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Programma Leonardo, oltre 300 tirocini in scadenza a gennaio

L’imminente arrivo del nuovo anno porta con sé nuove opportunità per chi sta pensando di fare le valigie per andare all’estero, anche solo per periodi brevi. Attualmente ci sono una serie di bandi Leonardo aperti: sono più di 300 i tirocini in tutta Europa per i quali è possibile candidarsi fino a gennaio.Partendo dalle scadenze più imminenti, il prossimo 3 gennaio è l’ultimo giorno per concorrere a una delle  45 borse di studio nell’ambito del progetto EDU-care. L’iniziativa, promossa dal Comune di Firenze, prevede stage della durata di 13 settimane  presso enti e istituzioni attive nel settore socio-educativo, a partire da febbraio 2014. Mete: Malta (20 posti), Spagna (13), Portogallo (sei), Regno Unito (sei).EDU-care è indirizzato a diplomati, laureati e lavoratori under 35, residenti o domiciliati in Toscana. Possono partecipare alla selezione inoltre cittadini comunitari ed extracomunitari con residenza, anche solo temporanea, nella regione, purché non provengano dalla stessa nazione di svolgimento del tirocinio. Il 50% delle borse è destinato a donne. Non sono accettate candidature da parte di studenti universitari e iscritti a corsi post laurea.Il bando prevede il pagamento ai partecipanti di un contributo forfettario complessivo, variabile a seconda del paese di destinazione, compreso tra i 450 (Malta e Regno Unito) e i 500 euro (Spagna e Portogallo), corrisposto alla fine del periodo di mobilità. Il pocket money copre prevalentemente spese di viaggio e trasporti locali. Il promotore del progetto assicura invece direttamente pagamento dell’alloggio, assistenza organizzativa all’estero da parte del partner transnazionale dell’iniziativa, tutoraggio e preparazione linguistica pre partenza della durata di due settimane.Per partecipare è sufficiente inviare via email all’indirizzo info@reattiva-eu il modulo scaricabile dal sito dedicato al progetto, insieme al cv formato europeo in doppia lingua (italiana e del paese di destinazione) e copia di un documento di identità.Il progetto MTCM (Mobility for town centre managers) è incentrato, invece, su una figura completamente nuova in Italia, ma molto diffusa in Europa: il town centre manager, equivalente in italiano a un «esperto di gestione del centro città», impegnato in attività che spaziano dall’architettura e pianificazione urbana fino alla gestione e valorizzazione dei beni culturali e artistici. Anche qui la scadenza è il 3 gennaio: ci si può candidare per una delle 31 borse di mobilità di 13 settimane ciascuna in Regno Unito e Spagna. Nel primo caso il numero di partecipanti ammessi è 10; quanto alla Spagna, saranno 21 i tirocinanti selezionati, tra Barcellona (otto) e l’Andalusia (13). E i prescelti dovranno fare in fretta le valigie: la partenza degli stage è prevista a febbraio 2014. Per tutte e due le mete il contributo forfettario stanziato è di 500 euro, da destinare direttamente ai partecipanti. I promotori del progetto coprono, invece, il pagamento di altri servizi, tra cui alloggio, assicurazione, assistenza organizzativa e tutoraggio.Possono partecipare alla selezione tutti i cittadini italiani residenti o domiciliati nella regione Toscana, oltre a cittadini, comunitari e non, con residenza anche temporanea.La documentazione per partecipare alla selezione comprende modulo dedicato, scaricabile dalla pagina del progetto, cv formato europeo in italiano e nella lingua del paese scelto per il tirocinio, più copia di un documento di identità. I curricula vanno allegati alla domanda di candidatura e inviati all’indirizzo f.caciolli@confocommercio.toscana.it. Le domande devono essere poi spedite tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure consegnate a mano alla sede di Mentore (Via Santa Caterina d’Alessandria 4, 50129 Firenze),  centro di assistenza tecnica e professionale di Confcommercio Toscana, ente promotore del progetto.C’è  qualche giorno in più per candidarsi al progetto S.T.A.G.E. (Sustainable tourism awareness generation in Europe), promosso da Afol, agenzia per la formazione, l’orientamento e il lavoro della provincia di Milano. In palio 43 borse di mobilità della durata di 13 settimane, con partenza il prossimo primo marzo. Scadenza del bando: 6 gennaio 2014. Obiettivo del soggiorno all’estero è permettere un’esperienza formativa nell’ambito delle professioni legate al turismo eco-sostenibile.  È possibile scegliere tra Germania (otto posti), Spagna (otto), Malta (sette), Polonia (sette), Portogallo (sette), Ungheria (sei). Il bando è aperto a giovani tra i 19 e i 28 anni, residenti o domiciliati in Lombardia, Molise o Sicilia, in possesso di un diploma (istituto tecnico o professionale) o di una laurea collegati all’ambito del turismo, tra cui  scienze del turismo, scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio, ingegneria per l’ambiente e il territorio. Una scelta, quella di includere anche Molise e Siclia, fatta per  «coinvolgere anche una fetta di giovani del centro-sud», dicono gli organizzatori del progetto.L’elenco completo dei corsi di laurea ammessi è consultabile sul bando. Il progetto copre, tra le varie voci, i costi relativi a formazione pre-partenza, spese di viaggio andata e ritorno (fino a un massimo di 200 euro) verso la destinazione del tirocinio, pocket money e alloggio per tutta la durata dello stage, corso di lingua, copertura assicurativa per tutta la durata del viaggio. Per partecipare alla selezione basta compilare e inviare online l’application form, allegando il proprio cv formato europeo in italiano e in inglese.Ambito di riferimento simile per il progetto Tu.Ris.M.: 100 borse di studio per tirocini di 12 o 13 settimane in aziende o enti del settore turistico. La deadline  è fissata al 7 gennaio 2014. Paesi interessati Portogallo, Cipro, Spagna, Austria e Ungheria. Per ciascuno di essi sono a bando 20 posti. Ciascun candidato può indicare al massimo due opzioni, segnalandole in ordine di preferenza. Ai vincitori della borsa di studio sarà corrisposto un contributo di circa 500 euro, come pocket money, da utilizzare per il vitto. Alloggio, spese di viaggio da e per il paese di destinazione, transfer per l’aeroporto, tutoraggio sono, invece, pagati direttamente dagli organismi partner. Il bando è rivolto a inoccupati o disoccupati con diploma in ambiti attinenti il turismo o laurea, almeno triennale, in scienze economiche o economia del turismo. Sono considerati titoli preferenziali il possesso di certificati di conoscenza della lingua inglese, la residenza in Puglia o Abruzzo e un’età compresa tra i 18 e i 35 anni. La modulistica per partecipare alla selezione va inviata tramite raccomandata entro la data di scadenza del bando all’indirizzo della società ASA srl, promotrice del progetto (via Repubblica italiana 110, 70032 Bitonto – Bari). La documentazione da spedire comprende domanda di partecipazione firmata, scaricabile dalla pagina dedicata all’avviso relativo al progetto, cv formato europeo, lettera motivazionale, fotocopie di documento di identità e tessera sanitaria o codice fiscale ed eventuali certificati relativi a conoscenze linguistiche o esperienze precedenti del candidato.Stessa scadenza e stesso numero di borse disponibili per il progetto SOS Workers,  promosso dalla cooperativa sociale Occupazione e Solidarietà. Fino al 7 gennaio 2014 è possibile candidarsi per una delle 100 borse, con destinazioni Portogallo, Cipro, Grecia e Turchia (20 posti disponibili per ciascuna meta). Destinatari disoccupati o inoccupati, con diploma presso il liceo socio-psico-pedagocico o lauree nell'ambito delle scienze sociali e dell'assistenza alla persona. L'importo del pocket money da destinare ai partecipanti non è stato ancora stabilito, perché dipende dalla tipologia di servizi delle strutture ospitanti e sarà assegnato in base alla singola offerta di ciascuna di esse. Il progetto copre spese di viaggio, vitto, alloggio e trasporti locali.Per candidarsi è indispensabile compilare la domanda di partecipazione, scaricabile dal sito, allegando cv firmato in formato europeo, lettera motivazionale, fotocopia di un documento di identità e del codice fiscale ed eventuali certificazioni linguistiche o relative ad altre esperienze del candidato. La documentazione dovrà essere spedita tramite raccomandata con ricevuta di ritorno all'indirizzo della cooperativa (Occupazione e Solidarietà s.c.s.Via Papalia, 3/A 70126 – Bari).Chiara Del PrioreL'immagine del mappamondo è di Valentina StortiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:-  Tirocini in Europa, più di 300 opportunità con il programma Leonardo-  Più Erasmus, «Erasmus +»: tutte le novità per formarsi all'estero- Vivere e lavorare all'estero, il web insegna come fare

Pagati poco e con disparità di genere: tende al brutto il "barometro" degli stage in Europa

