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Gli stage restano aperti a tutti: la Corte Costituzionale annulla l'indicazione del governo Draghi

Stretta sui tirocini, come non detto. La Corte Costituzionale ha bocciato le indicazioni in materia di stage extracurriculari contenute nella Legge di bilancio 2022, accogliendo il ricorso presentato dalla Regione Veneto e annullando la proposta del passato Governo (comunque mai attuata in questi mesi)  di riservare gli extracurriculari ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale.Quando a fine 2021 il governo Draghi aveva approvato la legge di Bilancio per il nuovo anno (il 2022), tra i molti commi ne aveva incluso anche uno, il 721, in cui demandava a un accordo tra Governo e Regioni – da raggiungere entro 180 giorni – la definizione di nuove linee guida per i tirocini extracurriculari. Il comma prescriveva anche nel dettaglio in che modo bisognasse circoscrivere l’applicazione dei tirocini: e cioè limitandola alle persone con difficoltà di inclusione sociale. Se questa indicazione fosse stata presa alla lettera, però, gli stage extracurricolari si sarebbero ridotti di circa il 90-95%.Un boccone che sarebbe stato particolarmente duro da mandare giù per tutte le Regioni, specialmente per quelle che hanno negli ultimi anni basato le loro “politiche attive per il lavoro” proprio sullo strumento dei tirocini extracurricolari. E il Veneto è in assoluto, dopo la Lombardia – “capitale degli stagisti” col suo esercito di oltre 70mila all’anno –, la Regione italiana dove ne vengono attivati di più: il ministero del Lavoro ha registrato quasi 35mila tirocini di questo tipo attivati in Veneto nel 2021, ancor più del Piemonte (32mila) e del Lazio (30mila). Il nodo sollevato dalla Regione Veneto di fronte alla Corte Costituzionale era precisamente l’invasione di competenza legislativa regionale in materia di formazione professionale. «La Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità di questa norma sostanzialmente per questioni di competenza», spiega alla Repubblica degli Stagisti Alessandro Morelli, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’università di Messina: «Non dice che la disciplina è incostituzionale in riferimento ad altri parametri o articoli della Costituzione, ma perché la disciplina dei tirocini extracurriculari rientra nella materia di competenza residuale delle Regioni, “istruzione e formazione professionale”. Quindi di questa materia devono occuparsi loro e la palla passa al legislatore regionale». Di tutt’altro avviso era la difesa erariale, ovvero, spiega Morelli, «l’avvocatura dello Stato che difende lo Stato rappresentato dal presidente del Consiglio dei ministri nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, quelli in pratica tra Stato e Regioni come questo». La difesa erariale, appunto, sosteneva che «la disposizione impugnata, nel demandare a un accordo con le regioni la definizione delle nuove linee guida» non faceva altro che confermare una «prassi collaborativa». La Corte Costituzionale, però, non la pensa allo stesso modo e infatti, con la sentenza numero 70 del 23 febbraio pubblicata in Gazzetta ufficiale il 14 aprile, ha rilevato «un’indebita invasione della competenza legislativa regionale residuale in materia di “formazione professionale”». Qui è necessario precisare che il comma 721 della legge di Bilancio riconosceva la competenza regionale, visto che chiedeva alla Conferenza Stato-Regioni di riunirsi e decidere sulla questione. Il problema, però, è che allo stesso tempo indicava già quello che le Regioni avrebbero dovuto decidere.«Il punto è proprio questo: la disciplina dovrebbe essere dettata sulla base di un accordo raggiunto tra lo Stato e le Regioni» conferma il costituzionalista Morelli: «Però si precisava già che dovesse prevedere criteri che ne circoscrivevano l’applicazione a questa categoria di soggetti con difficoltà di inclusione sociale. Il problema era che si “blindava”, i giudici usano questa espressione, la disciplina riducendo in maniera sproporzionata i margini di discrezionalità del legislatore regionale». In pratica, visto che nella legge di Bilancio si “ordinava” di restringere la platea dei destinatari dei tirocini extracurriculari ai soli soggetti con difficoltà di inclusione sociale, a quel punto la possibilità di eventuali modifiche in mano alle Regioni era pressocché nulla. Limitando il loro diritto a esercitare l’azione legislativa nella materia formazione professionale. Come avrebbe dovuto formulare quindi il legislatore quelle stesse indicazioni per evitare un rifiuto della Corte? «Probabilmente senza indicare i criteri» è il parere del costituzionalista, che oltre a insegnare Diritto pubblico a Messina è anche fondatore e direttore responsabile della rivista scientifica Diritti regionali, componente del consiglio direttivo della rivista quadrimestrale Diritto costituzionale, e del comitato scientifico della rivista Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia costituzionale: «Il problema è proprio il riferimento alla categoria dei destinatari». «Il quadro delle competenze legislative di Stato e regioni è molto complicato, innanzitutto perché l’articolo 117 della Costituzione già prevede un’articolazione complessa per le competenze legislative», continua Morelli. Esistono, cioè, «materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e alcune di queste non sono delle vere materie ma più dei valori, come la tutela dell’ambiente o quella della concorrenza, che quindi consentono degli interventi trasversali anche nelle materie di competenza regionale. Poi abbiamo un elenco di materie di legislazione concorrente, come l’istruzione, fatta eccezione per la formazione professionale. E poi per tutte le materie non ricomprese né nel primo né nel secondo elenco, quindi né di competenza esclusiva dello Stato né concorrente Stato-Regioni, la competenza è appunto residuale, perciò si chiama così, e delle Regioni. La materia della “formazione professionale” è nominata dal terzo comma per escluderla, quindi rientra nelle materie di natura residuale ma le altre non sono nominate».A tutto questo c’è da aggiungere una copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale «che consente delle deroghe al riparto di più competenze definito dall’articolo 117. In alcuni casi è possibile che lo Stato attragga delle competenze legislative in materie che dovrebbero considerarsi sotto il controllo delle Regioni, perché ci sono degli interessi a una disciplina unitaria che lo richiedono. Quando questo accade, si parla tecnicamente di chiamata in sussidiarietà». Il professore non esclude che in futuro porzioni di questa materia, la formazione professionale, possano essere attratte alla competenza del legislatore statale, «ma sempre rispettando il principio di leale collaborazione». Resta da chiedersi, però, in futuro come sarà possibile per lo Stato dare indicazioni di massima rispetto ai tirocini evitando poi di farsi annullare tutto dalla Corte. «Il problema si pone per i tirocini extracurricolari» conviene Morelli: non a caso infatti nella loro sentenza di quest’anno «i giudici citano già una precedente sentenza del 2012 in cui si dichiarava incostituzionale una disciplina statale che prevedeva l’applicazione solo per neodiplomati e neolaureati». Il professore si riferisce a un provvedimento che era inserito del tutto inaspettatamente in un decreto d’urgenza uscito nella settimana di Ferragosto del 2011 – all’epoca il premier era Silvio Berlusconi e il ministro del Lavoro era Maurizio Sacconi – poi, appunto, annullato dalla Corte. Bisogna però ricordare che, a differenza del provvedimento dell’anno scorso, quello di dodici anni fa era un “decreto legge”, per cui le restrizioni agli stage erano diventate immediatamente operative, creando caos nell’attività di università, centri per l’impiego e agenzie per il lavoro che da un momento all’altro si erano trovate a non poter più attivare tirocini in favore di persone che avessero concluso l’ultimo ciclo di studi da oltre 12 mesi, né disoccupate-inoccupate. Inoltre, in quel caso a differenza di quello recente, nella normativa statale l’intervento legislativo delle Regioni non era nemmeno vagamente citato: la loro competenza, insomma, era completamente ignorata.I tirocini extracurricolari invece «ricadono nella competenza residuale delle regioni: è ormai acquisito» specifica Morelli: «Quindi tutti gli interventi dello Stato devono tenere conto della competenza legislativa regionale e nel caso si faccia riferimento ad accordi o intese, devono rispettare il principio di leale collaborazione. Questo significa che qualsiasi decisione deve essere assunta con un coinvolgimento reale ed effettivo delle Regioni». In pratica eventuali cambiamenti della normativa possono essere sì proposti dal governo, ma le decisioni poi devono essere prese «rispettando sempre la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale. Quindi vincoli così stringenti come riferimenti a categorie di soggetti destinatari non sono ammessi». Come già scritto nella sentenza numero 287 di undici anni fa: il governo Berlusconi di allora e il governo Draghi l’anno scorso hanno commesso, in pratica, in due forme diverse lo stesso identico errore. E infatti hanno ottenuto dalla Corte costituzionale la stessa identica censura. Una nota a margine: stupisce che nel testo della sentenza 2023 siano presenti dei refusi, con i tirocini extracurriculari che per sbaglio in alcuni casi sono chiamati “curriculari”. Questo, però, non cambia la sostanza del pronunciamento: «In altri casi è successo che ci fosse qualche errore materiale e la Corte ha proceduto poi a correggere» dice Morelli, senza escludere che la Corte possa farlo anche in questo caso: «Ma va comunque inteso come “extracurriculare”». «Sarebbe opportuno fare un aggiornamento e rivedere la normativa anche alla luce di tutta una serie di critiche fatte a questo famoso comma 721» conclude il professor Alessandro Morelli: «C’era stato un grande dibattito su questa delimitazione così stretta alla categoria di soggetti con difficoltà di inclusione sociale: questa è l’occasione per rivedere la disciplina. Probabilmente meriterebbe una rivisitazione complessiva. Non ci sono obblighi, però. Se questa sentenza di incostituzionalità avesse determinato un vuoto normativo a sua volta incostituzionale, sicuramente la Corte non avrebbe pronunciato l’incostituzionalità della norma. Se l’ha fatto vuol dire che c’è la possibilità di fare riferimento a disposizioni normative vigenti che coprano tutti gli ambiti di interesse». Nessun cambiamento, quindi: in tutto questo periodo sono comunque rimaste in vigore le linee guida del 2017, e ciascuna regione è di fatto sempre libera di modificare le sue normative in materia di stage extracurricolari, con l’indicazione – ma non l’obbligo, peraltro – di cercare di aderire il più possibile a quelle linee guida. Perché non c’è grande probabilità, considerando la situazione, che nuove Linee Guida vedano la luce nei prossimi mesi. Marianna Lepore

