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Come le piattaforme cambiano le nostre vite? Incontro con Ivana Pais della Cattolica e Corena Pezzella di UnoBravo

Grazie alle nove tecnologie, oggi la nostra vita si svolge in maniera ibrida: una parte è offline, in presenza, così come siamo ormai abituati a dire attuando un gergo aziendale. Parte della nostra vita invece la passiamo online: e quando siamo connessi ma non è solo per svago, come quando si compulsano video di gattini sui social network; né strettamente per studio o lavoro, come per esempio quando si segue una lezione o si sostiene un esame universitario da remoto.A volte online facciamo vere proprie “cose”: attività che prima dell’avvento del web si facevano uscendo di casa e andando in un negozio, in un ufficio. L'esempio più classico è quello delle vacanze: oggi per prenotarle quasi più nessuno va in un’agenzia di viaggi. Ci sono Booking, TripAdvisor, Airbnb e tutte le altre piattaforme che permettono di affittare una camera d’albergo, un intero appartamento, a volte in strutture turistiche ufficiali, a volte da privati. Questo vale per tutto tutti gli aspetti della nostra vita: ordinare il cibo al ristorante, prenotare una visita medica, giocare il torneo di burraco, perfino vendere quei vestiti che non ci stanno più. Come le piattaforme digitali hanno trasformato le nostre vite è il tema a cui è dedicato il nuovo appuntamento live del podcast della Repubblica degli Stagisti, per un episodio che registriamo nel pomeriggio di martedì 6 giugno nello studio multimediale Malinverni dell’università cattolica.Le ospiti di questo appuntamento sono Ivana Pais, professoressa ordinaria di Sociologia dei processi economici e del lavoro alla facoltà di Economia proprio dell'università Cattolica e grande esperta del lavoro di piattaforma, e Corena Pezzella, HR manaher di UnoBravo, una start-up nata solo quattro anni fa che ha già ottenuto grandi risultati nel suo obiettivo: sdoganare il supporto alla salute mentale, rendendo possibile andare dallo psicologo online. Con la sua rete di oltre 3mila terapeuti iscritti all’ordine che ricevono online proprio attraverso la piattaforma, e a prezzi più accessibili della media, UnoBravo è un servizio che si rivolge soprattutto ai giovani, per smontare l’idea comune che per andare dallo psicologo – lo “strizzacervelli” – si debbano avere problemi psicologici enormi. La realtà è molto diversa, e un supporto psicologico può semplicemente servire a ritrovare il proprio benessere, a superare un momento di crisi, a lasciarsi alle spalle un pattern di comportamento che genera infelicità.Con Ivana Pais affronteremo anche il grande dilemma del lavoro sulla piattaforma: perché per quanto effettivamente le piattaforme abbiano regalato delle opportunità prima inesistenti, come per esempio a tutti i piccoli proprietari immobiliari la possibilità di fare affitti brevi con i propri appartamenti e quindi guadagnare da un’attività para-turistica senza però dover essere albergatori di professione, dall’altra proprio all'interno delle piattaforme è cresciuta la cosiddetta Gig economy. Molti dei lavoratori deelle piattaforma – l’esempio classico è quello dei rider che consegnano il cibo a domicilio – che soffrono condizioni di lavoro spesso povere, con pochissimi diritti, inquadramenti contrattuali fantasiosi, pagamenti pressoché a cottimo, e con salari molto bassi. Con Ivana Pais e Corinna Pezzella l'obiettivo sarà quello di guardare le luci e le ombre delle piattaforme, e anche capire come i servizi su piattaforma possano avere anche il un obiettivo sociale – come, nel caso di UnoBravo, quello di eliminare lo stigma in tema di salute mentale. L’appuntamento è per martedì 6 giugno alle 17 nella storica della Cattolica di Milano in sede di via Sant’Agnese.

Tirocini in ambasciata, indennità ancora solo a 300 euro. Quartapelle: «Lavoriamo per aumentarla»

La buona notizia è che i tirocini ex Mae Crui, oggi, Maeci-Mur-Crui, sono tornati in pianta stabile dopo la brusca interruzione del 2012 e il ripristino tre anni dopo, nel 2015. Le candidature per i 329 posti di questa edizione sono aperte dallo scorso 22 maggio e chiuderanno il 16 giugno. La notizia meno buona è che il rimborso spese – che adesso finalmente c'è – è di quelli che però non risolvono propriamente il problema del sostentamento di un giovane che si va a formare in una sede diplomatica estera: l'ammontare è infatti di soli 300 euro mensili. La cancellazione di uno dei programmi europei più ambiti dagli studenti era avvenuta senza preavviso, proprio all'indomani dell'introduzione della norma che aboliva gli stage extracurriculari a titolo gratuito (qui il racconto della vicenda). Salvo poi tornare, con l'importante novità dell'introduzione di un emolumento di importo pari a 300 euro.Una cifra troppo piccola – soprattutto oggi, con un generale aumento dei prezzi. E certo non all'altezza di un tirocinio prestigioso che si svolge in ambasciate, consolati e istituti di cultura di tutto il mondo. Va detto però che alcune sedi – una manciata del totale – offrono a chi viene selezionato alloggio gratuito all'interno delle proprie strutture. È il caso, per questo bando ad esempio, dell'ambasciata di Sofia, di Stoccolma, dell'Istituto italiano di Bucarest e poche altre. Pochissime insomma, rispetto alle oltre duecento che ospiteranno tirocinanti che invece dovranno provvedere in autonomia alla propria sistemazione. Di novità sul tema dell'indennità nel breve periodo non se ne prevedono. «Avevamo intenzione di intervenire sulla questione nella precedente legge di Bilancio, prima che cadesse il governo Draghi» spiega alla Repubblica degli Stagisti la deputata del Pd Lia Quartapelle, vicepresidente della commissione Esteri e fautrice della “resurrezione” del programma di tirocini dopo la sua soppressione. «Adesso che siamo all'opposizione quello che possiamo fare è prenderci l'impegno di lavorare affinché il rimborso spese aumenti», prosegue. Obiettivo «quello di adeguarlo alla migliore legge che abbiamo in circolazione sui rimborsi spese da riconoscere ai tirocini, che è il Lazio», che prevede appunto 800 euro lordi. Più che un raddoppio insomma, che renderebbe maggiormente equa l'opportunità, preclusa a chi non può permettersi di sostenere le spese di un soggiorno all'estero della durata di tre mesi. Nel caso del bando attuale, nel periodo 18 settembre - 15 dicembre. I tempi non saranno brevi: «Intanto potremo procedere con una interrogazione parlamentare» spiega Quartapelle «per poi puntare a introdurre le novità nella prossima legge di Bilancio di fine anno». Non sarà facile però, «perché sulla questione non ci sono stati più interventi negli ultimi otto anni». Bisognerà dunque ricominciare da capo e, per il momento, senza interlocutori nella maggioranza. Vero è che esiste anche una seconda modalità di tirocinio, che è quella a distanza. Per questi casi non vi saranno spese di sostentamento extra e perciò non è neppure previsto un rimborso spese, come spiega il bando. Per questa tornata gli stage da remoto saranno ben venti, anche per città europee non distanti come Lisbona e il Portogallo. «Un tipo di organizzazione che è rimasta post Covid» dice la parlamentare «ma che fa perdere di senso all'esperienza, che è quella di sperimentare la vita di una sede diplomatica». Un secondo passo necessario sarebbe quello di reintrodurre i tirocini Maeci-Mur-Crui «anche per i neolaureati, entro un anno dalla laurea». Come del resto era un tempo, prima della decisione di sospenderli. Meno stringente invece, secondo la deputata, la necessità di aumentare i posti disponibili, che ai tempi del Mae-Crui – quando non c'era alcun rimborso – arrivavano a 1800 all'anno. «Se l'obiettivo che vogliamo ottenere in prima battuta è l'aumento dell'indennità, per il traguardo dei maggiori posti disponibili dovremo aspettare». Eppure, pur con indennità così esigua, questi tirocini risultano tra i più ambiti tra gli universitari. Nell'edizione precedente, quella di gennaio 2023 (le tornate sono tre all'anno), le posizioni offerte erano 308 e «le candidature totali sono state 1.574» fa sapere Mario Santamaria dell'ufficio stampa della Fondazione Crui: «I selezionati solo 262». Una domanda elevata di partecipazione, che si conferma con numeri simili anche nelle precedenti selezioni. La selezione è a sua volta serrata, perché i requisiti si basano soprattutto sul curriculum universitario. In particolare è richiesta, oltre alla frequenza di un determinato corso di laurea, l'aver acquisito almeno 60 crediti formativi per le lauree specialistiche e 230 per quelle a ciclo unico. La lista delle facoltà ammesse insieme a quella degli atenei partecipanti è nel bando. Serve poi la conoscenza dell'inglese (livello B2) e una media agli esami non inferiore a 27/30. L'età non deve superare i 29 anni. Come raccontano sul sito alcuni ex stagisti, superare la selezione è un passo che può fare da trampolino di lancio per gli studenti interessati a un percorso di carriera nella diplomazia internazionale. Che potrebbero diventare di più se si realizzerà la promessa di un rimborso più elevato, e di una estensione dei posti anche a chi si è già laureato. Ilaria Mariotti