In due casi su tre non prevedono un rimborso spese ma, anche quando una borsa viene riconosciuta, una volta su due la somma non permette a chi la riceve di mantenersi. Solo in un caso su quattro l'esperienza si conclude con un'offerta di lavoro, che viene rivolta più facilmente agli uomini che alle donne. È questa la fotografia dell'istituto dello stage nel Vecchio Continente secondo l'indagine “The experience of traineeships in the EU”, realizzata e pubblicata dall'Eurobarometro per conto dell'Unione Europea.Lo studio è stato realizzato intervistando poco meno di 13mila ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, residenti in uno dei 27 Paesi Ue ed in Croazia. I risultati evidenziano una realtà variegata ma con problematiche profonde, alcune delle quali si acuiscono in Italia. Paese nel quale il ricorso allo stage sembra essere meno diffuso che nel resto del continente. Ora, è vero che lo studio fa riferimento sia ai tirocini curriculari che a quelli extra-curriculari, ma se in Europa il 46% dei giovani ha svolto un'esperienza di questo tipo, la percentuale italiana scende al 31.Va ancora peggio se si guarda al rimborso spese. Intanto nel Belpaese solo un annuncio su quattro espone in maniera chiara l'ammontare della borsa, mentre nel resto d'Europa questo aspetto tutt'altro che marginale viene espresso con chiarezza nel 42% dei casi. Certo, spesso la somma non viene indicata semplicemente perché non esiste: il 69% degli stagisti italiani non riceve alcun tipo di rimborso per l'attività che svolge. Un dato più alto di quello continentale, dove comunque il 59% degli stagisti non si vede riconoscere nulla, ma destinato a cambiare dopo la riforma del lavoro dell'ex ministro Fornero. Una norma che impone una “congrua indennità” per coloro che svolgono un tirocinio extracurriculare, il cui importo è definito dalle singole regioni, molte delle quali hanno già recepito la norma legiferando in proposito.Un elemento che emerge da questo studio riguarda la disparità di trattamento tra uomini e donne. In un continente che ha eletto il 28 febbraio a “Giornata per la parità retributiva”, quella di un salario inferiore per le donne è una piaga che colpisce anche i rimborsi per gli stage. Secondo l'Eurobarometro appena il 34% di quante hanno svolto un tirocinio ha ricevuto una borsa, contro il 46% dei maschi. Una somma che era giudicata sufficiente per affrontare il costo della vita dal 41% delle ragazze contro il 49% dei colleghi uomini.Una disparità di genere che si conferma anche quando si tratta di formulare un'offerta di lavoro. Al termine del periodo di stage, appena una donna su quattro si è vista proporre un contratto, quale che fosse. Un'eventualità che ha invece riguardato un maschio su tre. In percentuale, si tratta del 24 contro il 31. «La letteratura sulle discriminazioni di genere nel mercato del lavoro afferma che una parte è reale e una parte no», spiega Ilaria Maselli [nella foto sotto], ricercatrice del Ceps: «Risulta che una parte di questa differenza è dovuta al fatto che le lavoratrici vengono selezionate per dei posti di lavoro che hanno una salario basso perché si concentrano in settori che pagano meno». Venendo ai tirocini, «è difficile dire se ci siano meno donne ad ottenere rimborsi perché di sesso femminile o perché accettano di svolgere degli stage in posti che tendono a non garantire una borsa».Un problema simile si pone quando si guarda «alla percentuale di studenti che svolgono più di un tirocinio», circostanza che riguarda il 5% degli studenti europei ed il 4% di quelli italiani. «Si tratta solo di una piccola parte, eppure in Italia lo si presenta come il più grande problema della storia del mercato del lavoro». Secondo Maselli si tratterebbe dunque «di un problema più mediatico che reale. Non vorrei che si cadesse nella stessa trappola che scatta quando l'Istat comunica i dati sulla disoccupazione giovanile», che viene calcolata sulla quota di popolazione attiva nella ricerca del lavoro e non sul totale, visto che tra gli under35 molti sono ancora studenti.Un altro tema chiave per l'Europa riguarda i tirocini che vengono effettuati all'estero. Nonostante con il programma Leonardo, per il periodo compreso tra il 2007 ed il 2013, l'UE abbia stanziato 3 miliardi e 790 milioni proprio con l'obiettivo di favorire la mobilità transanzionale degli stage di formazione professionale iniziale, a livello continentale solo il 9% per cento ha svolto un'esperienza di questo tipo all'estero. Un dato che in Italia scende al 5%. «Una stima recente calcola che circa il 3% degli europei vive in un Paese diverso dal proprio. Questo dato fornito dall'Eurobarometro indica che giovani sono più inclini a spostarsi all'estero, anche se temporaneamente». Oltre la metà dei tirocinanti, il dato continentale e quello nazionale coincidono, ha dichiarato di non essere interessato ad un tirocinio in un altro Paese. Uno su quattro non l'ha scelto perché non aveva i soldi per riuscire a mantenersi, il 14% perché non conosceva la lingua della nazione in cui si sarebbe svolto il progetto.Tutti numeri, sia quelli sulla mobilità transazionale che quelli legati alla penetrazione dell'istituto del tirocinio che all'erogazione dei rimborsi spese, con particolare attenzione alla disparità di genere, che dovrebbero suggerire a parlamenti e governi importanti correttivi rispetto all'utilizzo che viene fatto degli stage.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Tirocini, tempo scaduto. Ma metà delle Regioni italiane non ha legiferato- Tirocini in Lombardia, il 9 dicembre entra in vigore la nuova normativaE anche:- Parità di genere, ma non in busta paga- Equal pay, per le donne italiane guadagnare quanto gli uomini è ancora un miraggio- In Italia un giovane su tre è senza lavoro. Ma è davvero così?

World Bank, 200 stage estivi con un compenso fino a 2mila dollari al mese

Sono aperte, e lo resteranno fino al 31 gennaio, le selezioni per la tornata estiva 2014 dei tirocini alla World Bank, una delle più grandi istituzioni internazionali impegnate nella lotta contro la povertà nel mondo con i suoi 10mila i dipendenti e più di 120 uffici. Un'occasione per chi voglia cimentarsi con un lavoro nella cooperazione internazionale e per svolgere un'esperienza di qualità all'estero con un rimborso spese sostanzioso. «La retribuzione può arrivare attorno ai 1800 - 2mila dollari al mese» [vale a dire 1300 - 1450 euro, ndr] assicura alla Repubblica degli Stagisti Roberto Amorosino, recruitment officer presso la World Bank. Il compenso è infatti stabilito su base oraria, come specificato nelle faq della sezione del sito dedicata al programma, e gli stagisti ricevono un emolumento tarato solo sui giorni in cui hanno effettivamente prestato servizio. L'importo però dipende anche «da una comparazione di mercato tra la formazione e le esperienze di lavoro del candidato» si legge nel regolamento, con una differenza tra i tirocinanti Usa e gli stranieri. «I primi pagano le tasse a differenza degli altri, che percepiscono la borsa già al netto degli oneri fiscali» chiariscono gli addetti. La partenza dei selezionati è fissata per giugno 2014 e la durata del tirocinio varia dalle quattro alle dodici settimane, prorogabili fino a un massimo di sei mesi. La sede di destinazione può essere quella centrale, a Washington Dc, oppure una delle filiali sparse per il mondo come Parigi, Bruxelles, Londra, Marsiglia o anche Roma. La meta a cui si è assegnati dipende dalle effettive necessità del dipartimento prescelto, che di solito vengono rese note su una apposita scheda pubblicata online.Quanto ai criteri per fare domanda, è necessario essere innanzi tutto uno studente (e infatti il programma di internship è collegato con il calendario accademico e strutturato in base alle scadenze universitarie). Il minimo richiesto è il possesso di una laurea triennale, ma la precedenza è per chi ha almeno la specialistica, un master  o un dottorato in una delle materia di competenza della World Bank. «Il programma è disegnato per studenti di master o dottorato che devono completare gli studi» spiega Amorosino, aggiungendo chiarimenti riguardo alle materie di interesse: «La formazione accademica dei selezionati è diversa e corrisponde ai profili professionali richiesti dall'organizzazione. Tra queste l'economia e la finanza, ma c'è anche spazio per ingegneri, esperti di ambiente, salute, educazione, sviluppo sociale, governance». Non solo: «Grande considerazione, negli ultimi anni, c'è stata poi per profili con studi, esperienza o passione per operare nel contesto dei paesi fragili» riferisce Amorosino. Sul sito si precisa anche che – a seconda della posizione di stage – può fare punteggio un background o uno spiccato interesse per il giornalismo o tematiche relative allo sviluppo. Altro requisito imprescindibile è l'eccellente conoscenza dell'inglese scritto e parlato, oppure – sempre in correlazione con la posizione prescelta – la padronanza di francese, spagnolo, tedesco, italiano o alto idioma dei Paesi del nord Europa. Necessaria anche la dimestichezza informatica, e – tra le skill caratteriali - la capacità di entrare a far parte di un gruppo multiculturale. Ma cosa fa nello specifico uno stagista alla World Bank? «I compiti variano dall'analisi dei dati al reporting, ad altre attività di ricerca o supporto» dice Amorosino. Non esiste quindi un modello unico. Talvolta può trattarsi di progetti specifici associati ad alcuni candidati, a cui può capitare anche di essere incaricati per una delle missioni dell'ente. Quel che è certo è che per loro «c'e' la possibilità di fare un'esperienza diretta all'interno della struttura, spesso allineata ai propri studi e obiettivi». Superare le selezioni non è cosa da poco. Su un totale di circa 8mila candidature annuali (5mila per la sessione estiva e 2-3 mila per quella invernale), vengono ammessi fino a 150-200 giovani (Amorosino dà numeri molto più bassi di quelli ufficiali, calcolati in base all'esperienza personale: «Qui abbiamo tra gli 8 e i 15 stagisti per il periodo invernale e tra i 25 i 40 per quello estivo»). La quota è variabile e dipende «dalle esigenze della banca e del budget», si dice nelle faq, quindi non si può stabilire una media esatta. I manager sono infatti tenuti a dare comunicazione delle posizioni vacanti all'interno del loro dipartimento entro marzo per la tornata estiva, ed entro novembre per quella invernale. La selezione avviene in base a criteri meritocratici che prescindono da meccanismi di riequilibrio per nazionalità o genere. L'application si spedisce online e non esiste nessuna possibilità di ricevere informazioni prima dell'eventuale ammissione. Su questo il regolamento è perentorio: l'ufficio tirocini si mette in contatto solo con chi è stato scelto. Vale a dire che chi passerà la selezione per questa tornata dei tirocini estivi 2014 verrà contattato entro la fine di aprile. Quanto alle speranze di inserimento post stage, anche se «non esiste collegamento fra l'internship e altre opportunità di lavoro» riconosce Amorosino, l'internship «rappresenta una possibilità di incrementare la visibilità del proprio profilo, facendo bene, dimostrando di possedere i requisiti e le caratteristiche di chi si può inserire con successo in questo contesto». E comunque il passaggio non è del tutto escluso. Come scritto sulla guida del sito, il programma di tirocini della World Bank, nato negli anni Settanta, si prefigge di reclutare studenti «con la speranza che possano tornare presso l'istituzione con l'obiettivo di iniziare una carriera». Al netto delle chance di inserimento, non c'è dubbio che un ambiente simile sia stimolante a priori. Basti pensare a uno degli obiettivi che l'organizzazione si è prefissa per il 2030: far scendere sotto quota 3% il tasso di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Ilaria Mariotti [la foto della World Bank è di World Bank Photo Collection - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Farsi le ossa nella cooperazione internazionale, la World Bank apre le porte a 200 stagisti- Tirocini estivi alla Banca Mondiale, 200 posti per Washington- Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Nicola Rivella, un anno alla World Bank di Washington per studiare i paesi in via di sviluppo

