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Stage da 1.300 euro al mese a Helsinki, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche apre venti opportunità

Sono aperte fino al giorno della Festa della Liberazione, lunedì 25 aprile, le candidature per partecipare ai tirocini offerti dall'European Chemicals Agency (Echa), l'agenzia di Helnsinki, in Finlandia, che si occupa di controllo sull'uso delle sostanze chimiche. «Implementiamo la legislazione Ue sull'uso delle sostanze chimiche» si legge alla sezione 'mission' sul sito, «allo scopo di proteggere la salute e l'ambiente». Un lavoro che contribuisce «al buon funzionamento del mercato interno, all'innovazione e alla concorrenza dell'industria europea della chimica». Le tornate di tirocinio in questa agenzia sono due all'anno, con un rimborso spese di 1300 euro mensili più la copertura parziale delle spese per il viaggio. E si aprono rispettivamente «il primo marzo e il primo settembre» spiega alla Repubblica degli Stagisti Nedyu Yasenov dell'ufficio stampa Echa. Durano dai tre ai sei mesi, massima estensione non prorogabile. Il totale degli stagisti per ogni sessione «è di circa una ventina di selezionati», per cui in un anno l'agenzia ne accoglie circa quaranta. «La media di candidature per ogni tornata è di 500 richieste» prosegue Yasenov. Un numero molto cresciuto negli anni della pandemia se si pensa che solo due anni fa, a ottobre 2020, l'Echa raccontava alla RdS di riceverne circa 130 in tutto. E gli italiani, anno dopo anno, si confermano tra gli aspiranti stagisti più solleciti: «Pur non avendo contato quante di queste candidature fossero provenienti dall'Italia» chiarisce l'addetta stampa, «gli stagisti vostri connazionali selezionati sono stati a marzo 2021 sette su venti, e a settembre dello stesso anno quattro su diciotto».  Il boom di presenze si era già verificato nel 2020, con undici stagisti italiani in totale, contro i sei del 2019, e i tre del 2018. Segno che nel tempo l'agenzia si è fatta conoscere, ma anche sintomo del malessere che attraversa il mercato del lavoro italiano, circostanza che spinge spesso a guardare oltre i confini nazionali. Nonostante il Covid che, seppure superata la fase di emergenza, ha lasciato il segno nella modalità di svolgimento dei tirocini: «Possono realizzarsi anche da casa» puntualizza Yaserov, ma come per tutti gli altri dipendenti dell'agenzia, «vale la regola del minimo di due giorni in ufficio». Da casa sì dunque, ma questa dovrà essere nella stessa città dell'agenzia. Chi si candida ora avrà dunque l'opportunità di partire alla volta di Helsinki per iniziare lo stage il primo settembre. Si può fare domanda entro il 25 aprile a mezzogiorno (11 ora di Helsinki), candidandosi a una delle 23 posizioni aperte – ma è possibile anche inviare una candidatura aperta, non collegata a una specifica posizione, come è chiarito sul sito. Si va dall'Hazard Assessment, «per familiarizzare con i test non su animali» è scritto, «e sviluppare competenze nell'uso dei modelli QSAR», al Risk Management «per l'analisi delle alternative in sostituzione dei prodotti chimici», al dipartimento Affari legali per il supporto «nelle controversie davanti al Tribunale europeo o nelle ricerche sui casi giurisprudenziali». I dipartimenti a caccia di stagisti sono anche altri, e per ognuni posizione i requisiti sono diversi a seconda del campo di attività. Per il legale è necessaria la laurea in legge e la conoscenza dell'ordinamento europeo, per l'unità Hazard la laurea in Chimica, Biologia o Farmacia, per il Risk Management la laurea in Economia. Per tutti, per candidarsi è sufficiente aver completato solo il triennio, ma più in generale per partecipare è richiesta la conoscenza dell'inglese, oltre alla cittadinanza europea e l'assenza di precedenti esperienze presso le istituzioni dell'Ue di oltre otto settimane. Vengono contattati unicamente i candidati che hanno passato la prima selezione e che dovranno sottoporsi a una intervista telefonica o in presenza. Prima di partire occorre anche stipulare una polizza assicurativa che sia valida in Finlandia, obbligatoria per lo svolgimento del tirocinio. «Davvero interessante poter applicare nella pratica le mie conoscenze sulle scienze ambientali» afferma Nicola Tecce, ex stagista presso la Evaluation Unit nel corso del dottorato di ricerca. Il suo racconto è pubblicato sul sito dove si raccolgono le testimonianze degli ex. «È stata anche una grande opportunità per capire una realtà differente rispetto a quella sperimentata durante gli studi, e per collaborare con una squadra di scienziati». Elisa Grabbe, tedesca, ha fatto pratica invece presso il Board of Appeal dell'Echa e dice di «essersi potuta addentrare nel sistema amministrativo dell'Ue e in come lavora un'agenzia europea». Si è appassionata al punto che le piacerebbe in futuro «lavorare di nuovo in un'agenzia». E infine Ana Rodés, dalla Spagna, stagista presso l'unità di Comunicazione: «Mi sono occupata di predisporre pubblicazioni e produrre contenuti per l'intranet. Così come di dare supporto per l'organizzazione degli eventi». Per lei c'è stato anche il lieto fine, perché, una volta concluso il tirocinio, dall'Echa è arrivata un'offerta per un impiego a tempo determinato presso l'agenzia. Un'opportunità che può presentarsi al termine di uno stage presso un'istituzione europea, ma che non può tradursi in un lavoro a tempo indeterminato che richiede invece – trattandosi di un ente pubblico – il superamento di un concorso.laria Mariotti 

Fine dello stato di emergenza, si può continuare a fare stage a distanza?

Il primo aprile è terminato lo stato di emergenza e ora che cosa succede agli stage da remoto? Scompaiono? Le primissime risposte – antitetiche – arrivano da Lombardia e Veneto: in Lombardia sì, in Veneto non più. Non due regioni a caso, ma quelle in cui ci sono più stagisti. Secondo dati del Rapporto annuale del Ministero del lavoro, in Italia nel 2020 nella sola Lombardia sono stati attivati oltre 47.500 tirocini; in Veneto poco più di 25mila (i dati relativi al 2021 dovrebbero essere resi pubblici tra due-tre mesi).  Gli stage da remoto erano stati introdotti in via emergenziale tra febbraio e aprile del 2020, con l'inizio della pandemia: in questi ultimi due anni il tirocinio da casa è divenuto, tra luci e ombre, una nuova normalità ribattezzata dalla Repubblica degli Stagisti “smart internshipping”.Ora sono due le questioni importantissime: con la fine dello stato di emergenza la possibilità di realizzare tirocini da remoto autorizzata nel 2020 viene meno o questa autorizzazione permane anche dopo il primo aprile 2022? Quindi si possono attivare nuovi tirocini totalmente da remoto o in modalità mista presenza remoto? E quelli già in corso in una di queste due modalità possono proseguire senza modifiche o è obbligatorio tornare tutti in presenza?La Repubblica degli Stagisti ha nei giorni scorsi contattato tutte le Regioni per chiedere informazioni al riguardo. Al momento due, Lombardia e Veneto, si sono espresse ufficialmente; la RdS continuerà a fare pressing su tutte le altre per ottenere quanto prima notizie chiare sulla situazione in ogni territorio regionale. Il rischio è che ciascuna faccia di testa sua: un rischio ben rappresentato dalle prime due che si sono pronunciate, e che hanno deciso cose completamente opposte.La Regione Lombardia ha dato indicazioni con il decreto 4409 del 31 marzo, confermando la possibilità di svolgere tirocini extracurriculari da remoto almeno fino al 31 agosto 2022. Il testo, firmato dal dirigente Paolo Mora, prende atto che «la formazione a distanza è ormai adottata dagli enti accreditati caratterizzandosi per estrema accuratezza di tracciabilità e monitoraggio», e ricorda che è «necessario aggiornare le disposizioni attualmente in vigore e fornire indicazioni operative che dovranno accompagnare le attività di tutta l’offerta formativa di Regione Lombardia nel corso dei prossimi mesi e in via ordinaria». Viene sancita dunque una sorta di fase transitoria per permettere un graduale passaggio dal regime emergenziale a quello ordinario e garantire un periodo di adattamento alle nuove modalità anche per i soggetti accreditati al lavoro e per gli enti di formazione. Nel testo si legge che «considerata la necessità di mantenere la possibilità di svolgere i tirocini extracurriculari in modalità smart working nei casi in cui tale modalità di lavoro sia prevista dall’organizzazione del lavoro del soggetto ospitante», e che per la fase ordinaria, quindi a partire dal primo settembre, saranno emanate nuove disposizioni.La scelta finale della Lombardia è dunque quella «di mantenere la possibilità di svolgere i tirocini extracurriculari in modalità smart working nei casi in cui tale modalità di lavoro sia prevista dall’organizzazione del lavoro del soggetto ospitante». Il che significa che fino al 31 agosto i tirocini in smart internshipping potranno continuare in questa modalità, così come potranno esserne attivati di nuovi sempre con la possibilità dello stage da casa. Inoltre, a partire dal primo settembre 2022, quindi per la fase ordinaria, «verranno emanate specifiche disposizioni successive per l’erogazione dell’offerta formativa». L’adozione e l’approvazione di eventuali modifiche necessarie rispetto all’attivazione delle doti, anche in relazione alle indicazioni che arriveranno da fonti europee, è, invece, rinviata a successivi provvedimenti. Infine sono state approvate anche delle disposizioni specifiche per lo svolgimento delle attività formative a seguito del termine dello stato di emergenza per la filiera professionalizzante. In questo allegato si danno indicazioni per i seguenti percorsi: triennali di qualifica professionale (IeFP); quadriennali e di IV anno per il diploma professionale (IeFP); personalizzati per disabili (PPD); annuali di IeFP per l’accesso all’esame di stato; IFTS; ITS; erogati nell’ambito dell’avviso Lombardia Plus; erogati nell’ambito dell’avviso Garanzia Giovani misura Antidispersione; apprendistato di primo e terzo livello per quanto riguarda i percorsi in apprendistato per l’ottenimento del diploma tecnico superiore (ITS). Per tutti si privilegia la formazione d’aula e il laboratorio in presenza: «Il numero di ore complessivamente realizzate in formazione a distanza non deve superare il 30 per cento del monte orario annuale della formazione frontale». Tutt’altra storia, invece, in Veneto. Qui, come segnala alla Repubblica degli Stagisti Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, con il termine dello stato di emergenza avvenuto pochi giorni fa «verrà meno la possibilità di svolgere le esperienze di tirocinio da luoghi diversi dai locali aziendali». Nel documento predisposto dalla Regione e disponibile a questo link si specifica che questa possibilità è stata ammessa da marzo 2020 a seguito delle limitazioni imposte allo spostamento delle persone fisiche, ma «trascorsi oltre due anni di attuazione, anche se sembra diventata una modalità consueta di svolgimento e appare anacronistico rinunciare a tale possibilità, si deve ammettere che la modalità di svolgimento del tirocinio a distanza non trova alcun fondamento giuridico nella disciplina vigente». Anzi, per qualificarsi come tirocinio, l’esperienza in Veneto deve necessariamente svolgersi all’interno della organizzazione aziendale con i lavoratori presenti nel luogo di lavoro. Per questo motivo, vista la cessazione dello stato di emergenza, dal primo aprile «non potranno essere attivati nuovi tirocini che prevedono, anche parzialmenteo, lo svolgimento della esperienza formativa in modalità smart». Quindi in Veneto non viene presa in considerazione nemmeno la possibilità per il tirocinante di essere presente in ufficio a giorni alterni, visto che l’esperienza deve realizzarsi nei locali aziendali. Per quanto riguarda invece gli stage cominciati prima del primo aprile 2022, si distingue tra i tirocini totalmente in smart internshipping e quelli che prevedono una alternanza tra giorni in presenza in azienda e giorni di lavoro a distanza. «I tirocini completamente in smart non potranno continuare per incompatibilità con la disciplina e per contrarietà con le finalità dello strumento e dovranno essere interrotti». Per essere portati a termine, dunque, dovranno prevedere lo svolgimento solo in presenza in ufficio oppure – e qui c’è tutta l’incongruenza sul tema dovuta, è bene precisare, anche all’assenza di una specifica normativa in materia – «prevedere l’alternanza di giorni in presenza e giorni in smart». Diversa, invece, la situazione per gli stage parzialmente in smart internshipping, che «potranno continuare e condotti alla naturale scadenza secondo le modalità programmate in fase di attivazione o successivamente definite».  Decisione presa, si specifica, per tutelare il prevalente interesse del tirocinante e per il «principio dell’affidamento».Questa la situazione per ora in queste due regioni del nord Italia: modalità opposte. Non essendoci, al momento, alcuna normativa di riferimento rispetto alla possibilità dello smart internshipping in tempi normali, ognuna ha veramente campo libero rispetto alla decisione.Marianna Lepore