Come si fa a far sentire la voce dei giovani? Il 13 aprile il podcast live di RdS all'università Cattolica

Quanto sappiamo di quello che pensano i giovani? Di quello che desiderano, di come guardano il mondo, delle aspettative che hanno, e frustrazioni, e sogni, e opinioni? Quanto li mettiamo davvero al centro della politica, della narrazione pubblica, quanto permettiamo loro di essere protagonisti delle decisioni politiche e sociali? La risposta è: poco. Pochissimo. Il cosiddetto protagonismo giovanile è più una chimera che una realtà. Le storie dei giovani vengono troppo spesso utilizzate come armi di distrazione di massa, raccontando soprattutto gli eccessi, le stupidità, le sfortune incredibili, i casi umani – invece di andare a bussare alla porta di quei 5 milioni e 800mila giovani tra i 15 e i 24 anni, più 1 milione e 200mila giovani adulti tra i 25 e la soglia dei 30 anni, che ogni giorno vivono una vita normale, cercando di fare il meglio possibile con quello che hanno, e che hanno una visione del mondo in cui vivono, di quello che vorrebbero della loro città, dal loro paese, dalle persone che li governano.Ci sono delle luminose eccezioni, degne di nota. Una di queste è il Rapporto Giovani curato ormai da molti anni dall’Istituto Toniolo, la più estesa ricerca italiana sulla condizione giovanile. Altre eccezioni sono le realtà associative che mettono appunto i giovani al centro, fondate da giovani per giovani, guidate da giovani, e cercano di fare la differenza creando iniziative e progetti in Italia e altrove. La puntata del podcast della Repubblica degli Stagisti in programma live all’università Cattolica di Milano giovedì 13 aprile ha proprio come tema quello del protagonismo giovanile. Per capire cosa pensano i giovani e quanto si sentono ascoltati e rappresentati in Italia oggi. Per farlo avremo due ospiti: il professor Alessandro Rosina, “rockstar” della demografia e grande esperto di giovani, soprattutto in qualità di coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, e poi Beatrice Nespoli, una delle responsabili di Culturit, organizzazione non profit fondata nel 2015 che si prefigge di formare studenti universitari di tutte le facoltà attraverso progetti focalizzati sulla valorizzazione e lo sviluppo dei beni culturali italiani. A loro chiederemo cosa vuol dire essere giovani oggi, quali sono le difficoltà più frequenti da affrontare, cosa andrebbe fatto per rendere i giovani davvero centrali nel dibattito pubblico e per portarli nella stanza dei bottoni, affinché possano contribuire alle decisioni politiche di oggi e di domani (che riguarderanno, peraltro, loro specialmente nei decenni futuri!).Rosina, 54 anni, è ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia della Cattolica di Milano, dove è stato anche direttore del Dipartimento di Scienze statistiche, ed è oggi direttore del “Center for Applied Statistics in Business and Economics”. Il rapporto Giovani di cui è coordinatore scientifico, indagine sui Millennials nati tra i 1980 e il 2000, è arrivato ormai alla sua decima edizione. Uno dei libri più famosi che Rosina ha scritto – a quattro mani con la giornalista Elisabetta Ambrosi – uscito nell'ormai lontano 2009 e dunque in un certo senso “profetico” si intitola “Non è un paese per giovani" con un sottotitolo ancor più eloquente: “L’anomalia italiana: una generazione senza voce”.  Rosina è anche protagonista di due TEDx: il primo nel 2014, “Perché l’Italia è un Paese per giovani”, realizzato nel TedXIed, evento TEDx promosso dall'istituto Europeo di Design; il secondo nel 2022 al TEDxMilano, “Un figlio nel XXI secolo tra scelta individuale e valore collettivo”.Beatrice Nespoli ha invece 25 anni e si è laureata solo pochi mesi fa alla magistrale in storia dell'arte all'università Cattolica, dove già aveva fatto un percorso triennale in Beni culturali. Anche grazie a un'esperienza di servizio civile in un ufficio cultura ha capito di avere una passione per la divulgazione della cultura, e di volersi attivare per valorizzare le realtà culturali sul territorio e creare eventi per farle conoscere al vasto pubblico. Due anni fa, nel 2021, è entrata a far parte di Culturit Cattolica – e l'associazione ha alcuni gruppi proprio dentro le università – e in particolare nell'area progetti, di cui è diventata responsabile. Dal settembre del 2022 è responsabile nazionale progetti di Culturit e lavora come operatrice museale al Rossini art site e come guida presso Archeologistics.Rosina e Nespoli, da prospettive anagrafiche e professionali molto differenti, racconteranno la loro visione di come si può e si deve dare voce alle nuove generazioni, con l'obiettivo di far ridiventare l'Italia, finalmente, un paese per giovani.Giovedì 13 aprile la registrazione, nella sede storica di via Sant'Agnese 2: appuntamento, per chi volesse assistere al live della puntata e dibattere con gli ospiti, alle ore 11:15 nello studio multimediale “aula Malinverni”.

Tirocini all'Eurofound di Dublino, super-indennità da 1800 euro e opportunità di assunzione

