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Smartworking dall’estero, una rarità: in EY adesso si può grazie alla “job portability”

Quando si parla di smartworking, viene naturale dare per scontato che si possa lavorare da remoto da qualsiasi posto: casa propria, un bar, il parco, la casa al mare…  ammesso che ci sia una buona connessione internet, beninteso. Non è proprio così. Si può, ma rimanendo nei confini del proprio Paese. Questa poco conosciuta limitazione territoriale diventa ovviamente un ostacolo se una persona ha necessità o voglia di stare all’estero per un periodo, senza per questo sospendere la sua attività lavorativa. E non si tratta solo di una peculiarità tutta italiana dovuta alla rigidità della nostra burocrazia e del nostro diritto del lavoro: in nessun Paese (almeno tra quelli europei) lo smartworking è libero dalla connotazione territoriale. EY, società di consulenza che da molti anni fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, ha deciso di fare un passo avanti, lanciando un progetto all’avanguardia che ha dato ai suoi dipendenti la possibilità di lavorare – ovviamente con pc e cellulare – dall’estero: nel corso del 2023, già in cento in Italia e duemila in Europa hanno potuto usufruire di questa chance.L’idea è partita a gennaio 2022 con una prova pilota della sede tedesca di EY. Un successo che ha ispirato i manager della sede italiana: «Sulla base dell’esperimento fatto dai colleghi tedeschi» racconta alla Repubblica degli Stagisti Francesca Giraudo, Talent Leader di EY, «l’Italia si è fatta portabandiera di questa iniziativa e ha guidato un progetto che ha visto l’implementazione della policy per poter lavorare dall’estero».Ottenere il risultato non è stato facile, in primis perché «parlare di smart working fuori dall’Italia è un’operazione molto complicata sotto il profilo giuridico, fiscale, assicurativo» osserva Giraudo: «Ci sono una molteplicità di regole di compliance da seguire e in quanto società di revisione avevamo bisogno di essere inappuntabili. Per questo siamo orgogliosissimi di essere riusciti a portare a casa il risultato». Al momento per i dipendenti italiani è possibile lavorare in smart working dall’estero per un massimo di venti giorni lavorativi, che quindi, includendo i fine settimana, arrivano praticamente a un mese. «Non escludiamo un possibile allungamento» anticipa la manager, «ma in questa prima fase abbiamo preferito fermarci a questo punto per verificare sia l’appeal dell’iniziativa sia eventuali azioni di assestamento». Ma tutto finora è filato liscissimo.Perché prevedere una limitazione nel numero di giorni di smart working dall’estero a disposizione? Perché ci sono specifiche normative che regolano la possibilità per le persone di lavorare in uno Stato in cui non sono residenti. Il limite massimo per poter sostare in un paese prima di essere considerati fiscalmente residenti è di 183 giorni. «Il limite è posto a tutela del massimo rispetto delle normative fiscali e previdenziali vigenti nei Paesi interessati, e degli accordi internazionali sottoscritti. Noi abbiamo iniziato a concedere i primi venti giorni di job portability anche per vedere come reagivano i dipendenti, se approfittavano dell’opportunità e come. E nel caso il progetto avesse funzionato, valutare se estenderlo ulteriormente. I più evoluti nel panorama delle sedi EY europee», spiega Giraudo, al momento «sono i tedeschi che hanno ben sessanta giorni all’anno di smart working dall’estero e stanno valutando di estenderlo a cento». Non solo, «anche l’Olanda sta passando dagli attuali venti a quaranta giorni». Circa 2mila persone di EY in tutta Europa hanno già potuto sfruttare questa opportunità. «È stata un’operazione molto innovativa che ha necessitato il coinvolgimento di vari esperti in materia internazionale» sottolinea Giraudo: «Abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo e consentito a tutti i dipendenti un’esperienza che a nostro avviso dà flessibilità e che si basa sulla fiducia nel rapporto di lavoro».Ma perché per la legge italiana lo smart working da uno stato estero presenta delle difficoltà? «Perché tutta la disciplina in relazione allo smart working è nata con un implicito riferimento al territorio nazionale, in assenza di un vero e proprio coordinamento tra normative internazionali. Consideriamo anche che è il risultato di un nuovo modo di lavorare non espressamente previsto nelle normative di riferimento internazionali, proprio perché rappresentativo di un nuovo fenomeno», spiega Giraudo: «Esiste un principio giuridico per cui hai una sede di lavoro, il tuo ufficio. Lo smart working, o lavoro agile, è la modalità che ha consentito, sin dal 2017 e in presenza di determinati requisiti, di poter svolgere la prestazione lavorativa in parte presso i locali interni e in parte all’esterno senza una postazione fissa. Il tutto nel rispetto delle norme poste a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché della riservatezza dei dati trattati nell’esecuzione dell’attività lavorativa. Esistono quindi diversi punti di attenzione per motivi giuridici e giuslavoristici, assicurativi e fiscali. Il problema è stato proprio quello di affrontare la frammentazione normativa nei vari Paesi e le difficoltà che alcuni avevano nel concedere questa modalità al di fuori dei confini nazionali. Per questo siamo partiti in quasi tutti i Paesi ma, poi prevedendo alcune eccezioni, come la Svizzera: lì i nostri dipendenti non possono lavorare in smart working».Per capire perché sia tanto complicato lavorare dalla propria casa all’estero piuttosto che dal proprio appartamento in una qualsiasi città italiana bisogna risalire alle norme sul lavoro agile, che sono state pensate sulla base del principio di territorialità. «Lo smart working all’estero ovviamente ha una serie di regole che abbiamo dovuto attivare soprattutto per garantire la compliance fiscale e previdenziale tramite un tool che ci consente di verificare a priori e attraverso un processo di approvazione le richieste dei nostri dipendenti che, su loro richiesta e per esigenza personale, manifestano la necessità di poter lavorare dall’estero per un periodo di tempo determinato e definito a priori».Oggi grazie alle policy approvate nei singoli Paesi i dipendenti EY di Italia, Germania, Austria, Belgio, Portogallo, Olanda, Francia, possono lavorare dall’estero in determinati paesi. La situazione è un po’ disomogenea perché non sempre c’è una reciprocità perfetta: in alcuni casi possono venire colleghi stranieri da un dato Paese a fare job portability in Italia, ma gli italiani non possono, ancora, andare in quel dato Paese, e altre volte il contrario.EY ha dovuto compiere un lungo e intricato percorso, «con il supporto di team dedicati confrontandosi anche con le autorità quando necessario», racconta Giraudo. «Non potevamo lasciare lo sviluppo della questione al caso: tutto questo deve valere per 36mila persone in Europa, e andava fatto bene». Dopo la Germania, apripista a gennaio 2022, e l’Austria a fine 2022, la formalizzazione dello smart working dall’estero è arrivata in Italia a febbraio del 2023.Oggi sono ventinove i Paesi in cui EY ha uffici e da cui è possibile questa modalità di lavoro, in pratica tutta l’Unione europea con l’aggiunta della Gran Bretagna. Il management di EY vede questo progetto come un connubio di «flessibilità e responsabilità», intendendo con questo «responsabilizzare le persone. Far capire che non devono essere in ufficio perché si sta in ufficio. Bisogna invece chiedersi: qual è il posto giusto per fare questo lavoro, farlo al meglio e stare bene nel farlo?», osserva Giraudo, sottolineando come EY si impegni da sempre perché le persone che fanno parte dell’organizzazione «possano scegliere il meglio per sé e per i clienti. Per dare ai nostri talenti un ambiente quanto più inclusivo e accogliente possibile e far sentire tutti “al posto giusto e al momento giusto”». Marianna Lepore

Servizio civile, il nuovo bando: 52mila posti, l'indennità mensile aumenta del 15%

