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Stage all'Europarlamento, c'è chi cerca di migliorarli: ma il presidente Tajani non prende posizione

È passato poco più di un anno da quando, nel marzo 2017, a Bruxelles l’intergruppo Gioventù del Parlamento europeo si era riunito per un evento dedicato ai tirocini, per rendere pubblici i dati sulle condizioni dei giovani che fanno stage all’interno del Parlamento. Oggi l’Intergruppo torna a riunirsi per mostrare le azioni di visibilità portate avanti sul tema dei compensi e della qualità dell’offerta formativa dei tirocini. In sala Brando Benifei, europarlamentare del Partito democratico e co-presidente dell’intergruppo, che sul tema dell’iniziativa odierna anticipa: «Abbiamo deciso di organizzare un’azione pubblica di sensibilizzazione per richiamare il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani ai suoi impegni. Il nostro obiettivo, infatti, rimane immutato: abolire i tirocini privi di retribuzione e di progetto formativo all’interno del Parlamento entro il 2019». Proprio un anno fa questi erano gli obiettivi della campagna #fairinternships lanciata dall’Intergruppo. «Non solo perché l’assenza di queste due condizioni minaccia l’equità delle assunzioni, impedendo a ragazzi preparati di effettuare un’esperienza altamente formativa se non possono contare sul sostegno economico delle famiglie, ma anche perché tale pratica favorisce la vulnerabilità dei tirocinanti assunti e li rende potenzialmente vittime di abusi» dice alla Repubblica degli stagisti Benifei. Ma oggi il bilancio che si può trarre è solo parziale.Se l’obiettivo iniziale era quello di produrre un cambiamento in tutte le istituzioni europee e in particolare all’interno del Parlamento, oggi i risultati più significativi si sono avuti, invece, in Commissione Europea. «Grazie al lavoro della mediatrice europea Emily O’Reilly  e alla condivisione dell’obiettivo da parte dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini e del Parlamento Europeo, abbiamo dapprima fermato l’assunzione di tirocinanti senza compenso all’interno delle delegazioni del servizio di azione esterna, e poi trovato risorse per il bilancio 2018 affinché il programma dei tirocini potesse ripartire. Si sono poi fatti passi avanti sul tema della Carta Europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati. Mentre resta problematico e per me doloroso lo stato di avanzamento della nostra proposta in Parlamento. Dopo aver raccolto l’adesione di molti colleghi al Manifesto per i Tirocini di Qualità redatto dall’Intergruppo, e dopo aver coinvolto formalmente la Presidenza del PE affinché raccogliesse la nostra iniziativa e proponesse una revisione della normativa, il nostro appello non ha ricevuto seguito. Tajani tace». Al presidente del Parlamento europeo è stata inviata, nel giugno scorso, una prima lettera in cui l’Intergruppo chiedeva l’eliminazione della possibilità di assumere tirocinanti senza borsa e una revisione complessiva delle regole per garantire tirocini di qualità, formativi, equi e legali. «In ottobre Tajani si era impegnato a far condurre dal Segretariato generale del PE una valutazione della situazione attuale e delle nostre proposte, promettendone la presentazione dei risultati al Bureau del Parlamento. Sei mesi dopo, però, Presidenza e segretariato tacciono» si rammarica Benifei.Non c’è stata, infatti, alcuna risposta alla seconda lettera in cui si chiedeva quali interlocutori fossero stati scelti da Tajani per occuparsi della questione e quali tempistiche si fossero dati. «Nessuna risposta neppure all’invito di tutti i vice presidenti S&D del PE a inserire la #fairinternships campaign all’ordine del giorno dell’agenda del Bureau. Un silenzio assordante, non vi pare?».Benifei lo dice chiaramente: «Non proponiamo ricette semplicistiche, ma pretendiamo che quel tavolo di discussione si apra. La domanda che rivolgiamo a Tajani è sempre la stessa: è a favore di tirocini retribuiti e di qualità in Parlamento, o a favore dello scandaloso mantenimento dello status quo? In undici mesi il Presidente non è stato in grado di esprimere una posizione, ma noi non molleremo». In un anno il Manifesto per tirocini di qualità al Parlamento europeo ha raccolto l’adesione di oltre 140 europarlamentari, in larga parte delle forze del centro sinistra. L’iniziativa odierna punta a raccogliere altri consensi e a richiamare ciascuno alle proprie responsabilità. «Chi non sottoscrive il Manifesto e non si unisce alla nostra campagna, non potrà più essere considerato un alleato dei giovani nelle loro rivendicazioni per condizioni di trattamento eque e giuste. Non avranno più alibi di fronte ai loro elettori più giovani».Tra gli obiettivi annunciati nel 2017 c’era anche quello di fare un’indagine tra gli stagisti dei deputati e dei gruppi politici del Parlamento europeo per verificare cosa fosse cambiato rispetto alla legislatura precedente. E il questionario, anonimo e volontario, ha rivelato luci e ombre delle condizioni di impiego dei tirocinanti, in particolare di quelli negli uffici dei deputati o fra i gruppi politici.Sono i numeri a parlare: se meno del due per cento dei tirocinanti dell'Europarlamento non ha alcun contratto scritto, ben il 22% non ha concordato con il proprio datore di tirocinio alcun obiettivo formativo né chiarito per iscritto le condizioni di lavoro. Due tirocinanti su dieci non ricevono una borsa di studio o è inferiore ai 600 euro mensili e il dieci per cento degli intervistati sostiene di lavorare fra le 46 e le 50 ore settimanali. «A questo sconfortante quadro fa da contraltare il livello di soddisfazione espresso, il giudizio complessivamente buono sull’aderenza dello stage rispetto alle proprie competenze e le proprie aspettative, la valutazione della dimensione di tutoraggio da parte dello staff permanente». Insomma, «in tutte le dimensioni analizzate si è riscontrato un miglioramento significativo rispetto ai risultati dello stesso sondaggio sottoposto nel 2013, durante la scorsa legislatura». Un risultato positivo che però non deve far abbassare la guardia: «Proprio perché un miglioramento vi è stato, a testimonianza di un cambio culturale importante da parte dei miei colleghi e del Parlamento», rilancia Benifei, «è mai possibile che non si riesca a fare questo passo in più in nome della giustizia e dell’equità?»Già nel 2010 si era arrivati a mettere insieme i principi fondamentali in una Carta europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati che quattro anni dopo, nel 2014, era stata anche approvata – in forma molto diluita – dal Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti, composto dai rappresentanti degli Stati membri ambasciatori presso l’Unione europea; ma lo stato di attuazione oggi è ancora molto frammentario fra gli Stati membri. Alcune realtà conoscono già un grande miglioramento, mentre altre si sono mosse poco per favorire operativamente migliori ed eque condizioni di assunzione per tirocinanti e praticanti. «Per quanto ho potuto fare personalmente nella relazione sugli aspetti occupazionali del Corpo Europeo di Solidarietà per la Commissione EMPL, della quale sono responsabile, ho combattuto e vinto una battaglia parlamentare affinché i principi della Carta fossero salvaguardati ed esigibili per i partecipanti e ora li sto difendendo nei negoziati finali con il Consiglio» racconta l’europarlamentare PD: «L’auspicio è che l’approvazione del Pilastro Sociale e le proposte legislative che ne dovrebbero discendere costituiscano un momentum per rilanciare la Carta e ottenere riforme più significative e uniformi in tutta l’Unione europea. Ma molto dipenderà dal mandato politico che riceverà la prossima Commissione Europea».Per questo motivo Benifei è convinto che sia arrivato il momento in cui ognuno si prenda le proprie responsabilità di fronte agli elettori e ai giovani. Soprattutto che ognuno indichi con chiarezza «se considera una priorità per la prossima legislatura delle istituzioni europee uno sviluppo più organico delle tutele per i giovani lavoratori, anche tirocinanti o praticanti, con una più forte protezione delle loro condizioni sul luogo di lavoro». Insomma non è più tempo di tergiversare, ma di dire una volta per tutte se si vuole stare dalla parte dei giovani.Marianna Lepore

