che saranno avviate alla fine di maggio. I tirocini si svolgeranno in Austria, Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna. Può partecipare inoltre solo chi ancora non abbia compiuto 29 anni alla scadenza del bando e non abbia già preso parte a stage finanziati tramite Leonardo. Ai partecipanti sarà offerta la possibilità di sviluppare professionalità nel settore dell'ambiente e in quello del turismo. Le candidature si ricevono solo via Internet e devono pervenire entro venerdì 12 aprile.C'è tempo invece fino alla fine del mese per il secondo bando “Pavia towards Expo” promosso dall'associazione “Porta nuova Europa”, dall'università di Pavia e da Paviasviluppo, azienda speciale della locale Camera di commercio. Si tratta di 36 stage della durata di 13 settimane in Regno Unito, Francia, Spagna e Germania. Possono partecipare i diplomati e i laureati residenti in provincia di Pavia o che abbiano conseguito il titolo di studio nel territorio provinciale, ma anche disoccupati e inoccupati under 40. Nella stesura della graduatoria, però, sarà riservata la precedenza ha chi ha meno di 30 anni. Gli stage si svolgeranno all'interno di aziende attive in settori come il turismo, il marketing, la gestione e amministrazione, l'agricoltura. In questo caso non viene previsto un rimborso spese, ma vengono coperte le spese di viaggio e sono garantiti un alloggio ed un contributo per sostenere le spese di vitto e quelle telefoniche. Quanti fossero interessati a partecipare dovranno inviare la domanda di partecipazione all'ufficio Sviluppo economico della provincia in forma cartacea, oppure via email tramite posta elettronica certificata. Le selezioni si svolgeranno tra maggio e giugno, mentre la partenza dei progetti è prevista per il prossimo 22 settembre.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente- Stage Leonardo, duecento possibilità per partire in Europa- Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa- Leonardo Unipharma, 80 tirocini ben pagati nei centri di ricerca europei

Cgil: basta allo sfruttamento di praticanti e partite Iva negli studi professionali

Estendere le tutele garantite dai contratti per i dipendenti anche alle centinaia di migliaia di praticanti, lavoratori a progetto, partite Iva e tirocinanti che popolano gli studi professionali – quindi architetti, avvocati, ingegneri, commercialisti... – la cui attività è pressoché priva di regolamentazione. Con questo obiettivo è partita la campagna «Costruiamo la trattativa»  lanciata da Filcams Cgil, NIdiL Cgil, Giovani non + disposti a tutto con le associazioni Praticanti Sesto Piano e Iva sei Partita. La settimana scorsa a Roma si è tenuto un primo incontro con tutti gli esponenti e portavoce di questo comparto, affinché con il loro contributo, spiegando i problemi reali che i lavoratori autonomi affrontano quotidianamente, aiutino le parti sociali a capire quali sono gli snodi su cui battersi e le rivendicazioni da spuntare nella trattativa con Confprofessioni. C'è anche un sondaggio online in cui gli interessati possono votare i punti che ritengono fondamentale inserire nella nuova normativa.Il progetto risale al novembre 2011: allora venne siglato il contratto nazionale degli studi professionali «che interessa circa un milione di lavoratori subordinati e quattrocentomila tra praticanti e partite Iva a cui per la prima volta sono state estese le tutele dei lavoratori dipendenti» come si legge nel comunicato dei promotori. Tuttavia il percorso è ancora lungo: «La trattativa per la definizione di alcuni elementi contrattuali è ancora in corso».Tra le proposte c'è un decalogo intitolato «Dieci regole di civiltà per la vita di praticanti, collaboratori e partite Iva negli studi professionali». «Il lavoro autonomo deve essere regolamentato nel contratto nazionale di lavoro e alcuni principi minimi di civiltà devono essere sanciti per tutti e diventare finalmente esigibili». Il primo punto riguarda la formazione: alla controparte si chiede di garantire che questa sia reale e documentata da un progetto formativo in cui figurino le attività da svolgere. A chi ancora studia si deve assicurare la possibilità di seguire la didattica, mentre per i lavoratori vale il diritto alla formazione continua in vigore per i dipendenti. Al punto due c'è la «giusta paga», che secondo il decalogo «deve essere commisurato alla figura del quadro, secondo i meccanismi retributivi previsti per l'apprendistato del terzo tipo». Per i professionisti che collaborano con o senza partita Iva «la paga oraria del quadro, comprensiva di tutti gli oneri previsti per i dipendenti, deve diventare la base minima da cui partire»: proprio questo è uno dei passaggi su cui più si è dibattuto all'assemblea. Innanzitutto, come determinare il compenso minimo? Paola Ricciardi, architetto dell'associazione Iva sei partita [nella foto, durante il suo intervento], propone «non meno di 5 euro l'ora. Oppure per una commessa da un milione di euro, va garantito almeno il 20%, e non lo 0.5% quindi 500 euro». Anche per Julian Colabello [nella foto in basso] dell'associazione Sesto Piano, quello dell'equo compenso è un principio sacrosanto. E lancia un allarme: «la riforma forense, che entrerà in vigore tra due anni, prevede una selezione basata sul censo laddove richiede il passaggio per una scuola obbligatoria di specializzazione post laurea. Pertanto un reddito di formazione è basilare: come non considerare che il praticante va sostenuto?» si chiede. E poi: passi pure l'ipotesi di alcuni per cui il praticante avvocante venga pagato a incentivi (cioè se trova lavoro per lo studio prende una percentuale), ma anche per la ricerca dei clienti «deve avere uno spazio dentro lo studio: l'attività autonoma deve esserci» ed essere prevista attraverso una garanzia contrattuale. Alessandro Pillitu, avvocato della stessa associazione di Colabello, espone invece il punto di vista degli studi legali più piccoli, quelli che ogni giorno «si arrabattano per la sopravvivenza». «Da noi c'è una crisi strutturale degli incassi, crisi di liquidità e prospettive di guadagno. Questo è il problema attuale» spiega. «Oggi abbiamo un sistema dove se non girano soldi crolla tutto. Faccio un altro esempio, gli studi di architettura: qui se le commesse non si attivano si rischia la chiusura. E lo stesso avviene negli studi legali come il mio». Mancanza di soldi quindi, per cui «chi si barcamena con fatturati di 30-35mila euro all'anno riuscendo a mettersi in tasca sì e no 10mila euro all'anno, al netto di tutte le spese (affitto di una stanza a Roma in media 10mila euro, cassa forense 300 euro al