Sarà online fino alle ore 14 del 15 febbraio il bando per partecipare alla nuova edizione del programma di Servizio civile universale. È aperto a chiunque tra i 18 e i 28 anni, non abbia precedenti penali e voglia cimentarsi in una iniziativa a beneficio della collettività. Alcuni posti sono riservati a chi è in difficoltà, quindi con bassa scolarizzazione, problemi economici o fragilità personale. A saltare all’occhio c’è subito una novità, e cioè l’aumento dell’indennità riconosciuta ai partecipanti, che dallo scorso maggio è passata da 443,30 euro mensili a 507,30 euro. «Si tratta di un adeguamento Istat legato al costo della vita» sottolinea alla Repubblica degli Stagisti Enrico Maria Borrelli, fresco di nomina come presidente della Consulta nazionale per il Servizio civile universale: «Per chi accede al bando si apre una collaborazione con lo Stato, quindi è nelle cose che ci sia un aumento del rimborso». Accade ad esempio anche alle pensioni corrisposte dall’Inps. Non cresce però l’impegno richiesto. I progetti continuano a avere una durata tra gli otto e i dodici mesi, con turni di 25 ore settimanali. Ma non è detto che si debba rispettare una scaletta settimanale perché per alcuni progetti il calcolo delle ore è su base annuale, «con un monte ore che varia, in maniera commisurata, tra le 1145 ore per i progetti di 12 mesi e le 765 ore per i progetti di otto mesi, articolati su cinque o sei giorni a settimana» specifica il sito.L’altro aspetto nuovo introdotto da quest’anno è il canale preferenziale per i concorsi pubblici. Una riserva per i volontari che terminano il percorso civile «senza demerito» puntualizza il bando, pari a una quota del 15 per cento di posti nei concorsi pubblici per l’assunzione di personale non dirigenziale. Una regola che però non vale per ogni ente della pubblica amministrazione, ma solo quelli indicati nel bando appena uscito. Vi rientrano, per fare qualche esempio, Province, Comuni, Regioni, istituzioni educative e universitarie. «Una bella notizia considerando che negli ultimi tempi la cronaca ci ricorda come non di rado i bandi pubblici vadano deserti – perché tra i giovani il posto fisso, specie nel pubblico, non è più un traguardo» conferma Borrelli. Un interesse in discesa che si riscontra un po’ ovunque in ambito lavorativo tra le nuove generazioni, come il fenomeno delle grandi dimissioni post pandemia ha messo in luce.E il servizio civile non fa eccezione, anche se «non ci sono flessioni importanti nelle domande degli ultimi anni» riflette Borrelli: «C'è stata una piccola contrazione, ma la richiesta oscilla sempre tra le 100 e le 120mila domande, con una media pari a 106mila». C’è sempre quindi una richiesta sovrabbondante rispetto ai posti messi a bando, che sono quest’anno 51.132, per 2.023 progetti. A cui vanno aggiunti 1.104 volontari da inserire nei 160 programmi che si svolgeranno all’estero. Una tendenza in crescita è però «quella delle rinunce, quindi a non portare a termine il percorso, che si verifica circa nel 13 per cento dei casi». La spiegazione potrebbe trovare le sue radici nella pandemia, «che ha segnato un cambio di passo, perché il pensiero comune è diventato quello di vivere il presente, perché la vita è solo una». C'è un po' meno voglia di mettersi in gioco, «e lo vediamo soprattutto dalla tipologia di iniziative più in voga tra i ragazzi».Se una volta infatti ci si candidava con entusiasmo anche ai progetti in cui l’obiettivo era aiutare il prossimo, «come per esempio nell’assistenza agli anziani, adesso i ragazzi fanno scelte più autoreferenziali». Vanno per la maggiore percorsi come la promozione culturale, i progetti dedicati all’ambiente, e soprattutto quelli sulla trasformazione digitale. «Da qualche anno abbiamo avviato una sperimentazione in ambito digitale, i progetti sono al momento un paio e interessano un migliaio di giovani» dice Borrelli, e stanno avendo grande successo: «Riguardano mansioni relative alla digitalizzazione della Pubblica amministrazione come può essere l’assistenza agli anziani nell’utilizzo dello Spid».Va detto che pure per il servizio nazionale vale il problema del mismatch: non è sempre facile incrociare il candidato giusto e il percorso giusto. «Capita anche per alcuni progetti di solito molto in voga, come quelli per la promozione culturale: è accaduto ad esempio in più casi su Roma, dove non c'erano candidature» adeguate. Non se lo spiega Borrelli, se non attribuendo la causa a una mancanza di comunicazione. «Il servizio civile» denuncia, «continua a essere un fatto di nicchia, la gente non lo conosce». Andrebbe pubblicizzato, «e su scala nazionale, non solo sui territori». Una difficoltà «che è nota ai governi, che però non agiscono per cambiare le cose». Dovrebbe invece diventare una scuola di cittadinanza a disposizione della società, e l’auspicio di Borrelli per i suoi tre anni di mandato alla presidenza della Consulta va in tal senso. «Il mio tentativo sarà far sì che il servizio civile si normalizzi, entri finalmente a regime e non sia in costante sperimentazione con continue riforme». E che questa esperienza possa essere conosciuta da tutti i giovani italiani.Ilaria Mariotti

Candidature aperte per tirocini alla Corte dei conti europea: il rimborso spese sale a 1.500 euro

Gli italiani sono stati il 50 per cento dei candidati per i tirocini alla Corte dei conti europea nell’ultima sessione di stage e circa il venti per cento sul totale dei selezionati. Insomma, i giovani del nostro Paese dimostrano di essere particolarmente interessati al programma di stage presso l’organo di controllo delle finanze dell’Unione europea, che ha sede in Lussemburgo. Probabile che anche questa volta non si lasceranno scappare l’occasione per far domanda per i tirocini che prenderanno il via il primo maggio 2024 e per cui è ancora possibile fare l’application entro il 31 gennaio. Oltre all’esperienza internazionale di alto prestigio c’è anche una motivazione in più per tentare questa chance: il rimborso spese mensile previsto per i sei mesi di tirocinio ammonta a 1.500 euro, 150 in più dello scorso anno. Un aumento dell’11% dovuto, è vero, all’aumento del costo della vita, ma comunque interessante da sottolineare (specie in tempi in cui altri enti continuano a proporre tirocini gratuiti…).I posti a disposizione per l’intero anno sono sessanta, quindi circa venti stagisti per ognuna delle tre sessioni di tirocinio nel corso del 2024 – quelle di marzo, maggio e ottobre. Non c’è però ancora certezza sulla distribuzione effettiva per periodo e sul totale, questo perché «il budget di spesa è calcolato su circa sessanta tirocinanti all’anno, sulla base delle esperienze passate», spiega alla Repubblica degli Stagisti Vincent Bourgeais, senior communication officer della Corte dei conti, ma «il numero esatto dipende da quante richieste riceviamo dai vari uffici e servizi della Corte che ospiteranno gli stagisti». Per esempio nel 2019 gli stage totali attivati erano stati 55, nel 2020 solo 43.  Gli italiani, si diceva, sono sproporzionatamente numerosi nel far domanda per questo programma. Nella sessione cominciata a ottobre «la Corte dei conti ha ricevuto 1.108 candidature: Italia in testa con 548, seguita da Spagna a 175 e Grecia a 60. Sono stati selezionati 33 tirocinanti», spiega alla Repubblica degli Stagisti Damijan Fiser, vice portavoce della Corte dei Conti europea, di cui «sette italiani, cinque spagnoli, cinque tedeschi e cinque irlandesi, tre greci, due francesi e due finlandesi, e uno stagista rispettivamente da Portogallo, Ungheria, Olanda e Lussemburgo». Quindi non solo siamo i primi per candidature, ma anche (fortunatamente) per selezionati.Se si è interessati a svolgere un’esperienza del genere, per un periodo che va dai tre ai cinque mesi, si può provare a far domanda. Prima, però, bisogna accertare di avere tutti i requisiti necessari: essere un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, aver completato almeno quattro semestri di studi universitari in un settore che rivesta interesse per il lavoro della Corte – in pratica non si può essere ai primi anni universitari – avere un’ottima padronanza di una lingua ufficiale dell’Ue e conoscerne in modo soddisfacente una seconda. Non solo, è necessario anche non aver già svolto un tirocinio, pagato o non, in un qualsiasi altro ente, istituzione o agenzia europea, nemmeno come assistente di un deputato del Parlamento europeo. Questo perché uno degli obiettivi del programma di tirocini della Corte è consentire al maggior numero possibile di partecipanti di fare un’esperienza nell’amministrazione dell’Unione europea.Un mese prima dell’inizio del tirocinio l’ufficio risorse umane contatterà via email i giovani selezionati che a questo punto dovranno presentare un estratto del casellario giudiziale che attesta l’assenza di precedenti penali. A questo va aggiunto anche un certificato medico che attesti l’idoneità fisica e in caso di disabilità un certificato del proprio medico di famiglia che attesti la capacità di operare in un ambiente di lavoro in cui siano adottati gli opportuni accorgimenti. Un requisito, quello “dell’idoneità fisica”, che «viene richiesto a tutti i neo assunti, indipendentemente dalla tipologia contrattuale», spiega Bourgeais. Per candidarsi allo stage bisogna compilare online l’application, rispondendo ad alcune domande, tra cui la scelta della durata di tirocinio (tre, quattro o cinque mesi) e l’area preferita in cui svolgerlo, e compilare tutti gli step presenti sul sito, anche la lettera motivazionale sul perché si voglia fare questa esperienza alla Corte dei conti. Oltre ai 1.500 euro di indennità mensile è previsto anche il rimborso delle spese di viaggio di andata e ritorno dal luogo di residenza. L’Eca fornisce ai tirocinanti un’assicurazione contro gli infortuni. Gli stagisti devono essere coperti anche da un’assicurazione sanitaria, che in linea di massima è data dalla Tessera europea di assicurazione malattia, ovvero la nostra tessera sanitaria, valida anche in Lussemburgo. Se per qualche motivo, però, lo stagista ne fosse sprovvisto «l’Eca gli offrirà un’assicurazione sanitaria. In tal caso il tirocinante deve pagare un terzo del premio assicurativo», come stabilisce l’ultima decisione datata 23 settembre 2023. «Questo aspetto, comunque, non è preso in considerazione durante la fase di selezione, ma solo in un secondo momento quando il candidato è stato selezionato», precisa Bourgeais. Non sono previsti buoni pasto o sconti per il pranzo ma gli stagisti possono risparmiare sui trasporti: in Lussemburgo, infatti, tutti i mezzi pubblici sono gratis. La Corte, si legge dal sito, «accetta candidature per tirocinanti in tutti i propri settori di attività: audit, traduzione, comunicazione, amministrazione generale, IT e gestione della biblioteca» e sono particolarmente incoraggiati a presentare domanda «candidati con profili nel campo dell’audit informatico e della scienza dei dati». Questo perché la Corte vuole migliorare «il modo in cui si serve della tecnologia e dei dati nel proprio lavoro di audit, ed è alla ricerca di tirocinanti che abbiano la visione e le idee per produrre un impatto effettivo in questo settore».All’inizio del periodo di stage è assegnato un mentore di tirocinio che aiuta nell’integrazione nel gruppo di lavoro e monitora i compiti dello stagista. «Tutti gli stagisti della Corte iniziano lo stesso giorno, in gruppo. Vivere quest’esperienza assieme in genere fa sì che si formi un gruppo affiatato. Oltre ad acquisire esperienza pratica, costituiscono una rete di contatti che dura oltre il termine dello stage».Se selezionati si entrerà a far parte di un ente che nell’anno in corso conta 972 dipendenti,  più della metà donne. E in cui si presta molta attenzione in materia di diversità e inclusione, «in modo che tutti possano conseguire il proprio pieno potenziale». Marianna LeporeFoto in alto a destra: di Euseson in modalità Creative Commons