Gli archeologi insorgono: «Stage di 12 mesi a 3 euro all'ora, il bando del ministero "500 giovani per la cultura" è inaccettabile»

I giovani italiani laureati in Beni culturali si rivoltano contro il ministro Massimo Bray. Proprio quel ministro che in questi mesi ha fatto loro molte promesse, per esempio rispetto alla procedura di riconoscimento della loro professione. In questi ultimi giorni il motivo del contendere è un altro, e riguarda invece le opportunità professionali offerte dal ministero ai giovani che hanno scelto di studiare Beni culturali. Un bando emesso quattro giorni fa apre le candidature per 500 posti al ministero: ma le "posizioni" non sono di lavoro, bensì di stage. Anzi, di «percorsi formativi»: in tutto il bando non si trova infatti mai scritta la parola stage, o tirocinio, come se si volesse accuratamente evitare di chiamare le cose con il loro nome; fino alla pagina 6 in cui finalmente, nell'articolo dedicato al «rinvio alla normativa vigente», si ammette che tutto il programma formativo minuziosamente spiegato fino a quel punto si appoggia sulla «normativa vigente in materia di tirocinio formativo e di orientamento». E pensare che i luoghi archeologici italiani – tra siti, monumenti e musei – ammontano a più di 2500, con un flusso annuale di oltre 15 milioni di visitatori. E che su 911 siti tutelati dall’Unesco in tutto il mondo, ben 44 – il 5%, una percentuale mostruosamente alta – sono italiani. Eppure quella di archeologo è una delle professioni più bistrattate nel nostro Paese: dopo un lunghissimo e duro periodo di formazione infatti sfocia in un mercato tirchissimo di opportunità, dove i posti di lavoro stabili sono una rarità, e dove all'ordine del giorno vi è il lavoro "a giornata", sottopagato e magari con l'imposizione di aprire la partita Iva. Anche questo bando sembra purtroppo porsi su questa scia di offerte di lavoro "al ribasso" (e già il gruppo "500 no al Mibact" ottiene migliaia di sottoscrizioni su Facebook). Prevede, è vero, che i «percorsisti in formazione» (come chiamarli, se il ministero sembra non gradire la definizione di «stagisti» e cercare di dribblarla?) percepiscano una indennità. Ma essa è fissata - all'articolo 6 - in soli 5mila euro annui lordi, perdipiù comprensivi «della quota relativa alla copertura assicurativa». Contando anche solo 50 euro per questa quota, significherebbe 4.950 euro su 12 mesi. Cioè 416 euro al mese, e per giunta lordi. In un altro passaggio il bando, premettendo in maniera addirittura ridondante che «il programma formativo non costituisce in alcun modo e non dà luogo alla costituzione in alcun modo di un rapporto di lavoro subordinato», specifica che «l'impegno orario settimanale del giovane da formare dovrà essere definito in modo coerente con l'orario adottato presso l'istituto e il luogo della cultura individuato» e comunque «non potrà essere inferiore alle 30 ore settimanali e superiore alle 35 ore settimanali». Dunque, ponendo una media di 140 ore mensili, il conto è presto fatto: 3 euro all'ora. Una cifra misera, che forse sarebbe accettabile se il bando fosse rivolto a giovanissimi studenti del primo o secondo anno di università: a vent'anni si può anche accettare di lavorare per poco, pur di imparare. Ma il bando è invece indirizzato a laureati in Beni culturali fino a 35 anni di età, meglio se già provvisti di esperienza professionale. E non è difficile intuire, come sottolinea con forza l'Associazione nazionale archeologi annunciando anche una giornata di mobilitazione per l'11 gennaio, che un archeologo 30enne desideri un posto di lavoro e una degna retribuzione, non uno stage da 416 euro all'ora.La Repubblica degli Stagisti aggiunge un'altra riflessione più tecnica. Questi stage si configurano inevitabilmente come extracurriculari, essendo destinati a persone che abbiano già terminato gli studi. Come il ministro Bray certamente sa, tale materia è stata recentemente oggetto di una profonda revisione normativa che ha portato ogni Regione a emettere una propria regolamentazione regionale sulla base di alcune linee guida concordate nel gennaio del 2013 in sede di Conferenza Stato-Regioni. Uno dei punti focali delle linee guida era l'introduzione di una indennità obbligatoria a favore dello stagista, che la Conferenza aveva fissato in un minimo di 300 euro al mese ma che alcune Regioni hanno poi innalzato. Dunque vi sono Regioni dove la cifra prevista dal ministero come compenso a favore dei suoi «percorsisti in formazione» sarebbe, semplicemente, illegale. Questo bando cioè, rebus sic stantibus, non potrà essere attuato in «luoghi di cultura» sul territorio del Piemonte, dell'Abruzzo, della Toscana e del Friuli, dove gli stage extracurriculari devono essere indennizzati con un minimo compreso tra 500 e 600 euro al mese; nè in Emilia Romagna e Puglia, dove il limite minimo è fissato a 450 euro. E potrà essere attuato nel Lazio, cioè nella Regione dove ha sede il ministero, solo per il rotto della cuffia - per 16 euro -  dato che la giunta Zingaretti ha previsto lo scorso luglio nella sua delibera un'indennità lorda mensile minima pari a 400 euro.Un altro problema riguarda la durata, 12 lunghissimi mesi, incompatibile con la legge vigente nelle Regioni Veneto e Piemonte e nella provincia autonoma di Bolzano (che pongono per i tirocini extracurriculari il limite a 6 - 9 mesi, concedendone 12 solo ai soggetti svantaggiati).Infine, la questione più spinosa. In un'audizione effettuata in Parlamento, a commissioni Beni culturali di Camera e Senato riunite, una settimana prima della pubblicazione del bando, il ministro afferma testualmente [qui il video]: «Il ministero ha perso negli ultimi cinque anni non solo risorse economiche come sappiamo e abbiamo condiviso, ma anche molte risorse umane e grandi professionalità. Si tratta di un dato a mio avviso allarmante sopratutto se si pensa che rispetto a quanto previsto dalla pianta organica del ministero mancano all'appello 600 persone. E senza le persone, senza la loro competenza e professionalità, non si può rilanciare come tutti vogliamo la cultura nel nostro Paese. In questa direzione qualcosa è previsto nel decreto "Valore Cultura", e mi riferisco alle misure urgenti per l'avvio del programma straordinario di inventarizzazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, e per l'attuazione del progetto "Cinquecento giovani per la cultura". Con tale disposizione attuiamo un programma straordinario per la prosecuzione e lo sviluppo della inventariazione, della catalogazione e della digitalizzazione del nostro patrimonio, anche allo scopo di incrementare la pubblica fruizione del patrimonio». In questa frase, pronunciata peraltro prima che il bando fosse reso pubblico, l'Associazione nazionale archeologi vede l'ammissione del "peccato originale" che guasterebbe questa iniziativa ministeriale: cioè il fatto di voler prendere i 500 stagisti per rimpiazzare i 600 buchi di organico. Una pratica non nuova al settore pubblico, che la Repubblica degli Stagisti a più riprese ha denunciato nel corso di questi ultimi anni. E non è tutto. Poco dopo il ministro, nella stessa audizione, prospetta anche una possibile assunzione degli stagisti più capaci: «Al termine del percorso formativo e della collaborazione nell'attività che andranno a svolgere, i laureati che abbiano conseguito un giudizio favorevole secondo le modalità definite con decreto ministeriale saranno immessi nei ruoli del ministero con il corrispondente profilo professionale». Possibile? Ma come potrebbe il ministero assumere, nel corso del 2015, un numero (per ora indefinito) di nuove risorse senza passare attraverso una procedura concorsuale? Le assuzioni effettuate in questo modo non sarebbero immediatamente impugnabili dagli esclusi?L'auspicio adesso è che il ministero si faccia avanti per rispondere alle critiche dei giovani destinatari del bando, e per riparare le falle che dovesse eventualmente ammettere.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'Italia ha il 5% del patrimonio Unesco mondiale: eppure gli archeologi fanno la fame [su Articolo 36!]

Fonderia dei Talenti, gli italiani all'estero hanno uno strumento in più per fare rete e trovare lavoro