mese, utenze e via dicendo) non può dare – poniamo - 400 euro al mese al praticante, cioè 4.800 euro all'anno». Un costo che diventa sproporzionato, quasi un ottavo del fatturato totale.E poi c'è il problema del fisco, che se scopre la presenza di un 'dipendente' come potrebbe essere il praticante messo a contratto, chiede l'Irap, la stessa «che poi va a coprire i buchi della sanità nazionale» aggiunge ancora. Una tassa peraltro ritenuta odiosa dai datori di lavoro, scoraggiati spesso per questo motivo ad assumere nuovo personale, e che rende molto più vantaggiosa invece la partita Iva (che esenta dall'obolo). Come si aiutano giovani praticanti allora? Per Pillitu, facendo due battaglie: quella per «l'abolizione dell'esame della professione «perché è completamente inutile, e non dà la misura della preparazione». E poi con la difesa d'ufficio (diritto riconosciuto a chi non ha un legale di fiducia e che può quindi farselo attribuire dallo Stato ma pagandolo poi di tasca sua) e la retribuzione del gratuito patrocinio (per chi non può permettersi un avvocato perché ha un reddito inferiore ai 10 mila euro annui: qui a pagare è il ministero della Giustizia), istituti riconosciuti dalla Costituzione a garanzia del diritto di difesa. «Lo Stato oggi ci mette in media ben sette anni a pagare», denuncia Pillitu. Qui entra in gioco il terzo punto del decalogo: i tempi di pagamento, che devono essere «certi». «Altrimenti, dopo i tre mesi, si pagano gli interessi» rilancia Paola Ricciardi, ribadendo l'importanza di queste tutele: «Noi facciamo parte di un mondo professionale percepito finora come "forte" dall'opinione pubblica: la gente crede che non abbiamo bisogno di tutele perché coi nostri mestieri si guadagna talmente tanto che possiamo anche permetterci di non lavorare 3 giorni al mese se abbiamo la febbre. Ma oggi non è più così». E sottolinea l'essenzialità di un contratto scritto con «contenuti minimi da rispettare», il punto numero quattro del decalogo, per cui per le «partita Iva deve essere sempre obbligatoria una lettera di incarico scritta, firmata da entrambe le parti.  Nella lista compare anche la richiesta di diritti che dovrebbero essere impliciti per ogni lavoratore e di cui «il titolare dello studio professionale deve farsi carico»: e una buona notizia è che, assicurano dalla Cgil, ci sono segnali di apertura della controparte. Qualora la trattativa sindacale andasse a buon fine, per la prima volta gli autonomi potrebbero godere di assicurazione contro gli infortuni o per responsabilità civile. E poi di tutela per malattia e maternità, perché «in questo caso non può venir meno la conservazione del rapporto di praticantato, di collaborazione o di prestazione a partita Iva» statuiscono nel decalogo. E ancora, al nove di assistenza sanitaria, come la Cadiprof, cassa integrativa per professionisti, «che deve valere per tutti». E infine, potrebbero essere svincolati dal pagamento degli oneri previsti per l'attivazione della pratica professionale, coperti dallo studio. Roberto D'Andrea delle politiche giovanili di Nidil chiede infine l'aggiunta di un undicesimo punto: il potenziamento del coworking, ovvero di luoghi dove professionisti freelance lavorano insieme, affittando una stanza o una scrivania. Le grandi città come Roma, «sono piene di spazi pubblici abbandonati», denuncia, facendo presente che investire in questo settore può fare la differenza. «Sono posti che servono a connettere le persone, e a dare una mano a chi vuole iniziare ma non ce la fa perché i costi per uno studio sono proibitivi».Con questa iniziativa il sindacato mette le basi per la costruzione di un contratto che renda sostenibile il lavoro dei precari negli studi professionali. Anche questa è una delle questioni concrete da cui ripartire per mettere in pratica quel cambiamento di cui in politica, di questi tempi, non si fa altro che parlare.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Riforma forense: un'occasione mancata per tutelare i praticanti?- Equo compenso addio: per Confprofessioni «non cambia molto», ma per i praticanti sì- Aspiranti professionisti, con le liberalizzazioni si riduce la durata del praticantato. Ma scompare l'equo compenso- Partite Iva vere e false: cari senatori, 18mila euro all'anno sono un reddito sotto la soglia della dignitàE anche:- Presidente Napolitano, la dignitosa retribuzione è un diritto costituzionale anche per i giovani- Se potessi avere mille euro al mese, il libro che racconta l'Italia sottopagata

Leonardo Unipharma, 80 tirocini ben pagati nei centri di ricerca europei

Tra le tante opportunità che ogni anno offre il progetto Leonardo, la prossima in scadenza è il bando Unipharma rivolto ai laureati in materie scientifiche. I posti sono 82: i tirocini, presso centri di ricerca europei, inizieranno entro il 30 ottobre e avranno una durata di cinque mesi e mezzo (24 settimane). I destinatari sono laureati magistrali in biologia, biotecnologia, farmacia e chimica; 24 borse di studio sono riservate in via preferenziale agli studenti della Sapienza di Roma. Gli importi delle borse? Variano a seconda dei paesi di destinazione: si passa dal minimo del Portogallo (3.600 euro, cioè 150 a settimana) al massimo della Svizzera (6.070, 253 a settimana), passando per vie di mezzo come la Gran Bretagna (5.375) e la Spagna (4.030). Per ottenere il finanziamento, però, attenzione: occorre presentare i giustificativi di tutte le spese. L'accredito ai vincitori verrà fatto per l'80% entro 45 giorni dall'inizio del tirocinio, mentre il saldo sarà effettuato entro un mese e mezzo dall'acquisizione di tutta la documentazione delle spese sostenute da parte della Fondazione Noopolis, uno degli enti promotori dell'iniziativa. Va ricordato che la borsa è assimilata a reddito da lavoro e quindi soggetta a tassazione Irpef.I requisiti di partecipazione. Essere laureati da non più di dodici mesi alla scadenza del bando, aver conseguito una votazione non inferiore ai 105/110 e aver redatto una tesi sperimentale in ambito chimico, farmaceutico o biotecnologico. In più, avere massimo 27 anni e la cittadinanza europea (ma non la stessa del paese in cui si trova il centro di ricerca di destinazione – qui la lista), non essere inseriti in percorsi di formazione né essere titolari di contratti di lavoro o aver già usufruito di borse europee, e infine possedere un'ottima conoscenza dell'inglese (che verrà testata con un colloquio). Come ci si candida. Le domande vanno presentate entro il 28 marzo compilando l'application form sul sito della Sapienza, dopo aver inserito codice fiscale e indirizzo di posta