I programmi di tirocinio europei si contraddistinguono spesso per rimborsi spese che agli occhi di un italiano possono sembrare stipendi di tutto riguardo. È il caso anche di Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro con sede a Dublino, che offre ai suoi stagisti ben 1827 euro netti al mese. A cui vanno aggiunti una maggiorazione dei 50 per cento per chi è portatore di disabilità e il rimborso spese per il viaggio. «Potrebbe sembrare una cifra generosa» è la risposta alla Repubblica degli Stagisti di Aoife Caomhánach, addetta alle Risorse umane di Eurofound [nella foto a destra], «ma l'importo riflette il generale costo della vita in città e gli affitti particolarmente alti di Dublino».Non è fisso quindi, «ma può cambiare». Questo perché «è calcolato sulla base del rimborso spese dei tirocinanti operativi presso le istituzioni Ue di Bruxelles, e poi ritarato applicando il coefficiente collegato al costo della vita di Dublino». D'altronde l'agenzia è attenta a questi temi. Il suo compito, si legge sul sito, «è studiare le esperienze pratiche e i fattori che contribuiscono al successo delle politiche sociali nei Paesi dell'Unione europea». Esiste dal 1975 e fa parte della galassia delle oltre quaranta agenzie Ue, sparse per tutta l'Unione. «Conduciamo sondaggi e forniamo informazioni in modo gratuito» specifica alla RdS Mans Martensson, communications manager di Eurofound. Si tratta di «studi comparati su mercato del lavoro, qualità della vita e servizi pubblici», e l'obiettivo è «migliorare le politiche europee in questi ambiti». La buona notizia è che fino al 16 aprile a mezzanotte è possibile inviare la propria candidatura per partecipare a una delle posizioni di tirocinio disponibili al momento. Non sono molte, «dieci al massimo all'anno» fa sapere Caomhánach, «trattandosi di un'agenzia relativamente piccola». Gli italiani ancora una volta confermano il loro primato: «Delle 550 applications che arrivano in media ogni anno, il 60 per cento è di provenienza dall'Italia». Ma importante da sapere è che un tirocinio può aprire le porte a una vera opportunità di lavoro. A chiarirlo è Martensson: «I tirocini in Europa sono utili e spesso rappresentano una rotta verso il lavoro» commenta. Nel caso di Eurofound, «si verifica di frequente». I tirocinanti – conferma il regolamento - «possono essere assunti dopo aver completato il periodo di pratica, nel caso in cui ciò risulti conforme alle regole stabilite per quella determinata posizione».Meglio quindi darsi da fare. I requisiti per fare domanda sono la laurea, anche solo breve, che deve però essere già stata conseguita entro la chiusura delle candidature (quindi il 16 di aprile). E poi la nazionalità di uno dei Paesi europei, la conoscenza di almeno due lingue europee, di cui una deve essere l'inglese, da dimostrare in caso di selezione attraverso diplomi o certificati, come specifica il regolamento. Non può partecipare chi abbia già avuto sei settimane di precedenti esperienze presso le istituzioni dell'Ue. Le vacancies del momento sono nove in tutto, di cui sette nell'ambito di unità di ricerca in cui ci si occuperà di studiare e raccogliere dati riguardo materie quali 'Le relazioni industriali', 'Le condizioni di lavoro e il lavoro sostenibile', 'La coesione sociale' oppure 'Le condizioni e la qualità di vita'.Le altre due posizioni sono nel dipartimento Comunicazione e media, e nell'ufficio distaccato con sede a Bruxelles. Per ognuna ci sono specifiche richieste e mansioni. Nel caso per esempio dell'area di ricerca sul tema dell'occupazione, i requisiti sono una laurea in Economia, Sociologia o Scienze sociali, oltre a buone conoscenze informatiche e esperienze di ricerca da desk. Lo stagista dovrà, è scritto, «fornire supporto nei progetti di ricerca, specie quelli sulle piattaforme di lavoro o sulla digitalizzazione dell'occupazione». E ancora per l'unità 'Working Life' è preferibile una laurea in Sociologia, Economia o Scienze politiche e familiarità con le statistiche sul mercato del lavoro. Il lavoro in questo campo è concentrato sulla revisione e controllo di qualità sui dati ricevuti dai corrispondenti del network di Eurofound.Ci si candida a questo link, e solo per i selezionati arriverà una richiesta di appuntamento per una intervista telefonica (da sostenere in inglese). Va sottolineato che le candidature resteranno valide per tutto il 2023, e che i candidati finalisti potranno essere contattati anche in futuro nel caso si presentasse l'esigenza di potenziare l'organico nell'arco dell'anno. L'inizio dell'esperienza per chi supera il processo di selezione dovrebbe essere a inizio giugno, ma sarà specificato solo una volta confermata l'accettazione della candidatura. I mesi di tirocinio sono sei, con possibilità di proroga fino a dodici.Per farsi un'idea più chiara di cosa aspettarsi da un eventuale stage all'Eurofound basta leggere le esperienze degli ex pubblicate sul sito. Come quella di Elisa Staffa, laureata alla magistrale in Economia alla Sapienza e stagista all'Eurofound a novembre 2021 presso l'unità di ricerca nell'occupazione. «Ero molto interessata alla ricerca su mercati del lavoro e ristrutturazioni d'azienda, quindi il tirocinio si è rivelato perfetto per me» racconta. «Sono stata responsabile di un database contenente dati sulle riforme in atto in tutta Europa, ma ho anche partecipato a progetti e pubblicazioni su temi come lo smart working o l'impatto della trasformazione green». In più, riguardo l'atmosfera che si respira, assicura: «Pur essendo solo una stagista la mia opinione è sempre stata presa in considerazione». Lavorare nelle agenzie Ue «è un privilegio: ti senti nel cuore del processo decisionale sulle politiche sociali». E sono «molte le porte che in seguito si sono aperte», come quella dell'Economic and Social Research Institute di Dublino, dove da novembre scorso Staffa lavora come assistente alla ricerca. Ilaria Mariotti 

Cloud Data, al master di Bip e Cefriel si impara l'innovazione tecnologica: e si viene assunti da subito

Nel mercato del lavoro ci sono alcune competenze professionali molto ricercate, ma più o meno introvabili. Molte aziende per esempio cercano intensamente, oggi, figure in grado di «organizzare i dati in modo efficiente ed efficace, governarli e gestirli», dice Pierluigi Plebani, professore associato di Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria al Politecnico di Milano e direttore del master in Cloud Data Engineering di Bip e Cefriel. Formarsi su questi temi può essere dunque un passepartout per proiettarsi nel mondo del lavoro a velocità doppia rispetto alla media: «Ormai tutti hanno capito che i dati sono un asset importante e fondamentale per la propria organizzazione», continua Plebani, e dunque «tutti gli ambiti applicativi si prestano ad assorbire i Cloud Data Engineer».Il master in questione, promosso da Bip e Cefriel (due aziende che fanno entrambe parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti!) e ormai giunto alla quinta edizione, in 13 settimane di formazione insegna proprio queste specifiche competenze e crea le figure professionali del Cloud Data Engineer e Cloud Data Architect. L'edizione passata è stata quella finora più partecipata: ben 300 cv ricevuti, 60 persone chiamate a colloquio, 14 selezionate per il percorso. E se dire "colloquio" quando si parla di un master potrebbe sembrare esagerato, meglio specificare subito che per fare questo master non si paga. Anzi: si è pagati. Ancor meglio: si viene assunti.Bip ha scelto infatti di inquadrare i partecipanti – una dozzina per ogni edizione, solitamente – fin da subito con un contratto di lavoro subordinato, nello specifico un contratto di apprendistato di alta formazione, il cosiddetto "alto apprendistato" (o apprendistato "di terzo livello"), con una retribuzione annua lorda di 26mila euro che tra l’altro viene incrementata progressivamente, con un primo scatto già al termine del primo anno.«La formula dell’alto apprendistato è sicuramente vincente: comporta vantaggi per tutti!» racconta alla Repubblica degli Stagisti Roberta Morici, responsabile dei programmi di Formazione di Cefriel: «Prima di tutto per i beneficiari, che possono combinare l’ingresso immediato nel mondo del lavoro con una modalità che li accompagna a specializzare ulteriormente la loro preparazione. Le aziende più innovative lo offrono ai propri dipendenti per rispondere a diverse esigenze: attraction di giovani talenti neolaureati, training specialistico di alto livello certificato, retention a medio-lungo termine, e accelerazione della capacità di generare innovazione ad alto impatto. E inoltre» – e questo potrebbe interessare magari qualcuno che lavora nelle risorse umane – «ci sono sgravi fiscali importanti garantiti da questo inquadramento».L'inquadramento in apprendistato è talmente interessante che ci sono persone che scelgono di lasciare il proprio lavoro per iscriversi al master. Come è successo cinque anni fa a Stefania Marras, una delle partecipanti della prima edizione (il nome del percorso, allora, era "Master in Big Data Engineering"). Anche se in questo caso in realtà il "trasloco" era stato minimo, perché Marras già lavorava in Bip. Laureata in Scienze economiche – «a stampo prettamente statistico» – nella sua città, Cagliari, Marras aveva raggiunto Bip nel 2017 nella sede di Milano come analista funzionale nell'area di business. «All'università avevo acquisito un'infarinatura molto basic di linguaggi di programmazione per quanto riguardava l'econometria, quindi Mathlab, Stata, R. Programmare mi piaceva tanto: mi divertivo!». Scoperta l'esistenza del master, in accordo col suo responsabile dell'epoca Marras avanza una candidatura interna e comincia «un percorso di selezione a metà, un po' come quando prendi la patente A ma hai già la B, e fai solo la guida» scherza: «Con gli HR, che già mi conoscevano, abbiamo fatto una chiacchierata sulle motivazioni, ma il più è stato il colloquio tecnico». Stefania Marras lo supera e così nel 2019 comincia il percorso che oggi fa di lei una Cloud & Data Architect & Deputy Team Leader in Xtech, il gruppo di lavoro che in Bip si occupa di BigData e Cloud.Xtech è un team con oltre 500 professionisti. «Siamo divisi per ambiente di conoscenze e per aree» spiega Marras:  «C'è il gruppo di Cloud&Data; il gruppo di AI, intelligenza artificiale; e così via. Ogni team varia dai venti ai quaranta componenti, ha un team leader e alcuni deputy, che sono responsabili di gruppi più piccoli». In questo momento, da deputy team leader di un team Cloud&Data Marras segue quattro persone, «tutti partecipanti delle passate edizioni del master!» – perché il team di Cloud&Data è appunto l'approdo "naturale" per chi fa questo percorso.Il processo di selezione dei candidati prevede uno screening su carta dei profili; quelli in linea vengono contattati dall'ufficio HR di Bip che spiega la proposta formativa e propone una intervista in modalità asincrona, in inglese, chiedendo di girare dei miniclip di qualche minuto rispondendo sia a domande soft sia a domande tecniche. Se le risposte sono buone e il profilo è coerente, partono i colloqui individuali: uno tecnico e uno con l'HR.Oggi Stefania Marras participa al processo di  selezione gestendo alcuni dei colloqui tecnici: «I candidati svolgono due esercizi, di cui mi mandano la risoluzione per email: per cui si arriva al colloquio tecnico, a voce, con questi esercizi e i piccoli video che mi permettono di avere un'idea della base tecnica di ciascuna persona. Tipicamente quel che faccio è indagare su come ha ragionato per gli esercizi, e capire se c’è la preparazione tecnica di fondo».Ma quanto esperti di informatica bisogna essere per candidarsi? «Tra le domande dei minivideo ce n'è qualcuna più avanzata: su quelle possiamo dire "vabbè, questo lo imparerà durante il master". Per esempio tutto ciò che riguarda i microservizi, le metodologie di sviluppo come DevOps» sono ambiti che vengono affrontati nella seconda metà del master, specifica Marras, e non per forza si devono già conoscere. Indispensabili invece sono «i paradigmi del dato: mi aspetto che una persona che vorrebbe approcciarsi a questo mondo conosca il concetto di database relazionale. E poi sicuramente deve avere la conoscenza di qualche linguaggio di programmazione; non necessariamente la base informatica perfetta, ma quantomeno avere già approcciato la logica dello scrivere un codice. Poi ovviamente è un plus se una persona conosce Python» sorride.Stefania Marras non vede nessuna controindicazione per le ragazze nell'affrontare questo tipo di percorso: «La testa per fare un certo tipo di attività più "tecnica", tutti quanti possono averla! Io, devo essere sincera, non mi sono mai neanche posta il dubbio "Posso o non posso fare qualcosa perché donna?”. Questo è il messaggio che dò: se a voi piace programmare, stare sulla tastiera a scrivere o ragionare in quel tipo di mentalità, non vedo perché no». Oggettivamente non è facile trovare donne che abbiano competenze informatiche di base, e quindi la ricerca di balance in questo tipo di percorsi – così come alle facoltà di ingegneria informatica e informatica – è ardua perché alla base mancano le potenziali candidate con le competenze giuste… o col coraggio di buttarsi in queste materie. Ma «per ora ho trovato tutte le candidate molto preparate e valide al pari» dei maschi, assicura Marras: «La preparazione è identica».Il master è completamente realizzato a distanza; il punto di forza, riflette Plebani, è «la formula che prevede momenti di didattica frontale intervallati da momenti di studio autonomo» perché «l’erogazione online richiede molta attenzione e, come si sa, seguire a distanza è fonte di mille distrazioni: per questo motivo, invece di programmare le classiche giornate di lezione, abbiamo previsto di suddividerle tra momenti di didattica più tradizionale e momenti di esercitazione e approfondimento autonomo da parte degli studenti su argomenti suggeriti dai docenti», alcuni dei quali insegnano al Politecnico di Milano mentre altri sono esperti di BIP xTech. Una metodologia che riesce a coinvolgere e appassionare gli studenti. Il piano formativo ha due temi fondanti, il Cloud e i Dati, «bilanciati all’interno dei diversi moduli con l’obiettivo di far comprendere come le soluzioni Cloud possano essere utilizzate per una corretta gestione dei dati» spiega ancora Plebani, che ricorda: «Questi aspetti innovativi sono presentati dopo una formazione di base che fornisce competenza sui principi e le tecniche che rappresentano il fondamento di tutte le soluzioni. Questo per dare agli studenti una formazione solida e duratura nel tempo, al di là delle novità tecnologiche in continua evoluzione».Anche dopo la fine delle 13 settimane di formazione, continua poi la modalità 100% smart: ciascuno può lavorare dal luogo che preferisce, organizzandosi in maniera autonoma e appoggiandosi volendo a una delle tante sedi di Bip: solo in Italia ve ne sono a Milano, Roma, Mogliano Veneto, Padova, e c’è anche un nuovissimo ufficio in Sicilia, a Palermo. Chi fosse interessato a tentare la carta di questo master in Cloud Data Engineering può trovare i dettagli nella brochure e tutte le informazioni su come candidarsi sul sito: le selezioni sono aperte fino al 5 maggio, con inizio del master previsto per lunedì 22 maggio.