Tirocinanti nei tribunali, ora l'Unione europea promette di vigilare

«La Commissione chiederà allo Stato membro maggiori informazioni al fine di valutare l'entità del fenomeno ed eventuali spese che potrebbero non essere conformi al diritto dell'Unione o al diritto interno». Alla fine la risposta tanto attesa dell’Unione europea è arrivata. Il 25 aprile la commissaria Marianne Thyssen ha dato una risposta non scontata all’interrogazione presentata il 20 febbraio dall’europarlamentare del Movimento 5 stelle, Laura Ferrara. Una risposta non scontata, si diceva, visti i precedenti. La questione è quella dei tirocinanti della giustizia, le cui sorti la Repubblica degli Stagisti segue fin dal 2010. All’epoca 50 lavoratori romani in cassa integrazione cominciarono un tirocinio negli uffici giudiziari, con un rimborso spese di 400 euro lordi mensili, e con l’obiettivo di aiutare il complesso e rallentato iter all’interno dei tribunali. Un processo che poi fu esteso a tutta Italia, arrivando a coinvolgere migliaia di persone. Così dal 2010 ad oggi, «Migliaia di tirocini vengono riprogrammati annualmente e svolti dalle stesse persone in vari uffici giudiziari italiani direttamente alle dipendenze del ministero di giustizia o delle regioni, che li finanziano con risorse del Fondo sociale europeo nell’ambito di politiche attive del lavoro», scrive Ferrara nella sua interrogazione. Ricordando che il ministero autorizza i tirocini programmati dalle regioni tramite apposite convenzioni e che «da parte delle regioni è illegittimo continuare a destinare risorse del FSE per formare le stesse persone già formate negli anni». Non solo, l’europarlamentare del Movimento 5 stelle ricorda anche quello che la Repubblica degli stagisti ha più volte raccontato in questi anni: questi tirocini non sono mai sfociati in alcuna forma di contratto di lavoro, «per cui i fondi utilizzati non hanno perseguito alcuna finalità di inserimento/reinseimento lavorativo, ma sono stati utilizzati per mascherare reali rapporti di lavoro».E come se non bastasse il tutto senza avere alcuna tutela previdenziale o assistenziale tipica dei normali lavoratori. Ma la Commissione «è a conoscenza dell’uso improprio che le regioni italiane fanno delle risorse del Fondo Sociale Europeo?», chiede Ferrara nell’interrogazione. E la risposta, questa volta, fa un passo in avanti rispetto al passato. Perché la commissaria Marianne Thyssen ricorda sì che «la gestione del FSE si basa sul principio della gestione concorrente, quindi gli orientamenti generali vengono elaborati a livello dell’Unione europea, mentre l’attuazione spetta alle competenti autorità nazionali o regionali in ciascuno Stato membro». Come a dire, l’Europa stabilisce le regole generali ma poi sono i singoli stati che devono verificarne l’attuazione. Questa volta, però, la Commissaria aggiunge un tassello importante rispetto al passato, perché scrive che «In relazione al caso in oggetto, la Commissione chiederà allo Stato membro maggiori informazioni al fine di valutare l’entità del fenomeno».Non solo, alla richiesta se questi tirocini siano in contrasto con i principi della raccomandazione del marzo 2014, sulla qualità, durata ragionevole e condizioni di lavoro, Thyssen assicura che la Commissione seguirà gli sviluppi della situazione attraverso i riesami del comitato per l’occupazione e il semestre europeo. Se, quindi, nel 2015 la stessa Thyssen scriveva che «i tirocini in oggetto sono stati organizzati in linea con il programma operativo per la Calabria del Fondo sociale europeo e pertanto rispondono agli obiettivi cui erano destinati», quelli di prevenire i rischi di disoccupazione, mentre due mesi fa dichiarava di non essere al corrente «dei tirocini ai quali fa riferimento l’onorevole deputata. Per questo motivo non può valutarne la conformità al quadro di qualità per i tirocini», adesso la stessa Thyssen assicura che vigilerà su questi stage.Questa è sicuramente una buona notizia per i tanti che in questi anni hanno continuato ad affollare i tribunali senza alcun vero riconoscimento del proprio lavoro. «La risposta della Commissione fa ben sperare rispetto all’uso illegittimo delle risorse del Fondo sociale europeo nell’ambito delle politiche attive del lavoro per finanziare i tirocini formativi negli uffici giudiziari», ha dichiarato l’europarlamentare Ferrara. Che ricorda come proroga dopo proroga, «quello che doveva essere uno stage formativo, la cui durata massima è prevista dalla legge per non oltre 12 mesi, diventa per migliaia di italiani l’ennesima gabbia precaria che cela un rapporto lavorativo a tutti gli effetti». Ferrara si spinge oltre e dichiara che «non vi è dubbio alcuno che finora con la complicità del Ministero e delle Regioni, in Italia si sia portata avanti una pratica dalla dubbia legittimità». Per i tirocinanti della giustizia, quindi, si potrebbe aprire qualche speranza. Proprio la Thyssen sottolinea che se questi tirocinanti «sono di fatto lavoratori regolari è possibile segnalare eventuali prassi non conformi tramite gli opportuni meccanismi di ricorso disponibili a livello nazionale, tra cui l’azione legale». Ma allo stesso tempo ricorda come il diritto dell’Unione non prevede l’obbligo di trasformare i contratti a tempo determinato in a tempo indeterminato.Qualcosa di positivo potrebbe aprirsi abbinando il controllo dell’Unione europea a quello del ministero del lavoro, che proprio recentemente ha inserito per la prima volta i tirocini tra gli ambiti di intervento per l’attività di vigilanza dell’ispettorato nazionale del lavoro per il 2018. E se questi controlli venissero fatti anche all’interno dei tribunali e delle corti di appello, probabilmente ci sarebbe molto da “scoprire”.Nel frattempo un traguardo da festeggiare c’è: l’Europa che fino a due mesi fa non conosceva un programma che finanzia da otto anni, non solo ha scoperto che esiste. Ma ha anche assicurato che vigilerà sul fenomeno. Una richiesta che i tirocinanti della giustizia avanzavano ormai da troppi anni. Marianna Lepore

Nato, 120 opportunità di stage da 1050 euro al mese alla Nato: candidature aperte fino a maggio

«Studi Scienze politiche, Relazioni internazionali? Hai conoscenze in ambito Economia e finanza o Risorse umane? Allora la Nato ha bisogno di te!»: recita più o meno così la call sul sito dell'Alleanza atlantica con sede a Bruxelles per la nuova edizione del programma di tirocini. La sedicesima per l'esattezza, partita a metà aprile e aperta alle candidature per quattro settimane per ogni singola posizione. Vale a dire che – come specificano i recruiter – «bisognerà consultare periodicamente le offerte di tirocinio, aggiornate quotidianamente». E a quel punto ci si potrà candidare per tutto il mese successivo, per tirocini che partiranno nel 2019. E dureranno sei mesi ognuno, con la possibilità di assentarsi al massimo per quindici giorni. L'offerta è di quelle che fanno gola, specie ai giovani italiani che – sconfortati dalla cronica mancanza di opportunità in casa – si affannano spesso a cercarne all'estero. Per 120 posti di stage alla Nato, che prevedono una borsa di circa 1.050 euro mensili, le richieste sono state in totale 3.670 nel 2016 e 3.500 nel 2017, fa sapere alla Repubblica degli Stagisti Céline Shakouri-Dias dell'ufficio Risorse umane della Nato. Per un totale di 120 tirocini attivati ogni anno, numero che «è rimasto uguale dal 2016 a oggi, e resterà lo stesso anche per il 2019» aggiunge. Di queste richieste, rispettivamente 712 e 399 sono state di italiani: quasi il 20% delle candidure del 2016 proveniva dal nostro Paese dunque, e l'11% delle candidature del 2016: percentuali impressionanti. Anche se poi i selezionati nostrani non sono molti: solo otto nel 2016 e 12 nel 2017. La corsa allo stage è infatti in salita, considerando anche i tanti benefit offerti. Oltre alla borsa, ci sono ad esempio il pagamento del biglietto aereo o del treno per raggiungere la città, o un eventuale rimborso della benzina per chi viaggia in aiuto. «L'occasione della vita» la definiscono sul sito, per «imparare per sei mesi dalla comunità Nato e conseguire una valida esperienza di lavoro». Può partecipare chiunque abbia superato i 21 anni di età, sia originario di uno stato membro dell'Alleanza, e sia iscritto al terzo anno di università oppure neolaureato. Serve anche conoscere in modo ottimo l'inglese o il francese, mentre la conoscenza di una seconda lingua è considerata requisito preferenziale. Come farsi avanti? Innanzi tutto è bene consultare la lista delle varie divisioni dell'organizzazione per farsi un'idea più precisa del suo funzionamento. Si passa infatti dal dipartimento Difesa, focalizzato – si legge «sullo sviluppo delle competenze militari», agli Affari politici, che opera come «il ministro degli Esteri della Nato», all'ufficio legale e comunicazione. Qui si trova anche una spiegazione di quali saranno le mansioni dello stagista a seconda dei singoli dipartimenti. Dopidiché occorre trovare l'offerta vera e propria cercando nella sezione apposita attraverso più parole chiave la vacancy che potrebbe fare al caso proprio: solo digitando la parola 'internship' ne escono a decine, ognuna con la propria deadline (la più lontana è al momento il 23 maggio). E così inviare online l'application, che può essere compilata e messa in stand by prima dell'invio definitivo. A quel punto si apre la selezione, che avverrà «tra maggio e giugno» chiariscono sul sito. E si riceverà un avviso anche in caso di esito negativo. Nello stesso periodo inizieranno anche i colloqui telefonici, per poi arrivare alla selezione finale in estate, per tirocini «che inizieranno a marzo o settembre dell'anno seguente». E attenzione, perché oltre all'assicurazione sanitaria e una sorta di permesso di soggiorno da richiedere per i non residenti nel Paese (una vera e propria carta di identità), un passo imprescindibile per poter iniziare il tirocinio alla Nato è ottenere la Security Clearance, un nulla osta rilasciato per ragioni di sicurezza dal paese d'origine e approvato in seguito dalla Nato. È tutto spiegato nei dettagli qui. Un eventuale ritardo comporterebbe uno slittamento dell'inizio dello stage, si spiega nelle faq. Per chi svolge un tirocinio Nato non è neppure esclusa del tutto la possibilità di un'offerta di lavoro in futuro. «Succede regolarmente che gli ex stagisti siano invitati a svolgere test preselettivi per alcune posizioni Nato» commenta Shakouri-Dias, «E benché non esista un collegamento diretto tra un tirocinio e un contratto alla Nato, chi supera la preselezione finisce tuttavia in un bacino di papabili per posizioni a tempo determinato». Insomma per chi può non c'è da farsi scappare l'occasione. Ilaria Mariotti   