elettronica. Qui si apre una complessa fase di selezione. I candidati che supereranno la preselezione online dovranno presentare la documentazione richiesta (come la tesi o altri titoli scientifici). Se il numero di candidati iscritti al sito supererà quota 180, si legge sul bando, «gli organizzatori si riservano la facoltà di ammettere i candidati in possesso di certificati di conoscenza dell'inglese pari al livello B2 del Consiglio d'Europa (First Certificate, Toefl, Ielts) o periodo di studi all'estero pari a due semestri con esami in inglese». Per gli altri il criterio di valutazione sarà il voto di laurea e la media degli esami (ridotta di mezzo punto per ogni mese di ritardo). A quel punto verrà pubblicata la graduatoria online dei preselezionati, che dovranno prenotarsi per le date disponibili per il colloquio obbligatorio (dal 15 al 17 aprile), in cui si valuterà conoscenza della lingua e profilo dei candidati. Il punteggio si ottiene in base a calcoli che tengono in conto votazioni, curriculum e titoli vari come spiegato sul bando. Verranno quindi stilate due graduatorie (di cui una per i soli studenti della Sapienza), che gli organizzatori prevedono di pubblicare online entro la fine di maggio. Gli ottantadue selezionati finali riceveranno il Work programmes con la descrizione dei centri di ricerca e i programmi di lavoro. Il candidato può scegliere cinque preferenze – motivandole – ma saranno poi i selezionatori a decidere la sua destinazione.   Il profilo dei candidati. Ogni anno arrivano in media 400 candidature per questo programma; l'età media di chi si propone è 24 anni e mezzo. «Nell'edizione precedente si sono presentati in 360» spiega alla Repubblica degli Stagisti Luciano Saso [nella foto], docente alla facoltà di Farmacia della Sapienza e coordinatore scientifico del progetto, «mentre in quelle precedenti avevamo ricevuto rispettivamente 507 e 409 candidature». La diminuzione dipende dal fatto che nel 2012 «il limite di mesi dal conseguimento della laurea per poter partecipare è sceso da 18 a 12». La stragrande maggioranza delle candidature proviene dal centrosud – il 69% - e soprattutto da Campania, Puglia (entrambe con il 19%) e Lazio (16%), quest'ultima regione a pari merito con l'Emilia Romagna. E dopo il tirocinio Leonardo Unipharma? Dai dati dell'ultima edizione emerge che a un mese dalla fine del tirocinio solo il 19% è in cerca di lavoro. Il 26% è impegnato in un dottorato di ricerca all'estero, mentre un altro 22% svolge attività di ricerca o è impiegato in un'azienda come scienziato. E in totale a 27 tirocinanti - sugli 82 selezionati - è stata offerta una posizione  dal centro ospitante, tanto che il 68% dei ragazzi ritiene fondamentale il tirocinio Unipharma per la carriera post stage. Gli Unipharma sono insomma esperienze che spesso garantiscono una chance nella professione di ricercatore, e non aggiungono solo una riga in più al curriculum. C'è però una questione spinosa, che è quello della scarsa spendibilità delle certificazioni post stage in ambito europeo, spesso poco o per niente riconosciute in Italia. «Si tratta effettivamente di una problematica aperta» conferma Saso: «È in corso un grosso lavoro a livello europeo per la definizione di nuovi sistemi di accreditamento e certificazione delle competenze, ad esempio tramite il quadro offerto dal sistema Ecvet, che però è ancora in una fase sperimentale».L'Europass rilasciato a tutti i tirocinanti Leonardo «risulta sicuramente uno strumento poco efficace dal punto di vista della spendibilità sul mercato del lavoro» riconosce il professore e per questo, nel caso specifico dei progetti Unipharma-Graduates, «trattandosi di stage per laureati orientati prevalentemente alla ricerca di base, noi offriamo la disponibilità a tutti i partecipanti per l’invio di lettere di referenza, che risultano assai più efficaci ai fini di eventuali selezioni e soprattutto delle applications per PhD all’estero, che sono uno degli sbocchi prevalenti per i ragazzi che partecipano ai nostri progetti».Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente- Università, ricerca al collasso: e il paradosso è che i dottorandi vengono considerati studenti- Università, fuga col bottino: dal Veneto alla Sicilia, in scadenza oltre 40mila euro in premi di laureaE anche: - Tirocini Leonardo, con Unipharma-Graduates porte aperte agli scienziati in erba. Angiolo Pierantoni racconta la sua esperienza a Madrid

Giovani in fuga, ecco l'ebook che aiuta a dire una volta per tutte «Goodbye mamma»

In un Paese che soffre di "fuga dei cervelli" - nel solo 2011, stando al rapporto Istat «Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente», sono partite oltre 22mila persone, una su quattro laureata - forse questo libro potrebbe avere l'effetto, positivo o nefasto a seconda dei punti di vista, di incoraggiare altri italiani a fare le valigie. Goodbye mamma è un e-book collettivo che raccoglie le esperienze di ragazzi e ragazze che hanno lasciato l'Italia: chi per curiosità, chi per disperazione, chi per amore. Chi ha scelto di tornare, chi ha deciso di rimanere dove ha trovato la possibilità di costruire la propria vita. Il risultato è un vero e proprio manuale di istruzioni su come partire, valido per tutte le età, visto che si conclude con un capitolo intitolato «Fuga in terza età».Scorrendo le oltre 300 pagine di racconti e testimonianze si trovano elementi pratici, come i «6 consigli d'oro per affrontare la ricerca di lavoro». Secondo i quali occorre creare una rete di conoscenze prima di partire, focalizzarsi solo sulle aree professionali alle quali si è interessati, partire con qualche risparmio che permetta di vivere per almeno sei mesi mentre si cerca lavoro. E soprattutto fissare una data in cui si partirà comunque, anche se dall'Italia non si sarà riusciti a trovare un'occupazione.Ma Goodbye mamma è anche una rassegna di tutte le possibilità che un giovane può sfruttare per vivere un'esperienza all'estero: dalle diverse opportunità offerte dal Progetto Leonardo - una su tutte l'Erasmus - ai tirocini che possono essere svolti al Parlamento europeo. Tutto il secondo capitolo è invece dedicato agli aspetti psicologici legati al trasferimento in un altro Paese, dai primi sei mesi di entusiasmo al periodo di depressione che inevitabilmente segue, quando la nostalgia di casa comincia a farsi sentire. Si tratta insomma di un testo da inserire in valigia insieme alla guida Routard.Dietro alla pubblicazione di questo ebook c'è Giulio Sovran [nella foto sotto], architetto trentenne che cinque anni fa, subito dopo la laurea, ha lasciato Milano per