I giovani hanno capito che “salvarsi da soli” non funziona: bisogna farsi sentire in maniera collettiva

Oggi in Italia ci sono cinque milioni e 800mila giovani tra i 15 e i 24 anni, più un milione e 200mila giovani adulti tra i 25 e la soglia dei trent'anni. Il numero assoluto nel nostro Paese è in costante contrazione: secondo gli ultimi dati Istat i nuovi nati nel 2022 sono stati meno di 393mila, mentre 15 anni fa, nel 2008, erano stati 576mila. I giovani nell'Italia di oggi dunque sono sempre meno, e sopratutto contano sempre meno: la loro voce è sempre meno ascoltata. Come si può invertire la rotta?A parlarne con Eleonora Voltolina, in questo episodio del podcast della Repubblica degli Stagisti registrato live all'università Cattolica di Milano, c'è Alessandro Rosina, docente di Demografia e coordinatore scientifico dell'Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo, che ormai da oltre un decennio redige il Rapporto Giovani – a oggi la più estesa ricerca italiana sulla condizione giovanile. Rosina è anche autore, con Elisabetta Ambrosi, del libro Non è un paese per giovani con sottotitolo: “L’anomalia italiana: una generazione senza voce”.«C'è una discrasia tra i giovani e il mercato del lavoro» dice Rosina: e, più nel complesso, «tra nuove generazioni e sistema Paese». Per questo l'Italia «ha visto incepparsi quei meccanismi che consentono di produrre benessere attraverso le novità che le nuove generazioni portano». Ma se non viene fatto spazio ai giovani, se non si abbraccia l'innovazione che essi portano, si va inevitabilmente verso un «progressivo declino». La brutta notizia è che le generazioni dei giovani di oggi si trovano ad affrontare gli stessi identici problemi di quelle di 15 anni fa: e le grandi recessioni degli ultimi anni hanno «ulteriormente accentuato» le iniquità. Ma come si fa a farsi sentire come generazione, a lasciare la propria impronta? «La generazione Z è più pragmatica: vive in un contesto in cui ci sono condizioni di incertezza che riguardano il proprio presente e la propria condizione anche collettiva, e quindi c'è una voglia di protagonismo e di farsi sentire assieme agli altri» riflette Rosina. I giovani di oggi hanno finalmente acquisito quella consapevolezza «che non si può cambiare da soli» che ai loro fratelli maggiori – i Millennials – mancava. «Hanno voglia di sperimentarsi come soggetti attivi che producono cambiamento, e di inserire la propria visione della realtà, del mondo e del futuro in questo cambiamento. E stanno cercando modalità per poterlo realizzare»: ecco perché scendono in piazza anche in maniera tradizionale, oltre a portare avanti forme di protesta sui social. Ambiente e diritti per i giovani di oggi sono temi importanti, che «questa generazione sente in maniera molto forte e che pone nel dibattito pubblico». Anche se per «trasformare il Paese» in modo che «fornisca reali opportunità», secondo Rosina bisognerebbe che i giovani si occupassero anche di altri temi, più complessi e forse meno attraenti, come la dispersione scolastica ancora troppo elevata, la cinghia di trasmissione tra scuola e lavoro, l'inefficienza dei centri per l'impiego, i Neet, il degiovanimento e gli squilibri demografici: «Tutti questi temi non sono ben conosciuti né affrontati dai giovani: questo rischia di essere una fragilità» e può portare «a una scarsa capacità poi di incidere veramente».«Anche se si riuscisse a incidere su temi importantissimi come quelli dell'ambiente e dei diritti», ribadisce il professore, è anche fondamentale «la questione dei diritti sociali, delle opportunità, e della possibilità di consentire alle nuove generazioni di diventare soggetti che producono benessere nel territorio in cui vivono» anziché restare «relegate ai margini».I giovani che vivono nell'Italia di oggi sono comunque resilienti: «Nonostante le difficoltà, c'è sempre forte – e non è minore rispetto ai coetanei degli altri Paesi – un'energia positiva: cioè la voglia di esercitare un proprio protagonismo positivo».Rosina è anche uno dei massimi esperti italiani del fenomeno dei Neet, di cui l'Italia ha il triste primato: complessivamente più di tre milioni, con un tasso pari al 25,1%. In Italia cioè un giovane su quattro non lavora, non studia e non è inserita/o in percorsi di formazione. Peggio dell'Italia, in Europa, fanno solo Turchia (33,6%), Montenegro (28,6%) e Macedonia (27,6%).Va sottolineato peraltro che mentre nel contesto europeo la categoria Neet comprende le persone tra i 15 e i 24 anni non inserite in percorsi di formazione o di lavoro, in Italia invece, a causa della fragilità del mercato del lavoro nazionale, la fascia d’età si estende fino ai 29 e talvolta addirittura i 34 anni. I Neet sono secondo Rosina una cartina di tornasole di quanto un Paese non sia in grado di valorizzare i propri giovani, e in Italia «è un vero e proprio paradosso: abbiamo meno giovani, e li sprechiamo di più».In chiusura di puntata, Alessandro Rosina risponde alle domande e sollecitazioni del pubblico: in particolare di Mel, giovane studentessa e militante dell'associazione non profit Culturit indecisa se restare in Italia o andare all'estero, e di Sara, allieva della scuola di giornalismo dell'università Cattolica che lo interroga sulla dicotomia tra le metropoli – che ancora molto spesso attirano i giovani – e le realtà locali.E per sapere qual è il libro del cuore scelto da Alessandro Rosina come consiglio di lettura, e tutto il resto della conversazione, non resta che ascoltare l'episodio!

A chi possono rivolgersi i giovani per trovare lavoro? Il 25 maggio il podcast live di RdS all'università Cattolica

E adesso, che faccio? Come trovo un lavoro? È la domanda che molti giovani si pongono quando stanno finendo di studiare, o hanno appena finito. Il senso di spaesamento e la sensazione di doversi arrangiare da soli, senza nessun supporto, spesso è deprimente: capita che questo faccia perdere tempo, e che si finisca in trappole e vicoli ciechi. Ma esistono alcuni uffici, sia nelle università sia fuori, che offrono servizi gratuiti proprio per accompagnare le persone nella transizione dalla formazione al lavoro, e permettere loro di trovare nel minor tempo possibile una buona opportunità di inserimento. Questi uffici però purtroppo sono spesso misconosciuti, oppure vengono utilizzati solo nel momento in cui più urgentemente servono.Nella puntata del podcast della Repubblica degli Stagisti che verrà registrata live all’università Cattolica di Milano nella mattinata di giovedì 25 maggio si parlerà proprio di questo argomento, con due guide di grande competenza: Giovanni Castiglioni, Academic Career Officer presso il Servizio Stage & Placement della Cattolica, e Francesco Maresca, responsabile del Settore Lavoro della Provincia di Varese.All'interno del Servizio Stage & Placement, Castiglioni segue le attività di orientamento al lavoro rivolte a studenti e laureati; è stato anche per cinque anni tutor di tirocinio per il corso di laurea in "Lavoro e direzione d'impresa", ed è un vero e proprio appassionato del tema dato che ha anche dedicato la tesi del suo dottorato di ricerca in Sociologia e Metodologia della ricerca sociale proprio ai metodi e agli strumenti per l'analisi dei fabbisogni professionali. Maresca invece, prima di essere chiamato a dirigere il Settore Lavoro della Provincia di Varese, è stato per quasi vent'anni responsabile del centro per l'impiego di Gallarate: un'esperienza professionale che gli ha permesso di conoscere a fondo i meccanismi del mercato del lavoro lombardo, e le politiche attive del lavoro messe in campo dalla Regione Lombardia. Tra le attività più recenti, Maresca ha coordinato un report per analizzare a livello provinciale il bisogno formativo del territorio, e ha lavorato a un accordo con l’Ufficio scolastico territoriale per organizzare l’orientamento scolastico.Con Giovanni Castiglioni e Francesco Maresca esploreremo le varie possibilità che vengono offerte a chi cerca un lavoro, che sia uno studente universitario oppure no: le attività di orientamento e formazione, il supporto nella ricerca e nell'attivazione di un tirocinio, oppure di un vero e proprio contratto di lavoro, le opportunità per conoscere il quadro normativo di riferimento; e ancora, il matching tra domanda e offerta di lavoro, le competenze più richieste per territorio e per settore di attività. Insomma, come gli uffici stage&placement universitari e i centri per l'impiego pubblici aiutano concretamente i giovani a trovare una strada di ingresso nel mondo del lavoro.Giovedì 25 maggio la registrazione, nella sede storica di via Sant'Agnese 2: appuntamento, per chi volesse assistere al live della puntata e dibattere con gli ospiti, alle ore 11:15 nello studio multimediale “aula Malinverni”.