La forza di pensiero dei Millennials, un'artista romana rielabora le voci dei giovani nati nel 2000

Sono nativi digitali perché nati e cresciuti nell'era dell'iper-informazione, ma la loro voce resta spesso inascoltata. Da questo spunto nasce l'idea dell'artista visiva Francesca Grosso, 31enne romana, che nella mostra La Voce dei Duemila – fino a pochi giorni fa in esposizione alla Casa del Municipio I a Roma – ha esposto opere realizzate con la tecnica dei calligrammi in cui si riportano le riflessioni dei giovani. Circa 250 ragazzi nati nel Duemila e da lei intercettati e intervistati. Il risultato è stato trasposto nelle sue creazioni, raffigurazioni composte tramite la scrittura. Ogni quadro contiene disegni realizzati con parole scritte, provenienti dalle interviste ai giovani ma anche da poesie e testi di autori famosi. Sono calligrammi 'artistico-sociali' li definisce il comunicato, nati dalla scrittura che, in forma libera, «non rispecchia i modelli della calligrafia ma si sviluppa come materiale pittorico».  «Nel 2018 ho messo online un video che rimandava a un form online rivolto a chi avesse appena compiuto 18 anni» racconta Grosso alla Repubblica degli Stagisti. «Mi interessava creare uno spazio ideale di scambio, di ascolto verso la generazione più giovane, che fosse anche uno strumento di crescita» chiarisce l'artista. Che non si limita ai pennini e all'inchiostro per le opere di scrittura, ma utilizza anche l’acquerello per creazioni pittoriche, oltre a mettere a punto sperimentazioni digitali per la video-arte. «Volevo che i millennials rivendicassero la propria forza di pensiero» prosegue Grosso, «e che rispondessero con forza a chi li definisce in senso dispregiativo 'nativi digitali'». Come in ogni epoca «il pensiero dei più giovani viene talvolta sminuito, se non proprio ammutolito». Nel nostro caso è quello di chi è nato immerso nelle nuove tecnologie, per la prima volta nella storia. Ma non per questo ha meno da dire rispetto a generazioni che hanno vissuto contesti diversi. Gli intervistati sono stati chiamati a riflettere sul mondo ideale, sul significato della diversità, sulle nuove tecnologie. E ancora sulla propria percezione dell'amore, dell'attesa, della paura, del potere e della libertà, sul senso di inadeguatezza e di alterità. Diciassette in tutto le domande poste in modalità aperta. Alcune tra queste sono state: 'Cosa significa per te amare?', oppure 'Come dovrebbe essere per te la scuola?'. E poi: 'Quali sono secondo te le cause delle guerre?', 'Immagina un giorno senza Wi-Fi, come sarebbe?'. Le risposte - arrivate da tutta Italia - offrono uno spaccato sulle nuove generazioni. Un ragazzo che si firma anonimo afferma che «Il mondo ideale è quello in cui la maggior aspirazione degli uomini non sia quella di essere superiore agli altri, ma di essere da esempio per gli altri». Non tutti si sentono liberi, «perché io ho possibilità di scegliere cosa voglio essere ma il mondo dovrebbe essere più giusto eliminando disuguaglianze economiche e sociali» dice un'altra partecipante, Federica Boasso. E ancora «Non riesco a immaginare un mondo in cui mi senta libera. Forse essere in una gabbia a volte fa comodo» sostiene Lunia.Altri vogliono cambiare il mondo, come Lucrezia Pierri: «Mi interessa migliorare i diritti delle persone, soprattutto delle donne, che vivono in paesi in cui non possono godere di certe libertà». E poi c'è chi, come Luna, ammette: «Voglio solo far musica, non mi interessa se ciò finisce per migliorare il mondo o solo la mia vita». Sulla definizione di nativi digitali hanno per esempio opinioni diverse. Secondo Matilde Pessina «Non abbiamo vissuto il 'prima' ma non per questo siamo più dipendenti». Per Alessia Pirrello «Internet se usato bene è un ottimo strumento per unire le persone e esprimere creatività». Ricorre la preoccupazione per l'ambiente. Carlotta Lunardi vorrebbe «sensibilizzare le persone sulla questione ambientale perché ciò che stanno facendo ora avrà una grossa ripercussione negativa per noi 'nativi digitali'». Dice Sara Pisani: «Nel mio mondo ideale gli uomini hanno ben presente di essere solo ospiti su questa Terra, tanto quanto gli altri animali e tutti gli esseri viventi, perciò vivono nel rispetto della natura».  «C'è una grande necessità di sentirsi ascoltati, considerati» riflette l'artista. «Io sono diventata in qualche modo un foglio bianco, un punto di ascolto privo di giudizi e ho cercato di lasciarmi suggestionare nella costruzione delle immagini». Così sono nati i quadri e i calligrammi, alcuni singoli e altri corali, in cui si raccontano le storie dei ragazzi. Le parole vengono cristallizzate e trascritte con lentezza. Un metodo che «diventa metafora di ascolto, dedizione e partecipazione». Qualcosa che si è perso nell'era del digitale, insieme alla scrittura manuale che, al contrario, è foriera di attenzione.Ilaria Mariotti 