trasferirsi in Svizzera, a Berna, dove ha trovato lavoro ed è poi riuscito ad aprire nel 2011 uno studio professionale tutto suo. Oggi non ha nessuna intenzione di tornare in un Paese in cui «i giovani fino a trent'anni vivono sotto il governo della mamma, rinunciando tanto ai loro diritti quanto ai loro doveri», racconta alla Repubblica degli Stagisti. Lui ha deciso di partire subito dopo aver assaggiato il mercato del lavoro italiano: «Dopo aver fatto un paio di colloqui, più che altro per curiosità, ed essermi sentito offrire una volta 500 euro, un'altra mille, ho iniziato un tirocinio». Ma ha resistito solo un mese: «E mi è bastato. Lavoravo dodici ore al giorno e alla fine mi hanno dato 100 euro, in una busta, con i ringraziamenti più cari». A quel punto Giulio aveva le idee chiare: «in Italia no, nel resto del mondo sì».Dal network con altri "expat" è nato Goodbye mamma, un libro che non sarebbe stato possibile senza Internet. «A parte qualche rara eccezione, non ho visto in faccia, se non per video conferenza, alcuna delle persone che hanno collaborato, di altri conosco la voce, di altri ancora le lunghe mail di una fitta corrispondenza», scrive Sovran nell'introduzione. E il segreto alla base dei due anni di lavoro che hanno portato alla pubblicazione di questo ebook nasconde anche il motivo per cui molti sono partiti: «Tutto il rapporto di collaborazione è basato sulla fiducia, cosa che spesso manca in Italia e che invece è stata qui possibile portando a grandi risultati».Riccardo SaporitiVuoi saperne di più sui tirocini all'estero? Leggi:- Stage UE, oltre 800 occasioni da più di mille euro al mese- «Nel bluebook della Commissione Ue si entra grazie al cv, ma per lo stage bisogna fare lobbying»- Stage all'estero con rimborsi fino a 3mila euro: torna il Master dei TalentiVuoi conoscere l'esperienza di chi ha svolto un tirocinio fuori dall'Italia? Leggi:- Avvocati, ingegneri, architetti, economisti: Leonardo porta oltre 100 stagisti in Europa- «Non voglio fuggire all'estero, ma realizzarmi professionalmente qui in Italia»Vuoi conoscere la storia di chi ha fondato una start-up all'estero? Leggi:- Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»

Le "150 ore" degli studenti universitari crescono a 200, ma i compensi? 6 euro all'ora, a volte anche meno

È un’opportunità per migliaia di studenti universitari per guadagnare qualcosa durante gli anni di studio e fare un po’ di esperienza, ma soprattutto una possibilità per gli atenei per riuscire a coprire orari di uffici che altrimenti resterebbero chiusi: è il part time studentesco, le famose "150 ore" istituite dall’articolo 13 della legge 390/1991. Nonostante negli ultimi anni il numero di collaborazioni si sia notevolmente ridotto - passando da oltre 31mila a meno di 25mila, come dimostra il bilancio sugli ultimi dieci anni di part time fatto da Federica Laudisa dell’osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio universitario della regione Piemonte - in molti continuano a partecipare per guadagnare una somma certamente esigua ma che possa aiutare a coprire le tante spese universitarie.Oggi con l’articolo 11 del decreto legislativo 68/2012 le ore del part time sono aumentate fino a 200, senza che però sia stato previsto un aumento del compenso – definito “borsa lavoro” - erogato agli studenti. Così, scrive alla Repubblica degli stagisti una studentessa che preferisce restare anonima, «si inizia ad abituare i giovani a essere sfruttati» prima ancora di metterli alla prova con tirocini gratuiti. È il caso dell’università per stranieri di Siena che a metà dicembre ha pubblicato il nuovo bando per il part time studentesco, sfruttando subito la possibilità data dalla nuova normativa di innalzare il limite delle ore a 200. A un impegno maggiore non corrisponde, però, una borsa lavoro altrettanto valida. Per questo ateneo, infatti, «il corrispettivo totale per lo svolgimento della collaborazione è pari a circa 753,2 euro». Quindi 3,76 euro l’ora calcolando tutte le 200 ore. Un compenso quasi dimezzato rispetto a quello, già molto basso, che la stessa università aveva previsto nel bando 2010-2011: 961,83 euro - in quel caso per 150 ore - pari 6,41 euro all'ora.La ragione di queste cifre al ribasso va probabilmente cercata in una normativa poco chiara, che non stabilisce minimi orari e di retribuzione. Fino al 2012 il part time è stato regolato dalla legge 390/1991 che all’articolo 13 disciplina le attività a tempo parziale stabilendo al comma 2 che «la prestazione richiesta allo studente comporta un corrispettivo» ma che «l’assegnazione delle predette collaborazioni avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università, con esclusione di qualsiasi onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato». Al comma 3 si aggiunge che «le prestazioni dello studente non possono superare un numero massimo di 150 ore per ciascun anno accademico». A marzo del 2012 le cose, però, cambiano con il decreto legislativo n° 68 che all’articolo 11 torna sull’attività a tempo parziale degli studenti e stabilisce che «le università disciplinano con propri regolamenti le forme di collaborazione degli studenti», la cui assegnazione sempre «avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Il decreto aggiunge che questa prestazione «comporta un corrispettivo entro il limite di 3.500 euro annui», che il compenso orario è come di consueto «determinato dalle università» ma che che le prestazioni dello studente possono essere «in numero massimo di 200 ore per ciascun anno accademico». Se le università pagassero il massimo previsto - 3.500 euro per un totale di 200 ore - i part time sarebbero pagati 17,5 euro l’ora. La legge, però, stabilisce che sia l’università a decidere il corrispettivo orario, così in tempi di tagli anche le risorse per gli studenti part time diminuiscono. Ma i bandi restano: perchè difficilmente senza questi studenti-lavoratori gli atenei potrebbero assicurare la copertura di tutti gli uffici.Senza arrivare al caso limite al ribasso dell’università per stranieri di Siena, che con i suoi 3,76 euro l’ora convincerà molti studenti che è meglio essere choosy e rinunciare al bando, il compenso orario per gli altri atenei è comunque spesso al di sotto dei 10 euro l’ora – con notevoli differenze tra nord e sud. Si va dagli 11,40 euro l’ora per le collaborazioni per la didattica del Politecnico di Torino, che scendono a 9,30 euro per le collaborazioni per i servizi e ai 9 euro per l’università degli studi sempre nel capoluogo piemontese. In entrambi i casi, il bando parla di «un limite massimo di 200 ore» quindi se gli