Verso una nuova riforma del servizio civile, gli operatori denunciano: «Noi esclusi dal dibattito»

Doveva essere discusso lo scorso 24 febbraio in Consiglio dei ministri, ma la cronaca degli avvenimenti in Ucraina hanno fatto slittare il dibattito per ora a data sconosciuta. Ma le polemiche c'erano e restano: la ministra per la gioventù Fabiana Dadone ha presentato un disegno di legge delega al governo che tra gli obiettivi ha anche «la revisione della disciplina del servizio civile universale»: dimenticando però di coinvolgere gli operatori del settore, avvisati solo tramite comunicato stampa a cose fatte.«Abbiamo già avuto una riforma abbastanza complessa e ambiziosa del Servizio civile nel 2017, che continua a modificare in maniera significativa la rotta del servizio civile e di cui attendiamo gli elementi di valutazione di impatto delle novità introdotte» spiega alla Repubblica degli Stagisti Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum Nazionale Servizio Civile: «Dal testo alla prima pratica reale siamo partiti tra il 2018 e il 2019, quindi è ancora uno scorcio temporale troppo breve. E mentre eravamo tutti quanti concentrati sull’attuazione della riforma in corso abbiamo appreso dalla stampa l’intenzione della ministra di chiedere una delega al governo per cambiare le politiche giovanili, l’agenzia nazionale giovani e il servizio civile universale».La prima reazione degli operatori del settore è stata di sorpresa: «La nostra forza è sempre stata quella di lavorare in maniera sinergica: politica, dipartimento, consulta. Non capiamo l’urgenza di prevedere un disegno di legge per perfezionare una riforma in atto senza poi intervenire, nella sostanza, con delle vere novità». Borrelli chiarisce che quanto previsto dal testo del ddl è già disciplinato dal servizio civile e andrebbe solo in qualche modo perfezionato senza agire tramite una legge: basterebbe organizzare la procedura e la regolamentazione secondaria. «L’ultima riforma è nata da un processo lungo di concertazione, audizioni, verifiche. Un lavoro straordinario di partecipazione e democrazia del precedente Governo che ha coinvolto tutto il sistema Paese: giovani, enti, categorie, rappresentanze. Questa riforma, invece, non nasce da alcuna esigenza particolare».Lo schema del disegno di legge che la Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare è composto da sei articoli; nel primo, in cui si definiscono l’oggetto e le finalità della deroga, si assicura «il coinvolgimento e la più ampia partecipazione dei giovani e delle organizzazioni che li rappresentano nei processi decisionali, anche mediante consultazioni pubbliche volte a conoscere le loro istanze e acquisire i loro contributi». Non è un particolare di poco conto. Il testo del ddl infatti è nato anche dai contributi raccolti attraverso un questionario online distribuito in occasione della giornata del servizio civile, il 15 dicembre 2021. Una iniziativa per la quale la stessa ministra aveva chiesto aiuto alle organizzazioni: «Noi enti del servizio civile abbiamo dovuto veicolare e diffondere il questionario, quindi le 14mila risposte ottenute sono di giovani del servizio civile» dice Borrelli: «Se da un questionario del genere aspetti di ricevere l’umore e il desiderio, va bene; ma non mi sembra sia un modo di procedere partecipato se invece lo usi come base per una riforma normativa escludendo il confronto con la Consulta nazionale del servizio civile, composta da enti, giovani, enti locali, regioni; se escludi la rappresentanza nazionale dei volontari, dimostrando poco interesse per i giovani che non ascolti; se parli al cittadino con domande per così dire “tendenziose”, cioè che in alcuni casi, nel questionario, sembravano formulate per ottenere determinate risposte, e dalle risposte ottenute agisci una riforma... all’insaputa del mondo coinvolto!», si sfoga Borrelli. La Consulta del servizio civile peraltro viene nominata ogni tre anni dal ministero della Gioventù e riassume oltre il sessanta per cento delle maggiori rappresentanze del servizio civile in Italia: «Non si capisce perché non si dialoghi con loro prima di aprirsi a ulteriori consultazioni arricchenti» dice ancora Borrelli.Il questionario era composto da una ventina di domande, di cui quindici inerenti il servizio civile e alcune sul rapporto con il mondo del lavoro. Dai dati raccolti, quasi otto giovani su dieci risultano essere convinti che sia un modo per avvicinarsi al mondo del lavoro e altrettanti ritengono fondamentale il rilascio di una certificazione delle competenze a fine servizio. E infatti all’articolo 3 comma 1g della bozza di disegno di legge si parla di valorizzare la formazione dei giovani operatori volontari al fine di migliorare il «loro livello di occupabilità, anche attraverso sistemi efficaci di riconoscimento, convalida e certificazione delle abilità e competenze professionali formali e non formali acquisite, utile a promuovere l’accesso all’attività lavorativa» e si aggiunge di «valutare l’impatto dei programmi di servizio civile in territori caratterizzati da alto livello di vulnerabilità sociale».In pratica quindi si vorrebbe valorizzare la formazione dei giovani e le competenze in un’ottica di occupabilità nel mondo del lavoro. «Tutto questo ci sta a cuore, ma recentemente la ministra ha introdotto la certificazione delle competenze come uno degli asset di cui dobbiamo occuparci noi enti della progettazione del servizio civile, confondendo le competenze di chi spinge carrozzine, porta pasti ai senza tetto, con quelle degli enti che fanno politiche attive del lavoro. Anche le Regioni si sono espresse in disappunto rispetto a questa proposta e il ministero del Lavoro non condivide che il servizio civile assurga a politica attiva del lavoro. La ministra, però, avanza una proposta perché ritiene che i giovani vogliano la certificazione delle competenze». Il riferimento è, appunto, al questionario dello scorso anno in cui, secondo Borrelli, manca una spiegazione reale su cosa significhi mettere in pratica un processo di certificazione: diversanente da un semplice “attestato”, una certificazione implicherebbe un esame pubblico «che potresti non superare, dopo il quale eventualmente potresti avere la certificazione della competenza, cosa ben diversa dal dire ti certifico le competenze che hai acquisito». C’è poi la questione relativa alle spese: «se la valutazione di impatto dovesse essere un’attività da far ricadere in mano agli enti, essi dovrebbero farsi carico anche di questo compito oneroso» riflette Borrelli «E questo ci preoccuperebbe per i costi che ne conseguono. Siamo favorevolissimi a una valutazione ma che sia lo Stato a farsi carico di valutare».Ci sono poi degli approcci che presentano criticità oggettive: l’articolo 2 comma 1f punta per esempio a ridefinire la disciplina dell’Agenzia nazionale per i giovani, ma «sembra che il governo voglia rivedere l’organizzazione dell’Ang» fa notare Borrelli «che tuttavia è struttura di carattere europeo: quindi non potrebbe farlo!».L’articolo dedicato specificamente al servizio civile universale è il terzo, in cui si parla di riordino degli strumenti di attuazione del servizio, «anche se basterebbe farlo a livello regolatorio modificando una circolare, senza agire con una norma» ripete Borrelli. Vi sono riferimenti alla necessità di armonizzare le funzioni in materia di servizio civile universale tra il livello nazionale e le Regioni; individuare forme di partecipazione degli enti – «proprio nel momento in cui con questo decreto si attua la totale esclusione dalla partecipazione» constata amaro Borrelli – e prevedere una maggiore partecipazione della Consulta nazionale, con un evidente confitto quindi tra ciò che è scritto e quello che si fa: «Non è stata ascoltata ad oggi... però vogliono ampliarla? La Consulta sta esprimendo pareri contrari fino ad ora inascoltati alle proposte della ministra... che però vuole potenziare l’istituto?».E poi c’è la questione mobilità che il decreto intende promuovere nei Paesi esteri, in particolare europei. In linea teorica una gran bella novità, ma nella pratica difficile da realizzare. «I progetti sono fatti per rispondere a un bisogno, a esigenze di territori, persone. I ragazzi sono la leva attraverso cui gli enti pubblici lo realizzano. Se la missione del servizio civile, come dice la legge, è la difesa della Patria che si esplicita attraverso questa progettualità sociale, allora i ragazzi danno il loro contributo al raggiungimento di questa progettualità. Se invece come intende la ministra i beneficiari del servizio civile sono i giovani, allora è comprensibile che possano richiedere anche l’esperienza all’estero», nell'ottica di arricchire ancor di più il proprio periodo di servizio civile, accumulare più esperienze e competenze, magari perfezionare una lingua. Borrelli offre un esempio pratico: «Il Comune che fa il bando per avere dei ragazzi per mantenere la biblioteca aperta o per aiutare i disabili, che esigenza ha di mandare i volontari tre mesi a Parigi? Nessuna, perché ha l’esigenza cogente del progetto che ha presentato. In questo modo si stravolge il servizio civile che non è più il contributo che i ragazzi offrono ad attività di interesse generale, ma ciò che noi facciamo per i ragazzi. Non siamo contrari», puntualizza, «ma questo non è il servizio civile».Il decreto parla di promuovere la mobilità dei giovani operatori volontari ma non dà indicazioni sulla gestione di tutto il percorso per gli enti. Questi enti si troverebbero a dover costruire partnership con realtà simili all'estero, vagliare le opportunità, verificare la serietà dei percorsi e delle organizzazioni, senza alcun ulteriore supporto in termini di risorse umane e monetarie da parte del Governo?Dopo mesi di silenzio, finalmente l'altroieri c'è stato un primo incontro, una call martedì sera tra la ministra Dadone e gli enti del servizio civile, con la proposta da parte del Forum di «uno stralcio della parte sul servizio civile dal disegno di legge». Certo però si parte da posizioni pressoché opposte: il ministero che vuole una nuova legge, il Forum che non ravvisa la necessità di alcuna nuova riforma, dato che già ve ne è stata una pochissimi anni fa, di cui ancora non si è avuto il tempo di valutare l'efficacia. Intanto di servizio civile continua ad occuparsi anche la politica con la discussione sempre nella giornata di martedì 22 della mozione di Maria Chiara Gadda, parlamentare di Italia Viva, che vorrebbe aumentare il numero di ragazzi coinvolti e innalzare la qualità dei progetti proposti. Insomma di questo argomento sembra vogliano occuparsi in tanti, non tutti però forse si rendono conto che il punto centrale dovrebbe essere aumentare le risorse e semplificare la gestione dei progetti.     Marianna Lepore