Il nuovo podcast della Repubblica degli Stagisti sbarca all'università Cattolica

La Repubblica degli Stagisti ha una novità in serbo per il 2023: un podcast per parlare in maniera chiara, rilassata e accurata insieme, dei temi che riguardano i giovani. Le prime puntate pilota sono già online, con gli ospiti Silvia Zanella di EY e Giulio Xhaet, autore del libro “Da Grande”. E in programma adesso c'è una serie di puntate speciali registrate live grazie a una collaborazione con l'università Cattolica di Milano.Mercoledì 22 marzo la prima registrazione, nello studio multimediale “aula Malinverni” nella sede storica di via Sant'Agnese 2. Tema della puntata: un focus sui tirocini curricolari ed extracurricolari, per fare il punto sulle differenze di questi due tipi di tirocinio, l'inquadramento normativo, e ragionare su cosa potrebbe essere modificato e migliorato per assicurare agli stagisti la migliore esperienza possibile.A discutere con Eleonora Voltolina saranno due ospiti molto esperti: il giovane politico Paolo Romano, fresco di elezione al consiglio regionale della Lombardia, e la sindacalista Barbara Guardamagna.Romano, 27 anni, laureato in Economia alla Bocconi, già segretario metropolitano dei Giovani Democratici tra il 2019 e il 2021 e assessore nel Municipio 8 del Comune di Milano, è una vecchia conoscenza della Repubblica degli Stagisti: è stato lui che, a fine 2021, aveva guidato la delegazione di giovani che ha consegnato al ministro del lavoro dell'epoca, Andrea Orlando, la petizione su stage e apprendistato con oltre 60mila firme (ora ha addirittura superato le 70mila). Solo un mese fa, alle elezioni regionali, ha registrato un risultato eclatante: con oltre 9mila preferenze è stato il candidato più votato in tutta la Provincia di Milano. E adesso porterà in consiglio regionale, seppure da una posizione di minoranza, le istanze per i diritti degli stagisti.Barbara Guardamagna, che oggi lavora presso il dipartimento politiche del lavoro della Cisl Lombardia, è stata per 25 anni direttrice delle sedi di Milano, Monza e Lecco dello IAL. Lo IAL, fondato nel 1955 su iniziativa della Cisl per promuovere una migliore tutela del lavoro, è una rete di srl con la qualifica di impresa sociale che operano nel campo della formazione e qualificazione professionale dei lavoratori. Guardamagna ha dunque una grandissima esperienza nell'ambito della formazione e delle politiche al lavoro.Con loro Voltolina farà il punto sulla riforma normativa mancata del 2022, sulla proposta dei GD di rafforzare i diritti dei tirocinanti curricolari a cominciare dall'introduzione di una indennità mensile obbligatoria, sul ruolo e l'importanza del soggetto promotore in una esperienza di stage, su come si può evitare che lo stage cannibalizzi il contratto di apprendistato e in generale venga utilizzato impropriamente per mansioni troppo semplici e ripetitive, che in realtà non necessiterebbero di una formazione prolungata. E poi ancora focalizzeremo i problemi più frequenti che ricorrono quando si attiva un percorso di stage.Romano e Guardamagna daranno i loro consigli ai giovani che si fanno i primi passi nel mondo del lavoro... e consiglieranno anche il loro libro del cuore, come è tradizione del neonato podcast della Repubblica degli Stagisti.Appuntamento allora, per chi volesse assistere al live della puntata, mercoledì 22 marzo alle ore 16 all'aula Malinverni!