Un sito che vuole dinamizzare l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, per un tipo di italiani in particolare: gli expat. Coloro che hanno deciso di trasferirsi all'estero e che dunque hanno accumulato - e stanno accumulando - esperienze di studio o più spesso di lavoro in Paesi stranieri. Un target particolare, una nicchia molto importante sopratutto considerando che in Italia l'emigrazione sta aumentando a tassi vertiginosi, e dalle ultime ricerche emerge che sono proprio i giovani più brillanti a cercare fortuna fuori confine.Ma tutti questi giovani spesso desiderano mantenere un legame con l'Italia, e se trovassero l'occasione giusta sarebbero ben contenti di poter rientrare; allo stesso modo molte aziende considerano appetibili i cv di chi ha passato qualche anno all'estero, non foss'altro che per la perfetta conoscenza della lingua del Paese d'accoglienza, oltre che per il fatto di aver conosciuto altri metodi di lavoro, altre culture professionali e aver acquisito know how certamente più internazionali.Per questo è nata una nuova fondazione, fortemente voluta da Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca, i due parlamentari che hanno elaborato e portato ad approvazione la legge ribattezzata "Controesodo" che prevede incentivi fiscali per gli under 40 laureati che dopo almeno due anni all'estero abbiano deciso di rientrare in Italia. «Oggi lanciamo il progetto: questa piattaforma con l'aiuto di tutti aiuterà a fare sistema di tutto quello che c'è. Ci sono tanti virus positivi nel nostro sistema che si contaminano uno con l'altro e prendono forza. La Fonderia dei Talenti vuol essere collettore di energie positive. Il mio ingaggio parte su cose molto concrete» ha spiegato la Mosca: «Gli italiani all'estero vogliono sapere cosa succede, avere non solo il contatto con le aziende ma anche l'accesso alle informazioni sulle iniziative. Con la Fonderia vogliamo sprovincializzare un po' questo paese, nel senso positivo».La fondazione infatti si chiama "Fonderia dei Talenti"; collabora strettamente con l'associazione Italents e a fine novembre a Milano, ospitata nella Sala Falck della sede di Assolombarda, ha presentato al pubblico il suo nuovo sito. Con un saluto di buon auspicio da parte del padrone di casa: «Nella mia vita precedente ho usato la legge Controesodo per portare a casa in Italia due giovani che avevano fatto un phd, uno dalla Cina e uno dagli Stati Uniti: un 28enne e un 32enne che oggi vivono e lavorano in Italia» ha infatti detto Michele Angelo Verna, da pochi mesi direttore generale dell'associazione delle industrie lombarde. Il quale ha in effetti una "vita precedente" da direttore delle Risorse umane, e conosce bene dunque il tema dell'incrocio tra domanda e offerta e della costante ricerca dei giovani più talentuosi, anche fuori confine, da parte delle aziende più innovative: «Gli head hunter potranno usare questo sito come una grande banca dati», ha aggiunto.In effetti il sito assomiglia a un social network "geolocalizzato": ognuno può iscriversi e segnalare il proprio desiderio di trovare opportunità in Italia o all'estero. «Abbiamo creato una una piattaforma online gratuita» ha spiegato Lorenzo Pompei [nella foto, in primo piano], segretario generale della Fonderia, illustrando i meccanismi di funzionamento del sito: «Forti del sostegno di Microsoft e Unicredit, abbiamo voluto realizzare una piattaforma di nicchia, attraverso cui vogliamo incentivare uno spirito di collaborazione tra chi è in Italia e i tanti che sono all'estero». Patrizia Fontana, head hunter e co-fondatrice della Fonderia, non ha negato che sia difficile far decollare un nuovo sito come questo, nel mare magnum del web di oggi: «Ma ricordo a tutti che qualche anno fa Linkedin sembrava "strano", ad utilizzarlo erano in pochi: oggi invece noi head hunter lo usiamo tutti». Una scommessa dunque che può essere vinta: «Le aziende hanno una opportunità enorme nell'utilizzare sia la legge Controesodo sia questo nuovo sito. Anche le piccole e medie imprese hanno bisogno di competenze specifiche, e queste possono essere trovate nei giovani italiani all'estero» ha sottolineato Fontana. Il sito della Fonderia potrebbe diventare uno strumento anche per mercati specifici, come quello dei ricercatori e dei docenti universitari. In questo senso è andato l'intervento di Andrea Sironi, rettore della Bocconi: «Le aziende competono in mercati nazionali e internazionali. Anche per gli atenei é così: competiamo sulla faculty cioè sui docenti, e sugli studenti. In Bocconi da diversi anni ci siamo dati una regola: abbiamo un divieto di assumere come docenti i nostri dottorati». Dunque diventa imperativo guardare all'esterno: «Quest'anno abbiamo assunto 15 nuovi docenti, 5 italiani e 10 stranieri. Per noi la legge sul Controesodo é fondamentale, perché rende più competitive le nostre offerte rispetto al gross salary». Puntando l'attenzione su un aspetto misconosciuto: «In questi casi non di rado la variabile cruciale è il coniuge. Molto spesso i grandi centri di ricerca cercano una collocazione anche al coniuge: vi sono per esempio esperienze a Monaco o a San Francisco di università, centri di ricerca, atenei che si mettono in rete e fanno squadra per generare offerte». Concludendo con una nota di realismo: «Tra i nostri giovani all'estero c'è forte il desiderio di rientrare, ma spesso non si trovano le condizioni giuste». Non basta infatti che arrivi un'offerta: per convincere un talento a tornare in patria bisogna che l'offerta sia congrua sotto tanti punti di vista, dall'avanzamento di carriera alla retribuzione adeguata. A questo proposito un progetto affine alla Fonderia dei Talenti è "Destinazione Italia", un piano del governo Letta che dovrebbe entrare in vigore dal 2014 e che ha tra i suoi obiettivi quello di attrarre capitali e talenti dall’estero. «Il nostro tentativo è proprio quello di mobilitare la rete di persone che stanno all'estero e che hanno molte cose da dire» ha confermato Alessandro Aresu, collaboratore del ministero dell'Istruzione proprio su "Destinazione Italia".Anche a livello locale il pubblico si muove: «Bisogna innanzitutto costruire massa critica intorno alla legge controesodo» ha sintetizzato Cristina Tajani,  assessore alle Politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca del Comune di Milano: «Noi abbiamo realizzato varie iniziative sul tema del rientro dei talenti, tra cui un sondaggio realizzato dall'associazione italents». Raccontando poi l'esperienza di Welcome business: «Finanziare l'apertura di imprese StartUp da impiantare nella città di Milano: finora abbiamo selezionato otto progetti che abbiamo presentato e premiato l'anno scorso a dicembre, e che oggi sono diventati giovani imprese che provano a competere sul mercato».Un'iniezione di fiducia nei confronti della risposta positiva del mercato di fronte a una iniziativa come quella della Fonderia dei Talenti arriva anche da  Marco Simoni, oggi capo segreteria del viceministro Calenda e docente in aspettativa di politica economica alla London School of Economics: «Da un anno e mezzo a questa parte le nostre esportazioni sono cresciute più di quelle tedesche e francesi. Bisogna ammettere che alcune cose funzionano nonostante grandi ritardi, nonostante le politiche degli ultimi vent'anni abbiano ignorato che noi siamo un Paese basato sul manifatturiero e sulle pmi. Il problema non è che noi andiamo fuori, ma che nessuno viene dentro: alla London School of Economics ci sono tantissimi italiani. La cifra del tempo in cui viviamo è quella della internazionalizzazione. Non mi stupisce che qualcuno da San Francisco si sia già iscritto al sito della Fonderia dei Talenti» è la sua conclusione: «Magari a tornare non ci pensa per niente, ma per lui è comunque interessante fare parte di una rete. La vecchia emigrazione vedeva il siciliano andare a New York e tagliare i ponti, tornare in Sicilia magari dopo  trent'anni. Invece adesso c'è la rete, che va potenziata. Le informazioni vanno fatte circolare: fare rete è molto importante». Una ideale risposta a distanza a Simoni arriva da Roberto Bonzio, ideatore del progetto multimediale Italiani di Frontiera: «I nostri peggiori difetti? L'incapacità di fare squadra, la diffidenza verso il successo altrui, l'assuefazione alla convinzione che importi più l'appartenenza che il merito» è la sua riflessione: «Bisogna ribaltare il modo di pensare, raccontando modelli e storie positive. Abbiamo ammirato per anni degli autentici somari: l'auspicio è che la Fonderia dei Talenti spazzi via questa fattoria dei somari».Durante la presentazione, poi, particolarmente significativi sono stati due interventi dal pubblico. Il primo quello di Tommaso Arenare, head hunter di Egon Zehnde: «Sono ammirato da questa iniziativa. Questo è un paese che ha il Parlamento più giovane della sua storia, e con la maggior quantità di donne. Guardo con grande ammirazione alla Fonderia perché dimostra che l'Italia può attrarre talento, anche talenti diversi. Quando l'Italia fa così, fa squadra. La crescita arriverà, ci sono tutti gli ingredienti perché il talento si trasformi in crescita». Il secondo quello di un manager di Key to people: «È incredibile come le belle notizie siano poco diffuse. Ho incontrato tantissimi direttori del personale che nemmeno conoscevano la legge Controesodo: questa cosa rattrista un po'. Noi come head hunters abbiamo il compito di mediare tra le aziende italiane e i professionisti, anche quelli che arrivano dall'estero: la Fonderia sarà un acceleratore che noi tutti utilizzeremo e divulgheremo. Anche perché non bisogna dimenticare che i talenti non sono solo i numeri 1: le aziende cercano anche i numeri 2, i numeri 3…». Sono dunque aperte le iscrizioni al sito, che già oggi conta diverse centinaia di iscritti. Nella speranza che ad iscriversi siano anche tante aziende in cerca di talenti da assumere.Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Sulla Rete i giovani italiani scalpitano per fare rete: ITalents sbarca su Facebook, ed è boom- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero

Tirocini in Lombardia, il 9 dicembre entra in vigore la nuova normativa

In Lombardia è cominciato il conto alla rovescia: tra meno di due settimane entrerà finalmente in vigore la nuova normativa in materia di stage elaborata e approvata nei mesi scorsi dalla Regione guidata da Roberto Maroni. Lo scorso 25 ottobre c'era stato in giunta l'ultimo voto alla delibera, ma mancava ancora un passaggio: «i presenti Indirizzi» si leggeva nel testo  «entreranno in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione dei decreti dirigenziali che definiscono i modelli di convenzione di tirocinio e progetto formativo individuale» [clicca qui per scaricare la delibera in formato pdf]. Risultato, un comprensibile timore che la questione si tirasse per le lunghe. Invece no. La Regione è stata di parola e a sole due settimane dall'approvazione in giunta, sul Bollettino ufficiale dello scorso 8 novembre, ha pubblicato il Dduo (acronimo che sta per «Decreto Dirigente Unità Organizzativa») 5 novembre 2013 - n. 10031 intitolato «Nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini – Disposizioni attuative». Un documento di 16 pagine focalizzato sopratutto su un particolare tipo di tirocini, quelli svolti da soggetti stranieri. La Repubblica degli Stagisti ha dunque contattato la Regione per chiedere delucidazioni in merito, e sopratutto capire se questo documento avrebbe chiuso l'iter per l'entrata in vigore della legge, malgrado nella delibera del 25 ottobre si parlasse di «decreti dirigenziali» al plurale. L'ufficio Comunicazione istituzionale della Regione ha risposto subito confermando che il documento in questione è quello definitivo: «In materia di tirocini, al momento, non è prevista l'approvazione di altri documenti». Dunque il countdown è ufficialmente partito l'8 novembre e si concluderà il giorno dopo l'Immacolata: «I nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini entrano in vigore a partire dal 9 dicembre». Dalla Regione specificano che «l'allegato A del Decreto n. 10031 riporta gli standard minimi richiesti per la stipula delle convenzioni e dei progetti formativi individuali (Allegato A) e i format per la redazione della convenzione, dei progetti formativi e della relazione finale». [clicca qui per scaricare il dduo in formato pdf]. È l'ultimo atto - almeno per ora - di un lungo percorso che la Repubblica degli Stagisti ha seguito con attenzione fin dall'inizio. In estrema sintesi, ai tempi della riforma Fornero era stata avviata una riflessione sulla necessità di riformare anche la normativa sugli stage, introducendo alcune garanzie in favore degli stagisti tra cui il diritto a ricevere una congrua indennità. Essendo lo stage un argomento ostico dal punto di vista delle competenze (le più recenti interpretazioni giuridiche vogliono questo strumento spezzato esattamente a metà: gli stage svolti durante il periodo di studi - «curriculari» - sarebbero di competenza statale, quelli svolti al di fuori, dunque una volta diplomati o laureati - «extracurriculari» - di competenza regionale), la strada intrapresa dal governo Monti era stata quella di sedersi al tavolo con i rappresentanti delle Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, ed elaborare delle «linee guida» che poi ciascuna si sarebbe impegnata a tradurre in propria normativa regionale. Le linee guida hanno visto la luce a fine gennaio di quest'anno: delineavano tutta una serie di paletti da porre agli stage. Ogni Regione avrebbe dovuto implementarle entro 6 mesi; la Regione Lombardia aveva però accumulato un po' di ritardo, arrivando alla deadline di fine luglio con una bozza pronta ma non ancora approvata.Ci sono voluti due passaggi, uno all'inizio di settembre e uno a fine ottobre, per arrivare alla definizione della normativa lombarda. Non senza bracci di ferro e polemiche, anche perché la giunta Maroni ha scelto di andare al di là del tracciato, e di normare non solo i tirocini extracurriculari (di sua competenza), bensì anche quelli curriculari.La nuova normativa presenta aspetti certamente positivi, altri migliorabili, altri ancora decisamente negativi che la Repubblica degli Stagisti ha a più riprese evidenziato alla Regione. E ovviamente già c'è chi sta vivisezionando il testo e chiedendo delucidazioni alla Regione rispetto alla interpretazione dei singoli passaggi. Per esempio CS&L, consorzio che raggruppa oltre 40 organizzazioni non profit, ha inviato nei giorni scorsi alla Regione un documento dettagliato su due colonne: a sinistra il dettato della normativa e a destra i quesiti sui singoli articoli. Per esempio, là dove si si legge che i «destinatari» dei «tirocini extracurriculari “formativi e di orientamento”» sono persone che abbiano «conseguito un titolo di studio entro e non oltre 12 mesi, inoccupati in cerca di occupazione, disoccupati e occupati con contratto di lavoro o collaborazione a tempo ridotto», CS&L chiede se ci sia «un parametro preciso per dire che è a tempo ridotto». Poco più sotto, relativamente ai destinatari dei «tirocini extracurriculari di “inserimento / reinserimento al lavoro”, finalizzati a percorsi di inserimento / reinserimento nel mondo del lavoro» indicati quali «inoccupati in cerca di occupazione, disoccupati, lavoratori sospesi, in mobilità e occupati con contratto di lavoro o collaborazione a tempo ridotto», CS&L incalza: «Cosa si intende per “lavoratori sospesi”?». Rispetto al divieto posto dalla nuova normativa di avviare tirocini in aziende che abbiano «in corso procedure di CIG straordinaria o in deroga, per mansioni equivalenti a quelle del tirocinio», CS&L si concentra sulle altre tipologie utilizzate dalle aziende in crisi, domandando alla Regione: «Contratti di solidarietà e mobilità rientrano tra gli elementi che impediscono l’attivazione di tirocini?» (ma qui la risposta sembra già evidentemente negativa). E ancora, di fronte alla promessa della normativa di vietare gli abusi, prevedendo che non possano essere accolti per «sostituire i lavoratori con contratti a termine nei periodi di picco delle attività né sostituire il personale nei periodi di malattia, maternità, ferie o infortuni, o per ricoprire ruoli necessari all'organizzazione», CS&L chiede alla Regione Lombardia di specificare a chi competa «la funzione di verifica di questi condizioni».Tutte domande che per ora restano senza risposta; Marco Forlani, responsabile dell'area Lavoro di CS&L, spiega alla Repubblica degli Stagisti di aver parlato con un funzionario che gli ha prospettato la pubblicazione a breve, da parte della Regione, di una serie di Faq (“frequently asked questions”) per spiegare i punti meno chiari del testo. Faq che ancora però sul sito non si trovano.Pur restando in attesa di questi dettagli, il 9 dicembre sarà comunque un giorno importante per tutte le persone che sul territorio lombardo si accingono ad entrare nel mondo dello stage nella sua forma extracurriculare: da quella data potranno fare riferimento a un impianto normativo un po' più tutelante, a cominciare dal compenso minimo che la giunta Maroni ha fissato in almeno «400 euro mensili, al lordo delle eventuali ritenute fiscali», che si riducono a un minimo di «300 euro mensili qualora si preveda la corresponsione di buoni pasto o l’erogazione del servizio mensa», oppure nel caso di stage part-time («qualora l’attività di tirocinio non implichi un impegno giornaliero superiori a 4 ore»), o infine nei casi in cui «il soggetto ospitante sia una Pubblica Amministrazione».Ma attenzione: solo chi farà stage extracurriculari verrà avvantaggiato dalla nuova normativa lombarda. Tutti gli studenti - di scuole, corsi, università, master - che faranno invece stage inquadrabili come «curriculari» saranno anzi in un certo senso danneggiati da questa nuova formulazione. La delibera di giunta approvata dalla Regione infatti prevede un «liberi tutti» per questo tipo di tirocini, permettendo per esempio che una stessa persona possa fare presso lo stesso soggetto ospitante più di uno stage. Cadono i vincoli numerici che imponevano una proporzione massima tra stagisti e risorse umane presenti: ciò di fatto permetterà a un'azienda in Lombardia di avere un numero potenzialmente infinito di stagisti curriculari (oltre a quelli extracurriculari, per i quali però è almeno previsto un tetto massimo pari al 10% del personale dipendente o collaboratore). Inoltre, a differenza come si diceva sopra di quelli extracurriculari, gli stage curriculari sono permessi anche alle realtà che abbiano effettuato licenziamenti nei 12 mesi precedenti o che abbiano in corso procedure di cassa integrazione. Oltre al fatto che, è bene ricordarlo, agli stagisti curriculari non viene garantito nemmeno un minimo di indennità di partecipazione, rendendoli i "cugini poveri" degli stagisti extracurriculari.Dunque benvenuta alla nuova legge regionale lombarda in materia di stage, ma tenendo bene a mente che essa tutela solo una metà degli stagisti, e lascia scoperta (anzi, in condizioni peggiori che in precedenza) l'altra metà. Per la quale si spera il prima possibile in un intervento del ministero dell'Istruzione, che si decida a far uscire dalla «vacatio legis» i tirocini curriculari, dando anche a loro un quadro normativo certo e tutelante.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tirocini in Lombardia: la nuova legge non è ancora operativa, mancano i decreti dirigenziali- Tirocini in Lombardia, Ambrosoli e Castellano: «Subito i decreti dirigenziali, altrimenti la delibera sarà solo un annuncio»E anche:- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia»

Troppi atenei, troppi docenti, troppi laureati: i falsi miti che affossano l'università italiana

In Italia ci sono troppi atenei, ci sono più docenti che studenti e questi ultimi non pagano abbastanza l'iscrizione all'università. Sarà vero? Il mensile Altreconomia ha recentemente “smascherato” alcuni miti che ruotano intorno al mondo accademico, frutto di distorsioni dell'informazione non sempre casuali ma guidate a volte da precisi intenti politici. Per sfatare queste leggende metropolitane, pericolose per la percezione e la qualità dell'università italiana, è nato Roars sta per “Return On Academic ReSearch”, un network composto da ricercatori e docenti con l'obiettivo di intervenire in modo credibile nella discussione intorno al settore universitario e della ricerca in Italia. L'intento della rete è quello di rivolgersi agli interlocutori che devono gestire il processo di trasformazione dell’università italiana, specialmente le forze politiche che si candidano a governare il Paese. Tra i membri di Roars c'è Giuseppe Di Nicolao, docente ordinario di Identificazione dei modelli di analisi dei dati presso il dipartimento di ingegneria industriale e dell'informazione dell'università di Pavia. “Scontiamo un grave ritardo su istruzione e formazione che deriva da un retroterra storico molto svantaggiato” ha detto Di Nicolao ad Altreconomia. “Non è solo una sensazione quella per cui ci sia una distorsione dell'informazione”. Primo mito: si sente dire che in Italia avremmo troppi atenei. Eppure secondo l'Ocse - che ogni anno pubblica dati sui sistemi universitari dei Paesi aderenti - nel 2009 l'Italia aveva 1,6 atenei per milione di abitanti. La Spagna 1,7, la Gran Bretagna 2,3, l'Olanda 3,4, la Germania 3,9, la Francia 8,4, gli Stati Uniti 14,5. La Repubblica degli Stagisti ha contattato Di Nicolao per approfondire ulteriormente questo tema: «l'Italia è stato fino agli anni '70 un paese analfabeta. Poi c'è stato il boom dell'istruzione. O almeno, sembrava un boom ma in realtà si era, e si è ancora, addirittura indietro rispetti agli altri stati». Secondo Di Nicolao la prova sta nel numero di laureati tra i 25 e i 34 anni: «Siamo ultimi in Europa». Sì, ultimi come numero di laureati e lo confermano i dati: 21% contro una media Ocse del 39%, nella fascia delle persone tra 24 e 35 anni. Ma non ne avevamo troppi? Altra disinformazione. Anzi, secondo il consorzio interuniversitario Almalaurea le immatricolazioni si sono ridotte del 13% in sette anni. Ulteriore leggenda da sfatare quella relativo al numero di docenti (intesi dall'Ocse come chiunque faccia attività didattica): si sente dire anche in questo caso che l'Italia sarebbe un paese densamente popolato da professori; ma in realtà il loro numero, in rapporto agli studenti, fa piazzare l'Italia al 21esimo posto su 26 Paesi. Un dato disponibile a tutti da diversi anni, come ammette lo stesso Di Nicolao, ma non utilizzato probabilmente perché non conforme con una certa ideologia politica. Anche sui dottorandi non c'è storia, l’Italia ricopre gli ultimi posti in questa classifica: è al di sotto della media Ocse e si colloca in 21esima posizione su 32 nazioni. «Non abbiamo un sovrappiù di docenti» conferma infatti ad Rds De Nicolao. Quindi quando politici e studiosi dicono che è necessario tagliare risorse per il fatto che ci sono troppi docenti, non è vero? «Si fa leva su luoghi comuni che derivano da una prospettiva sbagliata». E a proposito di costi l'analisi di Altreconomia continua spiegando come molti sostengano che le tasse degli studenti (in media 7mila euro l'anno) siano insufficienti a coprire il reale costo del sistema. Ancora l'Ocse, invece, ci indica come terzi nella classifica delle rette: più care dell'Italia solo Gran Bretagna e Olanda. Dal momento che il costo medio per studente è tra i più bassi in Europa, e le tasse sono alte e lo Stato italiano investe poco, si può dire che, dati alla mano, l'Italia spende molto poco per la sua scuola. Anzi, più precisamente l'Italia spende meno di tutte le nazioni europee, tranne che dell'Ungheria. Ancora si possono ricordare le parole dell'ex ministro Mariastella Gelmini la quale diceva che l'università italiana costava troppo. E furono approvati i tagli: da 7,3 siamo passati a 6,6 miliardi di euro, diventando il taglio più corposo in Europa.«Quello che è un problema strutturale viene ricondotto a problema antropologico» continua Di Nicolao. «Cioè si dice: ci sono troppi anziani nelle università e i giovani sono pigri. Ma questo è un modo di non vedere il reale problema che sta nel sostegno allo studio. Ad esempio ci sono borsisti hanno tutti i requisiti per avere diritto al sostegno allo studio. Per mancanza di risorse questo non viene dato».Viene da chiedersi: la disinformazione fa parte degli intenti politici, e se sì, qual è l'obiettivo? Ancora Di Nicolao: «sicuramente c'è una lettura ideologica, quindi succede che opinionisti e studiosi predichino sempre la stessa ricetta distorcendo i dati a sostegno delle proprie tesi. È come il fanatismo religioso: nessuno usa un approccio scientifico parlando di università. Rimasi stupito sentendo dire un ex ministro dell'istruzione, che era stato anche rettore di università, che l'Italia è l'unico paese ad avere così tanti 'fuori corso'. Ma i dati dicono il contrario. Ecco, è dannoso parlare solo attraverso preconcetti perché poi la politica non risolverà i problemi veri. Non sa individuarli». In conclusione, la domanda che Di Nicolao si pone - e che si era posto anche su Altreconomia - è di cruciale importanza: «Che sistema produttivo è quello che non sa che farsene della percentuale più bassa di laureati in Europa? Un sistema arretrato». Un Paese talmente poco istruito che non percepisce nemmeno il ritardo in cui vive: il fatto che un laureato non trovi lavoro nel Paese con il più basso tasso di laureati in Europa è un segnale allarmante di un sistema produttivo bloccato e senza soluzioni.Maurizio BongioanniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Italiani incompetenti perfino se laureati, maglia nera dell'Ocse- Con la cultura si mangia in tutto il mondo, perché in Italia no?- Decreto Fare, cosa cambia per università e ricerca  