Nestlé e le dodici assunzioni al buio: investire sul futuro reclutando in modo innovativo

A novembre 2022 sono entrati in Nestlé – da sempre una delle aziende virtuose dell'RdS network – dodici nuovi dipendenti. Niente di nuovo, potrebbe sembrare, considerando che si tratta di una multinazionale che solo in Italia occupa 4mila persone. Ma qualcosa di nuovo in queste dodici assunzioni invece c’è. Perché il canale attraverso cui i neoassunti sono stati reclutati è diverso dal solito: Nestlé ha scelto di usare le “candidature al buio” di Just Knock, e i risultati sono stati talmente buoni che, dalle sei-otto assunzioni inizialmente previste, alla fine gli assunti sono stati appunto dodici. Quattro persone in più che l'azienda, semplicemente, non poteva «lasciare andare». Le nuove risorse sono state inserite all’interno del Global IT Hub di Nestlé. Si tratta di una struttura giovane, creata solo quattro anni fa all’interno dell’headquarter italiano di Nestlé «con l'obiettivo di portare alla nostra sede di Assago 150 professionisti informatici che forniscano strategia e governance IT a tutte le location di Nestlé nel mondo» spiega Maria Teresa Sangineti, che di questo Hub è manager, oltre che senior HR business partner in Nestlé.Per i primi tre anni le selezioni per costruire il team si sono concentrate su profili senior. Una volta che il gruppo di lavoro è stato solido, «ci siamo detti: adesso possiamo investire sul futuro» racconta Sangineti: all’inizio «timidamente qualche stage», poi la decisione di mettere in piedi un progetto più ambizioso, «un graduate program di 24 mesi con un percorso formativo ad hoc che prevede ogni mese anche alcune ore di formazione su temi diversi dall’IT: comunicazione, coaching, soft skills».Come detto, inizialmente il graduate program era pensato per sei, al massimo otto giovani under 30. «Per questo progetto ho pensato subito di reclutare in modo innovativo» aggiunge Laura Perla, Talent acquisition manager di Nestlé Italia [nella foto a sinistra] «perché è sempre bello continuare a sperimentare!». La novità in questo caso è consistita nell’affidare la ricerca dei candidati a Just Knock, «che ci aveva già incuriosito: avevamo provato il loro servizio per alcune selezioni di stage» prosegue Perla: «Si tratta di una startup di ragazze con un approccio innovativo. Sono molto attivi lato social, su LinkedIn e Instagram, e quindi catturano bene il target dei profili più giovani».L’innovazione di Just Knock, fondata da Marianna Poletti nel 2016, è quella di realizzare le selezioni con una modalità definita “al buio”, con l’obiettivo di «mettere la meritocrazia al centro» e «valorizzare il talento delle persone», spiegano sui loro profili social. Come? «Permettendo ai candidati di proporsi alle aziende inviando un progetto basato su una propria idea, invece di un asettico e noioso cv col quale spesso non si riesce ad emergere».Nestlé ha quindi messo a punto una “challenge”, una sfida, adatta a raccogliere le candidature. All’annuncio infatti si risponde, secondo la prassi di Just Knock, non col cv bensì presentando una propria risposta alla challenge, e su quello si viene valutati in primis. Lato candidati ciò vuol dire elaborare un progettino con la soluzione a un progetto concreto. Sangineti fa un esempio: “Stiamo rivedendo la versione 4.27 di Teams, devi presentarla ai tuoi colleghi per fare in modo che la adottino e abbandonino quella precedente, qual è il piano di adoption che promuovi nell'Hub?”. «Quindi le challenge si basano proprio su elementi di potenziale lavoro del futuro».Questa modalità evita che alcuni siano scartati a priori sulla carta, magari in base a una laurea “debole” o comunque non perfettamente in linea con i requisiti iniziali posti dall’azienda; anche se poi qualche requisito base ovviamente viene messo, come in questo caso la conoscenza dell’inglese, essenziale in un ambiente di lavoro come quello dell’Hub dove sono presenti ben ventisei diverse nazionalità. «La sfida per noi è stata sulle lauree» conferma Laura Perla: per esempio tra i dodici «abbiamo preso una ragazza laureata in Psicologia», anche se l’indicazione di una preferenza per candidati con background Stem c’era: «Siamo rimasti aperti» spiega Perla «perché ci siamo fatti conquistare prima dalla challenge. In una selezione normale probabilmente saremmo partiti dal cv e, attenendoci solo al prerequisito, l’avremmo messa in riserva. E invece…» «…Hanno iniziato da sette mesi e quella persona in particolare è tra quelle che hanno le valutazioni più alte!» sorride Maria Teresa Sangineti.Ogni candidato aveva a disposizione un certo numero di pagine di una presentazione PowerPoint: «Qualcuno ha preparato solo la prima pagina, ha fatto l'analisi del problema e lì si è fermato. Ha mandato poi un cv fantastico: ma è stato scartato, perché altri in tre pagine avevano fatto l'analisi del problema, la possibile soluzione, l'analisi dei costi, l'eventuale impatto» spiega ancora Sangineti [nella foto a destra]: «Qualcuno è andato addirittura oltre, proponendo di fare un’analisi a un anno dall'applicazione della proposta, valutare la costumer experience, fare una survey, definire già un meeting per definire i next step. Ben oltre la challenge che noi avevamo dato!». Quella persona così proattiva, «salvo conferma dopo l’assessment», era proprio il genere di candidatura che Nestlé andava cercando: e infatti l’ha assunta.Ovviamente, anche in questo percorso di selezione al buio a un certo punto la luce viene accesa. Sulle 52 candidature pervenute Just Knock ha effettuato un prescreening, inviandone poi ventidue a Nestlé con i ppt di challenge e – solo in un secondo momento – i cv. Tutti e ventidue i preselezionati sono stati invitati a un assessment: «È stato bello averli fisicamente qui» dice Maria Teresa Sangineti: divisi in due segmenti, hanno partecipato a esercizi in gruppo «perché una delle capacità che volevamo analizzare era quella di lavorare insieme» e poi hanno fatto interviste individuali, con la presenza dei line manager, «fondamentale», in entrambe queste fasi.Risultato: oltre la metà dei partecipanti ha ricevuto la proposta di lavoro. E per una volta tanto, nessuna sorpresa rispetto all’inquadramento contrattuale e allo stipendio: «Contratto di apprendistato con una retribuzione annua lorda iniziale di 30mila euro» conferma Laura Perla: «Just Knock di default chiede di specificare fin dall’annuncio questi dettagli», in un’ottica di trasparenza identica a quella che Repubblica degli Stagisti da sempre adotta qui per gli annunci di stage e di lavoro: «il che mi sembra assolutamente corretto», riflette l'HR manager, anticipando l’intenzione di Nestlé di adottare questa policy, «nel giro di tre anni, su tutte le posizioni».«Peraltro c’è un programma di crescita definito a priori» per i partecipanti di questo graduate program, aggiunge Maria Teresa Sangineti, «indipendentemente dalle performance. Sanno che sono entrati con un livello contrattuale e usciranno con un livello contrattuale più alto, e con un salario più alto; ad ogni rotazione avranno tutti lo stesso incremento salariale, fatto salvo l'ultimo che sarà differenziato per performance».Per i dodici apprendisti che hanno “semplicemente bussato” con le loro idee alla porta di Nestlé, e si sono visti aprire la porta, c’è anche in vista nei prossimi mesi «una visita in fabbrica» e «altri momenti che permetteranno loro di uscire dal loro spazio specifico»: per esempio, «a metà giugno ci sarà qui il leadership mondo di IT e loro avranno un'ora dedicata per parlare di quel che stanno facendo».«Non si interfacceranno solo col mondo IT, ma vedranno anche persone degli altri business, come per esempio chi fa marketing di prodotto nel largo consumo: questo è un valore», sottolinea Perla, dato che i profili IT a volte sono un po’ chiusi nel loro mondo a parte: «Gli daremo l'opportunità di creare un network».In generale, la soddisfazione rispetto a ogni selezione che viene conclusa è quella di riuscire «a mettere le persone giuste al posto giusto» conclude Laura Perla: «La scelta è da tutte e due le parti, e oggi è ancora più vero: sono più i candidati a scegliere noi che non noi a scegliere i candidati! Sopratutto per le posizioni in ambito Stem stiamo assistendo a un’inversione». Chi ha competenze «molto analitiche» riceve numerose offerte di lavoro e può scegliere anche in base a una comunanza valoriale con l’azienda. «E questo è fondamentale sopratutto quando sei junior, perché poi crescerai con l’azienda: e quindi è bene che ci sia un’unione di valori».