studenti dovessero fare tutte le ore senza assenze, si ritroverebbero rispettivamente con 2.280, 1.860 e 1.800 euro, ben lontano quindi dal massimo di 3.500 euro previsti nel decreto. Si scende a 8 euro all’ora all’università di Milano e a quella dell’Insubria a Varese: in questo caso il part time è di 200 ore (per un totale di 1600 euro) mentre nel capoluogo lombardo sono ancora 150 le ore di attività richiesta agli studenti (per 1.200 euro totali). All’università di Bologna si tolgono altri preziosi centesimi nel bando scaduto a fine settembre 2012 e si arriva a 7,50 euro all’ora per massimo 150 ore (1.125 euro totali), importo identico al bando 2010/2011; mentre all’università di Camerino nel bando 2012/2013 si arriva a 7,20 euro l’ora, ma solo per 100 ore (quindi 720 euro). A Roma la Lumsa si adegua alle 200 ore con il bando scaduto a fine gennaio, per il part time destinato ad aiutare gli studenti disabili: il compenso orario è di 6,74 euro, in crescita di un centesimo (!) rispetto ai 6,73 euro del bando 2011/2012 e di 10 centesimi rispetto al 2010/2011 (quando le ore previste erano 150 e il compenso totale 990 euro). Alla Sapienza, invece, dove sono pubblicati singoli bandi dai vari dipartimenti, prendendo per esempio in esame la facoltà di farmacia, il compenso è di 7,30 euro l’ora per 150 ore. In Campania, invece, all’università Parthenope di Napoli il bando 2012/2013, scaduto a metà febbraio, prevede 7,23 euro all’ora per 150 ore (1.084,5 euro totali). Ancor di meno per l’ultimo bando pubblicato dall’università di Salerno: 7 euro sempre per 150 ore (per un totale di 1.050 euro). In questo caso la cifra è costante, visto che già nell'anno accademico 2008/2009 erano previsti stesso compenso e numero di ore. La situazione non migliora in Puglia dove nel 2013 si arriva a 6,66 euro all’ora per 150 ore (quindi appena mille euro per i ragazzi part time) per il bando dell’università del Salento scaduto a metà gennaio; e 6,20 euro per l’università di Bari dove l’ultimo bando, scaduto a maggio 2012, prevedeva 150 ore, pari a 930 euro totali. Salgono invece i compensi previsti per l’università della Calabria e quella di Catania, entrambe con 7,75 euro l’ora, ma nel primo caso per 100 ore (quindi 775 euro)  e nel secondo per 150 ore (1.162,5 euro). Per l'università della Calabria è la stessa cifra oraria prevista nel bando 2009/2010, ma in quel caso il limite massimo di ore era 150 - quindi il rimborso totale di 1162,5 euro, quasi 400 in più. Per compensi che vanno dagli irrisori tre euro all'ora dell’università per stranieri di Siena agli 11,40 euro del Politecnico di Torino (unico caso in esame che supera i 10 euro orari), l’attività di part time si rivela un metodo sicuro su cui gli atenei possono contare per riuscire a offrire servizi che altrimenti non potrebbero coprire, mentre gli studenti finiscono per sottrarre ore preziose allo studio. In molti, però, continuano a fare domanda, attratti dalla somma della borsa lavoro che - per quanto scarsa - può aiutarli a coprire le spese connesse all'università. E se in dieci anni i tagli si sono abbattuti come una scure sull'università, dai fondi per il diritto allo studio fino ad arrivare a queste borse, in tempi di spending review non c’è alcuna prospettiva positiva sulla possibilità di scongiurarne di nuovi ed evitare il ripetersi degli scarsi quattro euro previsti dall’università di Siena. L’invito al prossimo governo è quindi quello di investire sull’istruzione, sull’università e in particolare nelle politiche di diritto allo studio universitario, rinnovando i bandi di part time e garantendo quel rimborso minimo dignitoso che ogni persona che svolga un'attività lavorativa, ancorché da studente, dovrebbe meritare.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Presidente Napolitano, la dignitosa retribuzione è un diritto costituzionale anche per i giovaniE anche:- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato» - Università, i corsi iper-professionalizzanti non sempre pagano

Confindustria e sindacati, perché nell'accordo sull'occupazione giovanile mancano i punti principali?

Spazio ai giovani, al merito, alla formazione e all'orientamento. Dopo il dibattito sulla Youth Guarantee è questo l'appello che hanno lanciato i principali rappresentanti delle parti sociali - Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – che a metà febbraio, pochi giorni prima delle elezioni politiche e amministrative, si sono riuniti per firmare un patto congiunto dal titolo «Una formazione per la crescita economica e l'occupazione giovanile». «Se si vuole favorire la crescita, la formazione deve essere al centro» si legge nel comunicato dell'iniziativa. Peccato però che il documento non parli affatto di come recuperare il ritardo enorme accumulato dall'Italia sull'istruzione universitaria rispetto agli obiettivi di Lisbona del 2000 - che richiedevano, tra le altre cose, maggiore tecnologia, adeguamento alle esigenze del mercato del lavoro, più mobilità dei giovani attraverso il sistema di riconoscimento delle competenze. E il raggiungimento del famoso 40%, cioè 4 laureati ogni 10 cittadini della fascia d'età 29-34 anni: in Italia siamo fermi sotto il 20%.Nel documento congiunto imprese-sindacati questo aspetto è completamente tralasciato a favore di focus su altri problemi: mismatch tra domanda e offerta di lavoro, mancanza di figure professionali tecniche, record di disoccupazione giovanile, Neet. «Equità, produttività e istruzione, merito e lavoro, possono andare di pari passo e diventare concrete strategie di sviluppo» riconosce Ivano Lo Bello [nella foto in basso], vicepresidente di Confindustria per le politiche giovanili, nel suo intervento alla conferenza di presentazione. Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, gli fa eco sostenendo che «la spinta alla crescita si declina attraverso iniziative concrete, incontro tra scuola e impresa, tirocini, alternanza scuola lavoro. Così i ragazzi conoscono la realtà delle aziende mentre studiano e quando hanno finito di studiare, in modo che non siano marziani quando entrano nella società reale». La carta d'intenti, seppur un po' troppo corposa e dispersiva, dà comunque un segnale positivo di interesse verso la questione giovanile. Si suddivide in sostanza in dieci punti: eccoli.Orientamento e tirocini. Per i firmatari «è indispensabile un potenziamento dei servizi e la costruzione di un sistema a rete in cui l’orientamento sia parte integrante del piano di studi di ogni studente» si specifica nel documento, riprendendo un tema caro alla Repubblica degli Stagisti che ne ha più volte rivendicato l'importanza per evitare le conseguenze disastrose prodotte dal mismatch. Anche i tirocini sono da concepire come strumento orientativo: per chi ha siglato il patto occorre «favorire nei giovani lo sviluppo di competenze trasversali, finalizzate alla maturazione di scelte formative e professionali pienamente consapevoli».Istruzione tecnica. È stata centrale nei dibattiti più recenti sulle politiche occupazionali, e condivisibile se si pensa all'Italia come un Paese sostenuto dalla piccola e media impresa («il 70% sono imprese manifatturiere» si legge nel patto) dove le competenze tecniche la fanno da padrone (anche se bisogna fare attenzione a non cadere nell'eccesso, relegando i mestieri intellettuali in un angolo o giudicandoli secondari per la ripresa). «L’istruzione tecnica ha favorito il boom economico del nostro Paese e il suo potenziamento è una priorità» che potrebbe sconfiggere il problema del reperimento di profili tecnici: un concetto ribadito dal segretario confederale Cgil Serena Sorrentino, per cui «la valorizzazione dell'istruzione tecnica e professionale è uno degli strumenti per uscire dalla crisi». Poli e istituti tecnico-professionali. Secondo le parti sociali i primi (che i firmatari definiscono «contenitori territoriali specializzati dell’intera filiera formativa per il lavoro») vanno implementati al pari dei secondi, che rappresentano una «valida risposta alla necessità di colmare la carenza di percorsi universitari tecnico-scientifici». Valorizzare il lavoro nel processo formativo. Vale a dire le aziende devono parlare con i giovani mentre studiano, e non essere a sé stanti, per promuovere «un'occupabilità sostenibile» come la definisce Lo Bello. «Le imprese andrebbero riconosciute da tutti gli attori come principale interlocutore, perché possono offrire ai giovani opportunità di crescita culturale e acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro» si legge nell'accordo.Sistema di riconoscimento delle competenze. Spesso dimenticato, rientra anche questo tra gli obiettivi mancati di Lisbona. Si legge nel comunicato che deve essere omologato «a livello nazionale per favorire una maggiore trasparenza del mercato del lavoro e dei meccanismi di incrocio di domanda e offerta». Ma è anche necessario «offrire a tutti maggiori possibilità di occupazione e mobilità, raggiungere una maggiore consapevolezza da parte delle persone delle proprie capacità, così da favorirne la crescita non solo professionale, ma anche personale». Affinché anche la mobilità, con il tramite del sistema di riconoscimento delle competenze, riceva una spinta. Apprendistato. In Italia solo 1.723 apprendisti su 570mila hanno avuto l’opportunità di un contratto di apprendistato per l’acquisizione di un titolo di studio o di una qualifica. Di questi solo il 2,8% ha meno di 18 anni e il 33% ha più di 25 anni. Si tratta secondo le parti sociali «di semplificare lo strumento, snellendo l’iter ancora troppo burocratico, creando un’offerta formativa su misura e nuovi incentivi. Ne va valorizzata la componente formativa». Quanto all'apprendistato di alta formazione «occorre favorire collaborazioni - a partire da Its, lauree triennali, master e dottorato industriale - più in linea con le esigenze delle imprese di minori dimensioni, che hanno sempre più bisogno di managerialità altamente qualificata». Ma anche qui il documento trascura i problemi maggiori: e cioè il numero di apprendistati attivati troppo esiguo, il fatto che tre quarti di loro non faccia nessun tipo di formazione e che questo contratto sia una chimera per i laureati visto che i principali beneficiari (i due terzi) sono soggetti con titoli di studio bassissimi. Perchè questi aspetti vengono messi ai margini da Confundustria e sindacati? Difficile pensare che non vi sia da parte loro consapevolezza che questi sono i veri talloni d'Achille della diffusione dell'apprendistato in Italia. Dottorati di ricerca. Tre quarti dei ricercatori italiani una volta conseguito il titolo abbandonano l'università: uno spreco enorme di sapere. Perciò «occorre rifinanziare i corsi di dottorato di ricerca, metà dei quali è sprovvisto di borsa, e riformarli anche per favorire un’interazione stabile tra formazione, ricerca e sviluppo tecnologico e industriale», dicono le parti sociali. Come? Ad esempio attraverso «PhD in azienda sul modello dei competitor internazionali».Fondi Interprofessionali. Si tratta di «una gamba importante del più ampio sistema delle tre LLL (LifeLong Learning)» e una garanzia di crescita professionale, che migliora opportunità formative e mobilità. Nel perseguire l'obiettivo dell'aumento di produttività e competitività delle imprese, si legge ancora,  «devono porsi il cruciale obiettivo della crescita professionale dei loro occupati».  La parità di accesso al sistema educativo e delle professioni. Il merito, stroncato dal mancato riconoscimento del valore delle competenze e delle capacità, va rimesso al centro per abbattere «il rapporto fiduciario e clientelare che finisce per frenare sia lo sviluppo della democrazia che la crescita economica». «Un capitale umano innovativo e competente è l’arma vincente per uscire dalla crisi» scrivono i firmatari.  La questione del merito viene posta all'ordine del giorno soprattutto dal vicepresidente di Confindustria, per cui «l’Italia sta pagando un costo altissimo di merito mancato che pesa fortemente sui nostri figli e blocca l'ascensore sociale creando frustrazione e rancore. Non dobbiamo avere paura del merito, che non è in antitesi con l’equità». Si ferma qui il documento programmatico dell'associazione degli industriali e dei sindacati, convinti che il futuro italiano dipenda anche dal rilancio del sistema formativo e quindi dall'occupazione dei giovani.Nell'accordo si punta tutto sull'istruzione tecnica, e molto poco sulle competenze intellettuali, ritenute forse non strategiche per un Paese manifatturiero come l'Italia. Il problema delle nuove generazioni è quindi affrontato solo in maniera parziale, e il rischio che le buone intenzioni restino solo parole è alto. Ma si può sempre sperare che questa carta d'intenti sia un primo passo verso qualcosa di più concreto.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- ll mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato- Meritocrazia, una notte per convincere i giovani a crederci (e le aziende a metterla in pratica)- Le aziende cercano grafici e ingegneri del web: ma non ce ne sonoE anche:- Apprendistato: coinvolge pochissimi laureati e spesso non garantisce vera formazione- Apprendistato: contratto a tempo indeterminato oppure no?