Safari Job, luci e ombre dei tirocini riservati ai figli dei dipendenti pubblici

Sono stati presentati a fine ottobre i risultati del primo – e per ora unico – progetto Safari Job, realizzato nel 2011-2012: un programma di 400 tirocini all'estero di quattro o sei mesi finanziati dall'ex Inpdap, ora Gestione dipendenti pubblici dell'Inps, che ha coinvolto circa 300 figli di lavoratori statali. Requisiti: un diploma o una laurea con un buon voto, lo stato di disoccupazione, l'età inferiore ai 32 anni e un reddito che non superasse i 32mila euro. I dati che ha fornito l'Agenzia Giovani, l'ente che ha gestito i tirocini in partnership con l'istituto previdenziale e ha poi eseguito un monitoraggio a sei mesi dall'esperienza, sono apparentemente buoni. Dei circa 230 ragazzi intervistati più di un terzo sta lavorando, mentre il 31,6% sta proseguendo il percorso di studi. I restanti si dividono tra chi ha intrapreso un altro tirocinio (12,7%), e chi è tornato inattivo (19,6%). A ben vedere però questi numeri non dicono molto sulla effettiva riuscita del Safari job: non è specificato infatti se quel terzo di giovani occupato lo è direttamente nell'azienda in cui è stato ospitato, oppure ha trovato lavoro da sé. Il che significherebbe che lo stage, magari di per sé molto formativo, ha solo contribuito all'arricchimento personale e del curriculum. Non è il solo aspetto del programma a sollevare qualche perplessità, benché l'intenzione di fondo sia inappuntabile: il rispetto delle linee guida stabilite da Bruxelles nell'ambito del cosiddetto libro verde in materia di tirocini, approvato nel 2009 con lo scopo di implementare la mobilità dei giovani europei e promuoverne l'apprendimento - anche nell'ottica di fornire elementi di controllo per evitare la piaga, molto radicata in Italia ma diffusa più o meno in tutta Europa, dei giovani inattivi, i cosiddetti Neet (nello stesso quadro in cui si colloca anche la Garanzia Giovani appena varata dal ministero del Lavoro). Una sorta di fase due quindi rispetto ai vari Leonardo, Erasmus e Comenius, in cui agli Stati membri è richiesto un impegno maggiore per politiche più incisive, efficienza negli interventi di follow up e riconoscimento di competenze ex post. Il Safari Job ha però una caratteristica tutta sua. Si legge sul bando che «per la partecipazione al tirocinio formativo è previsto il versamento di un contributo calcolato in relazione all’Isee e alla durata prescelta dal candidato per il soggiorno», un obolo da versare prima della partenza che varia dai 300 euro (per 4 mesi e con un Isee inferiore agli 8mila euro) ai 2mila (per tirocini semestrali e con reddito dai 24 ai 32mila euro). Senza che sia previsto alcun rimborso spese per lo stage. In compenso però il contributo dà diritto a una serie di facilitazioni, che di fatto riducono al minimo la necessità per i ragazzi di fare appello alle proprie finanze: è garantita infatti la copertura dell'alloggio nel Paese straniero (spesso presso famiglie che offrono ospitalità come secondo lavoro), le spese del viaggio più quelle per i trasporti locali, un corso di lingua in loco, un seminario di preparazione pre stage, l'assicurazione sanitaria. Meccanismo questo che non è peraltro limitato ai Safari Job, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Paola Trifoni, coordinatrice per il progetto dell'Agenzia Giovani: «Ogni dipendente pubblico deve versare per legge un piccolo tributo mensile destinato a un fondo speciale (il cosiddetto Fondo Credito, ndr), a cui poi tutti gli assicurati possono attingere per usufruire di prestazioni creditizie agevolate» come mutui, prestiti o altro. Benefit che esistono anche in altre casse di previdenza, ma che per la Gestione separata dell'Inps - cui sono iscritti d'ufficio tutti i dipendenti pubblici italiani - si estendono anche a vacanze studio, master, borse di studio, corsi di aggiornamento professionali per i figli dei dipendenti, il tutto finanziato in parte con trattenute minime sugli stipendi dei lavoratori (in media dello 0,5%) e in parte da quote di partecipazione corrisposte in anticipo sull'attività, come nel caso del progetto in questione. «Con il risultato che molti familiari dei dipendenti si trovano a poter frequentare un master o usufruire di una vacanza studio in convenzione a costi stracciati» sottolinea la Trifoni. Ma il caso degli stage non può passare inosservato: possibile che un colosso previdenziale come l'Inpdap, oggi fuso con l'Inps, non sia in grado di erogare un rimborso spese 'reale' agli stagisti selezionati, invece di somministrarlo sotto forma di 'pacchetto tutto incluso' previo contributo iniziale sostenuto dai genitori? Senza contare l'aspetto della scelta delle aziende ospitanti, di quelle che impartiscono i corsi di lingua o delle famiglie ospitanti. «Se ne occupano agenzie sul posto cui ci affidiamo» è la risposta un po' ponziopilatesca della Trifoni, che sottintende che l'Agenzia non vigila in prima persona sulla qualità degli stage. La brochure sui risultati del progetto parla addirittura di tirocini spezzettati in più imprese: «185 hanno svolto lo stage in un'unica azienda, e i restanti 126 lo hanno fatto in diverse aziende, da due a quattro». Elemento paradossalmente considerato positivo, perché ha dato «la possibilità di sviluppare il know how in diversi ambiti lavorativi», si legge. Gli ex tirocinanti intervistati nel video di presentazione del Safari Job (nel 2012) si dicono – naturalmente – entusiasti di aver partecipato. Nunzia Patruno [nella foto], pugliese e avvocato, racconta di essere stata assegnata all'Eurodesk di Bruxelles (restando quindi «in casa»: curiosamente è infatti la stessa agenzia, versione belga, che fornisce il supporto tecnico all'iniziativa dell'Inpdap), e di essersi occupata del sito dell'organizzazione. È convinta che l'opportunità «la aiuterà in futuro a inserirsi meglio nel contesto lavorativo». Lo stesso tirocinio, nello stesso ente, lo ha svolto anche la 22enne Irene Artesano, laureata in Scienze della Comunicazione. «Aggiorno i dati per il portale, ho migliorato la lingua e mi confronto con persone diverse», afferma. «Ho imparato a controllare l'emotività» spiega ancora Chiara Guerra, 24enne di Lecce, laureanda e stagista presso un'agenzia interinale inglese. Dell'esito di questi tirocini, però, non è dato sapere. Gianluca Troiano, 31enne di Chieti e laureato in Sociologia, ha fondato un gruppo su Facebook dedicato ai tirocini Safari Job. Adesso è di nuovo disoccupato, eppure si dice soddisfatto: «Sono un diversamente abile e non è facile trovare da solo un'azienda compatibile con i propri interessi». Per 20 settimane in una cittadina del sud dell'Inghilterra, dove ha svolto lo stage presso una charity, ha pagato 1250 euro, ma nel complesso «giudico quei mesi positivi». La richiesta di pagamento della quota che deve comunque aver scoraggiato i quasi 500 rinunciatari di cui si scopre l'esistenza nella relazione finale: sono più di un terzo degli 800 selezionati. Anche sul forum della Repubblica degli Stagisti i dubbi sulla validità del progetto non mancano: «L'organizzazione lascia molto a desiderare, nessun colloquio bensì solo alcuni documenti da compilare, cv, lettera di presentazione e videocv» scrive in un post una ragazza che si firma Fragolina. Gli fa eco Arciere87: «Io stesso ho avuto problemi, così come molti altri ragazzi che si sono trovati in seria difficoltà». Per ora il bando resta sospeso, «avendo esaurito i fondi a disposizione» precisano sul sito di Safari Job. In attesa forse che si facciano avanti altre centinaia di giovani disposti a pagare per un tirocinio all'estero. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani- Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?- Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino- Stage all'estero senza assicurazione sanitaria: le storie di chi ci è passato