Un libro per aiutare le giovanissime a proteggersi contro gli stereotipi

A dieci anni tutto comincia a cambiare. Un piccolo grande terremoto di ormoni, il corpo che smette di crescere solo in peso e altezza e comincia invece a modificarsi: i bambini non diventano adolescenti dall'oggi al domani, ma attraversano una “età di mezzo” che, specie per le bambine, è cruciale per costruire il proprio futuro di giovani donne. La preadolescenza, che nella letteratura scientifica è collocata nella fascia di età tra i dieci e i tredici anni, è un momento molto delicato in cui possono radicarsi tutti gli stereotipi di genere che portano poi le ragazze ad autolimitarsi nelle scelte personali e professionali, adeguarsi al sistema patriarcale di divisione dei ruoli, ed accettare di poter avere meno libertà di scelta e indipendenza rispetto ai coetanei maschi.«Oggi ci si concentra sulla prima infanzia perché si sa che sono anni importantissimi per la crescita, e poi sull’adolescenza che è una fase di forti cambiamenti dove sorgono una serie di problematiche», spiega alla Repubblica degli Stagisti Marie Madeleine Gianni, presidente della fondazione Bet She Can (che vuol dire più o meno Scommetti che lei ce la fa?): «Noi invece abbiamo scelto di focalizzarci nel “mezzo”, e cioè su un pubblico che va dagli 8 ai 12 anni, quindi prima che il problema sorga, e con questo progetto in particolare su tre anni-cardine, a partire dai dieci. Ma le tematiche affrontate, l’ascolto, le amicizie, hanno tante trasversalità al di là del focus sul cambiamento del corpo e delle relazioni».Così arriva nelle librerie il nuovo progetto ideato da Bet She Can, fondazione nata otto anni fa che offre percorsi di sviluppo della consapevolezza di sé a bambine e ragazze nella preadolescenza: L’età di mezzo, un albo illustrato scritto da Emanuela Nava e disegnato da Marco Brancato per Carthusia Edizioni che tratta la delicata fase del diventare grandi, crescere, cambiare: nel fisico e nei rapporti con gli altri. Quattro amiche, non più bambine e non ancora ragazze, sono alle prese con i cambiamenti repentini del corpo e della testa; proprio grazie all’amicizia riescono ad affrontare le trasformazioni che inizialmente sembrano insormontabili, a cambiare prospettiva e a rinsaldare l’affetto tra loro.«La potenza del nostro primo libro-progetto, Volo con te, è stata una lezione», spiega alla Repubblica degli Stagisti Marie Madeleine Gianni, che dal 2019 è anche Ashoka Fellow: «Durante la pandemia abbiamo inviato dei kit “Volo con te” nelle scuole e nelle biblioteche, formando insegnanti e risorse dei partner associativi e delle biblioteche municipali a distanza. Questo ci ha dato voglia di sviluppare una formula Bet She Can ad hoc, dal nome “1, 2, 3… Storia!” che partendo da un racconto formato albo illustrato ci consente di sviluppare attività laboratoriali sulle tematiche di consapevolezza, scoperta dei propri talenti e libertà di scelta». In questa nuova avventura la Fondazione è stata sostenuta da Gedeon Richter Italia, multinazionale della farmaceutica: «Insieme abbiamo deciso di sviluppare qualche strumento per le ragazze e i ragazzi che affrontano il processo di cambiamento e crescita verso l’adolescenza, con tematiche quali la prepubertà e i suoi cambiamenti ormonali e del corpo, ponendo anche l’accento sull’evoluzione nelle relazioni e negli affetti che caratterizza questo momento», racconta Gianni: «Così è nato L’Età di mezzo».Anche con questo libro il target di riferimento, protagonista della storia e destinatario della lettura, è quello che va «dai 10 ai 12 anni. Anche se i cambiamenti, del corpo, delle relazioni, delle emozioni, sono tematiche che vivono molto anche bambine e bambini di terza o quarta elementare» osserva la fondatrice di Bet She Can: «E poi l’ascolto dei propri desideri, al di là delle costrizioni del mondo adulto, è uno dei leitmotiv dell’albo e vale tanto per ragazze e ragazzi quanto per noi adulti». I destinatari, però, possono essere persone di tutte le età perché l’obiettivo, oltre ad accompagnare i ragazzi in questa fase di cambiamenti, è proprio quello di aprire il dialogo con gli adulti della famiglia.Bet She Can vuole continuare a concentrarsi sulla fase della preadolescenza a cui pochissimi si rivolgono, che è però determinante per riuscire a portare un cambiamento: «L’impatto sociale è elevatissimo: si va alla sorgente, un attimo prima che si manifesti il disagio prodotto dalle sovrastrutture e dai condizionamenti».Il libro è progettato per essere vissuto. Nelle pagine finali ci sono una serie di domande e attività che vogliono accompagnare i bambini nell’analizzare i propri cambiamenti fisici, il modo in cui vivono e manifestano le emozioni, l’importanza di un rapporto di amicizia. Ma questo è solo l’inizio. «Ora faremo un lavoro con i nostri educatori ed educatrici per ideare delle attività laboratoriali intorno al libro, per poi affinarle sul campo. Questo ci consentirà di capire meglio quale parte del racconto e attività ad esso legata funziona meglio con i partecipanti di diverse fasce di età o genere», spiega Marie Gianni. L’obiettivo è arrivare a costruire dei progetti come si è fatto con Volo con te, che ormai è alla seconda edizione nelle biblioteche, gira per le scuole, ha trovato una serie di attività consolidate che accompagnano i bambini alla lettura del testo.L’età di mezzo ha fatto il suo debutto l’8 marzo alla Fiera del libro per i bambini di Bologna e domani, il 21 marzo, sarà presentato durante l’evento “L’età di mezzo – Infanzia e preadolescenza, un terreno fertile per coltivare l’empowerment femminile”, organizzato presso il Centro Filologico Milanese. «Gedeon Richter Italia ha sostenuto questo progetto e per loro è stata prodotta una edizione speciale a tiratura limitata dell’albo, che sarà distribuita alla loro rete di clinici», spiega Gianni, per formare e sensibilizzare i medici sui temi prioritari che riguardano la preadolescenza. In questo evento riservato ai giornalisti sarà quindi presentata per la prima volta la versione speciale. Ma chi fosse interessato a seguirlo può farlo collegandosi dalle 9.30 sul profilo Linkedin di Gedeon Richter Italia. Un altro degli aspetti interessanti del libro è proprio il processo creativo che ha portato alla costruzione della storia. Dall’incontro tra Bet She Can e Gedeon Richter si è deciso di sviluppare un libro progetto sulla fase della preadolescenza e di affidarne la realizzazione a Carthusia, casa editrice diretta da Patrizia Zerbi che dal 1987 costruisce libri per bambini e ragazzi, che ha coinvolto Emanuela Nava e Marco Brancato per scrivere e rappresentare la storia. Tutto partendo da focus group con bambini e adulti, per raccogliere le loro emozioni e sensazioni su determinate tematiche. «I focus group fanno parte della metodologia consolidata da Carthusia, che Bet She Can ha sposato con entusiasmo: per raccogliere idee, opinioni e riflessioni, così da stimolare la creatività dell’editore, della scrittrice e dell’illustratore, che pure assistevano agli incontri». Gli incontri con i ragazzi diventano centrali per la scrittura del racconto, visto che vengono coinvolti nelle diverse tappe della costruzione della storia, all’inizio, mentre si scrive e alla fine.Ma ha senso produrre un testo illustrato che ha come destinatari giovanissimi già alle prese da anni con cellulari, computer, social e interattività? Marie Gianni non ha dubbi: «A noi di Bet She Can piace tantissimo il libro, per la potenza del racconto ma anche proprio per il fatto di avere un oggetto tangibile. È stata una nostra scelta, lo era già prima della pandemia e proprio in quella fase è stata ancora più marcata questa contrapposizione tra quello che proponiamo noi e quella che è la vita davanti agli schermi, che sia la scuola in dad o le chat. Il nostro poi è un libro che va riletto, maneggiato, utilizzato. Per ora rimaniamo sul materiale: sono molto affezionata al libro perché penso che porti qualcosa di diverso nelle dinamiche di gruppo, nel nostro cervello e nel nostro sviluppo».L’Età di mezzo racconta una verità molto spesso sottovalutata, o addirittura taciuta: e cioè che avere dieci anni, undici anni, dodici anni è faticoso, a volte doloroso. Non è tutto rose e fiori, e ci si ritrova disorientati, turbati, a volte frastornati a dover fare i conti con il seno che cresce, il confronto con la vicina di banco a cui sono già venute le mestruazioni o che ha già baciato il suo fidanzatino, nuovi pensieri e nuovi desideri. Mamma e papà smettono di essere il centro di tutto, e il gruppo dei pari prende sempre più spazio nella scala delle priorità. «Entrati nell’età adulta, sembra che nessuno riconosca più l’elemento principale della crescita: la fatica. Come se diventare grandi fosse la cosa più ovvia del mondo, quando è esattamente il contrario», scrive Emanuela Nava nel libro. L’età di mezzo, invece, riconosce quella difficoltà, accompagna le quattro amiche nella sfida più importante, quella della crescita. Senza mai abbandonare l’immaginazione, che ha il potere speciale di aiutare a costurire mondi e scenari diversi.Marianna Lepore