Stage, per chi trasgredisce la normativa ora sanzioni e ammende immediate

Gli ispettori del lavoro sono avvisati: se d’ora in poi, durante le loro ispezioni, si dovessero imbattere in situazioni di violazione delle normative regionali sui tirocini extracurricolari, potranno e anzi dovranno comminare multe. É l’effetto – l’unico immediato – dei contenuti dell’ultima legge di bilancio in materia di tirocini. La Direzione centrale coordinamento giuridico dell’INL, l’ispettorato nazionale del lavoro, ha emanato proprio ieri – 21 marzo – una nota dal titolo “art. 1, commi da 721 a 726, L. n. 234/2021 – nuove disposizioni in materia di tirocini – prime indicazioni”, firmata dal direttore centrale Danilo Papa [nella foto].Nella nota viene spiegato che la legge di bilancio 2022 ha appunto «introdotto alcune disposizioni in materia di tirocini» e che esse sono «in parte da considerarsi immediatamente operative». Dunque, dopo essersi coordinati con l’ufficio legislativo del ministero del Lavoro – che a sua volta la settimana scorsa, con una nota protocollare, la n° 2529 del 16 marzo, ha sollecitato l'INL a esprimersi – l’INL ha stilato un documento per chiarire le novità. Posto che le nuove linee guida concretamente ancora non esistono – è previsto debbano essere stilate entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio, il che vuol dire che la deadline va calcolata dal 1° gennaio: dunque entro fine giugno la Conferenza Stato-Regioni dovrà partorire le nuove linee guida, se rispetterà le consegne – ne deriva «che ad oggi e sino al recepimento, da parte delle Regioni, delle linee guida da adottarsi ai sensi del citato comma 721», e qui l’INL intende le linee guida prossime venture, «restano in vigore le attuali regolamentazioni regionali». Ma l’INL focalizza anche quello che già è possibile applicare: «accanto a disposizioni di futura applicazione, la legge di bilancio ha introdotto ulteriori precetti che risultano essere già vigenti a partire dalla sua entrata in vigore». I precetti da considerarsi “già vigenti” riguardano l’indennità di partecipazione e il ricorso fraudolento al tirocinio. Per quanto riguarda l’indennità, «la sanzione prevista dal […] comma 722 – secondo il quale “la mancata corresponsione dell'indennità di cui alla lettera b) del comma 721 comporta a carico del trasgressore l’irrogazione di una sanzione amministrativa il cui ammontare è proporzionato alla gravità dell'illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 6.000 euro […] – troverà applicazione in relazione alla mancata corresponsione della indennità già prevista dalle vigenti leggi».Prendendo invece in considerazione la fattispecie del «ricorso fraudolento al tirocinio», la nota dell’Ispettorato specifica che «se il tirocinio è svolto in modo fraudolento, eludendo le prescrizioni […], il soggetto ospitante è punito con la pena dell'ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio». Questo è preso paro paro dal comma 723 della legge di bilancio. L’INL specifica che «tali disposizioni introducono precetti da ritenersi immediatamente operativi» e prosegue sottolineando che «al fine di valutare l’uso scorretto del tirocinio e, quindi, la condotta fraudolenta del datore di lavoro che ha impiegato il tirocinante alla stregua di un effettivo rapporto di lavoro o in sostituzione di lavoratore dipendente, il personale ispettivo dovrà ad oggi fare riferimento alle normative regionali attualmente in vigore, nonché alle istruzioni operative già fornite da questo Ispettorato con circ. 8/2018».La Repubblica degli Stagisti non può che salutare con favore questo riferimento: la circolare 8/2018, dal titolo «Tirocini formativi e di orientamento – indicazioni operative per il personale ispettivo», infatti era quella emessa appunto quattro anni fa per spiegare agli ispettori del lavoro cosa controllare per accertarsi che lo stage sia in regola, e cosa fare in caso non lo sia. Firmata da Paolo Pennesi,la circolare era stata pubblicata proprio in concomitanza con l’inserimento per la prima volta dei tirocini «tra gli ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro per l’anno 2018». Un inserimento confermato nel 2019 e poi purtroppo decaduto.Dunque, conferma l’INL nella nota di ieri, «la violazione delle disposizioni contenute nel comma 723 comporta l’applicazione a carico del soggetto ospitante della pena dell’ammenda di 50 euro per ciascun tirocinante coinvolto e per ciascun giorno di tirocinio. Trattandosi di sanzione penale, punita con pena pecuniaria, la stessa è soggetta alla prescrizione obbligatoria […] volta a far cessare il rapporto in essere in violazione dei principi che ne disciplinano la regolare gestione».Oltre alla multa, c’è poi anche il rischio di dover assumere il finto tirocinante: «l’ultimo periodo del comma 723 […] fa salva la possibilità, su domanda del tirocinante, di riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a partire dalla pronuncia giudiziale» specificando che «sarà dunque il solo tirocinante a valutare una richiesta in tal senso».Infine, rispetto alle comunicazioni obbligatorie – fulcro di una importante discussione che riguarda il monitoraggio e controllo dello strumento dello stage! – purtroppo l’INL non si fa “bastare” la legge di bilancio: «si ritiene, in coerenza con i precedenti orientamenti, che lo stesso [l’obbligo di CO, ndr] riguardi unicamente i tirocini extracurriculari». Fino a nuovo ordine, si può aggiungere: perché il ministero del Lavoro ha promesso a più riprese di voler mutare l’orientamento e di voler (re)introdurre l’obbligo di CO anche per i tirocini curricolari. Attendiamo dunque con ansia che lo faccia, attraverso una sua circolare o altra modalità ufficiale.L’ultimo aspetto focalizzato dalla nota riguarda l’obbligo del soggetto ospitante a provvedere «a propria cura e spese al rispetto integrale delle disposizioni in materia di salute e sicurezza»: qui l’INL sottolinea che «l’inciso “integrale” è da ritenersi un rafforzativo […] con ciò determinando l’applicazione delle medesime tutele previste in favore del personale dipendente».Una circolare significativa, che tuttavia non può giustamente sostituirsi a chi ha il potere legislativo in tema di tirocini: dunque, per le CO obbligatorie anche per i tirocini curricolari dovremo aspettare una azione del ministero del Lavoro; per una nuova configurazione della normativa sui tirocini curricolari dovremo aspettare il Parlamento (è proprio in questo periodo in discussione la proposta di legge Ungaro in materia); e per le nuove linee guida sui tirocini extracurricolari, che potranno (ma lo faranno davvero?) diminuire drasticamente il raggio d’azione dei tirocini extracurricolare, dovremo aspettare la decisione della Conferenza Stato-Regioni.