La vergogna dei tirocini gratis all'Onu, l’Assemblea: “bisogna pagarli”. Ma poi rimanda al 2025

Non è giusto non pagare gli stagisti: ora lo ammette anche l’Onu, e promette di voler cambiare la sua policy ed eliminare la gratuità. Ma pagare gli stagisti costa: e quindi meglio rimandare, e sgraffignare altri due anni (almeno) di tirocini gratis.Poche settimane fa, a fine marzo, il presidente della Quinta Commissione delle Nazioni Unite Philippe Kridelka ha chiuso – dopo 16 ore di negoziazione – l'incontro dicendo ai presenti “Dovete essere orgogliosi del vostro lavoro”. La commissione, che si occupa di questioni  amministrative e di bilancio ed è una delle sei più importanti dell’Onu, è riuscita per la prima  volta in sei anni a trovare un accordo sulla necessità di introdurre delle linee guida per la gestione  delle risorse umane. All'ordine del giorno una pluralità di argomenti: dalla  selezione di nuovo personale, per ringiovanirlo, all’abbattimento delle discriminazioni, fino al tema dei tirocini. O meglio, dello scandalo – denunciato da oltre un decennio  anche dalla Repubblica degli Stagisti – della loro gratuità.A metà aprile la risoluzione è stata approvata dall’Assemblea e ora il Segretariato generale ha una guida da utilizzare per il reclutamento che nel corso dei prossimi due anni sarà ulteriormente aggiornata.  «Non potremmo essere più felici» è il commento apparso sulla pagina Linkedin della Fair Internship Initiative movimento di stagisti e giovani professionisti delle Nazioni Unite nato nel 2015 con l’obiettivo di chiedere tirocini pagati e di qualità, e che da allora raccoglie dati sugli stage all’interno degli uffici Onu, diffonde informazioni e organizza varie attività di  sensibilizzazione istituzionale su questo tema. Il motivo della felicità è che la risoluzione contiene «una serie di paragrafi che invitano la Segreteria a formulare proposte per l’erogazione di rimborsi spese ai tirocinanti». Il problema è la tempistica. Perché questa decisione di introdurre l’obbligo di una indennità non è immediatamente operativa. A dir la verità non è nemmeno a un orizzonte vicino: tutto è rimandato addirittura al 2025. Bisognerà che vengano formulate proposte da presentare al comitato di bilancio delle Nazioni Unite nella sessione, appunto, prevista per marzo 2025: solo allora «gli Stati membri saranno in grado di prendere una decisione definitiva sul  pagamento dei tirocinanti». Per i prossimi ventiquattro mesi – almeno – i tirocinanti Onu, a partire da quelli che fanno esperienza al celebre Palazzo di Vetro nel cuore di New York, città dove il costo della vita è altissimo, dovranno quindi ancora pagarsi tutte le spese di tasca propria. Mentre i funzionari Onu guadagnano cifre da capogiro. «Per i prossimi due anni non ci sarà nessun cambiamento nella politica per il  Segretariato dell’Onu, che ha chiesto e ottenuto un anno di rinvio sulla scadenza per  fornire i report richiesti sui tirocini» conferma alla Repubblica degli Stagisti un portavoce della Fair Internship Initiative: «Questo non significa, però, che non ci saranno modifiche minori nelle aree non regolamentate nell’istruzione amministrativa, relative a sconti, linee guida per i supervisori e altri miglioramenti qualitativi nell’esperienza di stage. Queste tematiche, infatti, non  richiedono modifiche formali della policy. Sarà però necessario il sostegno dei gruppi di tirocinanti sul posto di lavoro, cosa che al momento stiamo cercando di fare».  Ma perché mai la Quinta Commissione non ha approvato un documento dicendo semplicemente che d’ora in poi gli  stagisti Onu dovranno essere pagati, facendo poi partire le opportune procedure per attuare la  disposizione? Perché rimandare a nuove riunioni addirittura per  i prossimi due anni? In effetti «il Segretariato delle Nazioni Unite avrebbe potuto proporre alla commissione, nel corso dell’ultima sessione, un pacchetto di riforme che avrebbe permesso una modifica immediata» spiegano dalla Fair Internship Initiative. «Non lo hanno fatto e hanno preferito mantenere una posizione passiva, aspettando che gli Stati membri formulassero una richiesta. Questo perché l’introduzione delle borse di studio ha implicazioni finanziarie e la Quinta Commissione ha dovuto prima chiedere al Segretariato di presentare proposte per il loro esame. La scadenza iniziale era nel 2024 ma ha chiesto e ottenuto un rinvio di un anno del termine. Quindi dovremo aspettare, appunto, il 2025». Pagare finalmente gli stagisti costerebbe (o meglio, si spera: costerà) circa 10 milioni di dollari l’anno, secondo le stime di FII. Non certo una enormità: solo lo 0,003 per cento del budget regolare delle Nazioni Unite.   Le proposte dovranno essere esaminate dal comitato consultivo per le questioni amministrative (ACABQ), il cui parere avrà un forte peso sulla decisione della Fifth Commission. Il passo successivo «sarebbe un’altra bozza di risoluzione della Quinta Commissione, che prenderà una decisione sulla base delle proposte del Segretariato delle Nazioni Unite e del  parere dell’ACABQ. Speriamo che questo nuovo testo venga approvato presto, poiché per l’ultimo ci sono voluti circa sei anni». Ma quanti sono oggi gli stagisti non pagati nella complessa galassia delle Nazioni Unite? Difficile dirlo con certezza. Non solo perché i dati non sono aggiornati al 2023, ma anche perché è proprio difficile reperire il numero. Secondo i dati in possesso di Fair Internship Initiative ammontano a circa 2mila l’anno, ma sono i soli tirocinanti all’interno del Segretariato dell’Onu e dei suoi dipartimenti. Incrociando con i dati pubblicati da Chris Kuonqui nel suo sito ImpactGrowthLab e con quelli del Join Inspection Unit del 2018, si può calcolare che ci siano ogni anno all’incirca 5mila persone che fanno stage non pagati all’interno dell’Onu, nel segretariato generale oppure in programmi specifici o agenzie specializzate della galassia Onu. Il numero si è un po’ abbassato (circa del 15%) nel 2020 a causa della pandemia, ma con tutta probabilità è già tornato in questi ultimi due anni (non ancora monitorati) ai livelli precedenti. Vale la pena dire però che ci sono per fortuna alcune agenzie dell’Onu che garantiscono un rimborso spese ai tirocinanti. La Fair Internship Initiative tiene aggiornato l’elenco attraverso un documento in cui per settore viene indicato quanti e quali enti pagano e anche l’ammontare mensile previsto. Delle 43 organizzazioni elencate, circa 25 prevedono un rimborso spese che però  varia tantissimo: dai 400 euro del World Tourism Organization a Madrid, in Spagna, ai circa 2mila franchi svizzeri dell’Ilo a Ginevra. Con grandi differenze anche per quanto riguarda l’assicurazione medica, quasi mai prevista, o la possibilità di poter prendere dei giorni per malattia, nella stragrande maggioranza dei casi non consentita. «Quando abbiamo cominciato non era così. Quindi abbiamo già avuto un incredibile successo nel cambiare le regole sui tirocini. E in particolare la mentalità riguardo il rimborso spese» dice il portavoce FII. Il riferimento è a quelle agenzie che negli ultimi sette anni hanno introdotto un'indennità per i loro stagisti, come UNDP, WHO, UNICEF, UNHCR, UN-Women e UNFPA. «Sapevamo dall’inizio che cambiare la politica del Segretariato sarebbe stato molto  più difficile, per ragioni procedurali e politiche. A cui si aggiunge la storica riluttanza dei  responsabili decisionali del Segretariato delle Nazioni Unite a cambiare la policy sul non pagare. Tutto questo ha allungato i tempi perché abbiamo dovuto prima chiedere agli Stati membri di sollecitare il Segretariato per cambiare le regole. Se avesse avuto un atteggiamento più proattivo avremmo potuto avere tirocini con un rimborso spese presso il Segretariato delle Nazioni Unite e gli  organi sussidiari già ora».  Adesso si riparte proprio dai buoni esempi. Nei prossimi mesi Fair Internship Initiative agirà affinché le buone pratiche esistenti e i suggerimenti degli  stagisti siano presi in considerazione e lo farà di fronte agli uffici del Segretariato responsabili della formulazione delle proposte, ovvero DOS e MSPC, ma anche con l’Ufficio Giovani. E per rafforzare la rappresentanza dei tirocinanti ha in programma un nuovo sondaggio globale che andrà online forse già quest’estate.  Tra i commenti alla notizia di questo primo passo, c’è chi ricorda che trent’anni fa da stagista all’UNHCR  prendeva solo 100 dollari al mese, mentre oggi è previsto il 50 per cento del salario mensile di un dipendente di terzo livello nelle sedi di Bruxelles, Copenhagen, Ginevra e New York e il 70 per cento nelle altre sedi, oltre a un’indennità per trasporto e pasto introdotta a partire da  settembre 2022. Ma c’è anche chi è molto critico ed evidenzia come «tutto ciò a cui si è arrivati è stata una richiesta per il Segretariato di elaborare delle proposte, nel 2025. Che sarà oggetto di un voto» aggiungendo che «l’Onu dovrebbe vergognarsi dello sfruttamento e delle pratiche sleali di selezione e lavoro». Ora, quindi, bisognerà aspettare per vedere come andrà a finire e se, alla fine, i tirocinanti in tutti gli uffici dipendenti dalle Nazioni Unite potranno finalmente avere con sicurezza un rimborso spese mensile per i compiti svolti. Qualcosa potrebbe, però, effettivamente cambiare visto che l’Onu deve far fronte a un forte livello di imminenti pensionamenti: in questo senso, una riforma globale delle risorse umane potrebbe includere un nuovo approccio per reclutare e trattenere i talenti. Certo, impiegare un decennio per raggiungere questo traguardo è decisamente troppo. Chi all’epoca cominciò la battaglia oggi è ormai adulto, e non sarà per nulla coinvolto da un eventuale riforma nel settore. Non solo: per quanto i delegati abbiano applaudito al risultato, chi sta fuori percepisce quasi esclusivamente i bizantinismi di un ente che pure dei giovani ha approfittato in tutto il mondo. Le selezioni per i tirocini Onu ricevono ogni volta un numero di domande altissimo, ma i tirocinanti sono costretti a sforzi economici ingenti per affrontare un’esperienza di questo tipo, quasi sempre sostenuti dalle famiglie. Qualcosa, forse, cambierà tra due anni. Certo, finalmente c’è stato un accordo, superando una fase di stallo interminabile. Ma si poteva decisamente fare di più e più in fretta. Marianna Lepore