Ancora tirocini gratis, stavolta al ministero dell’Università

Si è chiuso pochi giorni fa, l’8 gennaio, un bando organizzato dalla Crui per tirocini curriculari all’interno del ministero dell’Università e ricerca: sedici posti presso le sedi dell’amministrazione centrale del Mur, per stage da svolgere tra i mesi di febbraio e giugno. Dopo il bando per stage gratuiti alla Camera dei deputati di qualche mese fa, un altro bando per stage gratuiti organizzato in un prestigioso ente pubblico.Il programma anche in questo caso è disciplinato da una convenzione firmata nel settembre del 2022 da Fondazione Crui e Ministero dell’università e ricerca. Nel testo firmato dall'allora presidente Crui, Ferruccio Resta, si legge tra le premesse che «Il Mur intende promuovere ed integrare il percorso formativo universitario offrendo agli studenti delle università italiane periodi di tirocini curriculari, da svolgersi presso la propria sede in Roma, secondo modalità concertate con gli Atenei».Il programma è rivolto agli atenei associati alla Crui, al momento 85 – anche se solo in 60 aderiscono a questo specifico bando.La Crui, secondo quanto stabilito nella convenzione, pubblica sul proprio sito il bando con le offerte di tirocinio sulla base delle informazioni ricevute dal Mur che «si impegna a garantire la realizzazione di almeno due cicli di tirocini curriculari all’anno». Dopo di che sono le università che stipulano una convenzione con la Fondazione Crui e in base a questa si occupano della preselezione dei candidati, della stipula di un’assicurazione contro gli infortuni e per la responsabilità civile dei tirocinanti. Una commissione congiunta Mur-Crui compie l’ulteriore scrematura e sceglie i candidati idonei a svolgere il tirocinio gratuito, della durata di quattro mesi. Il bando si è chiuso con un risultato di 265 domande arrivate al ministero, tra cui ora verranno scelti i sedici giovani che parteciperanno al tirocinio.Il bando non prevede alcuna indennità: eppure la convenzione prevedrebbe diversamente. L’articolo 9 mette nero su bianco che «il bando può prevedere un contributo per il rimborso delle spese sostenute dal tirocinante, laddove queste siano all’uopo destinate dal Mur o dall’Università».  La possibilità di prevedere un emolumento insomma esiste, nonostante gli stage siano curriculari. Passando però dalla convenzione al bando vero e proprio si perde traccia dell'indennità. Anzi, viene specificato che «i tirocini non danno luogo ad oneri a carico del Ministero», e che non è previsto alcun «contributo per il rimborso delle spese sostenute dal tirocinante». Che fine abbia fatto l’eventuale contributo, non è dato sapere.Repetita iuvant: la legge, purtroppo, non prevede un obbligo di garantire agli stagisti curriculari un rimborso spese mensile, obbligo che esiste invece per gli extracurriculari. Ma anni di battaglie sul tema hanno portato molte aziende e anche parecchi enti pubblici a introdurre un’indennità anche per i curriculari – lo garantiscono per esempio tutte le realtà che aderiscono al network della Repubblica degli Stagisti. Stupisce che il ministero dell’Università non abbia pensato di introdurre un rimborso spese per questi stage, peraltro dopo le numerose polemiche sollevate sul caso dei tirocini gratuiti alla Camera dei deputati organizzati sempre dalla Crui.Anche in questo caso, come per gli stage a Montecitorio, traspare il timore di rivendicazioni da parte degli stagisti, tanto che nell’avviso di selezione si legge che il tirocinio «non può in alcun modo ed a nessun effetto configurarsi come rapporto di lavoro, né può dar luogo ad aspettative di futuri rapporti lavorativi» e che «non sono configurabili pretese del tirocinante in ordine ai contenuti, alle modalità ed ai risultati del tirocinio o in ordine alle spese e agli eventuali inconvenienti che esso potrebbe comportare a carico del tirocinante». Una copia-carbone delle (disgraziate) parole contenute nella convenzione tra la Camera dei deputati e la Crui. Infine, sia ben chiaro che i tirocini «non danno luogo ad oneri a carico del Ministero dell’università e della ricerca». Quindi nella convenzione, quella “generale” che attivava la collaborazione tra Crui e Mur per realizzare questi bandi di tirocinio, si parla della possibilità di un contributo a favore degli studenti-tirocinanti – a carico del Mur oppure dell’Università. Poi però, nell’avviso di selezione, l’amara sorpresa: il ministero non intende mettere a disposizione risorse. Chissà se qualcuna delle università, che già selezionano e si fanno carico della copertura delle assicurazioni, troverà qualche fondo per pagare gli stagisti. Qualcuna in passato lo ha fatto, in qualche caso, specialmente per tirocini svolti presso soggetti ospitanti recalcitranti a prevedere una indennità: ma si tratta di una fattispecie rarissima e anche poco sensata. Perché mai un'università dovrebbe pagare un proprio studente per lo stage che questi svolge in un ministero? Il ministero dovrebbe avere soldi in abbondanza per provvedere da solo a coprire sedici indennità di stage! Possibile che al Mur e alla Crui siano tutti convinti che sia giusto non prevedere un rimborso spese, anche di modesta entità, per i tirocinanti curriculari? Nessuno che si renda conto che continuare a proporre stage di questo tipo è ingiusto e classista? La Repubblica degli Stagisti ha provato a chiederlo direttamente a Crui e ministero. Nonostante le mail e ripetute telefonate, da prima di Natale a oggi, non è riuscita ad ottenere risposta dall’ufficio stampa della Conferenza dei rettori delle università italiane. Qualche risposta, decisamente scarna, è arrivata invece dal ministero: «I tirocini non prevedono un rimborso spese in quanto curriculari e, come tali, appartengono al periodo di formazione finalizzato ad integrare l’apprendimento durante il corso di studi. Infatti, le Università al termine delle attività di stage riconosceranno un numero di CFU, proporzionato alle attività richieste durante il tirocinio e al piano di studi dello studente».Insomma il ministero si trincera dietro la scusa che pagare i curricolari non è obbligatorio – il che è vero, ma è altrettanto vero che non è nemmeno vietato – e che il guadagno degli studenti-stagisti sarà nei cfu accumulati. Eppure  quattro mesi a Roma sono dannatamente cari per uno studente, la vita costa, il vitto e l’alloggio costano anche a chi sta ancora studiando, e non solo ai laureati. E il tempo e l’impegno di un tirocinante vanno ricompensati, senza distinzione tra curricolari ed extracurricolari. Mentre la risposta ministeriale, laconica, è che il rimborso spese «non è stato introdotto in quanto si tratta di tirocini curriculari e non extracurriculari». E qui allora la Repubblica degli Stagisti rivolge un appello al ministro Valditara: per le prossime volte, meglio “introdurlo”, il rimborso. Rispetto al bando della Camera, per giunta, c’è pure la beffa della (assenza di) mensa. Se infatti a fine novembre, quando era divampata – grazie alla nostra denuncia – la polemica sugli stage gratuiti, Camera e Crui si erano affrettate a sottolineare come fosse però «previsto l’accesso gratuito ai servizi di ristorazione della Camera» (dettaglio curiosamente non specificato nel bando, peraltro), nel caso, invece, dei tirocini presso il ministero dell’Università non c’è nemmeno questo piccolo aiuto. La Repubblica degli Stagisti ha, infatti, chiesto al ministero se fossero previsti ticket per il pranzo e la risposta anche in questo caso è stata che «non sono previsti in quanto trattasi di tirocini curriculari e non extracurriculari». Forse al ministero e alla Crui pensano che gli stagisti curricolari, a differenza dei loro colleghi extracurricolari, siano in digiuno permanente.Marianna LeporeFoto di apertura di Lalupa da Wikipedia in modalità Creative Commons

L'Ocse aumenta a mille euro l'indennità mensile per i suoi stagisti, un motivo in più per far domanda