Più controlli sui tirocini, da oggi per gli ispettori del lavoro sono ufficialmente una priorità

Il ministero del Lavoro inserisce per la prima volta i tirocini «tra gli ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro per l’anno 2018». Si tratta di una notizia molto importante. Una circolare inviata la settimana scorsa  da Paolo Pennesi, da due anni e mezzo a capo dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, a tutti gli organi competenti in materia di ispezioni sui luoghi di lavoro – dagli ispettorati ai comandi dei carabinieri, dall’Inps all’Inail – promette dunque finalmente un giro di vite contro lo sfruttamento degli stagisti. Cinque pagine spiegano agli ispettori che ogni giorno vanno a visitare le imprese sul territorio italiano per verificare il rispetto delle leggi sui luoghi di lavoro – sopratutto per stanare il lavoro nero – come comportarsi quando incrociano uno stagista, cosa controllare per accertarsi che lo stage sia in regola, e cosa fare in caso non lo sia: la circolare (n° 8 del 18 aprile 2018) si intitola infatti «Tirocini formativi e di orientamento – indicazioni operative per il personale ispettivo».L’obiettivo è subito chiaro fin dalla premessa: individuare «possibili fenomeni di elusione quali, ad esempio, il ricorso sistematico ai tirocini da parte di taluni soggetti ospitanti o l’attivazione di un numero dei tirocini particolarmente elevato in rapporto all’organico aziendale». Sembra dunque che stia finalmente per partire un controllo a tappeto sull’utilizzo degli stagisti come Kleenex (via uno avanti l’altro) che alcuni soggetti ospitanti fanno per evitare di assumere un vero dipendente per una determinata mansione.Prima cosa, permettere agli ispettori di avere ben chiaro cos’è uno stage e qual è la sua finalità: secondo la definizione europea, ricorda la circolare, esso è «un periodo di pratica lavorativa di durata limitata, retribuita o no, con una componente di apprendimento e formazione, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare».Secondo, spiegare che ci sono vari tipi di tirocinio – essenzialmente tre: quelli curriculari svolti durante gli studi, quelli extracurriculari, e quelli professionali per l’accesso alle professioni regolamentate/ordinistiche. La circolare si concentra sui tirocini extracurriculari, comprendendo le varie sottocategorie – formativi e di orientamento, di inserimento e reinserimento lavorativo – ma lasciandone fuori alcuni residuali (es. i tirocini svolti all’estero, quelli per l’inclusione sociale e alcuni altri).Terzo, chiarire che la competenza di questi tirocini è esclusivamente regionale. Proprio in questi mesi le Regioni stanno aggiornando le loro normative per armonizzarle con le nuove linee guida approvate in sede di conferenza Stato-Regioni l’anno scorso: «Allo stato attuale non  tutte le Regioni hanno recepito i contenuti delle linee guida» nota la circolare: «Fra quelle che hanno provveduto Lazio, Calabria, Sicilia, Basilicata, Veneto, Lombardia, Marche, Piemonte, Liguria, Molise e Provincia autonoma di Trento», specificando che «per le Regioni che non hanno ancora  provveduto, la disciplina di riferimento resta quella adottata a seguito dell’approvazione delle linee guida del 2013».Dunque cosa dovranno fare gli ispettori quando si troveranno in un’azienda che ospita stagisti? Dovranno valutare «complessivamente le modalità di svolgimento del tirocinio in  modo tale da poter ritenere l’attività del tirocinante effettivamente funzionale all’apprendimento e non piuttosto all’esercizio di una mera prestazione lavorativa». La cosa più grave che potrebbe succedere, in caso venga accertato che un dato stage cela in realtà un rapporto di lavoro, è che l’ispettore proponga di «ricondurre il tirocinio  alla  forma  comune  di  rapporto  di  lavoro, ossia il rapporto di lavoro  subordinato  a  tempo indeterminato».La circolare propone, a titolo esemplificativo, una quindicina di ipotesi di violazione della normativa. La prima è semplice: qualora il tirocinio risultasse «attivato in relazione ad attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo, in quanto attività del tutto elementari e ripetitive», esso è da considerarsi improprio. Sarà la pietra tombale degli stage per cassiere di supermercato, magazzinieri, benzinai? Meglio andarci piano con le aspettative, ma per come la frase è formulata, sembrerebbe proprio così. Anche un’altra fattispecie di violazione potrebbe rivelarsi molto utile per fermare gli abusi: quella del «tirocinio attivato per sopperire ad esigenze organizzative del soggetto ospitante». La circolare fa l’esempio di uno stagista che svolga una mansione da solo («es. unico cameriere all’interno di un pubblico esercizio»), e a un’attività «essenziale e non complementare all’organizzazione aziendale» svolta «in maniera continuativa ed esclusiva».Tra gli altri esempi di violazione vi sono la «totale assenza di convezione tra soggetto ospitante e soggetto promotore» e la «totale assenza di PFI». Ancora sul pfi, che è l’acronimo di progetto formativo individuale, viene indicato che una «difformità tra quanto previsto dal PFI in termini di attività previste come oggetto del tirocinio e quanto effettivamente svolto dal tirocinante presso il soggetto ospitante» dev'essere considerato un altro campanello d’allarme.Compito degli ispettori, in caso verifichino irregolarità, è capire se esse possano condurre alla «ricostruzione della fattispecie in termini di rapporto di lavoro».Perché lo stage dev’essere uno stage, non un rapporto di lavoro: dunque da parte del soggetto ospitante non va nemmeno bene gestire in maniera troppo specifica le presenze e l’organizzazione dell’orario («si pensi ad esempio alla sussistenza di forme di autorizzazione preventiva per le assenze assimilabili alla richiesta di ferie o all’organizzazione delle attività in turni in modo tale che il tirocinante integri “team” di lavoro»), oppure misurare le performance dei tirocinanti. Ma oltre alla – comunque poco probabile – trasformazione dello stage in assunzione subordinata, cosa rischia in pratica oggi chi contravviene alle normative? «Le linee guida del 2017 hanno previsto la possibilità di recepire  uno specifico apparato sanzionatorio in funzione della sanabilità o meno delle violazioni della normativa regionale» ricorda la circolare: «In proposito è prevista l’intimazione alla cessazione del tirocinio, pena l’interdizione per il soggetto  promotore  e/o  ospitante  ad  attivarne  altri  nei  successivi  12/18  mesi», in caso di violazioni che riguardino, per esempio, alla proporzione tra organico del soggetto ospitante e numero di tirocini, alla durata massima del tirocinio, al numero di tirocini attivabili contemporaneamente.Vi sono invece violazioni meno gravi per le quali è previsto, «in una prima fase», un «semplice  invito  alla regolarizzazione»: è il caso per esempio di discrepanze tra lo stage e quanto previsto dalla convenzione o dal piano formativo, nel caso in cui la durata residua del tirocinio consenta di ripristinare le condizioni per il conseguimento degli obiettivi stabiliti; la «mancata corresponsione dell'indennità» comporta invece una sanzione pecuniaria: una multa dunque, di importo variabile tra i mille e i 6mila euro.Non si può dire che gli ispettori del lavoro siano stati, in tutti questi anni, ignari dell’esistenza degli stagisti, e che non abbiano finora mai effettuato controlli di questo tipo. Ma senza dubbio comincia quest’anno, con questa circolare, una vera e propria attività ispettiva sistematica su questo universo restato troppo a lungo in ombra. Con una difficoltà in più: «il personale ispettivo, nelle attività di controllo aventi ad oggetto i rapporti di tirocinio extracurriculari, dovrà fare riferimento» non a un'univoca normativa nazionale, ma a ventuno differenti normative regionali, e in particolare a quella «vigente nel proprio territorio di competenza» – dunque applicare specificatamente la legge regionale del luogo dove è ubicata l'azienda (oppure, «nel caso di soggetto ospitante multilocalizzato, [...] della Regione ove è ubicata la sede legale»).I prossimi mesi diranno quali risultati porterà il fatto che i tirocini siano ora ufficialmente tra gli ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Per ora, è certamente una buona notizia per gli stagisti italiani.

Stage in Italia, bene ma non benissimo: la fotografia in un Rapporto del ministero del Lavoro

Come va lo stage in Italia? La situazione è abbastanza stabile; non rosea, ma interessante. Questo articolo focalizza esclusivamente ai tirocini extracurriculari, gli unici per i quali esista una rilevazione ufficiale.La prima notizia è che il tirocinio extracurriculare – cioè svolto al di fuori dei percorsi di formazione; per capirci, non quelli fatti dagli studenti universitari – continua ad essere uno strumento molto utilizzato: in media ne partono 26mila al mese.Per la precisione, nel 2016 ne sono stati attivati 318mila: il dato è contenuto nel Rapporto 2017 sulle Comunicazioni obbligatorie pubblicato dal ministero del Lavoro. Il numero è più basso dell'anno precedente, circa il 9% in meno, e la ragione è semplice: il dato dell'anno scorso, relativo agli stage attivati nel 2015, era falsato dal "doping" di Garanzia Giovani, che aveva fatto schizzare in alto le attivazioni sopratutto in alcune Regioni del Sud (Sicilia su tutte). Scorporando i dati per aree geografiche emerge che al Nord le attivazioni sono addirittura aumentate: se nel 2015 erano stati poco meno di 166mila, nel 2016 sono saliti a 181mila. Interessante notare che qui le ragazze in stage salgono di ben dieci punti percentuali (da 47% a 57%), tanto che adesso in numeri assoluti sono quasi tante quanto i colleghi maschi. I tirocini al Centro sono rimasti praticamente invariati, scendendo da 66mila a 63mila. E quelli nel Mezzogiorno sono invece passati da 118mila a 73mila, una netta battuta d'arresto dopo i dati esorbitanti del 2015.«Le differenze regionali sono rilevanti» si legge nel Rapporto: «Si passa da una diminuzione sostenuta in Sicilia (-84,3%), Basilicata (-41,2%), Abruzzo (-31,4%), Calabria (-30,3%), Sardegna (-26,1%), Umbria (-17,2%) e Toscana (-14,8%), a un aumento del volume di tirocini che si verificano soprattutto in Puglia (+45,6%), Emilia-Romagna (+19,8%), Liguria (+19,7%), Molise (+19,0), Valle d’Aosta (+18,9%) e Friuli Venezia Giulia (+18,3%)». Non sfugge agli autori del Rapporto che «le Regioni interessate da importanti riduzioni nel volume di tirocini attivati sono quasi tutte Regioni che nel 2015, rispetto al 2014, avevano sperimentato forti tassi di crescita, con picchi fino a +716% come nel caso della Sicilia».Dunque nel 2016 si è tornati in qualche modo alla normalità. In particolare, il numero degli «individui interessati da almeno un’attivazione di tirocinio» è pari a poco più di 299mila, con uomini e donne in «sostanziale parità» (rispettivamente 50,2% e 49,8%). Il numero di teste (stagisti) è lievemente più basso di quello assoluto (stage), perché ovviamente può capitare che la stessa persona svolga nello stesso anno più di uno stage.Il rapporto dice però davvero pochissimo rispetto alla probabilità di assunzione post stage: «I dati confermano» si legge soltanto «la tendenza già osservata lo scorso anno in merito al fatto che il tirocinio è sempre più utilizzato come strumento di selezione da parte dei datori di lavoro. Infatti, nel 2016 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato superiore a 103mila». Il che equivale dunque a un 32,5% di stagisti extracurriculari assunti al termine del percorso formativo. [Su questo però la Repubblica degli Stagisti ha chiesto al ministero del Lavoro alcuni dati più dettagliati].Passando ad analizzare nel dettaglio dove hanno luogo gli stage, si nota subito come la maggior parte dei tirocini 2016 si sia concentrata nel settore dei Servizi: quasi 240mila attivazioni, pari a tre quarti del totale, in gran parte nei settori “Trasporti, comunicazioni, attività finanziarie e altri servizi alle imprese” e “Commercio e riparazioni” che insieme totalizzano quasi la metà di tutti gli stage (45,9%). In particolare, circa 33mila uomini e 40mila donne nel corso del 2016 hanno fatto uno stage nel settore “Commercio e riparazioni”; la disparità di genere è probabilmente da attribuire al fatto che il mestiere di venditore nei negozi è tradizionalmente percepito come femminile – ergo, “la commessa”.E gli stage nella pubblica amministrazione? Nel 2016 hanno rappresentato circa l'11% di tutti gli stage extracurriculari attivati in Italia: in numeri assoluti parliamo di poco meno di 35mila, in netto calo rispetto ai 46mila dell'anno precedente. Forse  effetto della circolare del ministero del Lavoro che vieta di attivare stage di Garanzia Giovani negli uffici pubblici, data la palese impossibilità che poi essi sfocino in assunzioni? Può essere; anche se si sa che alcune Regioni, come la Campania, quella circolare l'hanno bellamente ignorata.Un altro aspetto fondamentale indagato dal Rapporto è quello relativo all'età degli stagisti. Dei 299mila stagisti del 2016, 146mila – poco meno della metà – sono persone con meno di 25 anni. Vi sono poi 117mila stagisti tra i 25 e i 34 anni, pari al 39%; 31mila nella fascia di età 35-54 anni e oltre 4.500 ultra 55enni.L'aspetto piuttosto preoccupante, qui, è che facendo un confronto con gli anni precedenti risulta chiaro che lo strumento dello stage non accenna a calare: complessivamente gli over 35 erano 34mila nel 2014 (pari al 16% del totale), 40mila nel 2015 (12% del totale) e 36mila nel 2016 (12%). Usare lo stage su persone mature è infatti una pratica molto discutibile, che rischia di umiliare e frustrare chi viene coinvolto, degradato al rango di stagista pur avendo già un bagaglio di anni - o addirittura decenni - di esperienza lavorativa.Eleonora Voltolina

Ricercatori nelle imprese grazie all'intesa tra l'associazione dei dottori di ricerca italiani e la startup Find your doctor

Studio e lavoro – due mondi contigui, almeno in teoria. Peccato che le cose cambino sostanzialmente all’atto pratico, dove l’entrata nel mondo lavorativo presenta non pochi problemi per i giovani appena usciti dall’università, siano questi “semplici” laureati ma anche dottori di ricerca o ricercatori che, pur avendo raggiunto il più alto grado degli studi accademici, faticano poi a trovare possibilità d’impiego al di fuori delle mura universitarie. Colpa della crisi, sì, ma anche della mancanza di comunicazione tra questi due mondi che, anziché collaborare, tendono spesso a chiudersi a riccio, rendendo complicato qualsiasi scambio di informazioni e, dunque, di opportunità. Come tentativo di facilitare questo passaggio nasce la collaborazione tra Adi, l'associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, e Find your doctor, startup innovativa attiva nell’inserimento professionale di ricercatori e dottori di ricerca – unite dalla volontà di fornire nuove prospettive di carriera a quei «vettori d’innovazione» che sono appunto i dottori di ricerca, creando un contatto personale e diretto con tutte le aziende potenzialmente interessate ai loro profili. «Valorizzare il dottorato di ricerca nel mondo delle imprese è una delle priorità di Adi» chiarisce Giuseppe Montalbano [nella foto a destra], che dell'associazione è il segretario nazionale: «Nel nostro paese la domanda di personale di alta formazione universitaria è ancora assai scarsa da parte delle aziende, mentre allo stesso tempo ai dottori di ricerca non vengono dati gli strumenti necessari per orientarsi al meglio nel mercato del lavoro. La partnership con Find Your doctor pone le premesse per un lavoro a tutto campo sul piano della formazione, dell'analisi e delle proposte per ampliare i canali di accesso dei dottori di ricerca nel sistema produttivo, e per avvicinare le aziende ai dottori di ricerca».Find your doctor è infatti la prima piattaforma nazionale di job matching pensata appositamente per portare i ricercatori in organizzazioni e aziende di ogni dimensione e favorire, al contempo, la spinta innovativa delle imprese grazie alla possibilità di impiegare personale di alta formazione universitaria. Nata dall’idea di Eva Ratti [nella foto in basso a sinistra], giovane dottore di ricerca in astrofisica, e realizzata grazie al Consorzio no profit C2T, che si occupa di trasferimento tecnologico, questa startup dalla «mission di impronta anche sociale» vanta un team di giovani dottori di ricerca, pronti a mettersi a lavoro per valorizzare il loro titolo e aiutare tanti colleghi alla ricerca di opportunità. «La tematica dell'employability dei ricercatori è strettamente legata a quella della valorizzazione del titolo di dottorato e deve essere affrontata tenendo conto di tutte le sfide culturali implicate», spiega Ratti: «Su questo terreno comune si fonda la partnership con Adi, nella convinzione che iniziative partite "dal basso" come le nostre possano avere, unendosi, impatto su larga scala e a beneficio di tutti».Ma è bene procedere con ordine, così che ogni dottore in cerca di opportunità abbia chiari i passi da compiere per entrare a far parte di della piattaforma. Basta infatti collegarsi al sito e creare il proprio profilo specificando l’ambito nel quale si è conseguita la qualifica di dottore di ricerca o di ricercatore e inserendo cv, pubblicazioni che testimonino l’attività di ricerca ed eventuali esperienze lavorative con imprese o organizzazioni. Da inserire saranno poi alcune parole chiave riguardo il proprio ambito di competenza e quello in cui si vorrebbe trovare lavoro: tutte informazioni che potranno poi essere ulteriormente specificate accedendo al proprio profilo al termine della registrazione.A questo punto il gioco è quasi fatto. Inseriti i vari dati, il dottore di ricerca/ricercatore potrà infatti navigare sulla piattaforma alla scoperta dei vari servizi: si può consultare la bacheca con gli annunci di assunzione e, in caso di interesse, candidarsi direttamente per l’offerta; sfogliare la lista delle imprese che hanno aderito al network e candidarsi autonomamente, o consultare l’area “annunci di consulenza”, in cui le varie aziende inseriscono la loro richiesta di consulenza da parte di un ricercatore per ciò che riguarda una questione specifica inerente la loro attività. Potranno iscriversi alla piattaforma anche gli attuali dottorandi (coloro che non hanno dunque ancora completato il percorso), a patto però di specificare la data prevista di conseguimento del titolo.Allo stesso modo le imprese, dopo essersi registrate sul sito, potranno sfogliare i profili dei ricercatori iscritti, affidare al team di Fyd la ricerca di una figura professionale specifica, come in un tradizionale servizio di recruitment, o usufruire dello “Sportello Doc” per sottoporre un problema o un’idea a un team di esperti reclutati direttamente tra gli iscritti da Fyd: «A seguito di un incontro di approfondimento presso l'azienda, i ricercatori selezionati si impegneranno a svolgere una prima analisi della questione posta, restituendo in un report le proprie osservazioni, eventuali soluzioni e proposte progettuali, che l'azienda potrà scegliere se intraprendere» si legge sul sito: «Laddove si volessero realizzare una o più delle proposte emerse dall'analisi preliminare, il personale di Find your doctor potrà seguire l'azienda nello sviluppo progettuale, veicolando (se richiesto) le prestazioni dei ricercatori coinvolti».  Il servizio, che vanta ad oggi giàoltre 2.300 ricercatori iscritti, si è rivolto in fase inziale soprattutto al settore tecnico-scientifico, chiaramente “privilegiato” per numero di opportunità concrete all’interno delle aziende. Se si dà un’occhiata ad alcuni degli annunci al momento attivi, infatti, salta subito all’occhio come i profili richiesti siano per la maggior parte di questo settore: ricercatori informatici, ingegneristici, data analist. Ma niente disperazione per i dottori di ricerca in ambito umanistico, perché Fyd promette di impegnarsi ad «espandersi anche in altri settori»: e a far ben sperare sono gli annunci, ad esempio, per responsabili del settore stampa, «euro-progettisti» o responsabili risorse umane.Ma la domanda sorge spontanea: tutto questo, a che prezzo? Nessuno per i dottori di ricerca, che potranno usufruire dei servizi offerti in maniera totalmente gratuita. I servizi risultano invece a pagamento per aziende e organizzazioni: una scelta resa necessaria al fine di «sostenere il progetto, pagare la struttura, le attività di formazione, gli eventi organizzati e gli stipendi del team che ci lavora». A rendere economicamente possibile il tutto non sono però solo i clienti: al pagamento per i servizi offerti si affianca infatti anche una campagna di foundraising, che permette alla piattaforma di ricevere risorse da «fondazioni ed enti pubblici e privati preposti al supporto di innovazione, ricerca e sviluppo, mercato del lavoro e sostenibilità sociale; associazioni datoriali e camere di commercio; fonti di finanza agevolata; business angels», ma anche investimenti diretti da parte del Consorzio C2T, che ha fornito sin dall’inizio “linfa vitale” a questo progetto. Giada Scotto

Tirocinanti nei tribunali, il riconoscimento dei loro diritti arriverà dall'Europa?

Da otto anni nei tribunali italiani lavorano come stagisti dei disoccupati, tra i trenta e i cinquanta, addirittura sessant'anni. Si autodefiniscono i “tirocinanti della giustizia”. Vengono pagati con fondi europei che dovrebbero servire a favorire l'inserimento lavorativo, ma il ministero della Giustizia queste persone non le assume mai: preferisce prorogare di anno in anno gli stage. E la Commissione europea, che dovrebbe vigilare sul buon utilizzo dei suoi fondi, fa lo struzzo. A provare a farle tirare fuori la testa dalla sabbia dal dicembre 2014 è Laura Ferrara, 34 anni, europarlamentare del Movimento 5 stelle.L’ultima interrogazione è stata presentata il 20 febbraio e  non ha finora ancora ricevuto una risposta. Il tempo “limite” è quello di sei settimane quindi, spiega alla Repubblica degli Stagisti Ferrara, «Ci toccherà aspettare qualche altro giorno per ottenere una risposta. Nella maggior parte dei casi la Commissione Europea risponde nelle tempistiche previste o con qualche giorno di ritardo». Nessun allarme quindi se Marianne Thyssen, la Commissaria a cui l’interrogazione è indirizzata, non ha ancora risposto. E nel caso proprio non dovesse farlo «valuteremo la possibilità di far iscrivere l’interrogazione all’ordine del giorno della riunione successiva della commissione competente».La storia è cominciata nel lontano 2010 e gli ultimi sviluppi, a marzo, hanno coinvolto da una parte i tirocinanti passati nell’ufficio per il processo, per cui il ministro della giustizia uscente, Andrea Orlando, aveva annunciato a fine anno di aver prolungato di un anno il tirocinio e di «aver inviato alla funzione pubblica la richiesta di procedere all’assunzione nel 2018 di 300 operatori giudiziari». E dall’altra le vicissitudini degli esclusi dall’udp, che con molti ritardi sono stati inclusi in progetti su base regionale. L’europarlamentare del M5S ha presentato questa nuova interrogazione per segnalare come «Anche nel 2018 sono stati rinnovati i tirocini formativi iniziati nel 2010», che coinvolgono sempre le stesse persone e sono finanziati, appunto, con risorse del Fondo sociale europeo. «Migliaia di tirocini» spiega Ferrara alla RdS, «programmati annualmente che non sfociano mai in alcuna forma di contratto di lavoro e sono utilizzati per lo più al fine di mascherare reali rapporti di lavoro non garantiti dalle tutele previdenziali, assistenziali ed economiche proprie dei normali contratti di lavoro».Una questione, quella della conformità al quadro di qualità per i tirocini, che era già stata sollevata dalla stessa europarlamentare con un’altra interrogazione presentata a inizio dicembre dell’anno scorso. E a cui Marianne Thyssen, commissaria europea per l’occupazione, aveva risposto il 19 febbraio di non essere al corrente «dei tirocini ai quali fa riferimento l’onorevole deputata». Ma può un commissario europeo, che dovrebbe vigilare, sostenere di non essere al corrente di un programma che la Commissione finanzia? Su questo punto Laura Ferrara chiarisce: «La gestione dei fondi comunitari, che spesso finanziano questo tipo di tirocini, si basa sul principio della gestione concorrente. Significa che le linee guida sono elaborate a livello europeo, mentre l’attuazione sul campo tramite programmi operativi è gestita dalle autorità competenti nazionali e regionali».Quindi, se anche la Commissione non conoscesse tutti i singoli progetti finanziati dai fondi europei, dovrebbe monitorare «l’implementazione dei programmi partecipando regolarmente ai comitati di sorveglianza. E a seguito del monitoraggio può invitare le autorità nazionali a rivedere la concezione dei progetti, in particolare se si accerta che le azioni sostenute dai finanziamenti unionali non contribuiscono alle finalità prefissate, come assicurare che i tirocini accrescano la possibilità di ottenere un lavoro decente. A questo punto in caso di irregolarità» conclude Ferrara, «la Commissione può imporre rettifiche finanziarie al programma».L’ipotesi dei tagli al bilancio del programma qualora non siano stati raggiunti gli obiettivi prefissati è, in realtà, l’estrema ratio. Ma la Commissione può sicuramente invitare le autorità di gestione a dare un nuovo indirizzo ai progetti in oggetto.È bene ricordare che, anche nelle ultime risposte la commissaria europea ha detto di non conoscere questi tirocini, nel gennaio 2015 aveva dato una risposta ben diversa, dichiarando che «i tirocini in oggetto siano stati organizzati in linea con il programma operativo per la Calabria del Fondo sociale europeo e pertanto rispondano agli obiettivi cui erano destinati», quelli di prevenire i rischi di disoccupazione.Quindi, se la commissaria Thyssen dovesse continuare a dire di non conoscere il programma o che questo è in linea con le linee guida, apparentemente sembrerebbe non ci sia null’altro da fare. Ma su questo punto Laura Ferrara è prudente: «Aspettiamo la risposta e in base a questa valuteremo come portare avanti in Europa la battaglia a tutela dei diritti dei tirocinanti della giustizia che, a prescindere dalle definizioni nazionali, sono di fatto dei normali lavoratori». E in ogni caso una parziale buona notizia c’è, secondo l’europarlamentare. Perché nella risposta della commissaria europea alla interrogazione del 4 dicembre 2017 in cui si chiedeva se la Commissione «è a conoscenza dell’uso che il ministero della giustizia fa dei tirocinanti», la Thyssen rispondeva, è vero, che non ne era al corrente.Ma aggiungeva anche che «Se i tirocinanti sono di fatto lavoratori a tempo determinato, si applica la direttiva sul lavoro a tempo determinato. L'accordo quadro allegato a tale direttiva definisce, nella clausola 3, l'espressione «lavoratore a tempo determinato» e le definizioni nazionali non dovrebbero compromettere l'efficacia della direttiva. I tribunali nazionali dovrebbero valutare se questi tirocinanti possano essere considerati «lavoratori» ai sensi di tale direttiva». Un passaggio che, spiega Ferrara alla Repubblica degli Stagisti, «è da intendere quasi come un riconoscimento indiretto dei diritti dei tirocinanti, che potrebbero essere fatti valere davanti alle autorità giudiziarie nazionali». Ora, quindi, si aspetta la nuova risposta della commissaria europea. Ma nell’aria sembrano esserci già possibili nuovi sviluppi.Marianna Lepore

Stage al Parlamento europeo: 350 posti disponibili per il bando in scadenza il 15 maggio

C’è tempo fino alla mezzanotte del 15 maggio per candidarsi al nuovo bando per tirocini al Parlamento europeo, sparsi tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo e rivolti ai laureati almeno triennali. Tirocini che, si sa, sono sempre molto ambiti: ogni anno, infatti, ben 25mila giovani si candidano per svolgere un tirocinio al Parlamento UE. Di questi, ne vengono selezionati circa 600. Per questa tornata primaverile, dice alla Repubblica degli Stagisti Mauro Santarelli dell’ufficio stampa del PE, i posti disponibili sono 350: sicuramente pochi rispetto al volume delle candidature, ma forse per questo ancora più preziosi per chi verrà selezionato. Il Parlamento europeo accetta quote di stagisti da tutti i paesi membri, assegnando i posti in proporzione alla popolazione; ma le candidature invece non sempre sono proporizionate alla popolazione. Nella fattispecie, gli italiani sono sempre i più numerosi a fare domanda: dall’ufficio stampa del PE comunicano ancora che tra il 2017 e il 2018 i tirocinanti Schuman sono stati più di 1.000, e nelle ultime selezioni, dei circa 2.000 candidati italiani, ne sono stati selezionati tra i 40 e i 50 per ogni bando. La competizione, insomma, è serrata, ma vale la pena tentare.Le tipologie di stage che il Parlamento offre sono diverse. I principali, i tirocini “Robert Schuman” si suddividono in tre gruppi: l’opzione generale, aperta a tutti i candidati che presentino i requisiti necessari, che comprende diversi ambiti come le politiche, il diritto, le risorse umane e le tecnologie informatiche; l’opzione giornalismo, destinata a coloro che dimostrano di avere esperienza professionale in questo senso, comprovata da pubblicazioni, dall’iscrizione all’ordine dei giornalisti o dal completamento di un percorso di formazione giornalistica riconosciuta; e infine un’opzione “Premio Sacharov”, che approfondisce soprattutto le questioni relative ai diritti umani e si rivolge a chi è particolarmente interessato a questi temi. Il Parlamento europeo offre poi tirocini di traduzione, sempre per laureati, che si svolgono in Lussemburgo (dove ha sede la Direzione generale per la Traduzione e l'interpretariato), e infine tirocini di formazione alla traduzione, pensati per chi deve fare un tirocinio durante il corso dei suoi studi. I requisiti di base per accedere alle selezioni per le diverse tipologie di stage sono: essere cittadini di uno Stato membro dell’UE o di un paese candidato all’adesione, aver compiuto 18 anni, padroneggiare almeno una delle lingue ufficiali dell’Unione (24 in totale, tra le principali inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo) e non aver mai svolto tirocini o lavori retribuiti a carico dell’Unione europea per più di quattro settimane consecutive. Per i tirocini di traduzione e per quelli di formazione alla traduzione, poi, il criterio linguistico è più incisivo: occorre conoscere alla perfezione una delle lingue ufficiali dell’UE ed avere una  conoscenza approfondita di altre due lingue ufficiali.I tirocini Schuman al Parlamento europeo durano cinque mesi, non prorogabili, e la maggior parte di essi si svolge a Bruxelles, a Lussemburgo, oppure – in numero limitato – a Strasburgo e negli uffici di informazione del Parlamento europeo negli Stati membri. Per il bando attualmente aperto, i tirocini si svolgeranno dal 1 ottobre al 28/29 febbraio (qui il form per fare l'application). A Bruxelles e a Lussemburgo, l’importo della borsa è di 1.252 euro al mese, mentre negli Uffici d’informazione l’importo della borsa è ricalcolato per tener conto del costo della vita superiore o inferiore nei vari Stati membri. I tirocini di traduzione (qui il modulo di domanda), invece, prevedono una borsa di 1.300 euro al mese e una durata di tre mesi, prorogabili in via eccezionale per altri tre. Mentre la durata dei tirocini di formazione alla traduzione va da uno a tre mesi, con prorogabilità – in casi eccezionali – di ulteriori tre mesi. In questo caso, la borsa ammonta a soli 322 euro mensili, perché si tratta di tirocini rivolti a studenti: in particolare, il tirocinio di formazione alla traduzione deve essere previsto nel quadro del curriculum di studi universitari o di studi di un istituto scolastico di livello equivalente, della formazione professionale di alto livello organizzata da un ente senza scopo di lucro (in particolare istituti o enti pubblici), oppure di un obbligo per l'accesso all'esercizio di una professione.Nel momento in cui ci si candida attraverso il form online dedicato, occorre tenere a mente che il tempo massimo per inserire i propri dati è 30 minuti, scaduti i quali le informazioni vanno perse. Non ci si può candidare più volte alla stessa selezione – pena l’esclusione della propria domanda – e la candidatura non è modificabile, ma va compilata e trasmessa tutta in un’unica volta (bisogna quindi accertarsi che tutte le informazioni inserite siano complete e corrette!). Nel caso dei tirocini Schuman è poi possibile poi candidarsi ad un massimo di due settori, ovvero le aree di interesse in cui si vuole fare il tirocinio, che dovrebbero essere attinenti con i propri studi o esperienze di lavoro, assicurandosi di inviare la candidatura per tempo e non all’ultimo momento, onde evitare il blocco del sistema.In caso di preselezione, occorre tenere pronti all’invio il proprio atto di candidatura compilato e firmato, una copia del passaporto o carta d’identità, copie dei diplomi e dei certificati e una copia dei risultati universitari. Conviene prendere nota del numero di iscrizione, che tiene traccia della propria candidatura. L’esito della domanda viene inviato per email circa 8 settimane dopo la data di chiusura del bando: un messaggio indicherà se si è stati selezionati, inseriti in un elenco di riserva oppure se la propria candidatura non ha avuto successo.Alcune unità potrebbero decidere di contattare i candidati per un colloquio informale al telefono, per sapere se sono interessati a lavorare in un determinato servizio e per sondare la loro motivazione o le conoscenze linguistiche. Bisogna tenere a mente che però queste chiamate non sono vincolanti, e quindi non è detto che portino ad intraprendere il tirocinio. Chi non viene ammesso non si deve scoraggiare: le istituzioni europee selezionano i profili anche a seconda delle loro necessità del momento, quindi non è detto che un certo curriculum scartato una volta non possa essere selezionato la volta successiva! Si può ripresentare candidatura ai successivi bandi (ce ne sono da due a quattro all’anno, e il Parlamento europeo non pone limiti al numero di volte in cui si può partecipare alle selezioni). Per l’opzione generale, giornalismo e premio Sacharov, in particolare, sono due i periodi utili per presentare la propria candidatura durante l’anno: dal 15 agosto al 15 ottobre per i tirocini con inizio il 1° marzo; dal 15 marzo al 15 maggio per quelli con inizio il 1° ottobre. Per informazioni sui tirocini presso le altre istituzioni europee, per esempio quelli alla Banca Centrale Europea, al Comitato delle regioni, al Consiglio dell’Unione europea o nelle delegazioni dell'UE, è buona abitudine tenere d’occhio la pagina dedicata sul sito dell’Unione, dove sono riportate tutte le scadenze.Fare un tirocinio al Parlamento Europeo non dà alcuna chance di un inserimento successivo, ma sicuramente rappresenta un’ottima opportunità per avvicinarsi al funzionamento delle istituzioni europee, assimilando nuove conoscenze e allargando la propria rete di contatti. Per essere aggiornati su tutti i concorsi e le opportunità di impiego offerte dall’UE, dunque, la cosa migliore è monitorare costantemente la pagina dell’Ufficio europeo di selezione del personale (Epso).Irene Dominioni

Stage, approvata in Emilia-Romagna la nuova legge: ma andra' in vigore a ottobre

È stata approvata il 12 marzo la nuova normativa sui tirocini extracurriculari in Emilia Romagna, la dgr 356, che va a sostituire la precedente legge regionale n° 7/2013. A dieci mesi dall’emanazione delle linee guida per gli stage da parte della Conferenza Stato-Regioni (quattro mesi dopo la deadline prefissata), l’Emilia-Romagna ha recepito le nuove direttive e aggiornato la propria legge regionale, che entrerà però in vigore solo dal 1° ottobre di quest’anno. Questo perché «le disposizioni della presente proposta entreranno in vigore solo nel momento in cui i sistemi informativi saranno in grado di supportare il nuovo impianto di controlli finalizzati all’autorizzazione preventiva» si legge nel testo. L’Emilia Romagna ha infatti perfezionato il suo sistema di monitoraggio e controllo, puntando all’accertamento di tutte le condizioni del tirocinio prima della sua attivazione, in modo da limitare il più possibile gli abusi.Ma andiamo con ordine. Quali sono gli aspetti fondamentali e le novità della nuova legge? Innanzitutto, viene espressamente abolita la distinzione tra tirocini di formazione/orientamento e di inserimento / reinserimento: la nuova durata massima prevista per i tirocini extracurriculari è di sei mesi (la precedente normativa, che distingueva le due tipologie, ne prevedeva invece 12 per i tirocini di inserimento e reinserimento). In questo senso è accolta la richiesta dei sindacati, che chiedevano proprio un arrotondamento sul periodo più breve, piuttosto che su quello più lungo – le linee guida nazionali, invece, avevano arrotondato a 12 mesi per entrambe le tipologie di tirocini. «Se deve essere un’esperienza formativa, sei mesi non è un periodo poi così breve. Il tirocinante non deve imparare un lavoro, ma deve fare esperienza di lavoro» dice Milco Cassani, della segreteria Cgil regionale, alla Repubblica degli Stagisti: «E anche l’azienda può valutare il valore del lavoratore, attivando poi un percorso di apprendistato, dove si impara proprio il mestiere, si ha un contratto di lavoro e si versano i contributi». Per i disabili, la durata massima del tirocinio viene confermata dalla vecchia normativa a 24 mesi, così come per i soggetti svantaggiati, per i quali sarà di 12. La durata minima del tirocinio, invece, come da linee guida non può essere inferiore a due mesi, mentre nel caso di tirocini stagionali la durata minima corrisponde ad un mese. Su questo punto, però, la Cgil è critica: «Un’esperienza come quella dello stage non può essere legata alla stagionalità» prosegue Cassani, «altrimenti si corre il rischio di dare il via libera alle aziende per fare inserimento mascherato per sopperire alle loro necessità in quei periodi».Per quanto riguarda l’indennità di partecipazione, viene confermato dalla vecchia normativa l’importo minimo mensile di 450 euro. Su questa decisione forse hanno pesato le opinioni contrastanti dei sindacati, che miravano a obiettivi opposti. Infatti, mentre Cassani auspicava una disponibilità ad aumentarla – «Il tirocinio non è lavoro e non deve essere lavoro, ma 450 euro in molti casi non copre nemmeno le spese di chi fa quell’esperienza» – Claudio Arlati, responsabile formazione della Cisl emiliana è scettico sull’utilizzo in toto di un rimborso spese: «secondo noi è un’arma a doppio taglio, perché conduce a situazioni di sfruttamento da parte delle aziende. A fronte dell’erogazione di un rimborso spese, infatti, le imprese chiedono un corrispettivo che è pari al lavoro di un impiegato a tempo determinato o indeterminato». Un punto di vista che mette in dubbio il tirocinio stesso come strumento di politica attiva: «Noi aboliremmo il tirocinio extracurriculare in toto, perché è come una foglia di fico, dato che non comporta nessun obbligo formativo, nessuna tassa e nessun obbligo di contributi» prosegue il sindacalista. «Inoltre l’aumento dell’indennità dei tirocini minaccia sempre più l’uso dell’apprendistato, che invece a nostro avviso andrebbe potenziato». Proseguendo nella lettura della normativa, nella quota di contingentamento del soggetto ospitante vengono compresi, oltre ai dipendenti a tempo indeterminato, anche quelli a tempo determinato (purché la data di inizio e quella di scadenza del contratto siano rispettivamente anteriore e posteriore rispetto alle date di inizio e fine del tirocinio), esclusi gli apprendisti, così come vogliono le linee guida. Anche qui la Cgil chiedeva che i dipendenti a tempo determinato non venissero conteggiati – la vecchia normativa in effetti li escludeva dal calcolo – ma evidentemente le istanze delle parti datoriali hanno prevalso. In più, il criterio di premialità che consente alle aziende di inserire tirocinanti extra a seconda del numero di assunzioni derivate dagli stage precedenti viene esteso dall’Emilia Romagna a tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione (mentre le linee guida prevedevano la quota aggiuntiva soltanto per le aziende con più di 20 dipendenti a tempo indeterminato). Ciascuna azienda potrà quindi ospitare un tirocinante oltre le quote di contingentamento se ha assunto il 25% dei suoi tirocinanti nei 24 mesi precedenti, due se ne ha assunti il 50%, tre con il 75% di ex tirocinanti assunti, quattro se ne ha assunto il 100%.Per il resto i punti della nuova legge dell’Emilia Romagna ricalcano le linee guida, dai doveri dei soggetti promotori e ospitanti ai compiti dei tutor. Ma la parte più interessante e innovativa è quella sulla «procedura di autorizzazione e verifica regionale e qualificazione dei tirocini» che la Regione ha introdotto per effettuare controlli sui tirocini ancora prima del loro avvio e monitorare contro gli abusi attraverso la creazione di un solido impianto sanzionatorio. Già nella precedente normativa l’Emilia aveva introdotto l’obbligo di fare riferimento, all’interno del progetto formativo, alle mansioni del sistema regionale delle qualifiche, che definiscono competenze e conoscenze di ciascuna professione, per sostanziare la valenza formativa del percorso; ora per garantire la correttezza e la conformità dei tirocini «si prevede un sistema di autorizzazione preventiva dei tirocini, che non possono avviarsi qualora la documentazione inviata risulti incompleta o non idonea». Una novità che non era contenuta nelle linee guida, e che garantisce maggiore tutela per gli stagisti. In pratica, il tirocinio è attivabile soltanto una volta che i soggetti promotore e ospitante abbiano provveduto a inviare la convenzione e il progetto formativo all’Agenzia regionale per il Lavoro, che li verifica entro dieci giorni, eventualmente richiedendo entro i successivi 45 giorni la necessità di integrarli, qualora non risultassero idonei o completi. Per quanto riguarda il meccanismo sanzionatorio invece l’Emilia Romagna distingue tra le sanzioni riservate al soggetto promotore e quelle destinate al soggetto ospitante. Per entrambe, in caso di violazioni non sanabili delle condizioni dei tirocini, e in particolare nel caso in cui il tirocinio venga attivato senza autorizzazione o per mancata assicurazione dei tirocinante presso l’Inail, i soggetti promotori e ospitanti vengono interdetti dall’attivazione di tirocini per 3 anni, un termine inedito e ben superiore a quello contenuto nelle linee guida, che invece è di 12 mesi. Il divieto si riduce invece a 12 mesi nel caso di mancata individuazione del tutor o violazione del limite di tirocinanti che può accompagnare – 40 per il tutor del soggetto promotore, 3 per quello del soggetto ospitante – e di violazione dei limiti di durata massima e minima dello stage. Nel caso di interruzione del tirocinio per violazioni commesse dal soggetto promotore, al tirocinante spettano comunque le indennità non percepite e, inoltre, al tirocinante «a fronte di violazioni di soggetto promotore e/o ospitante, non può mai essere richiesto di restituire quanto percepito come indennità di partecipazione».Nel caso di una seconda violazione nei successivi 24 mesi dalla prima, poi, il soggetto promotore non potrà attivare tirocini per un durata doppia rispetto al primo divieto (quindi rispettivamente 6 anni per le violazioni non sanabili e 24 mesi per quelle sanabili). E se infine dovesse esserci una terza violazione entro i 24 mesi dal termine della seconda interdizione, il soggetto promotore non potrà mai più attivare tirocini. Nel caso in cui ad attivare il tirocinio sia un soggetto diverso da quelli riconosciuti nella legge – Agenzia regionale per il lavoro, università e istituzioni scolastiche, l’Anpal e i soggetti da questo accreditati, i Comuni ecc. – invece, questo verrà multato da 5 a 10mila euro e il tirocinio verrà subito interrotto. Nel caso di ulteriori violazioni la multa sarà invece di 50mila euro. Ovviamente stiamo parlando sempre e solo di tirocini extracurriculari: il divieto non è esteso ai tirocini cirriculari, dunque un'azienda colpita dal provvedimento di interdizione temporaneao o perpetua dall'ospitalità a stagisti potrà comunque ospitarne, basterà che li scelga tra gli studenti e che siano quindi configurati come tirocini curriculari.Infine, decade il vecchio divieto di corrispondere l’indennità nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi e percettori di forme al reddito. Ora vi è la facoltà, per i soggetti ospitanti, di corrispondere comunque il rimborso spese, anche se solo fino a corrispondenza con l’indennità minima prevista. Come da linee guida, poi, nel caso di tirocini in favore di lavoratori in assenza di rapporto di lavoro che percepiscono la Naspi, i soggetti ospitanti possono erogare un’indennità di partecipazione cumulabile con l’ammortizzatore. Secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, l’Emilia Romagna ha ospitato un numero sempre crescente di tirocini, arrivati a quasi 30mila nel 2016. L’amministrazione regionale ha introdotto nel 2016 un modello di monitoraggio e valutazione specifico, basato su indicatori di composizione della domanda e di erogazione, così come indicatori di risultato e di impatto in termini di competenze e di livelli occupazionali. Nel 2016 il 34,7% degli stagisti extracurriculari dell’Emilia Romagna aveva tra i 20 e i 24 anni ed è stato impiegato principalmente come addetto alle vendite, segretario, addetto nelle attività di ristorazione, personale nei servizi di pulizia o tecnico dei rapporti con i mercati. Nel 2015, il 35% dei tirocinanti è stato assunto nella stessa impresa dopo la conclusione del tirocinio, e complessivamente il 60% ha trovato lavoro a un anno dalla fine dello stage. La maggior parte è stata assunta a tempo determinato o in apprendistato.Irene Dominioni

Eleonora Voltolina tra i quattro nuovi Ashoka Fellow nominati nel 2017: ecco chi sono

Risolvere i problemi sociali che attanagliano il mondo, non solo discutendone a parole ma passando ai fatti. È il merito dei 'changemaker' di cui dal 1981 va a caccia Ashoka, quinta ong più influente al mondo per innovazione e impatto secondo il sito ngoadvisor.net. La mission di Ashoka è creare network tra gli imprenditori sociali di ogni provenienza e settore. Un'organizzazione che «da oltre 35 anni seleziona, mette in rete e forma più di 3300 imprenditori sociali» si legge sul sito, perché «il modo più efficace per risolvere i problemi globali dei nostri tempi sia quello di identificare chi già ha trovato delle soluzioni e circondarlo di alleati che possano contribuire a rendere questa idea un modello replicabile». Nei giorni scorsi a Roma Ashoka ha festeggiato i nuovi fellow selezionati nel 2017 con l'evento di premiazione 'Risposte concrete ai problemi sociali – Come gli imprenditori sociali cambiano l’Italia'. Tra loro Eleonora Voltolina [nella foto sotto], direttrice di questa testata, insignita del riconoscimento perché, recita la motivazione ufficiale, «attraverso la testata online Repubblica degli Stagisti, affronta le tematiche della disoccupazione giovanile e delle condizioni di lavoro ingiuste per i giovani, garantendo la corretta informazione sul tema ed esercitando, allo stesso tempo, pressione politica». Con lei altri tre protagonisti dell'innovazione sociale. Carlo Stasolla dell'associazione 21 Luglio, che lavora per «trasformare il modo in cui le istituzioni italiane affrontano la marginalizzazione e la segregazione abitativa delle comunità rom». Daniel Tarozzi, direttore di Italia che Cambia, giornale online che ha creato una mappatura tra imprenditori sociali in Italia e in Europa attraverso una piattaforma web, «permettendo da un lato una migliore risposta alle problematiche sociali e dall'altro un'informazione più accurata sulle tematiche sociali». E infine Massimo Vallati, fondatore di Calciosociale, un progetto che promuove valori più inclusivi nello sport più popolare d'Italia (e forse del mondo). Ognuno ha raccontato alla platea il fulcro della propria idea. «Insieme alla salute e alle relazioni sociali» ha spiegato Voltolina, «la cosa più importante nella vita di ciascuno è il lavoro, ciò che ci dà un'identità intesa come realizzazione personale e possibilità di mantenerci». Il lavoro ci identifica, anche se con diverse declinazioni: «C’è chi ha talento personale e lavora grazie a questo, dall'altra estremità chi lo fa solo per portare a casa di che sostenersi, di mezzo un caleidoscopio di posizioni di equilibrio». Ma tra tutti c'è un trait d'union: «Il concetto per cui il lavoro deve avere condizioni dignitose». In tal senso imprescindibile è la retribuzione. E La Repubblica degli Stagisti si batte affinché questa dignità sia riconosciuta anche a chi è in fase di transizione verso il mondo del lavoro con il tirocinio, «un piccolo segmento di popolazione, molto debole ma con grandi potenzialità». Lo fa da un punto di vista giornalistico, quindi in primo luogo «facendo informazione» ha ribadito Voltolina, e poi chiamando le aziende a politiche di trasparenza sul loro modo di trattare le risorse impiegate. «Diciamo loro 'venite sul nostro sito con i vostri annunci perché fidalizzate i giovani, li stimolerete a lavorare con entusiasmo e avrete ricadute in termini di brand': è un gioco win-win che giova a tutti». Per Stasolla l'obiettivo è invece sradicare la convinzione che quella dei rom sia una cultura diversa dalla nostra che li porta a voler vivere senza fissa dimora: «L'Italia ha inventato i campi rom ed è il Paese che ci spende di più». Il tutto ha avuto inizio negli anni Ottanta, «dopo la morte di Tito e la deflagrazione dell'ex Jugoslavia» ricorda. Da lì i pregiudizi sugli zingari e le prossime allo zero possibilità di emancipazione per chi nasce in una di queste comunità: «Impossibile per una neonata laurearsi, difficile arrivare al diploma, al massimo la terza media». Scopo dell'associazione è quindi «creare un movimento di opinione pubblica contro nuovi campi che discriminino invece che includere». E ancora il giornalista Daniel Tarozzi [nella foto in basso a destra], che ha creato il giornale Italia che cambia dopo un viaggio di sette mesi «alla ricerca di persone che si interrogassero su come risolvere problemi», invece di ridurre tutto al classico e pessimistico 'siamo in Italia, funziona così'». Sono 450 i soggetti individuati che hanno reso concreto il cambiamento mettendosi in contatto tra loro. E dopo sei anni, «nonostante la crisi sono realtà che hanno assunto nuove persone e aumentato il fatturato».  C'è poi Massimo Vallati che con il suo Calcio sociale vuole modificare le regole di questo gioco rendendolo «strumento di coesione sociale, che ne esalti bellezza, empatia, semplicità e magia». Sono tantissimi i suoi ‘adepti’: «300mila i bambini che si iscrivono ogni anno alle scuole calcio, rendendole la più grande aula magna didattica del mondo» fa sapere. Per questo, sottolinea, «non si può lasciare il tutto all'improvvisazione». Perché molti di loro non saranno calciatori, solo «uno su 5mila diventerà un professionista». Per tutti gli altri deve essere una palestra «di impegno civico e cittadinanza attiva». Ed è quello che avviene oggi nelle scuole calcio con progetti in cui «le squadre sono create in base a una logica di bilanciamento, scelte tramite coefficienti che le rendono pari tra loro».  E non solo profili senior, ma tra le nuove promesse degli Ashoka fellow sono stati selezionati anche cinque ragazzi «che stanno provando a cambiare la mentalità dei propri pari», ha commentato Alessandro Valera, direttore di Ashoka Italia chiamandoli sul palco. A selezionarli Riparte il futuro, ente no profit per la trasparenza e certezza del diritto. Come partner dell'evento ha promosso un contest online per trovare soluzioni contro la corruzione nella vita quotidiana. Tra i vincitori il 18enne Luca Pimpinella, della provincia di Latina. La sua idea è quella di «creare contenuti virali per destrutturalizzare il pessimismo e sradicarlo e sensibilizzarlo con matrice culturale nuova». Per non percepire più «l'illegalità come la regola», senza credere che «non si possano cambiare le cose». E invece il cambiamento è in atto, e continuo, come ha sottolineato Valera: «viviamo in un'epoca in cui il cambiamento è la nuova costante». Chi nasce oggi sa che «sarà esposto a diversi cambiamenti nel corso della sua vita: non più come una volta si nasce, si impara a fare un mestiere fino alla vecchiaia e poi si muore». Ashoka cerca chi è in grado di cavalcare queste trasformazioni, individuando nuovi fellow a cui dare «identità e supporto economico». Ma non basta «un fellow ogni dieci milioni di abitanti». Per Valera «serve che tutti tirino fuori il changemaker che è in sé». Solo così si può arrivare a un mondo «in cui le soluzioni sommergeranno i problemi». Ilaria Mariotti