Qual è il mestiere giusto per me? Una nuova piattaforma punta sul digitale per scoprire mestieri e competenze

Cosa vuoi fare da grande? In genere la si considera una domanda stupida, un supplizio cui tutti i bambini devono sottostare. Ma in realtà si tratta di un tema fondamentale per la vita di ciascuno: perché da un certo momento in poi ai sogni dei bambini si sostituiscono, poco a poco, le aspirazioni degli adulti in divenire. Ci si comincia a guardare dentro e a chiedere: che mestiere vorrei fare? Ma sono ancora troppo pochi, troppo deboli, troppo rari gli strumenti messi a disposizione degli adolescenti per imparare a conoscere le proprie attitudini e a mettere a fuoco le proprie aspirazioni.Oggi arriva in Italia uno strumento nuovo. Si chiama MiAssumo e l'ha ideato Rosy Russo, consulente di comunicazione, formatrice e creativa, come lei stessa si definisce, ma anche da un paio d'anni Ashoka Fellow per la sua attività di imprenditrice sociale. «L’idea di MiAssumo nasce due anni fa con l’obiettivo di fornire agli studenti e alle studentesse delle scuole secondarie un orientamento utile sulle competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro e delle professioni del futuro» spiega Russo. Si tratta di una piattaforma digitale gratuita e di gaming che accompagna gli studenti attraverso meccanismi di gamification e giochi di ruolo, aiutandoli a riconoscere le proprie competenze e riassumerle nel proprio curriculum vitae.  64 attività diverse per dare modo agli studenti di compiere un vero e proprio viaggio attraverso le otto competenze chiave, da quelle digitali a quelle imprenditoriali fino a quelle linguistiche.Le attività pensate per le classi secondarie di primo grado portano gli alunni e le alunne a sbarcare su otto pianeti – quelli delle competenze – e giocare con personaggi storici o di attualità (Cristoforo Colombo, Bebe Vio, Mary Poppins…). Tutto concorre a restituire una fotografia sempre aggiornata delle competenze acquisite. Quelle dedicate agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, guidate dagli insegnanti, partono da una notizia di attualità, attraverso la quale vengono presentate diverse figure professionali. Un modo diverso per conoscerle e misurare il proprio grado di affinità. Gli alunni e le alunne hanno modo di scoprirle testandone l’attitudine, esplorando gli ambiti professionali: oltre 200 figure professionali tutte diverse, con un database in continua evoluzione, raccontate da chi quella professione la fa davvero.Di recente la piattaforma MiAssumo è stata selezionata tra le startup finaliste di Get it!, percorso per idee e startup, ideato da Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore e realizzato in partnership con Cariplo Factory, con l’obiettivo di supportare iniziative imprenditoriali capaci di offrire soluzioni innovative a sfide sociali storiche o emergenti. Sono state 127 le startup che hanno risposto lo scorso anno alla “call” – come è chiamata tra gli addetti ai lavori – di Get it!, da cui sono state selezionate le quattro finaliste che avranno l’opportunità di intraprendere un «percorso di valore» per consolidare il proprio modello finanziario e di prodotto. MiAssumo nasce dall’esperienza di Parole O_Stili, l’associazione che dal 2017 con il suo Manifesto della comunicazione non ostile combatte le parole d’odio in rete e promuove una cittadinanza digitale responsabile, riflettendo sugli aspetti etici della vita sociale e civile, che porta sempre la firma di Rosy Russo. «Il progetto di MiAssumo è stato poi portato avanti grazie al contributo di tante altre realtà delmondoimprenditoriale e istituzionale e, soprattutto, agli incontri con i ragazzi con i quali abbiamo sempre lavorato in questi anni. Come agenzia di comunicazione, potevamo contare sulle competenze giuste per disegnare autonomamente la piattaforma, ma abbiamo scelto di definire contenuti e percorsi insieme a un team di persone che abbiamo coinvolto in riunioni periodiche per immaginare insieme i possibili sviluppi del progetto», spiega Russo. Una realtà che sta registrando numeri in crescita: «Nella fase di beta testing della piattaforma sono stati circa 2500 gli utenti coinvolti mentre più di 500 insegnanti hanno partecipato alla prima sperimentazione, numeri che in questi mesi sono poi notevolmente cresciuti, anche grazie all’importante coinvolgimento delle aziende».Fino ad arrivare al risultato raggiunto con Get it!: «Il fatto che MiAssumo sia stata selezionata ci dà sicuramente una grande soddisfazione. Come start up si è spesso così concentrati su progettazione e sviluppo che si rimane stupiti quando ci si rende conto che anche altri iniziano ad apprezzare le potenzialità del progetto. Questo riconoscimento ci permetterà inoltre di entrare in un team, un sistema in grado di accompagnarci e aiutarci a inserirci in un contesto che speriamo sia favorevole per lo sviluppo futuro della piattaforma».Grazie a Get It!, la startup potrà prendere parte a un percorso di empowerment della durata di tre mesi. MiAssumo usufruirà, inoltre, di un percorso di mentorship su misura di 3 mesi con uno dei mentor qualificati della rete Get It! e sarà coinvolta in eventi e attività di networking all’interno dell’ecosistema italiano dell’open innovation e dell’impact investing. Al termine dei 6 mesi - in occasione dell’Investor Day 2023 - Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore selezionerà tra le finaliste delle call di Get It!, lanciate nel 2022 le 2 migliori start up a impatto che beneficeranno di un investimento in equity fino a 50.000 euro. «Parole O_stili  nasce da una riflessione avviata in piena pausa estiva grazie a un confronto tra diversi mondi, dalla comunicazione alla politica al giornalismo» aggiunge Rosy Russo: «Tutto è partito da una mail, che ha ricevuto inaspettatamente un ampissimo riscontro: molte delle persone coinvolte hanno risposto all’appello, dimostrando grande disponibilità. Inizialmente pensavamo di realizzare un convegno, ma continuando con il percorso di riflessione comune abbiamo capito che era necessario individuare i principi cardine della comunicazione online. E per farlo abbiamo deciso di aprirci alla rete, coinvolgendo direttamente gli utenti. Hanno risposto in migliaia e grazie al contributo di tutti loro siamo riusciti a presentare il Manifesto della Comunicazione non ostile nella prima edizione del nostro Festival, il 17 febbraio del 2017».Ben presto il Manifesto ha avuto ampia diffusione, grazie ai numerosi ambassador che lo hanno esposto anche fisicamente nelle scuole, in casa, nei luoghi di lavoro. «L’altra caratteristica vincente è la semplicità che ha reso il Manifesto in grado di arrivare a chiunque» continua Russo: «Può essere letto in maniera diversa, con gli occhi di un bambino, di uno studente o di un amministratore delegato, ma il messaggio arriva sempre, la sua efficacia non si perde. Negli anni abbiamo poi declinato il Manifesto in diversi ambiti: dopo la scuola, è stato sottoscritto da molti parlamentari. E altrettanto abbiamo fatto con oltre duecento personalità del mondo dello sport, più di ottanta istituzioni, cinquanta aziende per le relative declinazioni del Manifesto».Da allora fino ad arrivare a oggi l’attenzione al linguaggio in qualsiasi contesto ha alimentato un importante dibattito, rafforzando la consapevolezza su questi temi. «Sicuramente il lavoro da fare è ancora tanto» aggiunge Russo: «Il modello che abbiamo scelto è quello di lavorare sulla consapevolezza delle persone, perché solo su questa base, ognuno di noi diventa responsabile e parte attiva del cambiamento. Il fatto che il Manifesto sia scritto in prima persona non è un caso, proprio perché Parole O_Stili non vuole “bacchettare” nessuno, ma semplicemente aiutare le persone ad essere maggiormente consapevoli e responsabili per facilitare un cambiamento sociale. Qualcosa si sta muovendo, i risultati spesso non si percepiscono subito, ma la direzione è quella giusta».Il prossimo appuntamento in programma è quello con la sesta edizione del Festival della Comunicazione non ostile, il 26 e il 27 maggio a Trieste. «Il tema di quest’anno è la distanza, un argomento attuale e trasversale che può essere declinato in tanti ambiti diversi: distanza tra le persone, nel mondo della scuola e del lavoro, ma anche tra online e offline» anticipa Rosy Russo «Inoltre, quest’anno il Festival sarà arricchito proprio nella parte del programma dedicata ai ragazzi che, in sinergia con MiAssumo, sarà focalizzata sulla distanza tra quello che sono oggi e che sognano di diventare e quello che faranno da grandi».Chiara Del Priore