Nestlé needs YOUth, Van Rompuy: «Iniziativa da cui trarre ispirazione». Il ministero: «Speriamo che altre aziende si uniscano»

10mila posti di lavoro e altri 10mila opportunità di stage, nei prossimi tre anni, senza per questo licenziare o prepensionare gli attuali dipendenti. Una iniziativa che la multinazionale Nestlé ha presentato lo scorso venerdì a Roma, in contemporanea con la Grecia, attraverso un dibattito da cui sono emersi spunti interessanti. La mattinata è stata aperta da Alessandra Del Boca, membro del Consiglio del Cnel, che ha fatto gli onori di casa: «Dico benvenuta a questa iniziativa che butta sul tappeto dei posti di lavoro e che permette ai ragazzi di avere una opportunità». A entrare nel dettaglio del progetto sono stati i supermanager della Nestlé. Prima Laurent Freixe, vicepresidente esecutivo di Nestlé e Zone Director per l’Europa, che in un messaggio video ha raccontato questa «iniziativa ambiziosa per aiutare i giovani a sviluppare le proprie competenze e a trovare un lavoro», ripercorrendo i passaggi di una «crisi finanziaria che si è trasformata in crisi economica, poi sociale, e infine in alcuni paesi anche politica». L'intenzione è quella di dare una mano ai governi nel gestire la drammatica situazione occupazionale dei giovani europei: «La politica ha un ruolo nel creare occupazione, ma il è il settore privato a fornire il più alto numero di posti di lavoro. Noi in Nestlé abbiamo una lunga tradizione nell'assumere giovani». Non ci saranno, ha aggiunto Freixe, solo le 20mila opportunità aperte all'interno del gruppo, ma anche un coinvolgimento capillare della rete dei fornitori e dell'indotto: «una “Alliance” che aprirà altre opportunità in vari settori, dalla logistica all'amministrazione».Subito dopo Leo Wencel, capo Mercato del gruppo in Italia, ha parlato di un «progetto che aiuterà i giovani di tutta Europa a sviluppare le proprie competenze e a trovare un lavoro» e ribadito che «le aziende creano occupazione in Europa e il loro contributo è essenziale. Oggi possiamo e dobbiamo fare di più per aiutare i giovani a trovare un lavoro».Spianando la strada al secondo (e ultimo) video messaggio della giornata, quello di Herman Van Rompuy: «Un giovane su quattro é disoccupato, malgrado a volte un'eccellente livello di istruzione» ha esordito il presidente del Consiglio Europeo. «Dove i governi possono aiutare le condizioni, le aziende possono aprire opportunità» ha continuato, riservando parole lusinghiere al progetto di Nestlé: «Sono ammirato, é la prima iniziativa così grande di cui vengo a conoscenza. Sarà utile per risollevare l'economia, e ispirerà anche noi».Giacomo Piantoni, direttore delle Risorse umane del gruppo in Italia [nella foto, a fianco di Wencel], ha spiegato come questa scelta aziendale si collochi nel perimetro delle azioni di responsabilità sociale dell'impresa: «L'iniziativa si interseca nel nostro progetto di csr, per creare valore nel tessuto sociale all'interno del quale l'azienda opera, al di là dei profitti per gli azionisti». Per una volta dunque viene messa da parte la rigida logica dei numeri: «I criteri su cui verranno valutati i risultati di questa iniziativa non saranno solo di profitto e redditività, bensì anche quelli relativi all'area della creazione del valore condiviso. Vogliamo dare un messaggio di speranza e di coraggio a tutti i giovani che stanno cercando lavoro in Italia».Ma come sarà strutturato in concreto questo progetto? Piantoni ha spiegato che le mille opportunità previste per l'Italia saranno suddivise in 600 stage e circa 450 assunzioni nelle aree di business. Più nel dettaglio, “Nestlé needs YOUth” sarà  suddiviso in quattro assi. Il primo: avvicinare il mondo del lavoro ai giovani, aprendo l'azienda ai giovani. Qui avranno spazio azioni come le visite nei siti produttivi, nelle sedi, nei magazzini; workshop su come si costruisce un cv. «Faremo parlare i nostri giovani, quelli che sono appena entrati in azienda, con i giovanissimi» ha raccontato Piantoni: «Intendiamo poi intensificare la presenza nelle job fairs e avviare partnership sempre più spinte con le università e le scuole secondarie; abbiamo già belle iniziative con Sanpellegrino campus, vogliamo moltiplicarle».Il secondo asse è quello degli stage e tirocini di qualità, in cui la filiale italiana già dimostra da anni un'attenzione particolare attraverso l'adesione al network della Repubblica degli Stagisti: «Aumenteremo di circa il 50% il numero degli stage, anche intensificando l'alternanza tra studio e lavoro». I tirocini non avranno luogo soltanto nelle sedi italiane del gruppo: «In questo ambito si pone l'iniziativa "solidarietà nord-sud": Nestlé ha 153 fabbriche, 18 centri di ricerca, 94mila dipendenti. Ovviamente, le opportunità maggiori si trovani nei Paesi del Nord. Dunque facendo network tra le filiali di Nestlé in Europa genereremo un risultato interessante».Terzo asse, le assunzioni nei business: «Malgrado la crisi, ci sono dei business che crescono. Per esempio Nespresso, Dolcegusto, Baci perugina, Antica gelateria del corso sono aree in espansione», e su quelli prevalentemente si concentreranno gli ingressi attraverso contratto. «Con questo progetto abbiamo proprio cambiato mentalità. Prima pensavamo che per affrontare il momento di difficoltà avremmo dovuto rimpicciolirci, ora pensiamo alla crisi come opportunità, stiamo pensando anche di fare insourcing di alcune attività importanti». Quarto e ultimo asse, il coinvolgimento degli stakeholders: «È importantissimo il ruolo del sindacato; e poi alcuni nostri fornitori hanno già chiesto di collaborare a questa iniziativa». Il sindacato infatti plaude compatto all'iniziativa ed è impaziente di mettersi al tavolo per stilare un accordo che regoli questa iniziativa. «Non mi stupisce che un progetto del genere venga da Nestlé, con cui le relazioni sindacali sono assolutamente consolidate» è il commento di Stefania Crogi, segretaria nazionale della Flai, ramo della Cgil che segue il settore dell'agroindustria: «L'azienda auspica un accordo quadro, e io penso che sia obbligatorio farlo: noi siamo pronti con la penna in mano per disciplinare questo bisogno di giovani che ha Nestlé». Sulla stessa linea Stefano Mantegazza, segretario generale Uila-Uil: «Il progetto è straordinario innanzitutto per la dimensione europea. Il mio auspicio è che il segnale sia raccolto dal nostro governo e Parlamento, perché anche qui si vuole uno choc nel rapporto tra università e impresa. Per troppo tempo abbiamo vissuto una cesura tra cultura e azienda, invece dobbiamo essere consapevoli che quest'ultima è un luogo dove si costruiscono persone, opportunità professionali, e si costruisce sapere». Mentre il rappresentante della Fai-Cisl, Fabrizio Scatà, ha posto l'accento sul valore sociale dell'iniziativa: «Plaudo all'iniziativa di Nestlé; è importante quando il privato dà un significato alla sua missione, che non sia solo di profitto ma anche di attenzione sociale. Il progetto si propone di non penalizzare gli attuali occupati, dunque ci sarà una implementazione dell'organico». Aprendo nel finale del suo intervento anche una riflessione sul ruolo del pubblico in questo contesto: «Le politiche attive del lavoro e del collocamento rappresentano un grande problema nel nostro Paese. Anche per questo i soldi pubblici dovrebbero essere dati solo alle aziende etiche, che rispettano i contratti di lavoro e rispettano il territorio e le persone».L'iniziativa di Nestlé insomma raccoglie molti complimenti. Ma c'è anche chi utilizza l'evento di presentazione per ricordare che un progetto singolo di una singola impresa, anche se con numeri significativi, non basta. «Sono scioccato positivamente da quello che ho visto e dalla filosofia che c'è dietro. Reagire in maniera proattiva e credendo al futuro è un messaggio di speranza» è la considerazione di Stefano Da Empoli dell'I-com, l'Istituto per la competitività, che ha allargato subito la sua analisi alle azioni che il governo dovrebbe mettere in atto: «Nel breve periodo si devono trovare le risorse per tagliare il carico fiscale almeno sui giovani», per fronteggiare quella che è una vera e propria «emergenza sociale». Ma attenzione: «Non si possono immaginare provvedimenti che riguardino solo 10, 20 o anche 100mila persone. Dunque la riduzione del cuneo fiscale è il primo obiettivo, ancor più che rivedere i contratti». Secondo Da Empoli, ricercatore all'università RomaTre, l'intervento dello Stato è improcrastinabile: «Le iniziative private come questa, pur notevolissima, non bastano. Ci vuole un intervento pubblico strutturale, per esempio per avvicinare i giovani alle aziende già durante la scuola superiore, sicuramente all'università» e ripensare la lunghezza degli studi: «In Italia ci si laurea non prima dei 25-26 anni, questo ci pone in ulteriore difficoltà».Ancor più focalizzato su questi temi l'intervento di Marco Oriolo, vicepresidente dei giovani imprenditori di Confindustria: «La disoccupazione è il non solo dramma del paese, ce ne sono molti altri: la troppa burocrazia, lo spreco di capitale umano. Ma non servono incentivi o bonus alle assunzioni per convincere una impresa ad assumere, questi sono solo palliativi: l'impresa assume se serve forza lavoro al suo business. Dunque la crescita é l'unica via: bisogna trovare il modo di incentivarla. C'è bisogno di una riduzione degli adempimenti burocratici, di flessibilità del lavoro in entrata e in uscita, di una semplificazione delle leggi sul lavoro. E poi ci vuole una riforma fiscale: per una tassazione più giusta non solo per le persone ma anche per le imprese». Oriolo ha ricordato che «su 100 euro che un'impresa guadagna, gliene rimangono 32, contro una media Ocse tra 55 e 65: una situazione che noi consideriamo quasi di confisca. Questo conta nel campo della competitività con le imprese straniere» e ha puntato anche il dito sulla scarsa comunicazione tra le agenzie formative e il tessuto imprenditoriale: «Bisogna lavorare sulla formazione dei giovani e su una maggiore relazione tra scuola e lavoro; sull'orientamento dei ragazzi, non solo per l'università ma anche per la scelta delle scuole superiori. Noi sosteniamo l'apprendistato e lo consideriamo un ottimo strumento, anche se bisogna ancora limare qualche vincolo: ma la transizione scuola lavoro nel nostro paese non funziona bene. Solo 3 giovani su cento affiancano esperienze di lavoro alla scuola: la media europea è al 13%, la virtuosa Germania è già al 22%». Insomma, secondo Oriolo il progetto “Nestlé needs YOUth” è interessante ma il punto focale è «mettere le imprese in grado di offrire naturalmente posti di lavoro, in modo che il processo di contrasto alla disoccupazione giovanile sia strutturale»: dunque «il modo migliore per dare opportunità ai giovani» non sta secondo Confindustria «nel fare iniziative riservate a questo target», e qui il riferimento esplicito è alla Youth Guarantee, bensì nel «sostenere la crescita e lo sviluppo delle imprese e delle start up».Le considerazioni di Oriolo vengono in parte contestate da Anna Laura Marini, vicedirettore della Direzione generale per l'istruzione e la formazione tecnica superiore del ministero dell'Istruzione, che nel suo intervento cita i tre regolamenti emanati nel 2010 che hanno riformato i licei e le scuole tecniche professionali: «Oggi non possiamo più dire che i programmi sono sbagliati, perché i programmi non ci sono più. Nei regolamenti c'è un soggetto nuovo, il "comitato tecnico scientifico" in cui ci dovrebbe stare anche l'impresa, per avere voce in capitolo su come quella scuola costruisce il proprio piano di studi».Dopo un intervento di Anna Ascani, 26enne parlamentare del Partito democratico eletta in Umbria - patria della Perugina, uno dei fiori all'occhiello del gruppo Nestlé - che ha ricordato come i giovani deputati rappresentino «non solo delle parti politiche ma anche una generazione all'interno del parlamento» e ha fatto un riferimento alla Youth Guarantee («Noi la chiamiamo l'Europa buona, non solo quella del fiscal compact. L'Europa ci mette a disposizione dell'Italia 1 miliardo e 200 milioni di euro: soldi che non vanno sprecati, bensì usati per incrementare il numero dei ragazzi che utilizzano i servizi pubblici al l'impiego»), a Daniele Fano - braccio destro del ministro Giovannini, assente giustificato per una influenza - è toccato il compito il compito chiudere l'evento. «Una volta il Friuli produceva l'80% delle sedie di tutto il mondo, oggi ne produce una frazione infinitesimale. La crisi in Italia pone una sfida aggiuntiva rispetto agli altri paesi: la sfida di rilanciare un modello che va reinventato» ha esordito il responsabile della segreteria tecnica del ministero del Lavoro: «Il ministro Giovannini, che è stato all'Istat e prima ancora all'Ocse, ama dimostrare che quelle imprese che si dimostrano attente ai temi sociali sono anche quelle che vanno meglio nel business. Mi metto il cappello di sindacalista e a Nestlé dico: aiutateci ancora di più, con i fornitori, con l'indotto». Richiesta prontamente afferrata da Leo Wencel: «Possiamo creare un'onda di collaborazione, questo sarà il frutto vero di questa operazione».Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- 20mila opportunità di stage e lavoro, Nestlé lancia un progetto europeo per l'occupazioneE anche:- Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro- Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee

20mila opportunità di stage e lavoro, Nestlé lancia un progetto europeo per l'occupazione

Se i numeri della disoccupazione giovanile in Italia sono spaventosi, peggiori solo di quelli di Grecia e Spagna, non è che il resto d'Europa sia immune dal problema. Con situazioni e intensità diverse, la grande crisi globale comporta per le nuove generazioni che si affacciano al mercato del lavoro in tutto il vecchio continente un ambiente generalmente ostile e povero di opportunità. Così si innesca un circolo vizioso: se la crisi avanza il business cala, il fatturato della maggior parte delle aziende si riduce, e di pari passo si ridimensiona la propensione di queste imprese ad investire in nuovi capitali, sopratutto umani. In questo modo cresce la disoccupazione e l'inoccupazione, circolano meno soldi, il mercato si contrae ulteriormente, e la spirale prosegue all'infinito, in un infinito ribasso.Alcune teorie economiche suggeriscono infatti in momenti di crisi di invertire la rotta. Investire, crescere, creare lavoro. Un comportamento anticiclico che funziona da antidoto, interrompendo il circolo vizioso e immettendo nuova linfa ai mercati.Il primo referente che viene chiamato in causa, in questi casi, è lo Stato. Ai governi si chiede di investire, di assumere, di lanciare grandi opere, di immaginare nuovi progetti che comportino la creazione di posti di lavoro. In Europa da ormai almeno un paio d'anni la grande polemica non a caso è quella tra i sostenitori dell'austerity a tutti i costi, con tagli spietati alla spesa pubblica, e quelli che invece chiedono che accanto al contenimento delle spese poco utili vi siano anche investimenti che possano far ripartire le imprese, l'economia, e dunque anche il mercato del lavoro.Ciò non toglie che anche il settore privato possa fare la sua parte. E oggi una delle più grandi multinazionali esistenti al mondo, la svizzera Nestlé, annuncia l'avvio di un piano in questo senso. Un progetto su larga scala che coinvolge tutte le filiali europee dell'azienda ed è mirato a creare 20mila nuove posizioni professionali per giovani di tutta Europa nel triennio 2014-2016: solo per l'Italia si tratterà di oltre mille opportunità a partire dall'anno prossimo.Nestlé in Italia già da anni dimostra con i fatti la sua attenzione ai giovani e al tema dell'occupazione giovanile. Aderisce infatti fin dal suo avvio, nel 2009, all'iniziativa Bollino OK Stage, impegnandosi a rispettare i principi della Carta dei diritti dello stagista.Questo progetto europeo si inscrive nella stessa logica di responsabilità sociale di impresa, con una portata enormemente più vasta e con una consapevolezza che spesso chi si occupa di mercato del lavoro sottovaluta: che investire in maniera anticiclica porta un grande vantaggio all'investitore nel medio-lungo periodo. Anche il titolo dell'iniziativa, «Nestlé needs YOUth», ricalca questo convincimento: che questi 20mila posti in tutta Europa, che nei prossimi tre anni verranno occupati da giovani capaci e intraprendenti, non siano una "carità" che l'azienda fa ai poveri giovani europe, bensì un investimento - il migliore che un'azienda possa fare - sul proprio futuro. Una strategia che Nestlé mette in campo sfruttando anche la sua "multinazionalità", e dunque aprendo nelle sedi nei Paesi meno colpiti dalla crisi opportunità di formazione e di lavoro per i giovani provenienti dai Paesi dove le condizioni economiche sono peggiori. Under 30 che avranno dunque il doppio vantaggio di accedere a un'opportunità, tanto più preziosa quanto è grave il periodo di crisi, e di poter fare un'esperienza all'estero. «Come parte integrante del progetto è inoltre previsto un selezionato gruppo di posizioni specificamente pensate per offrire ai giovani dell’Europa meridionale, l’area più colpita dal fenomeno» spiega l'azienda in una nota «la possibilità di vivere preziose esperienze lavorative all’estero – in Svizzera, Francia, Germania, Austria, Paesi Nordici e Regno Unito». L'iniziativa viene presentata oggi ad Atene e in contemporanea anche a Roma, alla sede del Cnel, attraverso una tavola rotonda con un parterre d'eccezione: il direttore centrale dell'Istat Linda Laura Sabbadini, il vicepresidente dei Giovani di Confindustria Marco Oriolo, una folta rappresentanza di sindacalisti. In prima linea a raccontare il progetto anche i grandi capi di Nestlé: da Atene Laurent Freixe, vicepresidente esecutivo di Nestlé e Zone Director per l’Europa, in videocollegamento insieme al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy; e a Roma a Leo Wencel e Giacomo Piantoni, rispettivamente capo Mercato e direttore Risorse umane del Gruppo Nestlé in Italia.Il progetto appare talmente incisivo, e unico nel suo genere, da meritarsi la partecipazione del capo della segreteria tecnica del ministro del Lavoro Enrico Giovannini, Daniele Fano. Perché oltre ai posti che Nestlé aprirà al suo interno l'obiettivo è quello di creare una catena positiva, un circolo virtuoso che coinvolga le migliaia e migliaia di aziende che gravitano intorno a Nestlé: collaboratori, fornitori, rivenditori. Una rete enorme: 63mila realtà produttive a livello europeo che verranno invitate «a prendere parte al progetto Nestlé needs YOUth offrendo opportunità di lavoro, tirocinio e stage ai giovani». Un programma parallelo con una sua denominazione specifica: «Alliance for Youth».L'idea di fondo è che se qualcuno ci mette del suo, e investe invece che ritirarsi nel suo orticello, e offre opportunità e getta il cuore oltre l'ostacolo, la strada per superare finalmente questa crisi sarà più breve e meno accidentata. Nestlé impartisce oggi un segnale forte al suo gruppo dei pari, le grandi aziende europee: non basta vantarsi, sui propri siti o alle fiere del lavoro o nei convegni, di essere buoni e belli ed eticamente responsabili, di cercare talenti e offrire ottime opportunità di formazione e di carriera. In un momento come questo, con i tassi di disoccupazione a cifra doppia, le parole non bastano più. Ci vogliono i fatti. E sta ai big dell'economia e dell'impresa dare il buon esempio. Con i fatti. Con i posti di stage e di lavoro. Con le opportunità di occupazione e di reddito. Per cambiare marcia una volta per tutte. Non resta che vedere se qualche grande impresa si lascerà ispirare, e sceglierà di spingere l'acceleratore sull'inserimento di giovani in organico.Per saperne di più su questo argomento:- Paese che vai, stage che trovi: maxi report della Commissione europea