I giovani devono avere “voce in capitolo”, la ricerca online della Commissione UE sugli stage è aperta fino al 25 marzo

C’è una ricerca in atto a livello europeo per indagare il tema dei giovani che fanno esperienze di tirocinio nei paesi membri; l’obiettivo è quello di trovare soluzioni che assicurino che i giovani in tutti i paesi dell’Ue possano avere accesso a esperienze di tirocinio positive, e capire se e quanto siano necessarie nuove iniziative politiche per aumentare la qualità di questi tirocini.A esattamente dieci anni dalla “Overview on Traineeship” promossa proprio nel 2012 dalla Direzione generale Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione UE (il titolo completo del lavoro era “Study on a comprehensive overview on traineeship arrangements in member states”), la Commissione ha dato mandato a un’agenzia indipendente con sede a Bruxelles, Ecorys, di realizzare una ricerca sullo stesso tema. L'indagine si svolge attraverso un questionario online, che è possibile compilare fino al 25 marzo in maniera rigorosamente anonima, anche in italiano (e in altre 22 lingue). Il titolo stavolta è “Study Supporting The Evaluation Of The Quality Framework For Traineeships”, in italiano “Studio a sostegno della valutazione del quadro di qualità per i tirocini”. «Le opinioni espresse in questo sondaggio saranno analizzate nell'ambito di una valutazione che la Commissione europea sta effettuando» spiegano i ricercatori nel testo iniziale, rivolgendosi direttamente ai potenziali partecipanti: «Questa è l'occasione per condividere la tua esperienza e le tue opinioni sui tirocini nel tuo paese e per avere voce in capitolo sulle future misure politiche in questo settore».Le “screening questions” iniziali permettono di specificare se la persona che compila il questionario ha mai fatto o no un tirocinio, o se proprio in questo momento ne sta facendo uno. In caso abbia una esperienza personale (singola o plurima!) di tirocini, viene chiesto di specificare per esempio se essi fossero una parte obbligatoria degli studi (il cosiddetto tirocinio “curricolare”, anche se la ricerca non usa questo termine), o addirittura come passaggio obbligato per esercitare una professione (es. medicina, architettura, giurisprudenza): qui si fa riferimento – sempre implicitamente – a quelli che in Italia si chiamano tecnicamente i “tirocini per l’accesso alle professioni regolamentate”, altrimenti detti “praticantati”. Il questionario chiede anche di indicare il Paese dove è stato svolto il tirocinio più recente, perché naturalmente è possibile anche fare tirocini all’estero.Le domande di carattere demografico sono standard (da notare che, rispetto al genere, il questionario molto rispettosamente prevede anche l’opzione “altro” accanto a maschio e femmina, e dà anche la possibilità di non rispondere). Per l’età si può indicare quella precisa se si è nella fascia 15-39 anni; altrimenti si dovrà selezionare l’opzione “inferiore a 15” oppure “oltre 40”.Rispetto all’indagine vera e propria, viene chiesto ai partecipanti di focalizzare esclusivamente i tirocini extracurricolari: di nuovo, la parola non viene usata esplicitamente, ma nella sezione “Domande per i tirocinanti” viene specificato subito che si fa riferimento “a uno o più tirocini che NON erano una parte obbligatoria degli studi/programmi di studio né un requisito necessario per accedere a una professione specifica (ad esempio medicina, architettura, ecc.)”. Quindi tirocini curricolari e praticantati vengono esclusi dalla ricerca; anche se poi, con poca coerenza forse, la primissima domanda relativa al numero di tirocini svolti prevede due campi: per compilare il primo bisogna indicare il numero di stage svolti “durante l'attività scolastica, la formazione professionale o gli studi” (cioè proprio quelli che due righe sopra erano stati esclusi dall’indagine…).L’indagine poi prosegue chiedendo dettagli sull’ultimo tirocinio effettuato. Questa è una debolezza dell’intera ricerca, forse inevitabile, ma che permette di rendere conto solamente dell’ultima esperienza di stage: per chi ne ha fatte diverse, vuol dire automaticamente escludere tutte le altre dalla rilevazione. La formulazione impedisce peraltro anche di capire se vi sia un “tracciato” standard, per esempio un progressivo miglioramento delle condizioni di tirocinio in caso se ne sia fatto più d’uno, che potrebbe voler dire una progressiva presa di coscienza della persona, una ricerca di condizioni via via migliori. Tornando al questionario: viene chiesto di specificare lo status che il partecipante aveva quando lo ha fatto (se studente, disoccupato…), e poi il “livello di istruzione” al quale la persona era “iscritta” (in caso fosse studente al momento del tirocinio) oppure il più alto grado di istruzione fino a quel momento conseguito. Si prosegue indicando il settore in cui questo tirocinio è stato svolto (Commercio, ristorazione, informazione e comunicazione, attività finanziarie…) e se il tirocinio è stato “erogato” da un ente pubblico o da un’azienda privata (qui si sarebbe potuto fare uno sforzo in più con la lingua: va inteso come “tipologia del soggetto ospitante”).La sezione successiva chiede come la persona abbia trovato il suo tirocinio (passaparola, annunci, social media, fiere del lavoro, centri per l’impiego…); attenzione perché stranamente non c’è l’opzione classica della “università-istituzione formativa”, quindi in questo caso bisognerà trovare la risposta più vicina e coerente.C’è poi una domanda che vuole indagare la “trasparenza” degli annunci di stage, e chiede di elencare gli elementi che erano “chiaramente menzionati nell'avviso di posto vacante che pubblicizza il tirocinio”: qui è possibile selezionare più di una risposta, tra cui compaiono anche l’importo dell'indennità e la  percentuale di tirocinanti assunti dall'organizzazione negli ultimi anni (ah! Good luck with that, almeno coi tirocinanti italiani… a meno che non abbiano trovato il loro tirocinio qui sulla pagina Annunci della Repubblica degli Stagisti, naturalmente, che fa della trasparenza su questi punti la sua bandiera!). Viene chiesto poi qualche dettaglio sul contratto di tirocinio, che in italiano si compone della “convenzione” e del “progetto formativo individuale”.La sezione che indaga gli obiettivi di apprendimento e di formazione chiede di dichiararsi in accordo o disaccordo con una serie di affermazioni tipo “Le mie mansioni mi hanno aiutato a raggiungere i miei obiettivi di apprendimento e formazione” oppure “Avevo un supervisore, che ha monitorato e valutato i miei progressi”: si può considerare l’utilizzo della parola “supervisore” come sinonimo di quello che in italiano, nel linguaggio tecnico dei tirocini, si chiama “tutor”.C’è poi il capitolo “Condizioni di lavoro”, che inquadra il tema dell’indennità e, se chi sta rispondendo indica di averla ricevuta, chiede di indicarne anche il valore (medio) mensile in euro, escludendo però eventuali “altre prestazioni”. Tali “prestazioni”, che possono essere indicate più avanti nella pagina, sono gli eventuali sostegni “in natura” ricevuti (bizzarro modo per indicare i “buoni pasto o cibo meno costoso presso la mensa aziendale”), le spese di viaggio o di alloggio rimborsate,  opportunità di formazione e così via. Tra le opzioni ci sono anche le “ferie retribuite”: probabilmente qui, dato che lo stage non prevede mai una “retribuzione”, bisogna semplicemente intendere la domanda come: se il periodo di stage ha attraversato un periodo di “ferie”, es. periodo di Natale o estate, in cui tutti i dipendenti sono rimasti a casa, in quanto stagista la persona ha avuto diritto all’indennità piena, oppure decurtata per i giorni in cui non è stata presente?Discorso a parte per la domanda sull’avere “accumulato diritti pensionistici”. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo i periodi di tirocinio non prevedono versamenti previdenziali: probabilmente qui il sondaggio vuole solo conferma di ciò.Per quanto riguarda la certificazione delle competenze, il questionario chiede se al termine del tirocinio la persona  ha ricevuto (o riceverà, nel caso il percorso sia attualmente in corso) “un certificato o una lettera di referenze comprovante le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite durante il tirocinio”.Nella sezione “Tirocini Transfrontalieri” viene indagato il motivo per il quale si è deciso di fare (o non fare) un’esperienza all’estero: in particolare, in caso la persona che compila il questionario non abbia mai fatto un tirocinio al di fuori dell’Italia, viene chiesto di specificare se non  era interessata, o informata sulle opportunità all'estero; oppure se l’elemento di blocco è stata una scarsa padronanza delle lingue straniere, oppure la mancanza di risorse finanziarie per pagarsi il viaggio e la permanenza in un altro Paese.Per le domande conclusive, infine, con la modalità del dichiararsi in accordo o disaccordo con una serie di affermazioni si può dire se a proprio avviso il tirocinio abbia “reso più facile il passaggio dalla scuola al lavoro”, o se sia o non sia stato “utile per trovare un lavoro regolare”.Inoltre il questionario indaga l’efficacia del tirocinio dal punto di vista occupazionale, chiedendo se sia o non sia arrivata un’offerta di lavoro, e se sì, a quale distanza temporale dalla fine dell’esperienza formativa. In caso si risponda di sì, il questionario approfondisce chiedendo se questa offerta sia arrivata dallo stesso datore di lavoro presso cui è avvenuto il tirocinio, presso un datore di lavoro con cui si sono avuti “contatti durante il tirocinio (ad esempio, un partner commerciale, un fornitore, un cliente dell'organizzazione erogatrice del tirocinio)”, oppure un datore di lavoro “non collegato al tirocinio”.Tra le domande di questa sezione ce n’è anche una a risposta libera: “Cosa si potrebbe fare per migliorare i tirocini nel tuo paese o nel paese in cui hai svolto il tirocinio?”.Al termine del questionario, un breve testo informa che “la Commissione europea avvierà presto un'altra consultazione pubblica nell'ambito della stessa valutazione”. Segno che la qualità dei tirocini è un argomento che le istituzioni europee hanno deciso, a ragione, di inserire tra i loro obiettivi prioritari.

Stage al Consiglio dell'Ue, oltre 100 opportunità da 1200 euro al mese (e venti gratis): candidature fino al 15 marzo