Tra le organizzazioni che offrono tirocini con un buon rimborso spese oltre all’esperienza all’estero c’è l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, con sede a Parigi. Al momento è possibile candidarsi per svolgere un tirocinio nel corso del 2024. E quest’anno ci sarà un motivo in più per i giovani italiani per far domanda: il rimborso spese mensile, infatti, è stato innalzato a 1.000 euro.«L’indennità è aumentata rispetto ai 740 euro del 2022 a partire dai tirocini che hanno preso il via il primo marzo 2023», spiega alla Repubblica degli Stagisti Martin Wassermann, Talent management analyst all’Ocse: «Questo per gli stage che hanno sede in Francia. Una scelta fatta per attrarre giovani talenti provenienti da contesti differenti e promuovere l’inclusione e il benessere supportando meglio gli studenti durante il loro tirocinio presso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico». Il rimborso spese di mille euro «è esteso anche ai tirocinanti che lavorano da remoto per i gruppi di lavoro con sede a Parigi». La maggior parte degli stage ha sede proprio lì – l’anno scorso sono stati ben il 98% – ma alcuni possono essere anche in altre sedi regionali come Berlino, Instanbul, Tokyo o Trento. In questo caso si possono reperire alcune informazioni sui siti dedicati, da cui si evince che a Trento il rimborso spese per gli stagisti è di circa 980 euro al mese, mentre a Berlino di circa 1.100 euro.La principale motivazione che ha spinto l’Ocse ad aumentare del trentacinque per cento l’indennità per i tirocinanti della sede parigina è stato «l’innalzamento del costo della vita. Per raggiungere il risultato sono state effettuate consultazioni con le parti interessate, inclusa anche la comunità di tirocinanti dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico», precisa Wassermann. «Infine l’aumento è stato approvato dal management dell’Ocse». Anche se la precedente indennità, seppur bassa, non scoraggiava gli aspiranti stagisti dal candidarsi: «Non abbiamo individuato alcuna correlazione tra il numero di domande ricevute e il rimborso spese che eroghiamo. Continuiamo a ricevere, infatti, circa 7.500 candidature per pubblicazione di posti vacanti (ndr. quindi circa 22mila l’anno) con una tendenza in aumento».  Al momento è possibile candidarsi per i tirocini “invernali”, ma non c’è una vera e propria data di inizio ufficiale degli stage. «Reclutiamo stagisti su base continuativa, senza una scadenza o una data di avvio prestabilita. Gli studenti possono presentare domanda in qualsiasi momento e possono essere reclutati in base alle necessità degli uffici», spiega Wassermann: «Tuttavia, per scopi amministrativi pubblicizziamo una nuova apertura per le candidature per il periodo estivo e invernale, rispettivamente il 1° marzo e il 1° settembre. Questo perché riceviamo un elevato numero di domande. Il periodo di candidatura non ha alcun impatto sulle date di inizio del tirocinio». Se però una volta scaduto il periodo di reclutamento non si venisse chiamati, conviene rifare l’application, in caso si fosse ancora interessati a tentare quest’esperienza. Martin Wassermann precisa anche «il processo di selezione dura circa tre mesi. Quindi l’ufficio tirocini suggerisce di fare domanda almeno tre mesi prima il periodo preferito di inizio stage».Chi fosse interessato a far domanda può procedere con l’application online. Per prima cosa bisogna verificare di avere tutti i requisiti: essere studenti iscritti agli ultimi anni di un corso di laurea, un master o un dottorato. E avere una buona conoscenza di almeno una delle due lingue ufficiali: inglese e francese. A quel punto si può procedere con la candidatura che raccoglie informazioni personali, di studio, le eventuali esperienze lavorative oltre a una lettera motivazionale. Lo scopo, si legge dal sito, «è quello di acquisire informazioni sul perché si vuole fare uno stage presso l’Ocse e avere un’idea di come si possa contribuire al nostro lavoro. Oltre a capire in che modo uno stage in questi uffici ti aiuterebbe a raggiungere i tuoi obiettivi di carriera».In questa fase è possibile anche indicare le aree di interesse in cui si vorrebbe svolgere lo stage. A questo punto i tirocinanti che soddisfano le richieste degli uffici e si distinguono per conoscenza della lingua, capacità di redazione e altri requisiti, sono inseriti in un gruppo a disposizione di tutti i responsabili delle assunzioni e del personale delle risorse umane. I candidati che rispecchiano i criteri ricercati sono invitati a sostenere un colloquio. Le interviste sono condotte in remoto attraverso videochiamate, quindi non è necessario andare a Parigi per farle. Visto l’alto numero di richieste, l’Ocse avverte che non può dare un feedback a tutti: solo i candidati selezionati vengono contattati dalle varie direzioni per un’intervista. Per questo, «se non si è contattati entro tre mesi dall’invio della domanda di stage, vuol dire che in questa occasione la domanda non è stata considerata utile e potrai fare una nuova richiesta a marzo o settembre».Ogni anno i tirocinanti ospitati all’Ocse sono circa 700, un numero molto alto, e altrettanto è la richiesta: circa 11 volte tanto. Inutile aggiungere, quindi, che la competizione è notevole. «Nel 2023 abbiamo ricevuto il maggior numero di candidature da Francia, Italia e Turchia. Su un totale di 701 stagisti selezionati, 110 erano francesi, 72 italiani e 52 americani» snocciola Wasserman. L’anno precedente, il 2022, erano «stati selezionati 112 tirocinanti francesi, 60 americani e 60 italiani, su un totale di 638 stagisti» e in quel caso il maggior numero di candidature coincideva con i primi tre paesi con più selezionati.Lo scorso anno si è registrato il numero più alto di tirocinanti: precedentemente il record era del 2021 con 670 (di cui 53 italiani), un picco verificatosi dopo il forte calo dovuto alla pandemia Covid del 2020, quando il totale selezionati era stato di appena 373 giovani. Quindi negli ultimi tre anni anche il numero di giovani provenienti dall’Italia è via via aumentato.In fase di candidatura è possibile scegliere la durata del tirocinio, da un minimo di un mese a un massimo di sei, anche se Wasserman aggiunge che i potenziali stagisti sono incoraggiati «a svolgere uno stage di quattro mesi o più per sfruttare al meglio questa esperienza e acquisire conoscenze significative». Tirocinio che può anche occasionalmente essere rinnovato per altri sei mesi. L’impegno è «per 40 ore a settimana, 8 ore al giorno dal lunedì al venerdì, con un orario di inizio alle 9 del mattino». Non sono previste facilitazioni per il pranzo. In compenso, «previo accordo con la direzione competente, è possibile scegliere di lavorare da casa. In genere gli stagisti che scelgono lo smart-internshipping fanno lo stage a tempo pieno, ma a volte è consentito anche il part-time». Una modalità introdotta durante la pandemia per venire incontro agli studenti: poiché l’Ocse conta 38 paesi aderenti, alcuni avevano regole molto rigide sugli spostamenti ed era quindi stata inserita la possibilità di stage da remoto che, parzialmente, è ancora possibile.Questo per «consentire di reclutare i candidati più diversi tra loro, provenienti da contesti differenti. Certo, vista la natura del nostro lavoro, pensiamo che se gli stagisti collaborano a stretto contatto con il proprio team possano trarre maggiori benefici dai tirocini in sede, che consentono una maggiore interazione, collaborazione e tutoraggio dai propri supervisori», osserva Wassermann. Non solo, uno stage sul posto permette di sviluppare il proprio network, visto che «consente di partecipare a diversi incontri e conferenze e a tutte le attività organizzate da Intern Circle», un gruppo gestito da stagisti Ocse per dare un valore aggiunto a questa esperienza organizzando eventi e creando attività di networking. «Gli stage a distanza sono più adatti a chi per qualsiasi motivo non può trasferirsi a Parigi, ma in questo caso sarà piuttosto limitata la possibilità di lavorare in gruppo, di sfruttare il tutoraggio e il networking».In una selezione così forte cos’è che può fare la differenza? Sicuramente l’aderenza dei propri studi alle aree di ricerca dei tirocinanti. Ma non va sottovalutata la capacità di mettere in risalto nella lettera motivazionale e nell’eventuale colloquio quello che si è imparato all’università. Un curriculum in ambito economico può fare la differenza visto che la maggior parte degli stagisti ha studi in questo settore o in politica internazionale, ma molti provengono anche da altre aree di studio. L’importante è «spiegare in modo semplice come si potranno applicare le proprie competenze e talenti una volta accettato l’incarico».Per verificare di essere idonei al partecipare a questa selezione, da quest’anno c’è un piccolo aiuto in più. L’Ocse, infatti, ha creato un test di idoneità al tirocinio, disponibile a questo link, dove si può rispondere ad alcune domande per capire se si può tentare o meno questa opportunità. Se selezionati si entrerà a far parte di un grande gruppo di lavoro in cui gli stagisti potranno avere vari compiti: partecipare alla preparazione di studi e documenti, fare ricerche di vario tipo, raccogliere e organizzare dati, partecipare a convegni e seminari o contribuire all’organizzazione di eventi. In questa fase avranno diritto anche a due giorni e mezzo di ferie per ogni mese di tirocinio svolto, oltre a tutte le festività celebrate in Francia.Per altre informazioni non solo è disponibile un file con tutte le faq sul programma, che contengono anche qualche suggerimento per compilare al meglio la domanda, ma anche una brochure che raccoglie le testimonianze dirette di ex stagisti. Tutti concordi nel definirla un’esperienza arricchente, totalmente nuova, l’opportunità di prendere parte a progetti che avranno un impatto sulla vita di migliaia di persone oltre a incontrare stagisti da tutto il mondo. Marianna LeporeFoto in basso a destra di Hervé Cortinat / OECD da Flickr in modalità Creative Commons

Tirocini al Cern di Ginevra, sogno per gli aspiranti scienziati: 1600 euro al mese di indennità