Dalle colline toscane alle vette del ppc marketing: Booster Box investe sui giovani fin dallo stage

Si può definire “start-up” un'azienda che ha già sessantasei dipendenti, di cui cinquantacinque a tempo indeterminato? Probabilmente no. Anche se è nata solo sei anni fa? Ma ha già ses-san-ta-sei dipendenti! La storia di Booster Box è raccontata in maniera abbastanza esilarante – con lo stile narrativo scherzoso e graffiante che caratterizza tutta la comunicazione aziendale – nella pagina “About” del loro sito, a partire dall'avventura del “padre fondatore” Gianluca Binelli e del gruppo di lavoro che a oggi comprende data scientists, developers, esperti di PPC «e un po' di persone che è abbastanza impossibile categorizzare se non come “semplicemente straordinarie”». Il ramo di business che l'azienda presidia è quello del PPC appunto, che sta per pay-per-click marketing: migliorare le performance della pubblicità online dei clienti in forme che spaziano dal paid social al paid search, dall'enhanced analytics al Seo all'analisi dei dati attraverso la lente Martech.Qualche mese fa Booster Box ha voluto anche entrare nel network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. «La maggior parte dei nostri colleghi è prossima al traguardo della laurea, o ha terminato di recente un percorso universitario; ed è entrata nel mondo del lavoro attraverso uno stage curriculare o extracurriculare» racconta Federica D'Armento, Head of People & Culture di Booster Box: «Sappiamo cosa c’è dietro la ricerca di uno stage, gli sforzi che si fanno per studiare e svolgere contemporaneamente uno stage, e cosa significa per i giovani investire in una esperienza di stage a volte mal retribuito e/o con prospettive reali di inserimento nulle o poco chiare. Quest’ultimo aspetto in particolare ci ha spinto ad aderire al network: siamo felici di poter parlare in modo trasparente della nostra cultura lavorativa e delle nostre politiche di assunzione volte a garantire a giovani talenti la miglior formazione professionale e avviamento di carriera».Anche perché «la Repubblica degli Stagisti ha lo scopo di  aiutare i giovani ad orientarsi nel muovere i primi passi nel mondo del lavoro, offrendo anche informazioni sui propri diritti come stagisti. Se questi obiettivi possono tradursi in valori come informare ed essere trasparenti» riflette D'Armento «ritroviamo senza dubbio convergenze con i valori di Booster Box: noi consideriamo tutte le nostre persone – ad iniziare proprio dagli stagisti – come il motore propulsore della nostra attività di business, e siamo organizzati in modo tale da prenderci cura del loro sviluppo professionale al meglio possibile. Per questo spendiamo tempo e risorse nella formazione continua e sin dai primi giorni in azienda rendiamo chiari e trasparenti i nostri processi, cosa fare e come fare per far sì che un percorso di stage si traduca in opportunità lavorativa permanente, e lo facciamo con costanti incontri di feedback durante tutta la durata del tirocinio».Per esempio, per tutti i suoi stagisti Booster Box prevede un bootcamp iniziale: «due settimane di training intensivo presso il nostro quartier generale, a Pietrasanta, dove i tirocinanti acquisiscono una panoramica a 360° dell’azienda e del suo funzionamento, e iniziano anche a toccare con mano concetti e strumenti di Performance Marketing, tra i quali le piattaforme di advertising. Si tratta a tutti gli effetti di una Booster Box Academy del Performance Marketing, che punta a formare quelli che ci piace chiamare “PPC Ninja”!». Oltre a poter imparare fianco a fianco con manager e colleghi, e a vedersi assegnato un “buddy” per ambientarsi al meglio, gli stagisti sono anche coinvolti in «attività di volontariato, trekking, aperitivi, partite di ping-pong o biliardino». Così l’esperienza in Booster Box diventa «più divertente» dice D'Armento: e in più si crea «una sana identità di team allargato», in un ambiente di lavoro molto informale.E se è vero che developers, data scientists ed esperti di PPC sono professionalità per le quali le figure femminili sono di solito abbastanza difficili da trovare, la distribuzione dell'organico di Booster Box per genere è invece molto buona: «Perché in realtà crediamo che si tratti di professioni senza genere! Per questo il gender balance tra i Booster è molto vicino ad essere in egual modo distribuito tra uomini e donne – il piccolo scarto che attualmente rimane non è in alcun modo legato alla scarsa ricezione di candidature da parte di donne, o alla difficoltà di trovare figure femminili in certi ruoli: assumiamo le nostre persone valutando le performance durante il processo di selezione, per noi questo è il solo parametro che conta».I profili che Booster Box ricerca di più sono i Digital Marketing Specialist. Il percorso di stage, in questi casi, prevede una immersione «nella realtà del Performance Marketing» e cioè nella «creazione, ottimizzazione e gestione di campagne pubblicitarie di molteplici clienti attraverso le piattaforme più conosciute come Google Ads, Facebook Ads e Amazon Ads», spiega D'Armento, che coi suoi 39 anni è – si stenta a crederlo – uno dei membri più "anziani" del team: «Il nostro è un approccio scientifico: abilità analitiche e un’affinità per i numeri sono elementi chiave. Cerchiamo studenti universitari o neolaureati, anche senza esperienza ma che abbiano passione per i numeri, i dati e il mondo digital marketing in generale». Un altro aspetto rilevante per Booster Box è quello «delle human-skill: proattività, ownership e collaborazione sono caratteristiche che ricerchiamo nei ragazzi affinché possano gestire al meglio il proprio lavoro, le relazioni con i clienti, e anche con i colleghi». Da parte sua, Booster Box promette ai candidati processi di selezione snelli e trasparenti: «Un nostro motto è “fast is better than perfect” – questo per dire che, come azienda, tendiamo ad essere responsive e, ove possibile, a velocizzare i vari processi anche a costo di farli risultare non perfetti» assicura D'Armento: «Il nostro processo di hiring è fluido e risulta veloce, qualora anche il candidato sia reattivo nelle risposte ovviamente. Dal momento in cui riceviamo la candidatura, procediamo con lo screening del CV. Se il profilo del candidato è in linea con le caratteristiche che stiamo cercando, diamo via alla procedura! E i nostri stage sono volti all'assunzione». In effetti, i numeri dimostrarono che ben il 70% degli stagisti viene poi assunto con contratto di apprendistato. La policy prevede come trattamento economico per gli stagisti 750 euro di indennità mensile, senza distinzioni tra curricolari ed extracurricolari, e poi notebook e “tech gear” aziendale; gli stage si svolgono tutti a Pietrasanta e hanno una durata di sei mesi con impegno full-time. In questo esatto momento non ci sono posizioni di stage aperte, ma «contiamo di aprirne di nuove nella seconda metà dell’anno» anticipa l’HR manager: «Attualmente siamo alla ricerca di una figura di Business Development Manager e un Analytics Team Leader – posizioni permanent e che richiedono competenze tecniche specifiche ed esperienza pregressa».Sul sito di Booster Box viene sottolineata l'internazionalità dell'ambiente di lavoro: pur essendo l'headquarter immerso nella campagna toscana, in provincia di Lucca, l'azienda ha uffici anche a Milano, Barcellona e Londra. Per lavorare in Booster Box è indispensabile parlare bene inglese, e possibilmente anche qualche altra lingua: «Sebbene Booster Box sia nata in Italia, fin dall’inizio si è affermata come una realtà internazionale nello scenario del Digital Marketing – principalmente perché il portfolio dei clienti che serviamo si trova in Europa, Regno Unito, Stati Uniti ed Israele» spiega Federica D'Armento che a sua volta, forte di radici pugliesi e studi universitari alla Sapienza di Roma, ha in curriculum esperienze di molti anni all'estero come digital consultant nell’headquarter di Google a Dublino poi e nel mondo corporate come Head of E-commerce per un'azienda produttrice di orologi in Svizzera: «La prima lingua impiegata internamente in Booster Box è l’inglese. Vantiamo un mosaico culturale e linguistico interno eterogeneo – abbiamo Boosters di sedici differenti nazionalità – e questa diversità è uno dei nostri punti di forza». Così come un punto di forza è l'attenzione alla qualità dei percorsi di ingresso, a cominciare dallo stage: testimoniata oggi anche dall'adesione al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti.