L’Unione europea riapre le porte a centinaia di ragazzi in cerca di stage. Per il terzo anno di fila il Consiglio dell’Ue mette a disposizione oltre cento posti all’interno del Segretariato generale di Bruxelles. Un’esperienza unica che permette di conoscere da vicino le istituzioni europee, il loro processo lavorativo e guadagnare esperienza internazionale. Il bando, aperto il 15 febbraio e in scadenza il 15 marzo, offre 100 posti per tirocini extracurriculari, da quattro a sei posti per tirocinanti con disabilità e infine 20 per tirocini curriculari – gli unici che non prevedono un compenso. Gli stage saranno in presenza, dal 1° settembre 2022 fino al 31 gennaio 2023; sono rivolti a tutti i cittadini dell’Ue e dei paesi candidati che hanno concluso i negoziati di adesione. Le aree di lavoro del Segretariato per cui si può fare richiesta sono numerose, dal settore delle politiche agricole alle relazioni internazionali con paesi terzi, dalle risorse umane allo sviluppo energetico e altri ancora. «È stata un’esperienza molto positiva e aver lavorato nell’Ue ha pesato tanto nel mio curriculum», racconta Silvia Colagiorgio che nel 2021, a 25 anni, è stata selezionata per svolgere un tirocinio da febbraio a giugno nel dipartimento comunicazione – unità outreach and engagement – del Consiglio e ora lavora per l’Icf (Inner city fund), agenzia di consulenza privata, partner dell’Unione. Ma cosa aspettarsi da un’esperienza simile? Sicuramente l’opportunità di acquisire nuove conoscenze sull’Unione, migliorare la comprensione delle politiche europee e contribuire alle attività quotidiane del Consiglio all’interno di un ambiente multiculturale e multilingue. Per provare a vivere tutto ciò bisogna inviare la propria candidatura sul sito del Consiglio dell’Ue, creare un account personale e inoltrare la domanda. Il Consiglio cerca ragazzi immersi nello spirito europeista, competenti e che sappiano parlare almeno due lingue ufficiali dell’Unione. In particolare è richiesta l’ottima conoscenza dell’inglese e del francese con un livello minimo di C1 e C2. Ogni anno arrivano migliaia di candidature e i tirocini con indennità sono – ovviamente! – sempre quelli più richiesti, con una media di oltre 10mila domande. Gli aspiranti stagisti sono aumentati vertiginosamente negli ultimi quattro anni, passando dai 2mila del 2017 agli oltre 11mila del 2018 fino al record registrato l'anno scorso: 14mila candidature. Per potersi proporre è necessario essere laureati e aver concluso almeno il primo ciclo di studi (ovvero la laurea triennale o un diploma equivalente). Il compenso è di circa 1200 euro al mese e a questo si aggiungono buoni pasto, indennità di viaggio, assicurazione contro gli infortuni e assicurazione sanitaria. La gran parte dei candidati ha per lo più competenze in legge, scienze politiche, relazioni internazionali, economia, studi legati all’Ue. Ma si guarda anche ad altri campi, dalla traduzione alle risorse umane, dall’ingegneria aerospaziale alla sicurezza alimentare, passando per comunicazione, salute, ambiente e graphic design. «Ho fatto domanda tre volte prima di essere accettata», spiega Colagiorgio, che prima di questa esperienza si era laureata in international politics and markets all’università di Bologna: «Dopo aver inoltrato la candidatura c’è una prima fase di selezione. Se il tuo profilo è idoneo e interessa a qualche unità allora ti contattano tramite mail e fissano un colloquio. A me è successo circa due mesi dopo l’invio della domanda. Poi subito dopo il colloquio, circa una settimana, ti comunicano se sei stato selezionato o meno, oppure se sei in lista di attesa». Durante lo stage si occupava della comunicazione verso l’esterno, riguardo l’organizzazione di eventi e visite al Consiglio. Ma non solo: lavorava anche a una newsletter per giovani studenti e lavoratori su approfondimenti e temi di attualità, e assicura è «il punto di vista degli stagisti è molto apprezzato. Sono sempre stata coinvolta e ho avuto la fortuna di interfacciarmi con un ambiente pratico e dinamico». Proprio dall’Italia arriva il maggior numero di candidati per questo tipo di stage presso il Consiglio dell'Unione europea: quasi 5mila solo nel 2021. Di questi, 17 (su un totale di 97 stagisti selezionati da tutta Europa) sono gli italiani che sono stati accettati per il tirocinio extracurriculare. A seguire la Spagna con 1.990 domande inviate e sei tirocinanti selezionati. Dalla Germania, su un totale di soli 630 candidati, ne sono stati scelti ben 12, al pari con la Francia – da cui erano però partite più di mille candidature. Anche negli anni precedenti l’Italia si è sempre presentata come il Paese con il numero più alto di domande e di tirocinanti scelti, a conferma dell’alto grado di preparazione dei candidati italiani. La crescita dal 2017 ad oggi è stata esponenziale: +85% di candidature provenienti dall'Italia in soli quattro anni.Molte meno richieste, invece, arrivano per i tirocini definiti dal Consiglio “obbligatori”, senza indennità, che possono durare da due a cinque mesi. Nel 2021 sono state 563 le candidature (138 quelle dall’Italia) e 15 stagisti sono stati selezionati (di cui tre italiani): cinque durante il primo semestre, dieci durante il secondo. Per tirocini obbligatori si intendono quelli che in Italia si chiamano “curriculari”, svolti quindi all’interno di un percorso di studi universitario, che sia triennale (solo per gli studenti del terzo anno), magistrale o anche di dottorato.«È stata un’esperienza molto interessante, anche se ero in smartworking per quattro mesi su cinque», racconta Marco Valenziano – classe 1997, laureato in scienze internazionali e diplomatiche all’università di Bologna – che ha fatto il tirocinio curriculare nell’unità relazioni interistituzionali da febbraio a giugno 2021, riuscendo a entrare al primo tentativo. «La mia unità si occupava di fare reporting su quanto avveniva in Parlamento. Era un lavoro di monitoraggio, ricerca e redazione e già dal secondo mese di tirocinio noi stagisti eravamo pienamente autonomi». Il giovane che ha lavorato al fianco di funzionari esperti ma anche di altri giovani tirocinanti sia curriculari che extracurriculari. In tutte le unità del Consiglio infatti non c’è alcuna differenza tra le mansioni degli stagisti che ricevono l’indennità e quelli che invece ne sono privi. Una situazione in cui l'inequità salta all'occhio: giovani che ricevono 1.200 euro al mese gomito a gomito con coetanei che non ricevono compenso.In realtà qualcosa si riceve anche nell'ambito dei tirocinio “obbligatori”. Durante lo stage vengono offerti buoni pasto, assicurazione contro gli infortuni, indennità di viaggio e assicurazione sanitaria. Ma per gli obbligatori, appunto, niente compenso mensile. «Mi rendo conto che è una situazione difficile per moltissimi universitari. Soprattutto per quelli che vogliono intraprendere questi percorsi ma che al tempo stesso non possono essere aiutati dalle famiglie. Vivere a Bruxelles non è molto economico», sottolinea Valenziano: «Fortunatamente non è stato il mio caso: avendo svolto quasi tutto lo stage in smartworking e stando a casa dei miei genitori non ho avuto grosse spese». Da anni il tema dell’obbligatorietà dei compensi è al centro di accese discussioni. L’ultima è stata il 17 febbraio a Strasburgo, durante un’assemblea plenaria del Parlamento europeo in cui è stata redatta e approvata (con 580 voti favorevoli) una risoluzione dal titolo “Rafforzare il ruolo dei giovani europei: occupazione e ripresa sociale dopo la pandemia” che invita Commissione e Stati membri a garantire un’equa retribuzione per tirocini e apprendistati. Il Parlamento ha precisato che gli stage non solo devono essere pagati ma anche limitati nella durata e nel numero, così che i giovani non rimangano intrappolati nella morsa sempre più stringente e interminabile dei tirocini a basso costo, privi di protezione sociale e diritti pensionistici. Nonostante tutti questi buoni propositi, però, non è stato approvato l’emendamento dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici che proponevano proprio di vietare esplicitamente gli stage non pagati. Richiesta, purtroppo, respinta con 377 voti contrari. La presenza o assenza di compenso gioca un ruolo molto importante nell'accesso e nella contendibilità delle opportunità di stage a disposizione dei giovani. Non a caso, negli ultimi anni nell'ambito del programma dei tirocini presso il Consiglio europeo quelli “obbligatori” hanno risentito di più l’arrivo della pandemia: le candidature sono calate drasticamente, dalle 585 del 2019 alle 320 del 2020 e solo lo scorso anno si è tornati ai numeri pre-Covid, con il superamento della soglia delle 500 domande. Effetti collaterali che già si conoscono, considerando l’enorme blocco che ha colpito tutti i settori, università e tirocini compresi. Il Consiglio dell’Ue, però, ha saputo rispondere all’emergenza garantendo lo smartworking in piena autonomia: a tutti gli stagisti è stato spedito un kit per lavorare da casa, pc compreso, da restituire poi al termine dell’attività.A partire da ottobre 2021 si è tornati al lavoro in presenza. «Riprendere in ufficio è stato bello, nonostante nel mio periodo si potesse andare solo per due o tre giorni a settimana», racconta Marco Valenziano: «Almeno avevo l’opportunità di partecipare a incontri che non avrei potuto seguire a distanza e soprattutto fare networking con i miei colleghi. Ammetto anche che mi sarebbe piaciuto rimanere ma è sempre molto difficile». Fonti dell’Unione europea, infatti, confermano alla Repubblica degli Stagisti che meno del 10% dei tirocinanti rimane a lavorare dopo la fine dello stage, solitamente coprendo altri ruoli. Ma l'esperienza europea spesso viene considerata con riguardo quando si cerca lavoro: Valenziano per esempio subito dopo la fine degli studi ha trovato un impiego in un’agenzia di consulenza. Per lui come per Silvia Colagiorgio l’esperienza nell’Ue è stata «fondamentale».Benedetta Mura

Ocse, ultimi giorni per candidarsi al programma di stage - solo da remoto - con indennità di 740 euro al mese

Ci sono molte organizzazioni che offrono tirocini con un buon rimborso spese affiancati a un’esperienza internazionale che può poi brillare nel proprio curriculum. Tra queste occupa una posizione importante l’Ocse, con sede a Parigi, il cui “vero” nome in realtà è Oecd – dipende da se le lettere iniziali che compongono l'acronimo rappresentano il nome in inglese, “Organization for Economic Co-operation and Development”, oppure in italiano, “Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico”. Al momento è possibile candidarsi per svolgere un tirocinio nel corso del 2022: è necessario essere uno studente iscritto negli ultimi anni di un corso di laurea, un master o un dottorato. «Il 98 per cento dei tirocini si svolge a Parigi, dove c’è la sede principale Ocse», spiega alla Repubblica degli Stagisti Nadav Shental, che lavora nell'ufficio Talent management e Analytics dal 2017: «Ma dall’inizio della pandemia abbiamo autorizzato lo stage a distanza, per venire incontro agli studenti. In particolare perché all’Ocse aderiscono 38 paesi e alcuni di questi hanno delle regole molto rigide specie sugli spostamenti, così per non discriminare nessuno abbiamo adottato lo smart internshipping. Quindi anche gli stagisti italiani possono lavorare dalle proprie case o dalle università mantenendo comunque un’interazione continua con il proprio team di lavoro».Svolgere uno stage a distanza non significa, fortunatamente, essere abbandonati a sé stessi. «Ogni Direzione o team ha la propria agenda e ogni stagista aderisce alle esigenze del team. Questo significa che ci sono riunioni per aiutare proprio il lavoro da remoto e, ovviamente, sono rispettate le esigenze degli stagisti che vivono in fusi orari diversi. Quindi non chiederemo mai a uno stagista di partecipare a una riunione alle 3 del mattino e cerchiamo di fare del nostro meglio per accogliere le esigenze di quanti collaborano dall’Australia, Giappone, Stati Uniti o altri paesi fuori dall’Europa». Anche l’orario è abbastanza flessibile: «L’Ocse ha una giornata lavorativa di otto ore e mezza ma non ci sono degli orari fissi in cui gli stagisti o i dipendenti cominciano e finiscono di lavorare. Quindi possono cominciare alle 8 o alle 9 del mattino: dipende dal lavoro del team a cui si appartiene e dagli accordi presi con i propri supervisors».Per mandare la propria candidatura è necessario creare il proprio profilo sul sito Oecd: è comunque possibile accedere attraverso il proprio profilo Linkedin. Una volta fatto questo passo basterà compilare la sezione online ricordandosi di non allegare nessun documento perché tutte le informazioni necessarie devono essere inserite nel format elettronico per essere considerate nella fase di selezione. Tra pochissimi giorni, alla mezzanotte del 28 febbraio, si chiuderà la fase di candidatura per il programma di tirocinio invernale, ma in realtà ci si può candidare in qualsiasi momento: «in base alle esigenze del team dell’Ocse i candidati sono invitati ad un colloquio, qualche volta a fare alcuni test scritti», spiega Shental. I prescelti in pratica «iniziano con un accordo con il loro team: non c’è una data di inizio specifica per tutti i tirocinanti, è flessibile e a nostro avviso è molto utile questa flessibilità sia per gli studenti sia per per i team di lavoro».Gli interessati possono quindi fare l’application online sul sito inserendo nel modulo di domanda l’esperienza, gli studi, la lettera di motivazione e indicando anche le aree di interesse. «I tirocinanti che soddisfano i requisiti e che si distinguono per conoscenza della lingua, capacità di redazione e altri requisiti minimi sono inseriti in un gruppo a disposizione di tutti i responsabili delle assunzioni e del personale delle risorse umane. Un esempio pratico: se sono un manager che lavora nel settore fiscale sarò alla ricerca di stagisti con esperienza in materia fiscale e potrei stabilire che lo stage cominci a giugno di quest’anno fino alla fine di dicembre. A questo punto i candidati che soddisfano questi criteri sono invitati per un colloquio e talvolta per una prova scritta».Se selezionati si comincerà uno stage che può variare da uno a sei mesi. «L’Ocse eroga un’indennità di 740 euro al mese, ma in molti casi gli studenti ricevono un sostegno aggiuntivo dalle università in cui sono iscritti o attraverso degli specifici programmi di stage nel loro Paese. Per esempio la Germania, grazie ad alcuni programmi di supporto, in alcuni casi quasi raddoppia questa cifra e come Ocse incoraggiamo gli atenei che seguono questa strada» dice Shental.Per quanto riguarda i numeri degli stagisti selezionati in passato, la Repubblica degli Stagisti è riuscita ad ottenere i dati del 2021: «Lo scorso anno sono stati selezionati 670 stagisti: il numero più alto che abbiamo mai selezionato. Nel 2020 c’è stato un decremento a causa della pandemia ma ora si sta tornando ai numeri pre Covid. Sempre nel 2021 abbiamo avuto 53 italiani selezionati per cominciare uno stage e confrontato con gli altri Paesi, l’Italia rappresenta il quarto per maggior numero di domande, dopo Francia, Germania e Stati Uniti. Questi numeri», continua a spiegare Nadav Shental, «suggeriscono che gli studenti italiani hanno molta familiarità con l’Ocse e sono molto competitivi: hanno, infatti, abbastanza successo nel processo di selezione». L’anno scorso è stato sicuramente un anno eccezionale come partecipazione, se si considera che secondo i dati del Report annuale 2021 su diversity e inclusione, nel 2020 gli stagisti selezionati sono stati 373 povenienti da 27 paesi.Che cos’è che fa veramente la differenza per essere selezionati? «Essere particolarmente orientati verso la nostra area specifica e avere un collegamento tra i propri studi e l’esperienza professionale oltre a competenze tecniche che rendono il profilo interessante. Per esempio se si vuol lavorare nel nostro dipartimento comunicazione è necessario avere esperienza con la redazione, con diversi social media. Certo tutto dipende dal tipo di lavoro che si vuol fare ma avere queste esperienze e abilità tecniche è molto importante». Qualche suggerimento in più lo aggiunge Rossella Caputo, Hr manager all’Ocse, che spiega: «È molto importante che le persone mettano in risalto cosa hanno imparato all’università o a scuola. Poi certo, un curriculum in ambito economico può fare la differenza, la maggior parte dei nostri stagisti hanno studi in macro o micro economia e studi di politica internazionale. Certo ci sono anche specialisti in ambito sanitario, in materia fiscale finanziaria, e tutte queste specializzazioni hanno un collegamento con un esame specifico fatto all’università: tutto questo dovrebbe essere segnalato nel curriculum e nella lettera di motivazione che si inserisce. È molto importante» continua a spiegare Caputo, «che il percorso educativo e le esperienze professionali siano dichiarati in modo semplice da capire per un potenziale datore di lavoro, perché quando leggiamo i curricula è su questo tipo di criteri che possiamo orientare la risorsa verso il settore appropriato». Inutile aggiungere che le due lingue ufficiali all’Ocse sono inglese e francese e una buona conoscenza di entrambe può far la differenza. Ovviamente, quindi, curriculum vitae e lettera di motivazione devono essere inviati in una di queste due lingue.   Fare uno stage non significa, però, avere un successivo posto di lavoro: «Non garantiamo alcun impiego seguente anche se abbiamo tirocinanti che qualche anno dopo fanno domanda per posizioni di lavoro temporanee». Questo probabilmente anche perché l’Ocse «non è un posto dove cominciare la propria carriera» aggiunge Rossella Caputo. «L’età media è molto più alta», con la maggioranza dello staff tra i 30 e i 50 anni. «Dopo il tirocinio invitiamo i giovani a terminare gli studi con una laurea magistrale, un master o addirittura un dottorato e poi fare un’altra esperienza lavorativa prima di tornare. Uno stage è un buon modo per cominciare ad avere un’idea di cosa significhi lavorare qui, ma iniziare subito dopo la scuola non è una buona idea e siamo molto chiari su questo punto. Certo ci sono stati stagisti che sono stati più a lungo, come staff temporaneo con un breve contratto, ma questo non dura più di due anni e in seguito è necessario fare l’application per una posizione ufficiale e passare attraverso una selezione competitiva. Non credo però che sia il modo migliore per far carriera all’Ocse. Molto meglio fare un’esperienza all’estero e tornare dopo qualche anno con più esperienze professionali».Se, quindi, si è interessati a tentare questa opportunità conviene registrarsi, fare attenzione nella compilazione della propria lettera motivazionale, e prima ancora dare un’occhiata ai vari dipartimenti per capire quali potrebbero essere i compiti  e a tutte le faq presenti sul sito. Qui si possono trovare informazioni sugli orari di lavoro, oltre a una serie di dettagli su come costruire la propria lettera di presentazione, e in che cosa consistono l’intervista o i test scritti. Per qualche giovane questa può essere addirittura una “life-changing experience”, come testimoniano alcuni dei commenti riportati sulla Brochure dell'internship program. Non resta quindi che affrettarsi e tentare anche questa opportunità. Come spesso capita in questi casi solo i candidati selezionati saranno contattati dai vari dipartimenti per continuare nel processo selettivo, se quindi dopo circa tre mesi non si è ricevuta nessuna comunicazione vuol dire che la propria candidatura non è stata presa in considerazione: ma almeno tentare una seconda volta, a patto di essere ancora studenti universitari.   Marianna Lepore

Mestieri del futuro, il master in Cloud Data Engineering di Bip e Cefriel assume laureati in materie Stem

Tra i lavori del futuro, quelli che vent’anni fa non esistevano e nella nostra società sempre più digitale sono e saranno sempre più richiesti, un posto importante è occupato dai professionisti del Cloud e del data management. Ma le università, a cominciare da quelle italiane, sono indietro: non preparano gli studenti a questi mestieri, i corsi che focalizzano queste competenze – di solito legati alle facoltà di Informatica – sono ancora pochi e poco frequentati. Ecco perché bisogna guardare “out of the box”: trovare persone con competenze non necessariamente informatiche, ma comunque Stem, e metterle in grado attraverso una formazione intensiva aggiuntiva di lavorare ad alti livelli in ambito Cloud.É quel che da qualche anno Bip, in collaborazione con Cefriel, con il master di secondo livello in “Cloud Data Engineering”. Nelle precedenti tre edizioni ha formato complessivamente 36 giovani, 12 per edizione. Età media 27 anni, 17% donne, provenienza geografica da tutta Italia con una leggera prevalenza dal centro-sud.E la cosa interessante – ma per niente sorprendente – è che 31 dei 36 sono ancora oggi ancora in forza nella divisione xTech di Bip, il “Centro di Eccellenza” di Bip sulle tecnologie esponenziali Cloud, Data, AI, 5G e IOT. Dove AI sta per intelligenza artificiale, 5G è la più avanzata tecnologia per la telefonia mobile e cellulare, e IOT vuol dire “Internet delle cose” (in inglese “Internet of Things”) cioè l’insieme delle tecnologie che rendono gli oggetti “intelligenti” perché connessi tra loro attraverso la rete.Il master è un po’ particolare. Innanzitutto, non costa. Anzi, sono i partecipanti ad essere pagati: dal primo giorno di master sono inquadrati come apprendisti. Bip ha infatti scelto di utilizzare la formula contrattuale dell’”Alto apprendistato”, altrimenti detto “apprendistato di terzo livello per l’alta formazione e ricerca”. Un contratto subordinato che dura due anni e che salvo intoppi si trasforma poi automaticamente in tempo indeterminato.I docenti sono un misto di professori del Politecnico di Milano – il direttore del master è Pierluigi Plebani, professore associato presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Polimi – e professionisti del mondo aziendale, interni ed esterni a Bip.«Il professionista del Cloud è una figura chiave per la modernizzazione» dice alla Repubblica degli Stagisti Marco Pesarini, partner di Bip xTech con vent'anni di esperienza nel settore ICT, Telecomunicazioni e Media business: «Si tratta veramente degli “ingegneri del digitale”! E la grande fortuna è che non devono necessariamente essere dei super esperti di informatica. La nostra sfida è prendere persone che sanno fare buone analisi e buoni progetti ed insegnare loro ad applicare queste doti al mondo del digitale. In Italia abbiamo delle università classiche straordinarie, abbiamo dei fenomeni che fanno Fisica, Matematica: perché non metterli al servizio della trasformazione del Paese?» si chiede il manager, e aggiunge: «Le tecnologie moderne permettono di riuscire sempre di più a fare prodotti tecnici senza essere necessariamente dei programmatori super competenti, quello che gli americani chiamano il “Low Coding”, cioè la capacità di utilizzare prodotti tecnici senza necessariamente essere ingegneri del software. Quindi anche persone che hanno più un’impostazione analitica, o di business, sono in grado di entrare nel mondo della serializzazione di soluzioni tecniche».Al master infatti possono candidarsi laureandi e neolaureati magistrali non solo in Informatica ma in tutte le discipline scientifiche STEM (Scienze, Tecnologie, Ingegneria e Matematica) che parlino bene l’inglese e che abbiano solide basi su sistemi informativi, programmazione, che abbiano dimestichezza con almeno un linguaggio tra C++, C#, Java o Python), una conoscenza base dati relazionali e SQL e un po’ di familiarità con sistemi UNIX/Linux e Windows. Ma sopratutto quella che BIP e Cefriel definiscono una “Cloud attitude”, cioè un forte interesse nelle tecnologie cloud e nelle attività di lavorazione del dato. Dunque chi non è proprio un asso della programmazione non deve scoraggiarsi.«Io avevo delle basi di programmazione informatica, ma nulla di che! Durante l’università avevo fatto poco sulla parte informatico-tecnologica perché il mio era un percorso prettamente puro, teorico. Le mie competenze informatiche erano normalissime, un po’ da autodidatta: nulla di troppo deep-dive» conferma Andrea Galli, 27 anni, che all’università ha appunto studiato matematica pura, in triennale in Italia e per la magistrale a Copenhagen, in Danimarca, ed è poi tornato in Italia apposta per la terza edizione del master Bip-Cefriel: «Ci sono stati degli argomenti che chiaramente non conoscevo, per esempio tutta la parte di lavorazione del dato: in aula abbiamo fatto anche degli esempi prendendo dati da Google Maps, da Twitter. Lavorare anche con tanti dati secondo me è molto interessante».Eleonora Donadini, altra partecipante della terza edizione, invece, era già più ferrata in ambito informatico, avendo studiato anche lei matematica in triennale ma poi Data Science and Scientific Computing all’università di Trieste per la magistrale: «Studiando questi argomenti ho avuto la possibilità di iniziare a programmare un po’ di più; inoltre ho fatto un corso relativo al Cloud Computing e questa tecnologia mi è sembrata molto interessante, con ottime potenzialità per il futuro». Arrivata al master a 24 anni appena compiuti e la tesi magistrale ancora da discutere grazie a una email di Almalaurea, Donadini non ha dubbi nel consigliare questa esperienza: «Dà la possibilità sia di continuare a formarsi sia di iniziare a sporcarsi le mani in un ambiente lavorativo: quindi sia formazione sia lavoro applicato sul campo. Poter lavorare in remoto o andare in azienda è sicuramente un plus, perché si possono conoscere i colleghi ma non si è troppo vincolati a un posto fisico. Ma la cosa più importante è la formazione: l’ambito del data management e del cloud sarà sempre più utilizzato dalle aziende, considerando che il lavoro sarà sempre più in digitale». Le iscrizioni alla nuova edizione non hanno una precisa data di scadenza, chiuderanno quando tutti i posti disponibili (una dozzina come gli altri anni, al massimo quindici) saranno stati occupati: meglio dunque candidarsi il prima possibile, anche considerando che l’avvio del master è fissato per lunedì 16 maggio. La sede di assunzione potrà essere Milano o Roma in base alla preferenza del candidato, ma in realtà poi tutto il percorso di apprendistato – sia le prime 13 settimane di formazione intensiva attraverso il master, sia i successivi 21 mesi – potrà essere ovunque in Italia: «non sarà necessario un trasferimento presso le sedi aziendali» si legge infatti sul mini-sito dedicato al master.Dopo le prime 13 settimane di “formazione full immersion” con lezioni frontali online in inglese, dal quarto mese i partecipanti saranno coinvolti in attività consulenziali, anche attraverso project works, mantenendo comunque due giornate al mese di lezione per tutto il corso del primo anno e poi una giornata al mese per il secondo anno.«Stiamo creando i professionisti del cloud, professionisti dell’intelligenza artificiale, che in Italia oggi l’università quasi non prepara: i numeri sono risibili rispetto alla domanda, che è impressionante» chiude Pesarini: «Pensiamo solo che il governo ha appena messo un miliardo per il cloud nel piano di recovery nazionale: ma dove saranno i professionisti che lo spendono questo miliardo non s’è ancora capito. Forse verranno dalla Germania… non sarebbe proprio la cosa migliore per noi!».

Tirocini gratis, il Parlamento europeo frena e boccia l'emendamento

Una risoluzione post pandemia sui giovani è stata votata l'altroieri al Parlamento europeo. Dentro c’era anche un emendamento presentato dalla 28enne spagnola Alicia Homs Ginel, la 61enne olandese Agnes Jongerius e dal 36enne italiano Brando Benifei, tutti del gruppo Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, per la messa al bando dei tirocini senza rimborso spese. Avrebbe potuto essere un punto di svolta, invece è stata una (leggera) frenata.La storia di questo emendamento parte un anno e mezzo fa, e precisamente il 9 ottobre del 2020, quando per la prima volta il Parlamento europeo si esprime ufficialmente – in una risoluzione approvata a larghissima maggioranza – contro i tirocini non remunerati esortando gli Stati membri «a garantire che i giovani che si registrano nei programmi della garanzia per i giovani ricevano offerte qualitativamente valide, diversificate e personalizzate, con un'equa remunerazione». In quell’occasione i voti favorevoli erano stati 574, 77 contrari e 43 astenuti – di cui, tra gli italiani, tutti gli eurodeputati della Lega. Il testo condannava esplicitamente «la pratica degli stage, dei tirocini e degli apprendistati non retribuiti», specificando che la gratuità «costituisce una forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti». Brando Benifei, allora come oggi capodelegazione degli europarlamentari del Partito democratico, si era auspicato che partisse una mobilitazione dell’opinione pubblica per portare i governi di ogni singolo Paese membro a migliorare al proprio interno l’uso dello strumento dello stage, ma è stato tutto in parte bloccato dai due anni di pandemia. E dopo cos'è successo? Si è andati avanti più a rilento del previsto. Il 17 dicembre del 2020 una nuova risoluzione votata dal Parlamento europeo ha condannato gli stage, i tirocini e gli apprendistati non retribuiti in quanto costituiscono una forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti e richiama la Commissione a proporre un quadro giuridico per un divieto effettivo ed esecutivo di questi tirocini. Nel corso del 2021 però non ci sono stati nuovi emendamenti sul fronte tirocini, forse anche perché il dibattito legislativo si è spostato più sulla questione del minimum wage e sulla direttiva platform work/riders. Ma il tema non è stato accantonato.Bisogna ricordare che il Parlamento europeo è un “co-legislatore”, quindi si colloca a livello paritetico insieme al Consiglio dell'Unione europea rispetto all'approvazione e alla modifica della legislazione europea e al bilancio annuale dell'UE; ma non ha iniziativa legislativa quando si tratta di modificare delle proposte direttive che arrivano direttamente dalla Commissione europea. Non può quindi scrivere una legge su quel tema, ma può applicare una pressione politica su Commissione e Stati membri per chiedere che si faccia qualcosa di specifico e si adottino dei testi o risoluzioni specifiche. Per questo il voto dello scorso giovedì 17 febbraio poteva essere un punto di snodo. E su questo aveva fatto leva anche l’intervendo fatto in Parlamento il giorno precedente – mercoledì 16 – da Benifei, che ha ricordato ai colleghi che sul tavolo c’era «una proposta concreta per migliorare la situazione di migliaia di giovani e mettere al bando i tirocini non pagati nell’Unione europea, una vera vergogna, frutto di una cultura malata». Un rinforzo alla mail già inviata a tutti i parlamentari dai tre cofirmatari per invitarli a votare l'emendamento per l’abolizione degli stage non pagati. Non ha sortito effetti neppure l’interessamento che una parlamentare del Partito popolare europeo, la 30enne portoghese Lidia Pereira, aveva mostrato rispetto il problema: Pereira aveva informato i colleghi che avrebbe presentato due interrogazioni, una diretta al Consiglio e l’altra alla Commissione, per fare pressione e risolvere l’ingiustizia. Una cosa abbastanza inusuale dato che il Ppe è una coalizione di centro destra mentre la battaglia per l'abolizione degli stage gratuiti al Parlamento europeo è stata portata avanti finora sopratutto da esponenti del centro sinistra. E infatti l'interessamento è durato poco: giovedì al momento del voto contro i tirocini gratuiti Lidia Pereira ha fatto marcia indietro, e incredibilmente ha votato contro l'emendamento. Alla conta dei numeri l'emendamento è stato bocciato: 377 voti contrari, (tra cui la Lega, Italia Viva, Calenda e tutto il PPE, composto per il nostro Paese da Forza Italia, Südtiroler Volkspartei, e Sud in Testa), 293 a favore e 28 astensioni. La proposta era quella di introdurre un quadro giuridico comune per vietare in modo effettivo e applicabile i tirocini e gli apprendistati non remunerati. Ma anche se l’emendamento sull’abolizione degli stage non pagati non è passato, il gruppo dei Socialisti e democratici ha comunque deciso di votare il testo finale della risoluzione. Non tutto infatti è da buttare via. «Il testo non è il passo avanti sperato ma contiene indicazioni chiare rispetto alla necessità di un quadro legale per garantire un’equa retribuzione di stage e tirocini» spiega Brando Benifei alla Repubblica degli Stagisti: «Sarebbe stato meglio se il nostro emendamento che chiedeva in maniera esplicita la messa al bando degli stage non pagati fosse stato votato e approvato: le forze della destra evidentemente non rispettano gli impegni presi a parole con i giovani. Ma ricordiamo che il Parlamento europeo ha già una posizione chiara su questo punto grazie proprio alla risoluzione approvata nel 2020. Quindi si tratta di una mancata reiterazione di una posizione del Parlamento europeo che rimane quella».Su molti siti in queste ultime ore sono usciti titoloni su “L’Europa che volta le spalle ai giovani”. Benifei non ci sta: «Qui non si tratta dell’Europa, ma di alcune forze politiche che predicano bene e razzolano male. Ai giovani non interessano belle parole sulla necessità di ascoltarli, se poi non vedono risposte concrete – come un rimborso spese adeguato per i tirocini. Ci auguriamo che la grande mobilitazione dei giovani che su questi temi cresce sempre di più costringa le forze politiche ad agire come noi stiamo chiedendo da tempo anche a livello nazionale».  Marianna Lepore

“Gettati nel mondo reale dopo la laurea, i giovani han bisogno di una guida”: l'orientamento di EY si trova su Instagram

Laurearsi e poi affacciarsi nel complicato mondo della ricerca di un lavoro con mille domande e dubbi sui propri obiettivi: a tutto questo cerca di trovare una soluzione la seconda edizione di #EY4NextGeneration, il programma di orientamento professionale e volontariato di competenza offerto gratuitamente ai giovani che stanno entrando nel mercato del lavoro.L’obiettivo è supportare le nuove generazioni ad orientarsi nella scelta del proprio futuro professionale. Anche questa volta la multinazionale di consulenza si affida a Instagram per entrare in contatto con i giovani e proporre loro delle pillole di informazioni attraverso delle Instagram live dedicate ognuna a un particolare aspetto del percorso selettivo su cui tutti, almeno una volta nella vita, si sono fatti le stesse domande.Ventiquattro gli appuntamenti previsti, uno a settimana, fino a luglio. “Meglio un colloquio da remoto o dal vivo?”, “Come evitare uno stage fuffa”, “Strade, percorsi e attività della consulenza al femminile”, “In due pagine: istruzioni per un curriculum impeccabile” sono solo alcuni dei titoli degli appuntamenti che si svilupperano sul canale Instagram ey_italy.Perché EY abbia deciso di puntare su questa innovativa modalità di comunicazione lo spiegano gli ottimi risultati della prima edizione, realizzata nel 2021: più di 1.200 iscrizioni ai corsi online, 750 candidature per il programma di mentoring e 540 ore di formazione erogate. «#EY4NextGeneration è un programma che si rivolge a giovani laureandi o neolaureati. Per questo motivo abbiamo deciso di veicolare questa iniziativa su Instagram, che reputiamo il social network più vicino alle persone che vorremmo incontrare e con cui cominciare un percorso professionale» dice alla Repubblica degli Stagisti Silvia Zanella, Culture and Experience Leader per EY Europe West e Head of Employee Experience per EY Italia, società di consulenza che da molti anni fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti: «Per chi non riesce a seguire le live si potranno rivedere i video nel feed dello stesso profilo Instagram» e la differenza tra chi deciderà di effettuare l’iscrizione alle live tramite il sito EY e chi invece lo farà direttamente da Instagram, consiste nel fatto che «nel primo caso avranno la possibilità di inviarci anche il proprio curriculum, manifestando quindi un interesse diretto a entrare in azienda». A dare una risposta dettagliata nelle Ig_live saranno sempre professionisti EY del team Employer branding, che ogni settimana verranno affiancati da guest dei Team Talent e Recruiting.A fianco al programma delle Instagram live c’è anche quello di mentoring one to one: «In questo caso consigliamo agli interessati di iscriversi entro fine febbraio. Questa specifica iniziativa fa parte del Ripples, il programma di EY di volontariato di competenze a supporto delle giovani generazioni attraverso il quale ci rivolgiamo specificamente ai giovani che si stanno affacciando per la prima volta al mondo del lavoro».I mentoring individuali sono organizzati con l’ausilio di una piattaforma di intelligenza artificiale che proporrà la miglior corrispondenza tra mentor rappresentati da professionisti e professioniste di EY e mentee, assegnando a ciascun partecipante la figura più adeguata sulla base degli interessi e delle attitudini individuali. Un percorso attraverso cui ispirare e consigliare perché tutti hanno bisogno di una persona in grado di incoraggiare l’ambizione, ispirare e stimolare a dare il meglio. Con l’ausilio della tecnologia, quindi, si cercherà di far emergere e valorizzare il capitale umano dei giovani talenti.Non solo, attraverso questo percorso si mira a individuare i profili più in linea per un’assunzione in EY: i migliori candidati avranno quindi l’opportunità di confrontarsi one to one anche con i vertici aziendali. «Il programma di mentoring è stato ideato per permettere ai giovani di confrontarsi in modo diretto con professionisti che mettono a disposizione il proprio tempo per guidare e orientare nella costruzione della propria carriera. I consigli e i suggerimenti sono validi anche per altri ambienti e potenziali network da attivare, anche se ci piacerebbe assumere quanti più profili in linea possibili» precisa Zanella. Quindi se anche alla fine non si arrivasse ad un inserimento in EY si porterebbero a casa suggerimenti, consigli, nuove visioni su di sé e sul mondo del lavoro.L’edizione 2021 di EY4NextGeneration in particolare per due ventenni, Maria Laura Iannetti e Francesca Vocale, si è trasformata in un canale di assunzione in EY. Ventisei anni, una laurea in Economia e management innovation and sustainability all’università Roma Tre, la prima racconta di aver iniziato a lavorare in una piccola azienda a Roma durante la laurea triennale con uno stage a cui era seguito un contratto di lavoro. Ma una volta conseguita la magistrale «ho iniziato a guardarmi un po’ intorno perché avevo il desiderio di fare un’esperienza in una grande azienda» e ancora oggi ringrazia l’amico che le ha girato il link per candidarsi. «Prima di iniziare il percorso non avevo l’intenzione primaria di essere assunta, ma quando ho iniziato mi sono davvero innamorata dell’azienda, il mio mentor mi ha spiegato nel dettaglio la struttura, le iniziative aziendali e mi ha entusiasmato ogni cosa».  Terminato il programma, Maria Laura Iannetti ha ricevuto una chiamata dall'ufficio HR di EY per fissare un colloquio, cui ne è seguito un altro e poi l'offerta finale: un contratto a tempo indeterminato, e già con una posizione Senior!Tra le Instagram live più interessanti da seguire Iannetti suggerisce quella sulle domande più gettonate durate un colloquio e della sua esperienza racconta di aver sfruttato al massimo il mentoring one-to-one. «Il mio mentor mi ha aiutato con il curriculum, con la preparazione alle domande dei colloqui, è stato utilissimo perché mi ha aiutato a prepararmi e sono felice che tutt’ora siamo rimasti amici. Ho percepito una elevata attenzione verso tutti i partecipanti al progetto e la ritengo una rara peculiarità» continua a raccontare, «soprattutto per realtà grandi come EY. In particolare sono tre gli aspetti che ho apprezzato: la disponibilità del mio mentor che mi ha spiegato molti aspetti dell’azienda rendendo la mia “dream company” più vicina e reale rispetto a tutte le altre aziende per cui avevo fatto application e colloqui; i seminari settimanali che mi hanno fornito competenze nel settore tech dove ora lavoro e al termine dei quali c’era sempre la possibilità di interagire con l’Hr o altre figure interne all’azienda; l’opportunità di interfacciarsi con figure interne a EY per chiedere informazione riguardo il lavoro che mi ha aiutato a capire se quello che stavo cercando fosse davvero quello che volevo».Anche lei ventisei anni, una laurea in Economia aziendale e una magistrale in Professioni contabili presso l’università di Torino, Francesca Vocale voleva cominciare un percorso professionale in una grande società di revisione e «stavo guardando il sito di EY per conoscere un po’ meglio la realtà e le opportunità offerte. Mi sono imbattuta nel progetto EY4NextGeneration e mi sono iscritta al primo incontro, quello sui colloqui, per capire di cosa si trattasse», racconta. Concluso il primo è rimasta colpita dalla disponibilità dei relatori e si è iscritta «a tutti i successivi. Mi sono avvicinata al programma con semplice interesse e curiosità, poi man mano che seguivo gli incontri mi è piaciuto molto l’ambiente e mi sono interessata sempre più a EY come realtà in cui lavorare».Anche Vocale ha approfittato del mentoring one-to-one: «Il mio mentor mi ha aiutato a comprendere i miei punti di forza e di debolezza oltre a orientarmi tra le proposte ricevute e comprendere quale fosse la strada che volevo intraprendere. Sono stati degli incontri molto piacevoli in cui ho avuto modo di conoscere l’ambiente di EY, le tante opportunità e attenzioni date ai propri dipendenti che mi hanno poi portato a sceglierla per la mia carriera lavorativa». Una volta concluso il ciclo di incontri ha deciso di inviare il suo curriculum a EY e così è cominciato l'iter di selezione, «che si è concluso con esito positivo e con l'opportunità di iniziare la mia esperienza lavorativa dopo l'estate. Visto che precedentemente avevo già svolto un tirocinio presso un'altra società di revisione, EY mi ha offerto un contratto di apprendistato di due anni, ancora in corso».Tra le Instagram live da seguire le più utili a suo avviso «sono quelle su come affrontare al meglio il colloquio e sulla differenza tra uno in presenza e uno in remoto. Mi sento di consigliare anche quelle di spiegazione delle carriere possibili all’interno della consulenza o delle service line. Spesso al di fuori di questi ambienti non è così semplice capire le differenze tra i vari ruoli». Sul perché un giovane dovrebbe decidere di seguire questo progetto, Francesca Vocale non ha dubbi: «La vera forza è nella possibilità di confrontarsi con professionisti che mettono a disposizione il loro tempo e la loro esperienza per dare supporto ai giovani alle prime esperienze. Non è una cosa comune! Grazie a questi corsi si ha un piccolo assaggio del mondo lavorativo, vi consiglio di seguire una diretta e lo vedrete con i vostri occhi!». Anche Maria Laura Iannetti è convinta che quest’iniziativa sia fondamentale per i neolaureati: «Dopo la laurea si ha la sensazione di essere gettati nel mondo reale da un giorno all’altro e si ha bisogno di una guida, un punto di riferimento. Il mio mentor è stato una figura fondamentale nel mio percorso di crescita, accompagnandomi passo passo».Per registrarsi ai mentoring c’è tempo fino a fine mese e lo si può fare attraverso questo link, mentre per seguire le Ig_stories dal vivo si può compilare questo form, seguire la pagina instagram @ey_italy e attivare le notifiche. Prossimo appuntamento  il 22 Febbraio con i Do's e dont's del colloquio di gruppo, tutti i consigli pratici per emergere nei colloqui di gruppo. Non resta che affrettarsi e costruire insieme a EY il proprio percorso di carriera. Marianna Lepore