Il Covid non ha fermato i tirocini, i dati del triennio 2019-2021

Anche la pandemia non è riuscita a frenare la marea dei tirocini: tra il 2019 e il 2021 ne sono stati attivati oltre 900 mila. A dirlo è Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, nel terzo Rapporto di monitoraggio nazionale in materia di tirocini extracurriculari. Un testo realizzato insieme all’ Inapp  e prezioso per tutti quelli che si occupano di stage e mondo del lavoro.Il monitoraggio, pubblicato a fine 2022, è basato sull’analisi delle informazioni provenienti dal Sistema unitario delle Comunicazioni Obbligatorie sui rapporti di lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione e sui tirocini extracurricolari. Aggiornato a settembre 2022, il testo analizza le caratteristiche delle esperienze e gli esiti dei tirocini (solo quelli extracurriculari) realizzati tra il 2019 e il 2021, anni in cui l’intero Paese, incluso il mondo del lavoro, è stato rivoluzionato dalla pandemia. L’impossibilità di continuare a svolgere il tirocinio a causa delle restrizioni imposte dal Covid-19 non si è fortunatamente tradotta per forza nell’interruzione delle attività: ai tirocinanti è stata data, nella maggior parte dei casi, l’opportunità di riavviare l’esperienza formativa al termine del periodo di lockdown oppure di svolgerlo in una modalità differente grazie ad inteventi normativi ad hoc.A partire dal 2020, infatti, numerose disposizioni sia nazionali che regionali, sono stati adottati per cercare di contenere e gestire l’emergenza sanitaria. Dal momento che il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro, nel periodo di lockdown diveniva implicitamente impossibile per i tirocinanti recarsi presso la sede del soggetto ospitante.Tuttavia, mentre alcune Regioni (Calabria, Puglia, Sicilia, Valle d’Aosta, Provincia di Trento) hanno optato per il blocco dei tirocini, la maggior parte ha concesso la possibilità di proseguire le esperienze a distanza, introducendo quella peculiare modalità di svolgimento del tirocinio che alcune Regioni hanno denominato “smart training”. Una forma assimilabile allo smart working nella forma, ma differente nella sostanza e nei fini. La possibilità di svolgimento a distanza, che ovviamente riguardava soltanto quei tirocini le cui attività formative potevano essere svolte da remoto, era vincolata al rispetto di determinate condizioni che consentissero di salvaguardare la natura e il valore formativo del tirocinio. La fine del lockdown però non si è tradotta in un ritorno alla situazione pre-pandemia, tanto è vero che diverse Regioni, pur riammettendo i tirocini in presenza, hanno mantenuto il “tirocinio agile” come una possibile modalità di svolgimento.Nel rapporto vengono esaminati i contenuti delle Linee guida sulla qualità dei tirocini a partire dalle prime emanate nel 2013 e poi aggiornate nel 2017 e il loro recepimento da parte delle singole regioni alla luce dell’intervento normativo in tema di tirocini (Legge di Bilancio 2022), che introduceva alcune novità che non implicavano semplicemente un aggiornamento o un’integrazione dell’impianto normativo esistente, ma ne prospettavano una radicale revisione.La disposizione più significativa e rilevante, per le profonde conseguenze che avrebbe potuto produrre in ordine all’attuazione dei tirocini extracurriculari, consisteva nella limitazione della platea dei destinatari ai soli “soggetti con difficoltà di inclusione sociale”. L’effetto più evidente dell’applicazione di questo principio sarebbe consistito in una drastica riduzione dei potenziali destinatari della misura e, conseguentemente, in un netto calo delle attivazioni.Negli anni analizzati (2019-2021) sono stati attivati poco più di 910 mila i tirocini. Di questi, 329 mila nel 2021, un valore a livelli pre-pandemici, dopo il calo rilevante registrato nel 2020 che ha segnato un  -36,5%.  782mila, invece, sono gli individui coinvolti in un’esperienza di tirocinio extracurriculare dal 2019 al 2021 (il numero è più piccolo del precedente perchè una stessa persona può aver fatto più di uno stage) e poco più di 297mila le imprese che hanno ospitato almeno un tirocinante.I dati analizzati rilevano una mobilità geografica minima nello svolgimento dei tirocini. Nel 2021 si rileva un tasso di mobilità interregionale del 9,3% e un tasso di mobilità inter-area del 7,2%; non si deve però dimenticare che la riduzione della mobilità è anche legata, in due dei tre anni di questo specifico triennio, all’emergenza sanitaria. Lo spostamento di tirocinanti che effettuano la propria esperienza in una regione diversa da quella di domicilio interessa soprattutto il Mezzogiorno e in misura minore anche il Centro Italia. Le regioni del Nord sono dunque caratterizzate dalla maggiore capacità di attrazione e sono ancora i territori di maggiore destinazione delle esperienze di tirocinio. A spostarsi sono prevalentemente i giovani adulti, di età compresa tra i 25 e i 29 anni, e le persone della fascia di età successiva (30-34 anni). La maggior parte di loro ha una laurea.Il Covid però ha influenzato anche i tempi di conclusione dei tirocini. Nell’anno di inizio della crisi pandemica, infatti, diminuiscono i tirocini conclusi nei tempi previsti: sono il 43,2%. E osservando la durata dei tirocini nel triennio si evidenzia un picco dei tirocini conclusi al termine di un periodo di proroga nel 2020 (28,8%), mentre restano sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente le interruzioni (28%).Il contesto emergenziale che ha caratterizzato il periodo analizzato secondo il Rapporto «non sembra aver condizionato negativamente gli esiti occupazionali dei soggetti il cui rapporto di tirocinio si è interrotto precocemente». Nel documento infatti si evidenzia come «il significativo aumento delle interruzioni registrato si presta ad una doppia lettura: nonostante gli effetti negativi del covid sul corso di alcuni percorsi di tirocinio – rendendone di fatto impossibile o difficile il proseguimento – permane una quota significativa di interruzioni la cui probabile causa va ricercata nel concretizzarsi di una migliore opportunità di impiego. La durata media dei tirocini è compresa tra i quattro ed i cinque mesi (4,6), e lo scostamento tra durata prevista ed effettiva è del tutto marginale (0,1)».Nell’area nord-orientale si osserva inoltre una più alta frequenza di interruzioni anticipate (33,9%) mentre nelle regioni del Sud i tirocini si sono più di frequente conclusi al termine di un periodo di proroga (26,8%). Le motivazioni dell’interruzione dei tirocini riguardano, il più delle volte, una scelta del tirocinante (44,5%). Solo di rado (2,5%) la decisione è del soggetto ospitante. Nel 12,3% dei casi tirocinante e azienda hanno concordato una risoluzione consensuale del rapporto di tirocinio, anticipando il termine fissato per la conclusione.Analizzando, invece, i risultati dei tirocini extracurriculari nel periodo intercorso tra il 2019 e il 2022, Per quanto riguarda le regioni con più inserimenti non ci sono grosse novità: le percentuali più alte sono al Nord-Ovest. I dati, infatti, mostrano che il tasso di inserimento a 1 mese è al 43,2% nelle regioni del Nord-Ovest; al 32,1% al Sud e al 28,7% nelle Isole. Il Rapporto però continua ad essere vago rispetto alle tipologie di contratto utilizzate per questi “inserimenti”, e alla durata di questi contratti.Osservando i tassi a 6 mesi, si nota che le regioni del Nord e del Centro registrano inserimenti intorno al 50%. I tirocini realizzati nelle regioni del Sud e delle Isole, invece, contano un inserimento occupazionale meno consistente: rispettivamente il 41,6% e 39,3%.A 6 mesi dalla conclusione, la quota dei tirocini ai quali segue l’avvio di un rapporto di lavoro arriva complessivamente al 48,9%, valore comunque in diminuzione rispetto a quanto rilevato al termine del quadriennio 2014-2019 quando era pari al 54%: questo dato unisce le assunzioni presso stesso datore e quelle presso datore differente.Peraltro, Anpal dichiara nel capitolo sugli esiti di aver scelto di non conteggiare le assunzioni dopo i 6 mesi come correlate al tirocinio: «Non sono stati considerati gli inserimenti avvenuti dopo 182 giorni (6 mesi) in quanto ritenuti più difficilmente associabili all’esperienza di tirocinio» si legge in una nota «e al contrario più frequentemente riconducibili alla molteplicità degli eventi che concorrono alla costruzione delle traiettorie di vita e di lavoro del singolo». Il punto di vista della Repubblica degli Stagisti è che tale ragionamento si possa e si dovrebbe fare già dopo 2-3 mesi; ma è già un buon punto di partenza che Anpal fermi la correlazione a 6 mesi (come abbiamo denunciato in passato, nel suo Rapporto sulle comunicazioni obbligatorie il ministero del Lavoro spinge questa correlazione fino all'assurda finestra temporale di 3 anni). L'auspicio è che questo Rapporto possa essere utile ai decisori politici per migliorare, nei prossimi anni, l'inquadramento normativo e l'utilizzo dello strumento dello stage.

Presentazione della nuova Guida di RdS all'università Cattolica, per fare “cultura” dello stage

La Guida Best Stage è dedicata ai giovani – pensata e scritta per loro. Un vademecum che ha lo scopo di fornire informazioni sintetiche e precise su alcuni temi ricorrenti nel momento di ingresso nel mondo del lavoro: offre chiarimenti sui diritti e i doveri degli stagisti, risponde ai dubbi più frequenti, e fa conoscere un pezzetto della cosiddetta “parte datoriale” (cioè i “datori di lavoro”) che si impegna a garantire buone condizioni di ingresso ai giovani facendo parte dell’RdS network.Per tutte queste ragioni, il luogo perfetto per presentare questa Guida è… in mezzo ai giovani! E dove se non in una università? Venerdì 10 marzo nel primo pomeriggio ci sarà la presentazione della Guida Best Stage 2023 all’università Cattolica di Milano. L’evento è inscritto tra le attività di orientamento gestite dal Servizio Stage & Placement dell’ateneo, e viene gentilmente “ospitato” in una delle ore di lezione del professor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Facoltà di Economia e direttore del Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali.«In Italia troppi giovani si perdono nella transizione scuola-lavoro» riflette Rosina, ricordando che il nostro Paese detiene il triste record dei Neet, gli under 30 che non studiano e non lavorano: «E’ necessario rafforzare tutte le tappe del percorso, migliorando sopratutto il raccordo tra scuola e lavoro. In questa direzione vanno sia l’alternanza nelle scuole superiori sia gli stage curricolari durante l’università. I dati dell’Osservatorio Giovani dell’istituto Toniolo» – di cui Rosina è da molti anni responsabile – «confermano che c’è una visione in generale positiva di queste esperienze da parte dei giovani; è però anche vero che un numero non trascurabile teme che gli stage possano diventare forme di sfruttamento o vengano svolti in luoghi non sicuri». Quindi bisogna affrontare il tema in un’ottica costruttiva, in modo che gli stage «non vengano indeboliti, ma migliorati». Come? Garantendo «che siano una vera opportunità di formazione e di accesso al mondo del lavoro, e non un modo per le aziende di utilizzare manodopera a basso costo». E questo, nei fatti, si concretizza «qualificando le attività in coerenza con l’effettivo rafforzamento delle competenze», per esempio, e «introducendo un sistema di regolamentazione e controllo per garantire che le aziende ospitanti rispettino i diritti dei tirocinanti»; e poi, come la Repubblica degli Stagisti chiede da tempo, «effettuando un monitoraggio costante dei tirocini e dei loro risultati».In quest’ottica, quanto più i giovani sono ben informati e consapevoli del quadro normativo di riferimento, delle opportunità, dei meccanismi di funzionamento della selezione del personale, tanto più possono muovere i primi passi nel mondo del lavoro con cognizione di causa ed evitare situazioni grigie: «Il lavoro di divulgazione della Repubblica degli Stagisti è molto utile agli studenti in questo senso» conclude Rosina: «I giovani sono più forti se conoscono i loro diritti».«Siamo davvero lieti di offrire ai nostri studenti una ulteriore opportunità di orientamento alla scelta dello stage e di informazione rispetto a questo strumento che rimane, a oggi, la via più efficace per acquisire competenze professionali durante il percorso universitario» dice Roberto Reggiani, responsabile del Servizio Stage & Placement della Cattolica: «I numeri ci dicono che lo stage gode di buona salute: nello scorso anno oltre 10mila studenti e laureati del nostro ateneo hanno vissuto l’esperienza del tirocinio; ma le rilevazioni che effettuiamo ci raccontano anche di una scarsa conoscenza delle regole del gioco, sia da parte dei tirocinanti che da parte degli enti ospitanti. Ben vengano allora tutte le occasioni nelle quali si possa fare “cultura” dello stage, in modo da permettere a tutti gli attori coinvolti di cogliere appieno il valore di queste esperienze formative e di orientamento».Durante la presentazione, dopo il benvenuto di Reggiani, la fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina racconterà la genesi, le finalità e i principali contenuti della Guida Best Stage, e Eleonora Torre del team Employer Branding & Employee Experience di EY – società di consulenza che da molti anni fa parte dell’RdS network e che quest’anno è anche sponsor della Guida – farà un focus per dare ai giovani consigli su come presentarsi al meglio alle aziende, come quando e perché mandare il proprio cv per candidarsi a qualche opportunità, e come prepararsi per i primi colloqui.«Partecipare a questo evento» dice Torre «è un’occasione unica per entrare in contatto con i giovani, instaurare un dialogo costruttivo e intergenerazionale, e per fornire loro gli strumenti più utili per prepararsi al mondo del lavoro di oggi».La presentazione è in calendario venerdì 10 marzo alle 14 presso l’aula G110 nella sede principale dell’università Cattolica a Milano, in largo Gemelli. Pur essendo un’ora di lezione, l’accesso all’evento è aperto a tutti quindi non solo agli studenti del corso di Demografia del professor Rosina!

Il tuo lavoro ti rende felice? Nel libro “Da grande” scintille di riflessione e strategie d'azione

Ce lo siamo chiesto tutti, prima o poi: quello che faccio mi rende felice? Ho fatto bene a scegliere questa scuola, quest’università, questo lavoro? Un grande classico nella categoria delle domande esistenziali – specie nei momenti di inquietudine, di crisi, in cui qualche elemento magari deflagra e ci porta a riflettere su tutti gli altri.Anche Giulio Xhaët ci ha riflettuto parecchio. Consulente, docente, musicista, Xhaët – 42 anni, biellese trapiantato a Milano – è partner di Newton spa, digital strategist e senior trainer, esperto di competenze digitali, e adesso anche autore di un libro uscito poche settimane fa per la casa editrice Sonzogno dal titolo “Da grande”, lo stesso titolo della canzone che Xhaët aveva inciso l’anno scorso con la sua rockband (di cui la Repubblica degli Stagisti aveva parlato qui).“Da grande”: una formulina che riecheggia non tanto la domanda che tutti i nonni e vecchi zii ci hanno fatto alle cene di Natale quando eravamo alle elementari – “Cosa vuoi fare da grande?” – ma soprattutto invece le nostre dichiarazioni spontanee. Spavalde, ingenue, coraggiose: “Da grande voglio fare…”. O ancor meglio “Da grande, sarò...”. Ciascuno di noi ha completato la frase mettendoci il suo sogno, il mestiere che in quel momento lo affascinava di più. Spesso negli anni il desiderio è cambiato, e così ne possiamo ricordare non uno solo ma due o tre che si sono avvicendati nel nostro cuore, passandosi il testimone mentre noi compivamo i tanti passaggi dall’infanzia all’adolescenza, fino poi all’età adulta. Poi a un certo punto si diventa adulti, appunto, e si sceglie davvero cosa fare nella vita. E qui entra in gioco il sottotitolo del libro: “Non è mai troppo tardi per capire chi potresti diventare”. Una riflessione che fin dalla copertina mira ad aiutare il lettore a focalizzare le proprie vocazioni, gli obiettivi, i modi per essere davvero soddisfatto di quel che fa nella (e della) sua vita.Per scrivere questo libro l’autore si è immerso in una notevole quantità di letture variegate, dalle biografie dei grandi personaggi a testi di psicologia e sociologia, fino a ricerche sul campo mirate ad indagare le interazioni umane. Con una prosa intelligente, chiara ma non semplicistica, ironica senza mai abbandonare l’empatia con il lettore, Xhaët riassume e mette a confronto questi tanti studi ed esperimenti intrecciandoli a interviste fatte a amici, conoscenti, colleghi che rappresentano esempi concreti delle teorie e dei temi al centro della narrazione, pescando anche dal proprio bagaglio di esperienze personali. Per chi si fosse mai trovato a disperarsi e a dire “ho sbagliato tutto! Sono un fallito!”, fortemente consigliata è la lettura del capitolo “Sì, fallire”, che l’autore chiude con un impietoso, autoironico e generativo elenco dei suoi personali fallimenti – forse perfino più numerosi del previsto, a cominciare dalla bocciatura alle superiori e dalla laurea conseguita alla veneranda età di 29 anni.“Da grande” è un libro che può servire a chiunque si trovi nel momento fatidico dell’ “E adesso?”, per mettere a fuoco le proprie aspirazioni, aspettative e la coerenza tra quello che vorremmo essere e quello che siamo nella vita di tutti i giorni, nel lavoro che ci siamo scelti – o che ci è capitato e abbiamo deciso di stretto, con più o meno convinzione e soddisfazione. Senza stupide formule magiche, assolutismi, dogmatismi, senza avere la pretesa di erogare ricette valide per tutti, Xhaët propone una ricca rosa di spunti di riflessione per ponderare in maniera approfondita le proprie scelte, le motivazioni che stanno alla radice di queste scelte, e sopratutto la coerenza di queste scelte con il nostro io più profondo. Invitando a abbassare la maschera che portiamo per proteggerci e a guardarci dentro con schiettezza e benevolenza; e anche a imparare a considerare gli ostacoli che la vita ci mette di fronte, o i veri e propri fallimenti, come “pali in faccia generativi” da cui provare a trarre qualche lezione utile per andare avanti. Di nuovo, però, vale la pena sottolineare che Xhaët non è uno di quegli imbonitori da social network che fanno l’elogio incondizionato del fallimento; anzi «questa storia del fallimento», osserva a un certo punto, ci è «sfuggita di mano»; e commentando una delle frasi motivazionali più in voga negli ultimi anni, «La cosa più bella e importante che può capitarti nella vita è fallire», riflette: «Non so per quale assurdo motivo, ma solitamente trovo più bello ottenere ciò che vorrei. Preferisco un matrimonio a un divorzio, la nascita di un amore alla sua fine, la crescita di un’azienda al suo crollo, trovare un lavoro che mi piace rispetto a un licenziamento in tronco. Sarò strambo io».Per i lettori più giovani “Da grande” può essere uno strumento prezioso per orientarsi nel caleidoscopio di possibilità rispetto alla propria formazione, l’università, e i primi passi nel mondo del lavoro. Alcune delle interviste sono dedicate a persone giovanissime, come le due creatrici di Factanza o i tre ideatori di Legolize, che dalla scintilla di un’idea hanno costruito progetti concreti: Legolize ha oltre un milione di followers su Instagram, Factanza 600mila – numeri che i manager più vecchio stampo stenterebbero ad associare a un manipolo di ventenni.Ma il libro in realtà può essere letto ad ogni età, perché la teoria dell’autore è proprio che tutti noi siamo in continuo cambiamento, continuamente portati a cambiare dalla vita stessa, e che dunque piuttosto che contrastarlo perseguendo, talvolta inconsciamente, l’obiettivo impossibile di diventare dei monoliti, alla fine è meglio abbracciare questo cambiamento e avvicinarci, un passettino alla volta, a quello che veramente vorremmo diventare, alla persona che ambiamo ad essere. A qualsiasi età si possono attraversare quelle che l’autore chiama le “zone aride”: «A quindici, venti o venticinque anni, quando vi accorgete con terrore che non c’è nulla in cui eccellete e neppure qualcosa che vi piaccia davvero. Dopo i trenta o vicino ai quaranta, quando vi rendete conto che ciò che fate ha perso di senso e non vi suscita più le emozioni dell’inizio. Di punto in bianco credete di aver buttato via gli anni migliori. Intorno ai cinquanta o sessanta, quando magari intravedete gli ultimi sgoccioli dell’attività lavorativa e iniziate a fare bilanci. Verso i settanta, gli ottanta o anche dopo, quando diventa difficile trovare nuovi stimoli e rimpiangete la frenesia e l’intensità dei decenni precedenti, perché fate fatica a capire come trascorrere». Ma allo stesso modo a tutte le età si può decidere di reinventarsi, dare una sterzata alla propria vita, agire per fare in modo che diventi più nostra, più in linea con i nostri valori, più capace di renderci felici, giorno dopo giorno, di alzarci dal letto e andare al lavoro.Giulio Xhaët è stato l’ospite di uno degli episodi del neonato podcast della Repubblica degli Stagisti proprio per parlare di “Da grande”.