Uno dice “Cern di Ginevra” e subito si pensa al top della ricerca scientifica mondiale, all’acceleratore di particelle, ai neutrini; in qualcuno scatta anche un po’ di orgoglio italiano nel pensare che si tratta di una istituzione guidata da una scienziata romana di fama internazionale, la fisica Fabiola Gianotti. Qualcun altro con la memoria lunga forse sorride ripensando alla gaffe dell’allora ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che in un comunicato tanti anni fa aveva magnificato un (inesistente) tunnel tra il Cern e il Gran Sasso. La reputazione del Cern lo precede, molti sognano di lavorarci… o di farci un tirocinio.E questa opzione non è impossibile. I tirocini al Cern esistono e sono anche ben pagati: 1.600 euro al mese, cifra record, almeno per gli stagisti italiani abituati a ben più magre cifre. La European Organization for Nuclear Research – di cui “Cern” è l’acronimo – è il più grande laboratorio al mondo che svolge ricerca scientifica sulla fisica delle particelle elementari; dal 2016 vede, per la prima volta, una donna alla direzione: Gianotti, appunto, ora al suo secondo mandato.Lo stage in questione, lo Short Term Internship, ha al momento le application aperte per tirocini curricolari da svolgersi il prossimo anno. Per candidarsi è necessario essere maggiorenni e studenti di una laurea triennale o magistrale, ma non dottorandi. Bisogna mantenere lo stato di studente per tutta la durata del tirocinio e provenire da una delle seguenti aree di studio: fisica applicata, informatica, matematica, elettricità, elettronica, ingegneria meccanica o civile, strumentazione, scienza dei materiali, radioprotezione, sicurezza e protezione ambientale, topografia, comunicazione scientifica. Oppure da ambiti amministrativi quali: traduzione, contabilità, servizi legali, risorse umane, biblioteconomia, logistica.Non c’è però molta trasparenza sui numeri di tirocinio disponibili, sugli eventuali benefit per i tirocinanti (come buoni pasto o rimborsi per spese di viaggio) e nemmeno sul numero di candidature che ogni anno il Cern riceve per questo tipo di stage. La Repubblica degli Stagisti ha contattato l’ufficio stampa – come fa sempre per stage di questo tipo– e dopo una lunga attesa dovuta alla chiusura di anno ha saputo che «sfortunatamente il dipartimento Risorse umane non tiene traccia delle statistiche per i Tirocini a breve termine» e quindi, in sostanza, non può rispondere alle domande. Decisamente poca chiarezza per il più importante laboratorio mondiale di ricerca che nel 2022 contava circa 2.658 dipendenti del laboratorio che partecipano alla progettazione, costruzione e gestione dell’infrastruttura di ricerca, a cui si aggiungono più di 17mila utenti nel mondo che lavorano insieme «per superare i limiti della conoscenza». Un ambiente sopratutto maschile: al 31 dicembre dello scorso anno solo il 21 per cento del personale scientifico, fisici, ingegneri e computer scientists, erano donne, ma la presenza femminile è in crescita rispetto al passato, nel 2018 erano il 12 per cento e ventanni prima solo il tre.Sullo Short Term Internship, si diceva, non ci sono statistiche registrate quindi, per capire qualcosa in più sull’appeal dei tirocini al Cern bisogna basarsi solo sui dati relativi agli altri programmi di tirocinio: il Technical student programme, dedicato agli studenti universitari in fisica applicata, ingegneria o informatica che possono completare il progetto finale di studi proprio presso questa Organizzazione per un periodo dai 4 ai 12 mesi; l'Administrative Student Programme, per studenti in amministrazione sempre per un periodo dai due ai 12 mesi; il Summer Student Programme, che dura però solo dalle 8 alle 13 settimane ed è dedicato agli studenti universitari o di master in fisica, ingegneria, matematica o computer science; e infine il Doctoral Student Programme per chi sta scrivendo una tesi di dottorato in fisica applicata, ingegneria o informatica, e può firmare un contratto di sei mesi, rinnovabile tre volte, per completare le proprie ricerche. Per questi quattro programmi il Cern fornisce dati statistici a partire dal 2018. E come tutte le selezioni con un ottimo rimborso mensile, le domande dal nostro Paese sono tra le più numerose. Per esempio per il Technical student programme l’Italia è quarta, con quasi l’otto per cento di application – ma seconda per selezionati, con il dieci per cento: meglio di noi solo la Germania. L’Italia è prima per tirocinanti nell'intero quinquennio, con più del 12 per cento di stagisti su un totale di 788. Anche per l’Administrative student applicants il nostro Paese è terzo sia per domande, circa il sette per cento, sia per numero di selezionati. Non male la posizione nemmeno per il Doctoral student programme dove pur essendo terzi con il 16 per cento di domande, gli italiani sono i più selezionati nel 2022: quasi il 37 per cento. Posizione consolidata nel quinquennio 2018-2022, con il 30 per cento di stagisti provenienti dall’Italia. Tornando allo Short Term Internship, oltre ai requisiti illustrati prima, è necessario anche avere una buona conoscenza dell’inglese e/o del francese. Lo stage può durare da uno a sei mesi: chi fa domanda deve indicare in fase di application la preferenza.Da sapere che, pur trattandosi di tirocini rivolti a studenti universitari e quindi in italiano qualificabili come “curricolari”, il Cern non firma, e lo sottolinea, alcun tipo di eventuale convenzione di tirocinio delle università: viene utilizzata solo quella prevista dall’Organizzazione per la ricerca nucleare. In aggiunta, ed è importante ricordarlo, l’ateneo di provenienza deve assicurarsi che lo stagista sia coperto interamente da un assicurazione medica, lavorativa e per incidenti privati valida nell’area di Ginevra, quindi  –  dato che la città è al confine – sia Francia sia Svizzera. Il tema del costo della vita, infatti, raffredda un po’ gli entusiasmi rispetto all’entità del rimborso spese: Ginevra è una delle città più care del mondo e anche solo l’affitto di una stanza in una casa in condivisione può arrivare a 900-1000 euro al mese; quindi è molto probabile che gli stagisti, pur ricevendo un'indennità mensile che per i parametri italiani sembra generosa, debbano comunque dover contare anche su un sostegno economico delle loro famiglie.Per partecipare alla selezione è necessario fare domanda compilando il form presente su questa pagina ma è possibile anche procedere con la candidatura attraverso Linkedin o Indeed. Dopo aver inserito dati personali, curriculum e lettera motivazionale, o in inglese o in francese, bisogna rispondere ad alcune domande preliminari sulla conoscenza delle lingue ufficiali al Cern, il motivo per cui si fa domanda per una precisa posizione e il periodo nel quale si preferirebbe fare il tirocinio. Il Cern chiede esplicitamente ai candidati di dichiarare se dispongono di «sufficienti disponibilità economiche per affrontare questo tirocinio, necessarie per vivere sul posto durante lo stage, tenendo a mente che si riceverà un rimborso mensile di 1.557 franchi svizzeri».Le domande vengono poi esaminate da un gruppo di esperti del Cern e gli idonei successivamente contattati dal coordinatore del programma di stage. Non tutti, però: visto l’alto numero delle domande ricevute, si riceve una risposta solo se è positiva. Se si è interessati ad avere qualche dettaglio in più su come può essere lavorare al Cern e che tipo di persone ci sono, si può dare una lettura alla sezione “la nostra gente”.  Qui, per esempio, ci sono le storie di chi ha partecipato al Summer student programme per tre mesi e poi è riuscita a tornare in seguito con un altro contratto, chi ha partecipato all’Administrative Studentship programme che consiglia di non scoraggiarsi al primo diniego ma di continuare a tentare – perché a volte si viene scartati semplicemente per mancanza di posti. Marianna LeporeFoto di apertura: di Pietro Battistoni da Pexels  Foto in alto a destra: Cern credits Foto di Pietro Battistoni: https://www.pexels.com/it-it/foto/cern-806763/

Continental entra nel network di aziende virtuose di RdS: «Per noi un'azione socialmente importante»

In quest'ultimo scorcio di 2023 la Repubblica degli Stagisti dà il benvenuto a un nuovo nome nel suo network di aziende virtuose: Continental Italia. Fondata in Germania oltre cent'anni fa, con un organico di 200mila persone nel mondo, Continental è attiva nei settori Automotive, Tires e Tech, e nota sopratutto per gli pneumatici. In Italia è presente con un branch commerciale e impiega circa duecento dipendenti sulle tre società Continental Italia, Franchising Service Company (FSC) che offre servizi di franchising ai rivenditori di pneumatici, e Conti Trade che sviluppa la rete di officine in franchising BestDrive.L'adesione al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti è una scelta che rappresenta una «azione socialmente importante, perché riteniamo lo sviluppo dei giovani un aspetto fondamentale per il futuro della nostra azienda e della nostra comunità» spiega Luca Armand, da maggio dell’anno scorso direttore Risorse umane di Continental Italia dopo oltre vent'anni in direzioni HR di importanti gruppi multinazionali: «Crediamo che RdS valorizzi il percorso formativo dei giovani e, attraverso l’informazione, ne tuteli e promuova anche la qualità».In Continental gli stage sono organizzati in modo che «gli stagisti possano acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro, sviluppare le proprie attitudini e soft skills, raggiungere i loro obiettivi personali» dice Armand: «Offriamo un trampolino di lancio per la loro carriera: crediamo nello scambio di conoscenze con i giovani professionisti e forniamo un adeguato rimborso spese per il periodo trascorso con noi». Per tutti, senza distinzione tra curricolari ed extracurricolari, l’indennità è di 850 euro al mese – che caso di proroga dello stage oltre i sei mesi “canonici” diventano 1000 – più buoni pasto e notebook aziendale.Gli stage si svolgono in modalità ibrida: come i dipendenti, anche gli stagisti possono svolgere la propria attività «fino al 50% mensile da remoto», anche se poi il consiglio di Armand, almeno per le prime settimane, è sempre quello di essere il più possibile presenti «per meglio conoscere le attività, il proprio gruppo e il contesto dell’organizzazione». A metà e alla fine del percorso vengono organizzati degli incontri tra ciascun stagista e l'ufficio HR, «per condividere insieme aspettative e stato di avanzamento rispetto agli obiettivi del progetto formativo. Passiamo tanto tempo insieme ai nostri ragazzi, e ci piace vederli crescere».Più o meno uno stage su tre si trasforma in assunzione: «Il nostro obiettivo, non riuscendo sempre a garantire un contratto di lavoro dopo lo stage, è di supportare i nostri stagisti il più possibile lungo il loro percorso», prosegue il direttore HR, «contribuendo alla loro employability e ampliando il loro orizzonte lavorativo».Aderire al network della Repubblica degli Stagisti è anche un modo per «avvicinare giovani universitari provenienti da diverse istituzioni accademiche». Le università sono infatti un bacino di candidati strategico per Continental: «In materia di stage per noi il requisito di formazione universitaria è indispensabile», conferma Armand (che a sua volta ha al suo attivo una laurea in Economia). Per i curricolari è anche aperta l'opzione “tesi in azienda”, particolarmente adatta a «integrare concretamente l'esperienza lavorativa acquisita in azienda con la teoria appresa attraverso i testi accademici». Negli anni, Continental ha anche sviluppato partnership con alcuni atenei del territorio milanese, come per esempio il master in Sales Management dell’università Cattolica.Nei rapporti con le università molta attenzione viene posta a «stimolare un aumento delle candidature da parte delle donne». Perché in un settore – quello dei motori – ancora percepito come maschile a causa di stereotipi duri a morire, il tema del gender balance è molto sentito: specialmente quando si tratta di posizioni in ambito commerciale, a Continental arrivano molte più candidature di uomini. Come fare per riequilibrare? «Noi lavoriamo per sradicare l’elemento culturale presente nel nostro Paese che vede il carico familiare ricadere prevalentemente sulle donne, che quindi potrebbero avere meno tempo da dedicare al lavoro – in particolare a un lavoro che porta a spostarsi molto sul territorio. Ci impegniamo ogni giorno a lavorare su una cultura organizzativa flessibile che garantisca benessere e armonia tra lavoro e vita privata per tutti i colleghi, e che non precluda l’accesso a posizioni di vendita o manageriali alle donne».Continental offre per esempio «programmi di mentoring, counseling e coaching mirati a supportare le persone nella gestione dello stress e a sviluppare nuovi modi per affrontare le sfide professionali di tutti i giorni – come, ad esempio, il momento di transizione da stage a dipendente» dice Armand. E poi c'è il sostegno «a organizzazioni no-profit, per contribuire al benessere delle comunità», nell'ottica della responsabilità sociale di impresa.Senza dimenticare, nella gestione del core business, un aspetto sempre più importante per le nuove generazioni: quello dell'attenzione all'ambiente. “Il nostro obiettivo è essere l'azienda di pneumatici più all'avanguardia in termini di responsabilità ambientale e sociale” si legge sul sito di Continental, e per una volta non si tratta solo di parole. «Siamo stati i primi produttori a lanciare uno pneumatico rispettoso dell’ambiente, che garantisce una minore resistenza al rotolamento e pertanto una riduzione delle emissioni inquinanti delle auto» dice Armand. Nel 2021 Continental ha anche presentato un altro pneumatico realizzato per «più del 50% con materiali rinnovabili o riciclate, che mira a minimizzare il consumo di risorse lungo l'intera catena del valore del pneumatico». Un impegno sul fronte dell'ambiente che si riflette anche in due gamme specifiche di prodotti che utilizzano PET e altri materiali riciclati, rinnovabili e certificati, e in una ricerca costante per nuovi materiali più ecosostenibili: come quella sulle proprietà del tarassaco, che ha già permesso di mettere in produzione un pneumatico per biciclette realizzato proprio con la gomma di tarassaco – con la speranza di poter poi allargare anche ad auto e camion.«Guardando alla Vision 2050, Continental vuole essere parte del cambiamento» riassume Armand: «Carbon neutrality, emission-free mobility and industry, circular economy e value chain responsabile sono i nostri obiettivi di sostenibilità per il futuro». Benvenuti nell’RdS network, allora!

Oltre 700mila tirocini all'anno in Italia: tutti numeri più aggiornati

Quali sono i numeri più aggiornati sugli stage in Italia? Come denunciamo da molti anni, non c'è una risposta precisa a questa domanda, perché i tirocini si dividono in due grandi segmenti: quelli curricolari, svolti mente si studia, e quelli extracurricolari. Degli extracurricolari si conosce anno dopo anno il numero preciso perché ogni attivazione deve essere formalizzata attraverso la “comunicazione obbligatoria”, una procedura che permette al ministero del Lavoro di tracciarli. Ma per i curricolari la situazione è ben più complessa e nebulosa.L'unica rilevazione che censisce parzialmente questi tirocini è il Rapporto biennale dell'Anvur, l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. L'Anvur conta però solo i tirocini degli studenti universitari, e inoltre li conta un anno sì e un anno no, e per giunta li conta non seguendo l'anno solare bensì quello accademico. Infine, li conta con talmente tanta lentezza e ritardo che gli ultimi dati disponibili risalgono a quasi un decennio fa (ben prima della pandemia!).Quindi, ecco il dato più recente: poco più di 300mila tirocini – 301.319 per la precisione – attivati nelle università italiane nell’anno accademico 2015/16. Non vuol dire, ahinoi, molto. Nel 2023 è uscito un nuovo Rapporto biennale, che dovrebbe teoricamente contenere i dati dell'anno accademico 2017/18. Ma finora il testo integrale non è ancora stato pubblicato; sul sito dell'Anvur è presente una versione “sintesi” di 196 pagine, che però non contiene dati sui tirocini (c'è anche il video dell'evento della presentazione ufficiale, con la ministra dell'Università Anna Maria Bernini). Quindi non è detto che il Rapporto contenga ancora, come negli anni passati, una sezione dedicata ai tirocini. Peraltro, non è nemmeno chiaro se quelli censiti da Anvur siano tutti i tirocini attivati dalle università, quindi compresi anche quelli in favore di studenti di dottorato e di studenti di master universitari, oppure esclusivamente quelli in favore di studenti iscritti a percorsi triennali, specialistici e a ciclo unico. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto alla dirigenza di Anvur questo e altri dettagli, ma non ha ancora ricevuto risposta. La situazione di trasparenza per quanto riguarda i tirocini curricolari è dunque molto scarsa. Non si conosce il numero delle attivazioni. Si può stimare che siano ogni anno (2020 escluso, ovviamente) circa 400mila: a quelli universitari bisogna anche aggiungere tutti quelli realizzati durante percorsi di formazione non universitari, ma formalmente riconosciuti – come per esempio gli ITS, i corsi professionalizzanti, i master non universitari. Considerando che questi tirocini sono probabilmente più di 100mila all'anno, forse 400mila è addirittura una stima prudente. Ma si tratta, appunto, di una stima.Per il segmento dei tirocini extracurricolari per fortuna la situazione è più chiara. Secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del 2023, nel corso del 2022 (anche qui c'è un leggero ritardo tra il dato e la sua divulgazione, ma comunque limitato a un anno) sono stati attivati quasi 314mila percorsi: va ricordato che in questo caso ad essere censiti sono esclusivamente gli stage attivati al di fuori dei percorsi di studi, quindi svolti da persone che cercano in qualche modo di entrare nel mondo del lavoro.Il numero, che per la precisione è 313.603, è in leggera flessione rispetto all'anno precedente (2021): circa un 5% in meno. I cali più vistosi si sono verificati in Calabria (-27% tra il 2021 e il 2022), Friuli-Venezia Giulia e Veneto (-17%), Puglia e Marche (intorno al -12%). All'estremo opposto, ai due capi dell'Italia si è verificato un aumento notevole: in Valle d’Aosta i tirocini sono aumentati del +20%, in Sicilia del 18%.Come sempre, la parte del leone in assoluto la fa la Lombardia, con 66.360 tirocini extracurricolari attivati sul suo territorio nel corso del 2022: rappresentano il 21% di tutti gli stage d'Italia. Insomma oltre un tirocinio extracurricolare su cinque si svolge in Lombardia. A seguire il Lazio con quasi 33mila percorsi attivati, il Piemonte con oltre 29.500, il Veneto con un po' più di 29mila e la Campania con 26.500.In particolare il Veneto aveva avuto un vero e proprio "exploit" di stage nel 2021 (oltre 35mila), molti dei quali erano probabilmente percorsi fermati dal Covid l'anno prima e "recuperati"; col 2022 il numero è tornato ai livelli abituali.Degli stage attivati nel 2022, circa 156mila - quindi quasi il 50% del totale - sono stati attivati su persone di meno di 25 anni: una crescita di circa un punto percentuale rispetto al 2021, e di oltre tre punti percentuali rispetto all'annus horribilis 2021, dove i tirocini in favore di giovani si erano fermati sotto il 46%. In questa fascia di età i maschi sono leggermente più numerosi, 53% contro 47% di femmine – la quota di giovani donne è comunque in ripresa, dato che rappresentava solo il 44% nel 2020 e il 45% nel 2021.Vi sono stati poi poco più di 111mila tirocini extracurricolari attivati per "giovani adulti", cioè nella fascia di età 25-34 anni; e circa 37.500 per adulti, tra i 35 e i 54 anni. In entrambi questi segmenti c'è una maggioranza di donne, 56%. Infine, quasi 9mila stage hanno coinvolto persone over 55, con il solito corollario di criticità rispetto all'inquadramento in stage di persone molto più vicine alla pensione che non all'avvio del percorso professionale.Nel Rapporto si scopre che la maggior parte dei tirocini attivati è come al solito concentrata nel settore dei Servizi, che con 239mila attivazioni rappresenta oltre i tre quarti del totale, in gran parte all'interno dei macro-segmenti “Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese” (84.672 attivazioni) e del “Commercio e riparazioni” (72.950 attivazioni). Insieme, i due totalizzano oltre la metà del totale; entrambi i settori vedono una prevalenza di stagiste donne. Circa uno stage extracurricolare su dieci in Italia avviene in un ente pubblico (33.307 sono stati i percorsi attivati nel settore “Pubblica amministrazione, istruzione e sanità”).Dei tirocini extracurricolari il Rapporto del ministero del Lavoro consente anche di conoscere altri dettagli, anche se purtroppo si tratta di dati strutturati in modo da essere poco rilevanti. Per esempio, viene indagata la durata dei tirocini: ma inspiegabilmente le quattro categorie previste sono “Fino a 30 giorni” (cioè meno di un mese), poi “31- 90 giorni” (uno-tre mesi), “91- 365 giorni” (da tre mesi a... dodici!) e “366 e oltre” (cioè tirocini di durata superiore a un anno). È chiaro che l'informazione rilevante è annegata nella categoria sproporzionata 91-365, perché uno stage di quattro mesi è ben diverso da uno stage di un anno! Per questo, il fatto che nel Rapporto si legga che «la maggior parte dei tirocini ha avuto una durata da 3 a 12 mesi (73,7% del totale)» non permette di valutare in profondità questo aspetto, né di capire se gli stage di 6 mesi siano ancora lo "standard", né quanti stage si avvicinino alla durata massima prevista da quasi tutte le normative, e cioè appunto 12 mesi. Più interessante lo spacchettamento dei tirocini più brevi: solo il 6,4% dura meno di un mese, il 17,2% si colloca tra 1 e 3 mesi. I tirocini con durata superiore all’anno, che come specifica il Rapporto «sono destinati presumibilmente a disabili», rappresentano ovviamente una quota tutto sommato piccola, il 2,7% del totale.Rispetto allo svolgimento di questi percorsi formativi “on the job”, che prevedono tutti un progetto formativo individuale e che hanno una durata prestabilita, il Rapporto indica che solo il 68% dei 314mila tirocini del 2022 si è svolto fino alla fine. Un 14,8% è stato interrotto anticipatamente per volontà del tirocinante, quindi nel 2022 oltre 46mila stagisti hanno abbandonato in corso d'opera. Solo una frazione microscopica, zero virgola quattro per cento, è stata interrotta invece per volere del soggetto ospitante: questo perché la maggior parte delle normative regionali pone molti vincoli a questa fattispecie, giustamente per evitare che gli stagisti vengano magari "liquidati" perché non molto efficienti o produttivi.In ogni caso, una risposta esauriente alla domanda “quanti stage sono avvenuti in Italia l'anno scorso” non c'è. Possiamo dire: un po' sopra i 700mila, sommando i 314mila extracurricolari al numero indefinito di curricolari, stimato a 400mila. Ma per avere finalmente un numero preciso bisognerebbe (re)introdurre anche per i tirocini curricolari la comunicazione obbligatoria di avvio. Una procedura semplice, non costosa, veloce. Una procedura che inspiegabilmente trova forti resistenze in Parlamento, dove più volte è stata proposta e più volte è stata rigettata. Oggi più che mai, invece, ci sarebbe bisogno di trasparenza nel mercato del lavoro – e ancor più nel segmento del “mercato degli stage”, che riguarda i nostri giovani e il loro futuro.  Eleonora VoltolinaL'immagine a corredo dell'articolo è di Cottonbro Studio [da Pexels in modalità Creative Commons]

Numero chiuso a Medicina, nuove proposte di legge per abolirlo

Tre semplici articoli per chiedere l’abolizione delle limitazioni all’accesso ai corsi universitari di area sanitaria: sono quelli contenuti nella proposta di legge presentata a settembre dal Consiglio regionale della Campania che mira a eliminare dal prossimo anno accademico, 2024/2025, ogni restrizione per iscriversi alle lauree non solo in medicina e chirurgia ma anche in medicina veterinaria, odontoiatria e protesi dentaria, «nonché ai corsi universitari concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione e ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie».La proposta di legge, fortemente voluta dal Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, dopo essere stata illustrata in Conferenza delle Regioni ricevendo appoggi trasversali, ha raccolto l’unanimità in Consiglio. «Dal momento in cui si registra una carenza drammatica di personale medico è inaccettabile tenere in piedi ostacoli di accesso alla facoltà di medicina, non legati peraltro a nessuna valutazione di merito», spiega il Governatore del Partito democratico alla Repubblica degli Stagisti. «Così come è intollerabile un sistema di quiz che sta spingendo verso forme di depressione e di disagio mentale decine di migliaia di ragazzi e ragazze».Per l’anno accademico 2023 – 2024 il ministero dell’università e ricerca ha messo a disposizione 19.544 posti, per la sola laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, compresi i posti per i candidati di Paesi non dell’Unione europea residenti all’estero (escluso quindi Odontoiatria e Veterinaria per i quali c’erano altri 2mila 428 posti). Quasi un quinto di posti in più rispetto all’anno precedente. Nella sola Campania, tra le sedi della Federico II, dell’università Vanvitelli e di quella di Salerno, il numero totale di posti per il corso di laurea in Medicina e chirurgia per i candidati europei e non, residenti in Italia, e per quelli dei paesi non europei residenti all’estero ammontava a 1.513.Le domande (a livello nazionale), però, sono state decisamente di più visto che per la prima sessione del TOLC Med (le nuove modalità di selezione) per l’anno accademico da poco partito erano 79mila 356, di cui 72mila 450 per medicina e chirurgia. Mentre per la seconda sessione sono state 88mila 679, anche se di questi, secondo il Cisia, il Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l’accesso che supporta le università nella realizzazione ed erogazione dei test di accesso, più di sette candidati su 10 avevano già fatto un tentativo in primavera. Bisogna ricordare che con la nuova modalità di selezione potevano partecipare al test anche gli studenti iscritti al quarto anno delle scuole superiori, che secondo il Cisia erano circa il ventotto per cento del totale, che quindi non potevano iscriversi ma semplicemente tentare il test come esercitazione. Facendo qualche rapido calcolo, molto approssimativo, si può dedurre che solo il 20 per cento del totale candidati poteva avere una chance di superare il numero chiuso. E infatti i test di ammissione alla facoltà di medicina nemmeno quest’anno sono stati esenti da polemiche. Il nuovo quiz conteneva domande errate il che ha generato non solo i soliti ricorsi ma anche una petizione, lanciata a fine settembre dal comitato Aboliamo il numero chiuso, che ha raggiunto al momento oltre 51mila firme e chiede, appunto, l’abolizione del numero chiuso, considerata «improcrastinabile» e di «rivedere profondamente il sistema d’accesso alla formazione medica»: i promotori sostengono che il metodo attuale «non tiene conto né delle esigenze reali del nostro sistema sanitario né prevede un sistema di selezione legittimo e meritocratico». Il test di ammissione, denunciano, non premia la preparazione o l’impegno, perché è sempre «la casualità di un quiz iperspecialistico e la fatalità di un sistema equalizzato aleatorio a decretare chi potrà proseguire per la propria strada e chi no, ledendo quel diritto allo studio sancito dal nostro ordinamento».Nel testo della proposta di legge campana viene evidenziato come «l’attuale sistema di accesso alle facoltà di medicina, fondato sul superamento dei test di ingresso – in grandissima parte incentrati su materie che non sono oggetto di approfondimento nel corso degli studi scolastici e, talvolta, su materie completamente avulse sia dal percorso scolastico che da quello, poi, accademico – implica una preparazione specifica, tesa esclusivamente al superamento di quei medesimi test». Obbligando spesso le famiglie a pagare per corsi specifici di preparazione ai quiz.La proposta consta di soli tre articoli: nel primo si rende libero l’accesso ai corsi di laurea di area sanitaria, per «superare il disagio sociale connesso al regime di accesso programmato»; nel secondo articolo si precisa che con decreto da adottare entro il 31 gennaio 2024, il Ministero dell’università e della ricerca «accerta l’eventuale fabbisogno di risorse umane e strumentali necessario al rafforzamento del sistema universitario e lo trasmette al Ministro dell’economia e delle finanze» per la successiva approvazione di un piano straordinario pluriennale di reclutamento e adeguamento; al comma due c’è la questione specializzazione – vero nodo del problema di carenza di organico – precisando che entro il 31 dicembre 2026 il Miur debba definire il fabbisogno di risorse umane, strumentali e finanziarie per incrementare i posti disponibili nei corsi di formazione specialistica dei medici; il terzo e ultimo articolo introduce una novità, consentendo nelle more dell’attuazione dell’ampliamento di docenti e aule la possibilità di fruizione dei primi due anni di corso anche in modalità on line, spostando i corsi pratici a partire dal terzo anno.Non è solo la Campania, però, ad aver intrapreso questa strada: in Conferenza Stato Regioni «è emerso che anche le altre regioni italiane sono a favore dell’abolizione del numero chiuso per il test di Medicina. Ci aspettiamo, quindi, che tutte le forze politiche portino avanti la proposta di legge della Regione Campania», osserva De Luca. E infatti già l’Assemblea regionale siciliana a fine ottobre ha presentato a sua volta una proposta di legge analoga  che mira a modificare la legge attualmente vigente in Italia e approvata alla Camera nel 1999.  L’intenzione del legislatore 24 anni fa di introdurre l’accesso programmato, si legge nel testo, «sarebbe stata quella di limitare il numero di studenti, riducendo gli oneri per la didattica e determinando un miglioramento della qualità formativa con una preliminare selezione dei discenti». Invece ha prodotto «conseguenze negative per il sistema universitario e per l’intero sistema Paese, portando anche «migliaia di studenti a iscriversi ai corsi promossi da università di altri Paesi europei, costringendo le famiglie a sostenere oneri pesanti». Ma la conseguenza più grave, sottolinea il documento, è emersa durante l’emergenza della pandemia Covid: «l’acclarata carenza di figure professionali in campo medico e nell’area sanitaria in genere». Per questo la proposta di legge, costituita da due soli articoli, propone «di abrogare le disposizioni in materia di numero programmato».Entrambe le proposte di legge, quella dell’Assemblea Regionale Siciliana e del Consiglio Regionale della Campania, sono state poi presentate dai rispettivi Consigli alla Camera dei deputati. La Costituzione, infatti, stabilisce  che una proposta di legge possa essere presentata alle Camere dal Governo, da ciascun deputato, da almeno 50mila elettori, dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro o dai Consigli regionali. Questi, quindi, esercitano la potestà legislativa attribuita alle Regioni e possono anche fare proposte di legge, secondo l’articolo 121 della Costituzione. I due testi dopo la presentazione sono stati assegnati alla stessa commissione. Potrebbe anche succedere, come spesso accade in Parlamento, che a fronte di più proposte su uno stesso argomento – in questo caso l’abolizione del numero chiuso – si arrivi ad unire i vari documenti per arrivare a un testo unico. È, però, decisamente prematuro parlarne visto che al momento non è stato ancora calendarizzato l’inizio dell’esame delle due proposte. Ora parte la corsa contro il tempo: l’abolizione dovrebbe essere operativa da settembre, tra soli nove mesi, ma la discussione alla Camera non è ancora cominciata. Considerando i tempi dei dibattiti e il successivo passaggio per l’approvazione anche al Senato, qualsiasi eventuale rallentamento potrebbe posticiparne l’entrata in vigore. «Sarebbe un disastro», osserva De Luca, «ma siamo fiduciosi, l’iter procede. Il disegno di legge è stato approvato il 6 settembre dalla Giunta Regionale, poi dal Consiglio regionale il 12 e trasmesso alle Camere è stato assegnato il 7 novembre alla VII Commissione Cultura della Camera». Decisamente contraria all’abolizione è l’Anaao Giovani, sindacato di medici e dirigenti sanitari. «L’abolizione del numero programmato, non chiuso, a medicina presenta diversi punti deboli», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giammaria Liuzzi, responsabile nazionale. «È impraticabile per via dell’entità delle strutture universitarie presenti; è inutile per l’abbondanza di medici che ne scaturisce; è anacronistica perché avremmo specialisti formati tra 11 anni; è costosa perché formare un medico in surplus costa 125mila euro».Come risolvere, dunque, la carenza di medici ospedalieri? In tre modi: bisogna secondo Liuzzi «riformare le condizioni di lavoro dei professionisti, finanziare finalmente in maniera adeguata il servizio sanitario nazionale e riformare la formazione medica post-laurea. Occorre semplicemente la volontà politica di potenziare in maniera forte e pragmatica la sanità pubblica e l’erogazione di salute a tutti gli italiani». L’Anaao è convinta che questo provvedimento sia una pura illusione e che andrebbero invece migliorate le condizioni di lavoro, gli stipendi, e anche depenalizzato l’atto medico. «L’Anaao pone dei problemi seri sui quali il Governo dovrebbe intervenire ma che non hanno a che vedere con il problema altrettanto serio – concreto e non pura illusione - dell’ostacolo del numero chiuso per l’accesso alla professione», obietta il Presidente De Luca. «Non ci sono motivazioni tecniche per mantenerlo e, in ogni caso, ogni selezione va fatta dopo i primi due anni, ma sulle materie sanitarie non su argomenti che nulla hanno a che vedere con la medicina».Che i test di accesso possano essere migliorati lo crede anche Anaao: «È indubbio che qualunque meccanismo di selezione può essere implementato e ottimizzato ed ovviamente non c’è nessuna preclusione a riformare nuovamente quello attuale, ma ciò non è un alibi per mettere in discussione l’abolizione dell’intero impianto di selezione sulla programmazione dei medici e dei futuri specialisti», dice Liuzzi che aggiunge come paradossalmente «il problema della carenza di alcune specialità non è un problema di finanziamento ma un inquadramento vecchio di 24 anni», in cui ogni medico specializzando ha «pochi diritti e molti doveri, viene retribuito solo 1.650 euro mensili» e per giunta nemmeno riceve «una formazione di qualità a causa della carenza di personale dirigente».E Anaao si chiede: che fine faranno i medici dopo il biennio aperto a tutti? In Francia, dove c’è un sistema simile ma con selezione dopo il primo anno, l’ottanta per cento non supera lo sbarramento. La domanda quindi è: perderanno un anno [ndr. nel caso italiano due anni visto che si parla di biennio] o saranno dirottati su un binario di seconda scelta?  Troppo presto per dirlo, ma la proposta dell’abolizione è un’idea che nel mondo politico gira da tempo. Non solo la ministra Anna Maria Bernini ha annunciato nei mesi scorsi di voler aumentare di 4mila unità i posti a Medicina, ma in Conferenza delle Regioni sono state numerose le aperture e già altre regioni – tra le ultime il Molise - si stanno occupando del tema.Ora bisognerà aspettare l’inizio della discussione alla Camera per verificare la posizione delle forze politiche e capire se riceverà l’appoggio sufficiente per diventare legge così com’è o se durante il dibattito accoglierà alcune delle obiezioni avanzate da Anaao.  Marianna LeporeFoto di apertura di senivpetro da Freepik in modalità creative commons

82mila expat nel 2022, sempre più giovani sono ormai “stanchi di attendere”

Si arresta un po' la crescita della comunità degli italiani all’estero, ma non quella dei giovani. Gli espatriati nel 2022 sono 82mila, in calo del 2,1% rispetto all'anno precedente, secondo i calcoli del Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, giunto quest’anno alla diciottesima edizione e presentato a novembre a Roma. Tra coloro che sono partiti l'anno scorso per andare a vivere fuori dai confini nazionali, ben il 44% ha tra i 18 e i 34 anni, una quota che risulta in crescita di tre punti in un anno e che rappresenta l'incremento più alto tra tutte le fasce d'età. Mentre quasi un neo-espatriato su quattro ha tra i 35 e i 49 anni, anche se per questa fascia di età le partenze sono in calo. Gli espatri oltre confine vedono ragazzi e giovani adulti in testa, ed è in qualche modo normale che la composizione degli italiani all’estero sia in prevalenza rappresentata dalle nuove generazioni è qualcosa di «fisiologico», come commenta con la Repubblica degli Stagisti la sociologa Delfina Licata, coordinatrice del rapporto. Licata spiega che questa in particolare «è un’epoca di migrazioni, viviamo in un tempo di mobilità». Non c'è  niente di strano dunque se i giovani partono per un’esperienza all’estero: «Si tratta di una fascia di età che di per sé è portata al rischio, per cui le partenze sono normali e andrebbero anzi incentivate». Il punto è un altro: e cioè che nel nostro Paese c'è «tutta una serie di fragilità diventate emergenze strutturali: disoccupazione giovanile, invecchiamento della popolazione, inverno demografico». Di fronte a un simile panorama «la soluzione per le giovani generazioni è quella di partire». I giovani italiani sono in sofferenza e così, «non trovando margini di partecipazione all’interno dei propri territori di appartenenza, vanno alla ricerca di spazi di protagonismo altrove» si legge nel rapporto.  I ragazzi si trovano per di più in una condizione di rassegnazione e secondo lo studio «tra i 18 e i 34 anni  un ragazzo su due nel 2022 (4,8 milioni di individui) ha riscontrato almeno un segnale di deprivazione in una delle due sfere, istruzione e lavoro». La conclusione è che ci si trova di fronte «a una nuova importante questione giovanile» osserva il rapporto, «che tocca il piano identitario, esistenziale, occupazionale e professionale». Se ne parla, ma si fa troppo poco; e i giovani, «stanchi di attendere, trovano soluzioni lontano da casa». Un segnale inedito del malessere giovanile viene dal Sud dove per la prima volta, sottolinea il Rim, si riscontra «una riduzione strutturale del peso dei giovani, sintomo primario delle difficoltà che caratterizzano la condizioni giovanile in questi territori». Dietro c’è «la permanenza protratta nella famiglia di origine, fino alla soglia dei 40 anni, con picchi che si verificano in Sardegna, Campania e Calabria». Le partenze non hanno all’origine solo difficoltà economiche, «ma più senso di rivalsa» sottolinea il rapporto. Prova ne sia che «Il 53,9 per cento (44mila) di chi ha lasciato l’Italia alla volta dell’estero per espatrio lo ha fatto partendo dal Nord Italia», la zona d’Italia più ricca e piena di opportunità, contro «il 30,2 per cento degli abitanti del Sud». Neppure chi parte trova stabilità. C’è un decremento nelle iscrizioni all’Aire, il registro ufficiale degli italiani all’estero. Un diritto-dovere di iscrizione che non viene rispettato, ragiona Licata, «per un sentimento di indecisione», che è un po’ anche uno strascico della pandemia. «Aumentano coloro che sono in una sorta di limbo tra il qui e il là» si legge nel rapporto, «di quelli che sono andati all’estero e vi lavorano anche, ma che continuano a tenere fermo un piede anche in Italia non ottemperando all’obbligo di iscrizione all’anagrafe dei residenti all’estero». «Moderni clandestini» che non danno peso alla mancata regolarizzazione, e si giustificano perché «sentono di essere stati poco valorizzati». C’è poi il capitolo dei rientri, sempre più consistenti dal periodo post Covid. La comunità italiana all’estero è composta da sei milioni di individui, aumentati del 91 per cento dal 2006. Menzione speciale spetta alle italiane, raddoppiate nel periodo considerato. Ma la decisione di rientrare è in salita, soprattutto dal 2021, da quando si è passati a una media di 2-3mila rientri all’anno a oltre 6.500. Il merito «è della legge Controesodo», sottolinea Licata, «che ha fatto raddoppiare i rientri grazie alla defiscalizzazione». Rimpatri tutti concentrati nella fascia 20-30 anni nel triennio 2020-2022. A dare una lettura del fenomeno nel rapporto sono Francesco Rossi e Michele Valentini, fondatori del gruppo Controesodo, che rappresenta la comunità di italiani all'estero: «Si tratta di una fascia di età spinta dalle agevolazioni fiscali, ma che poi tendono a riespatriare» scrivono. Meno facile incidere sui 30-40enni, «dove si concentrano le famiglie con minori, che sono più difficili da spostare». Un punto che si aggiunge «alla scarsa attrattività del welfare italiano».Ad analizzare il tema dell'avere figli all'estero è anche Eleonora Voltolina, direttrice della Repubblica degli Stagisti e fondatrice di The Why Wait Agenda, che per questa edizione del Rim ha scritto il saggio 'Del mondo o nel mondo: gioie e dolori di crescere figli italiani lontano dall'Italia', raccogliendo testimonianze di famiglie espatriate con figli al seguito, o che invece ne hanno avuti una volta fuori dall'Italia. Luci e ombre, con aspetti positivi e altri meno: uno degli esempi più emblematici è quello di Fiammetta, in Francia dal 2010 e con due figli avuti lì, che pur avendo beneficiato di tutti gli aiuti francesi per poter conciliare maternità e lavoro, racconta che avrebbe «preferito di gran lunga avere la famiglia vicino e poter stare a casa un anno».Chi espatria, dunque, talvolta lo fa con amarezza, e spera di poter tornare. Servirebbero più incentivi: «i rimpatri farebbero da argine alla denatalità e all’inverno demografico», ragionano da Controesodo. E invece, se le previsioni dovessero essere confermate, la legge Controesodo sarà invece depotenziata dalla prossima manovra finanziaria, fornendo meno supporto a chi decide di rientrare. E lasciando forse a infoltirsi sempre di più la comunità di italiani all’estero. Ilaria Mariotti