Gli stage restano aperti a tutti: la Corte Costituzionale annulla l'indicazione del governo Draghi

Stretta sui tirocini, come non detto. La Corte Costituzionale ha bocciato le indicazioni in materia di stage extracurriculari contenute nella Legge di bilancio 2022, accogliendo il ricorso presentato dalla Regione Veneto e annullando la proposta del passato Governo (comunque mai attuata in questi mesi)  di riservare gli extracurriculari ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale.Quando a fine 2021 il governo Draghi aveva approvato la legge di Bilancio per il nuovo anno (il 2022), tra i molti commi ne aveva incluso anche uno, il 721, in cui demandava a un accordo tra Governo e Regioni – da raggiungere entro 180 giorni – la definizione di nuove linee guida per i tirocini extracurriculari. Il comma prescriveva anche nel dettaglio in che modo bisognasse circoscrivere l’applicazione dei tirocini: e cioè limitandola alle persone con difficoltà di inclusione sociale. Se questa indicazione fosse stata presa alla lettera, però, gli stage extracurricolari si sarebbero ridotti di circa il 90-95%.Un boccone che sarebbe stato particolarmente duro da mandare giù per tutte le Regioni, specialmente per quelle che hanno negli ultimi anni basato le loro “politiche attive per il lavoro” proprio sullo strumento dei tirocini extracurricolari. E il Veneto è in assoluto, dopo la Lombardia – “capitale degli stagisti” col suo esercito di oltre 70mila all’anno –, la Regione italiana dove ne vengono attivati di più: il ministero del Lavoro ha registrato quasi 35mila tirocini di questo tipo attivati in Veneto nel 2021, ancor più del Piemonte (32mila) e del Lazio (30mila). Il nodo sollevato dalla Regione Veneto di fronte alla Corte Costituzionale era precisamente l’invasione di competenza legislativa regionale in materia di formazione professionale. «La Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità di questa norma sostanzialmente per questioni di competenza», spiega alla Repubblica degli Stagisti Alessandro Morelli, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’università di Messina: «Non dice che la disciplina è incostituzionale in riferimento ad altri parametri o articoli della Costituzione, ma perché la disciplina dei tirocini extracurriculari rientra nella materia di competenza residuale delle Regioni, “istruzione e formazione professionale”. Quindi di questa materia devono occuparsi loro e la palla passa al legislatore regionale». Di tutt’altro avviso era la difesa erariale, ovvero, spiega Morelli, «l’avvocatura dello Stato che difende lo Stato rappresentato dal presidente del Consiglio dei ministri nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, quelli in pratica tra Stato e Regioni come questo». La difesa erariale, appunto, sosteneva che «la disposizione impugnata, nel demandare a un accordo con le regioni la definizione delle nuove linee guida» non faceva altro che confermare una «prassi collaborativa». La Corte Costituzionale, però, non la pensa allo stesso modo e infatti, con la sentenza numero 70 del 23 febbraio pubblicata in Gazzetta ufficiale il 14 aprile, ha rilevato «un’indebita invasione della competenza legislativa regionale residuale in materia di “formazione professionale”». Qui è necessario precisare che il comma 721 della legge di Bilancio riconosceva la competenza regionale, visto che chiedeva alla Conferenza Stato-Regioni di riunirsi e decidere sulla questione. Il problema, però, è che allo stesso tempo indicava già quello che le Regioni avrebbero dovuto decidere.«Il punto è proprio questo: la disciplina dovrebbe essere dettata sulla base di un accordo raggiunto tra lo Stato e le Regioni» conferma il costituzionalista Morelli: «Però si precisava già che dovesse prevedere criteri che ne circoscrivevano l’applicazione a questa categoria di soggetti con difficoltà di inclusione sociale. Il problema era che si “blindava”, i giudici usano questa espressione, la disciplina riducendo in maniera sproporzionata i margini di discrezionalità del legislatore regionale». In pratica, visto che nella legge di Bilancio si “ordinava” di restringere la platea dei destinatari dei tirocini extracurriculari ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale, a quel punto la possibilità di eventuali modifiche in mano alle Regioni era pressocché nulla. Limitando il loro diritto a esercitare l’azione legislativa nella materia formazione professionale. Come avrebbe dovuto formulare quindi il legislatore quelle stesse indicazioni per evitare un rifiuto della Corte? «Probabilmente senza indicare i criteri» è il parere del costituzionalista, che oltre a insegnare Diritto pubblico a Messina è anche fondatore e direttore responsabile della rivista scientifica Diritti regionali, componente del consiglio direttivo della rivista quadrimestrale Diritto costituzionale, e del comitato scientifico della rivista Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia costituzionale: «Il problema è proprio il riferimento alla categoria dei destinatari». «Il quadro delle competenze legislative di Stato e regioni è molto complicato, innanzitutto perché l’articolo 117 della Costituzione già prevede un’articolazione complessa per le competenze legislative», continua Morelli. Esistono, cioè, «materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e alcune di queste non sono delle vere materie ma più dei valori, come la tutela dell’ambiente o quella della concorrenza, che quindi consentono degli interventi trasversali anche nelle materie di competenza regionale. Poi abbiamo un elenco di materie di legislazione concorrente, come l’istruzione, fatta eccezione per la formazione professionale. E poi per tutte le materie non ricomprese né nel primo né nel secondo elenco, quindi né di competenza esclusiva dello Stato né concorrente Stato-Regioni, la competenza è appunto residuale, perciò si chiama così, e delle Regioni. La materia della “formazione professionale” è nominata dal terzo comma per escluderla, quindi rientra nelle materie di natura residuale ma le altre non sono nominate».A tutto questo c’è da aggiungere una copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale «che consente delle deroghe al riparto di più competenze definito dall’articolo 117. In alcuni casi è possibile che lo Stato attragga delle competenze legislative in materie che dovrebbero considerarsi sotto il controllo delle Regioni, perché ci sono degli interessi a una disciplina unitaria che lo richiedono. Quando questo accade, si parla tecnicamente di chiamata in sussidiarietà». Il professore non esclude che in futuro porzioni di questa materia, la formazione professionale, possano essere attratte alla competenza del legislatore statale, «ma sempre rispettando il principio di leale collaborazione». Resta da chiedersi, però, in futuro come sarà possibile per lo Stato dare indicazioni di massima rispetto ai tirocini evitando poi di farsi annullare tutto dalla Corte. «Il problema si pone per i tirocini extracurricolari» conviene Morelli: non a caso infatti nella loro sentenza di quest’anno «i giudici citano già una precedente sentenza del 2012 in cui si dichiarava incostituzionale una disciplina statale che prevedeva l’applicazione solo per neodiplomati e neolaureati». Il professore si riferisce a un provvedimento che era inserito del tutto inaspettatamente in un decreto d’urgenza uscito nella settimana di Ferragosto del 2011 – all’epoca il premier era Silvio Berlusconi e il ministro del Lavoro era Maurizio Sacconi – poi, appunto, annullato dalla Corte. Bisogna però ricordare che, a differenza del provvedimento dell’anno scorso, quello di dodici anni fa era un “decreto legge”, per cui le restrizioni agli stage erano diventate immediatamente operative, creando caos nell’attività di università, centri per l’impiego e agenzie per il lavoro che da un momento all’altro si erano trovate a non poter più attivare tirocini in favore di persone che avessero concluso l’ultimo ciclo di studi da oltre 12 mesi, né disoccupate-inoccupate. Inoltre, in quel caso a differenza di quello recente, nella normativa statale l’intervento legislativo delle Regioni non era nemmeno vagamente citato: la loro competenza, insomma, era completamente ignorata.I tirocini extracurricolari invece «ricadono nella competenza residuale delle regioni: è ormai acquisito» specifica Morelli: «Quindi tutti gli interventi dello Stato devono tenere conto della competenza legislativa regionale e nel caso si faccia riferimento ad accordi o intese, devono rispettare il principio di leale collaborazione. Questo significa che qualsiasi decisione deve essere assunta con un coinvolgimento reale ed effettivo delle Regioni». In pratica eventuali cambiamenti della normativa possono essere sì proposti dal governo, ma le decisioni poi devono essere prese «rispettando sempre la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale. Quindi vincoli così stringenti come riferimenti a categorie di soggetti destinatari non sono ammessi». Come già scritto nella sentenza numero 287 di undici anni fa: il governo Berlusconi di allora e il governo Draghi l’anno scorso hanno commesso, in pratica, in due forme diverse lo stesso identico errore. E infatti hanno ottenuto dalla Corte costituzionale la stessa identica censura. Una nota a margine: stupisce che nel testo della sentenza 2023 siano presenti dei refusi, con i tirocini extracurriculari che per sbaglio in alcuni casi sono chiamati “curriculari”. Questo, però, non cambia la sostanza del pronunciamento: «In altri casi è successo che ci fosse qualche errore materiale e la Corte ha proceduto poi a correggere» dice Morelli, senza escludere che la Corte possa farlo anche in questo caso: «Ma va comunque inteso come “extracurriculare”». «Sarebbe opportuno fare un aggiornamento e rivedere la normativa anche alla luce di tutta una serie di critiche fatte a questo famoso comma 721» conclude il professor Alessandro Morelli: «C’era stato un grande dibattito su questa delimitazione così stretta alla categoria di soggetti con difficoltà di inclusione sociale: questa è l’occasione per rivedere la disciplina. Probabilmente meriterebbe una rivisitazione complessiva. Non ci sono obblighi, però. Se questa sentenza di incostituzionalità avesse determinato un vuoto normativo a sua volta incostituzionale, sicuramente la Corte non avrebbe pronunciato l’incostituzionalità della norma. Se l’ha fatto vuol dire che c’è la possibilità di fare riferimento a disposizioni normative vigenti che coprano tutti gli ambiti di interesse». Nessun cambiamento, quindi: in tutto questo periodo sono comunque rimaste in vigore le linee guida del 2017, e ciascuna regione è di fatto sempre libera di modificare le sue normative in materia di stage extracurricolari, con l’indicazione – ma non l’obbligo, peraltro – di cercare di aderire il più possibile a quelle linee guida. Perché non c’è grande probabilità, considerando la situazione, che nuove Linee Guida vedano la luce nei prossimi mesi. Marianna Lepore

Come si fa a far sentire la voce dei giovani? Il 13 aprile il podcast live di RdS all'università Cattolica

Quanto sappiamo di quello che pensano i giovani? Di quello che desiderano, di come guardano il mondo, delle aspettative che hanno, e frustrazioni, e sogni, e opinioni? Quanto li mettiamo davvero al centro della politica, della narrazione pubblica, quanto permettiamo loro di essere protagonisti delle decisioni politiche e sociali? La risposta è: poco. Pochissimo. Il cosiddetto protagonismo giovanile è più una chimera che una realtà. Le storie dei giovani vengono troppo spesso utilizzate come armi di distrazione di massa, raccontando soprattutto gli eccessi, le stupidità, le sfortune incredibili, i casi umani – invece di andare a bussare alla porta di quei 5 milioni e 800mila giovani tra i 15 e i 24 anni, più 1 milione e 200mila giovani adulti tra i 25 e la soglia dei 30 anni, che ogni giorno vivono una vita normale, cercando di fare il meglio possibile con quello che hanno, e che hanno una visione del mondo in cui vivono, di quello che vorrebbero della loro città, dal loro paese, dalle persone che li governano.Ci sono delle luminose eccezioni, degne di nota. Una di queste è il Rapporto Giovani curato ormai da molti anni dall’Istituto Toniolo, la più estesa ricerca italiana sulla condizione giovanile. Altre eccezioni sono le realtà associative che mettono appunto i giovani al centro, fondate da giovani per giovani, guidate da giovani, e cercano di fare la differenza creando iniziative e progetti in Italia e altrove. La puntata del podcast della Repubblica degli Stagisti in programma live all’università Cattolica di Milano giovedì 13 aprile ha proprio come tema quello del protagonismo giovanile. Per capire cosa pensano i giovani e quanto si sentono ascoltati e rappresentati in Italia oggi. Per farlo avremo due ospiti: il professor Alessandro Rosina, “rockstar” della demografia e grande esperto di giovani, soprattutto in qualità di coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, e poi Beatrice Nespoli, una delle responsabili di Culturit, organizzazione non profit fondata nel 2015 che si prefigge di formare studenti universitari di tutte le facoltà attraverso progetti focalizzati sulla valorizzazione e lo sviluppo dei beni culturali italiani. A loro chiederemo cosa vuol dire essere giovani oggi, quali sono le difficoltà più frequenti da affrontare, cosa andrebbe fatto per rendere i giovani davvero centrali nel dibattito pubblico e per portarli nella stanza dei bottoni, affinché possano contribuire alle decisioni politiche di oggi e di domani (che riguarderanno, peraltro, loro specialmente nei decenni futuri!).Rosina, 54 anni, è ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia della Cattolica di Milano, dove è stato anche direttore del Dipartimento di Scienze statistiche, ed è oggi direttore del “Center for Applied Statistics in Business and Economics”. Il rapporto Giovani di cui è coordinatore scientifico, indagine sui Millennials nati tra i 1980 e il 2000, è arrivato ormai alla sua decima edizione. Uno dei libri più famosi che Rosina ha scritto – a quattro mani con la giornalista Elisabetta Ambrosi – uscito nell'ormai lontano 2009 e dunque in un certo senso “profetico” si intitola “Non è un paese per giovani" con un sottotitolo ancor più eloquente: “L’anomalia italiana: una generazione senza voce”.  Rosina è anche protagonista di due TEDx: il primo nel 2014, “Perché l’Italia è un Paese per giovani”, realizzato nel TedXIed, evento TEDx promosso dall'istituto Europeo di Design; il secondo nel 2022 al TEDxMilano, “Un figlio nel XXI secolo tra scelta individuale e valore collettivo”.Beatrice Nespoli ha invece 25 anni e si è laureata solo pochi mesi fa alla magistrale in storia dell'arte all'università Cattolica, dove già aveva fatto un percorso triennale in Beni culturali. Anche grazie a un'esperienza di servizio civile in un ufficio cultura ha capito di avere una passione per la divulgazione della cultura, e di volersi attivare per valorizzare le realtà culturali sul territorio e creare eventi per farle conoscere al vasto pubblico. Due anni fa, nel 2021, è entrata a far parte di Culturit Cattolica – e l'associazione ha alcuni gruppi proprio dentro le università – e in particolare nell'area progetti, di cui è diventata responsabile. Dal settembre del 2022 è responsabile nazionale progetti di Culturit e lavora come operatrice museale al Rossini art site e come guida presso Archeologistics.Rosina e Nespoli, da prospettive anagrafiche e professionali molto differenti, racconteranno la loro visione di come si può e si deve dare voce alle nuove generazioni, con l'obiettivo di far ridiventare l'Italia, finalmente, un paese per giovani.Giovedì 13 aprile la registrazione, nella sede storica di via Sant'Agnese 2: appuntamento, per chi volesse assistere al live della puntata e dibattere con gli ospiti, alle ore 11:15 nello studio multimediale “aula Malinverni”.