Università, fuga col bottino: dal Veneto alla Sicilia, in scadenza oltre 40mila euro in premi di laurea

La notizia è recente: secondo il Consiglio universitario nazionale, in dieci anni gli atenei italiani hanno perso 58mila studenti. Come se fosse scomparsa metà Sapienza, o l'intera Statale di Milano. "Le emergenze del sistema" è non a caso il titolo del report, che piazza l'Italia al 32esimo posto sui 34 Paesi Ocse per investimento nell'università. Tutti i partiti promettono grande attenzione al tema, ma per ora una mano arriva da singole iniziative e progetti poco strutturati - prima, durante e dopo gli studi. Cominciando dal "dopo", ecco i più interessanti premi di laurea in scadenza.Una buona notizia per gli aspiranti dottori commercialisti della provincia di Vicenza: lo studio Rebecca & associati bandisce tre borse da 7200 euro lordi l'una per i vicentini da poco laureati in economia, con un voto non inferiore a 105, che intendono iniziare il praticantato. A inizio 2012 il decreto di riforma delle libere professioni, poi legge, ha dimezzato a 18 mesi la durata del percorso,  lasciando però inalterata l'opacità in fatto di emolumento al praticante: la dicitura «equo compenso» è diventata durante l'iter della legge un vago «rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio», e di fatto oggi non esistono vincoli chiari. In questo caso il premio garantirebbe un rimborso mensile di 400 euro lordi, a cui lo studio aggiungerà l'iscrizione gratuita ad una scuola di formazione per praticanti, punto su cui però non fornisce dettagli alla Repubblica degli Stagisti (su nome dell'istituto ad esempio, o su percorso formativo e costi). Per candidarsi basta inviare il proprio cv a segreteria [at] studiorebecca.it entro il 22 febbraio. Lo studio, con sede a Vicenza e Schio, dichiara oggi tre praticanti, su una decina di dottori commercialisti. Rimanendo in zona, la spa padovana Etra, multiutility pubblica del settore ambientale, promuove il premio "Gino Bortollon", in memoria di un suo tecnico scomparso sul lavoro: due somme da 2mila euro nette l'una per chi ha conseguito una laurea (di ogni tipo e in qualsiasi ateneo), un master o un dottorato discutendo, entro il 28 febbraio 2013, un elaborato sulla tutela del territorio individuato dai 75 comuni soci (elencati nel bando), corrispondente grosso modo al bacino del Brenta. La domanda deve pervenire per raccomandata A/R entro il 15 marzo con allegati certificato di studi (o autocertificazione), una copia della tesi e abstract - gli ultimi due anche in digitale all'indirizzo comunicazione [at] etraspa.it. La premiazione si terrà il prossimo venerdì 24 maggio. Attenzione perché il bando offre anche la possibilità di effettuare uno stage di tre mesi presso l'Etra. La società fa sapere alla testata che per ora si tratta di un'idea ancora poco definita: non sono previsti limiti di età, questo è sicuro, e le mansioni dipenderanno strettamente dal tipo di formazione dello stagista; ma non è possibile anticipare se ci sarà un rimborso, e di quanto, o se lo stage potrà evolversi in un rapporto di lavoro. Come detto, si tratta comunque di una possibilità, che i due vincitori saranno liberi di cogliere o meno. Scade poi il 30 marzo il premio "Enrico Augelli" della Cgil Esteri, che dal 2002 ricorda così il diplomatico ed ex ambasciatore a Singapore. Insieme alla Sapienza, il coordinamento esteri premia il migliore elaborato nazionale, inedito, che guarda ai Paesi in via di sviluppo da una delle molte prospettive possibili (diplomatica, economica, politica...). Sono ammessi tutti i laureati e laureandi nati dopo il primo gennaio 1982, autori di tesi magistrali (in palio una somma di 3mila euro netti) oppure di master o di dottorato (si vince la pubblicazione). Entro il 30 marzo al piazzale della Farnesina devono pervenire per raccomandata A/R: tesi, abstract, cv (con autorizzazione al trattamento dei dati personali), copia dei titoli di studio (o autocertificazione) e dei certificati posseduti e, importante, una scheda di due cartelle redatta dal candidato sull'attività del sindacato in ambito internazionale. Il tutto va anche messo su cd e inserito in busta. La premiazione avverrà entro febbraio 2014.  Fino al 31 marzo invece la srl spezina di consulenza e formazione aziendale Gesta bandisce 2900 euro lordi per il miglior lavoro inedito in tema di prevenzione degli infortuni nell'area terminal container (dove sostano i carichi mercantili, in genere navali) attraverso l'innovazione tecnologica; il bando fornisce molti esempi di temi specifici. Possono partecipare tutti i laureandi e laureati con tesi discussa dopo luglio 2012 o da discutere entro il prossimo 30 giugno. La candidatura deve pervenire per raccomandata A/R con una nota del relatore che la avalli, tre copie della tesi, certificato di laurea (o certificato storico nel caso di laureandi, che dovranno poi perfezionare la procedura) e abstract. Da definire la data di premiazione, che si svolgerà comunque durante un evento di risonanza almeno provinciale. C'è tempo sempre fino al 31 marzo per provare a vincere i 2mila euro del premio "Vittorio Napoli" firmato Rotary club di Enna, giunto all'undicesima edizione e dedicato a tutti i laureati italiani che, a partire dall'anno accademico 2009/2010 e fino a quello scorso,  hanno dedicato la loro tesi ad Enna e provincia. Sono esclusi solo i rotariani e i loro parenti fino al quarto grado. La candidatura deve giungere al segretario del club presso l'albergo della città sede delle riunioni con copia cartacea e digitale della tesi, autocertificazione dei dati personali (anagrafici e recapiti) e certificato di laurea. La premiazione avverrà entro fine giugno. Dall'associazione romana Oci - Osservatorio sulle crisi di impresa, arriva poi il secondo premio per laureati quinquennali in ambito economico e giuridico con tesi sulle discipline concorsuali della crisi d'impresa, discusse tra gennaio 2012 e 30 marzo 2013. Anche qui sono esclusi i soci e i loro parenti. Due le somme in palio,  da mille e da 700 euro netti. La domanda deve giungere a mano o per raccomandata A/R entro il 10 aprile, insieme a quattro copie cartacee e una digitale della tesi, abstract, certificato di laurea e cv. Una commissione composta da magistrati e docenti universitari decreterà i due vincitori, che verranno premiati entro fine anno - con spese di viaggio (ma non di soggiorno) a carico dell'Oci. Infine, da Milano l'Aica - Associazione italiana per l'informatica e il calcolo automatico e la fondazione Rotary International assegnano  tre premi da tremila euro lordi l'uno per tesi di laurea e dottorato in ambito di Computer Ethics, ovvero di implicazioni etiche e sociali dell'ICT in settori come la formazione, l'economia, la ricerca, la salute, l'informazione. La discussione degli elaborati deve essere compresa tra maggio 2012 e il prossimo 31 marzo. La domanda va compilata entro il 20 aprile via web allegando, tutto in digitale e in formato pdf o jpg, certificato di laurea, abstract, lettera di presentazione del relatore ed elenco di eventuali pubblicazioni sull'argomento della tesi. La premiazione? A fine giugno. Annalisa Di Palo [foto: Ian Khan, Dan - FreeDigitalPhotos.net]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Riscatto della laurea: conviene ancora?- Tutti geni i neolaureati italiani? Nuovi dati Almalaurea- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»

Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani

Un  corso di formazione, un'offerta di impiego o di uno stage di qualità entro quattro mesi dalla perdita del lavoro o dal termine degli studi: è la proposta 'anti-neet' lanciata dall'Europa lo scorso dicembre. La Commissione europea ha infatti varato un Pacchetto Giovani, che contiene tra i vari provvedimenti la Youth Guarantee, una 'Garanzia Giovani' per assicurare un percorso di inserimento lavorativo a chi ha meno di 25 anni, collegata a uno stanziamento di fondi per la programmazione 2014-2020. Ciò che si chiede nello specifico è l'impegno di ogni Stato membro a farsi carico di questi obiettivi a favore dei giovani per scongiurare il rischio disoccupazione ed esclusione sociale. A occuparsene dovranno essere istituzioni locali e in particolare i servizi all'impiego.La misura costerebbe circa 21 miliardi di euro, cifra ben inferiore a quella che si spenderebbe per i sussidi di disoccupazione, che – nel segmento che riguarda i giovani - secondo Eurostat pesa sui bilanci pubblici per un totale di 150 miliardi euro l'anno considerati sussidi, mancato gettito fiscale e mancati guadagni. Perché i neet, quei 2,1 milioni di italiani (e 14 milioni di europei) tra i 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, non rappresentano solo una fallimento per la società, ma hanno anche un peso economico notevole: 32 miliardi se si guarda solo all'Italia. Puntare sul loro recupero non è dunque una semplice azione di welfare, ma una politica per lo sviluppo. Un investimento a tutti gli effetti che fa risparmiare miliardi alla collettività. La forza della Youth Guarantee consiste inoltre nella capacità «di intervenire in modo immediato contro la disoccupazione, prima che l'esclusione sociale entri a far parte della vita del giovane» ragiona Massimiliano Mascherini di Eurofound. Attraverso percorsi personalizzati, cuciti addosso a ciascun candidato in base alle sue peculiarità, si «evita la disoccupazione di lungo termine, che è quella che fa più male». La Cgil Giovani ha accolto il monito dell'Europa presentando la sua nuova campagna 'Garantiamo Noi' (qui la petizione online), che chiede l'applicazione dello Youth Guarantee anche in Italia (estendendola però agli under 29 visti i tempi di istruzione più lunghi), sull'esempio di altri Stati che già la applicano da anni  - in Svezia esiste dal 1984 peraltro con ottimi risultati - o che stanno per sottoscriverla, come annunciato dalla Francia. «Abbiamo ribaltato le parole ('Garantiamo noi', ndr) perché pensiamo che possano essere le giovani generazioni a garantire la ripresa del Paese. Siamo noi a voler garantire un Paese all'altezza delle nostre possibilità» ha sottolineato Ilaria Lani, sindacalista della Cgil, alla conferenza per il lancio dell'iniziativa a Roma a fine gennaio.  La Youth Guarantee in Italia, dove la disoccupazione giovanile è al 37%, andrebbe però declinata in base alle caratteristiche di un Paese piuttosto lontano dagli standard di tutela europei: da noi a differenza che all'estero non sono previsti ammortizzatori per chi non ha mai lavorato, per chi ha una bassa anzianità contributiva o contratti atipici, neanche nel caso dell'Aspi introdotta dalla riforma Fornero. E non ci sono contributi figurativi per coprire i periodi di lunga disoccupazione. I neet poi - a differenza di altripassei come per esempio la Svezia, dove sono «rappresentati soprattutto da chi ha alle spalle abbandoni scolastici» come racconta Susanna Holzer del sindacato svedese TCO - in Italia hanno una composizione più variegata: ci sono molti giovani qualificati (il 20% ha una laurea) e giovani donne, soprattutto del Sud. Nel Paese scandinavo invece su 5 milioni di lavoratori ben il 70% è laureato. Il problema della disoccupazione non riguarda quindi i laureati, e ai centri per l'impiego si rivolge soprattutto chi ha lacune dal punto di vista formativo. Qui da noi, dicono i rappresentanti della Cgil in un comunicato, si vive in 'Ereditalia' e l'ascensore sociale è bloccato. «I laureati italiani si portano appresso la condizione di partenza per tutta la vita» denuncia Michele Raitano della Sapienza. «Il salario del figlio di un manager sarà più alto non solo in entrata ma sempre. Chi ha origini migliori qui può fare studi migliori, ed è sbagliato. I giovani devono poter essere choosy per avere prospettive di carriera, e non essere costretti a scegliere il primo lavoro che capita, altrimenti perpetuiamo l'immobilità sociale». La crisi infatti non è uguale per tutti, ma colpisce di più che è in condizioni disagiate. «L'accesso al lavoro è determinante per la carriera futura: avere una famiglia benestante alle spalle non solo offre un bagaglio di relazioni e conoscenze, ma consente al giovane di attendere il lavoro migliore, senza dover accettare il primo impiego che arriva. Il periodo di transizione tra lo studio e il lavoro lascia un forte imprinting: i giovani che devono fare i conti con prolungati periodi di precarietà, disoccupazione e impiego scarsamente qualificato, sono poi meno pagati, meno produttivi e più esposti durante tutta la vita lavorativa» scrivono nel comunicato. È qui allora che deve intervenire lo Stato attraversi servizi per l'impiego che siano una volta per tutte davvero funzionanti. In Italia solo il 3,4% dei giovani trova lavoro attraverso i centri per l'impiego, mentre il 30,7% lo fa grazie ad amici, parenti e conoscenti. Potenziare i centri per l'impiego, per cui in Italia si spende lo 0,029% del Pil («siamo agli ultimi posti in Europa» commenta Ilaria Lani, responsabile delle Politiche giovanili della Cgil e del progetto dei Giovani non + disposti a tutto) significa «assegnare competenze specifiche alle Province, garantire standard uniformi di servizi assicurati su tutto il territorio nazionale, figure professionali specifiche, servizi di incrocio domanda e offerta di lavoro, superare l'attuale incomunicabilità tra le istituzioni preposte alle politiche attive e alle politiche passive di impiego».I tirocini poi, oltre ad avere una certificazione di qualità e a non «essere occasione di sfruttamento», devono garantire una «congrua indennità» per tutta la loro durata. Anche l'apprendistato va garantito: ci deve essere reale formazione, certificazione delle competenze, possibilità di inserimento lavorativo. Al pari della formazione professionale: «i corsi di formazione devono avere l'obiettivo di rafforzare e diffondere competenze coerenti con i fabbisogni del territorio». E ancora la Cgil fa sua la raccomandazione della Youth Guarantee nel voler «favorire le assunzioni impegnando fondi strutturali che assicurano sconti fiscali per i contratti a tempo indeterminato». Senza dimenticare  l'autoimpiego e il sostegno alla progettualità, insieme al miglioramento dell'accesso alle professioni (qui fa la sua comparsa anche l'equo compenso giornalistico). Tra il centro per l'impiego e il candidato «va stilato un vero e proprio contratto che formalizzi il rapporto» aggiunge Ilaria Lani, che dia la certezza dell'efficacia del progetto costruito in base alle esigenze di ognuno. Come trovare le risorse? Secondo la sindacalista un'idea è la patrimoniale, «non perché noi della Cgil siamo fissati con questo ma perché siamo il Paese con il più alto tasso di beni immobiliari nelle mani di poche famiglie. L'elemento solidaristico è fondamentale per non trasmettere le disuguaglianze». Tanto dovrebbe bastare alla costituzione di un fondo «per l'attuazione della Garanzia Giovani» con un capitale di base di almeno 1 miliardo di euro.È lo Stato a doversi fare carico della condizione dei giovani «perché ne è responsabile» conclude Susanna Camusso, intervenuta all'incontro di presentazione dell'iniziativa. «Le politiche attive per l'accesso al lavoro vanno rimesse in mano al pubblico. E va ripensato tutto il sistema, anche quello antecedente ai centri per l'impiego, ovvero la formazione». Chi è all'origine del fallimento del sistema, che ha provocato disoccupazione da record e tassi insostenibili di emarginazione sociale (i neet appunto), sono i governi europei. Adesso, dopo la creazione di una carta di intenti europea, la soluzione del problema spetta a loro.  Ilaria Mariotti  Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Liberiamoci dalla precarietà: Camusso all'incontro con i giovani tra contestazioni e proposte- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato - Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino - Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati E anche: - Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio»