Tirocini extracurriculari, l'Italia è ancora divisa in due
Sui tirocini l’Italia è ancora divisa. I dati della Fondazione Consulenti del Lavoro, probabilmente il più importante soggetto promotore di tirocini in Italia, fotografano due paesi distinti. Il maggior numero di percorsi extracurriculari attivati si registra a Sud, ma è nel Settentrione che le opportunità si trasformano più spesso in contratti di lavoro. Il dubbio, neanche troppo velato, è che qualcuno abusi dello strumento per trovare manodopera a buon mercato senza mai arrivare alla sospirata firma. Un boomerang per i giovani che sperano di avviare una carriera, che ha indotto alcuni enti pubblici (come l'Emilia Romagna) ad aumentare controlli e sanzioni.L’occasione per tirare le somme è venuta dal Festival del Lavoro, in scena a Milano dal 20 al 22 giugno. Di fronte a una platea qualificata formata da tecnici ed esperti, alcuni dei nomi più importanti a livello nazionale: dirigenti di Inps, Anpal, assessori regionali. Nella sessione plenaria è stato avvistato anche il vicepremier Matteo Salvini. L’unico grande assente è stato proprio il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che ha dato forfait all’ultimo.«Nel 2018 abbiamo attivato circa 27mila tirocini extracurriculari» ha rivelato il presidente della Fondazione Vincenzo Silvestri anticipando il Rapporto che sarà diffuso solo a settembre. Si tratta di un numero che, rapportato al totale dei tirocini extracurricolari attivati in Italia, rappresenta l'8,2% del totale: la quantità di attivazioni gestite da Fondazione Lavoro è quasi raddoppiata in cinque anni – se si pensa che nel 2013 l'agenzia dei consulenti del lavoro aveva attivato “solo” il 4,9% di tutti i tirocini a livello nazionale.In particolare, la Fondazione nel 2018 è stata soggetto promotore di quasi 6mila tirocini (per la precisione 5.869) nella sola Regione Lombardia; a seguire il Veneto con poco più di 4.700, la Campania con 3.700, il Lazio con quasi 2.600, il Piemonte con quasi 1.800, la Puglia con 1.600. «Il 60% di questi è stato trasformato in contratti». Un risultato «soddisfacente, possibile grazie ai nostri delegati che lavorano fianco a fianco con le aziende del territorio e ne conoscono i bisogni» ha aggiunto Luca Paone, vicepresidente dell’agenzia. Secondo Mauro Capitanio, consulente del lavoro che è stato presidente della Fondazione Lavoro per due mandati tra il 2012 e il 2018, il fatto che nel 2018 sia «aumentato il tasso di trasformazione dei tirocini smonta la teoria che il tirocinio sia una forma surrettizia per non pagare i contributi»; esso si dimostra, invece, «un investimento che l'azienda fa sul ragazzo, per poi inserirlo».I dati dell'anteprima del Rapporto curato dall'Osservatorio della Fondazione tracciano l'esito occupazionale degli stage 2013-2018 registrando la situazione contrattuale entro i sei mesi dalla conclusione del percorso formativo: la maggior parte degli stagisti assunti (38,9%) ha un contratto a tempo determinato; una percentuale simile (35,2%) ha un apprendistato, e un 20,3% un contratto a tempo indeterminato.La percentuale di assunzione post stage per i tirocini della Fondazione Lavoro è pari a 60,2%, ma se poi si va a spacchettare il dato per aree geografiche, a fronte delle Regioni del Nord dove il dato è pari a 63,5% e di quelle del Centro dove ad essere assunti sono stati il 62,5% dei tirocinanti passati attraverso la Fondazione, per le Regioni del Sud questa percentuale sprofonda di quasi dieci punti percentuali, fermandosi a 54,7% – che è, comunque, più della media nazionale rilevata dal Ministero del Lavoro.Allargando lo sguardo, Capitanio evidenzia come questi tirocini abbiano generato «59.700 posti di lavoro senza nessun costo per il sistema pubblico», in quanto i tirocini gestiti dalla Fondazione non prevedevano finanziamenti pubblici.Ma il tallone d’Achille resta la formazione. «I profili richiesti dalle aziende oggi sono spesso molto qualificati: la scuola non garantisce queste competenze» prosegue Silvestri: «Per questo è difficile che un’impresa si lasci scappare un dipendente che è stata costretta a formare internamente proprio perché il sistema dell’istruzione non fornisce abilità in linea con le esigenze del mercato».Dal Rapporto Tirocini emerge, inoltre, una variazione di tendenza: mentre in passato a selezionare queste figure erano soprattutto le imprese del terziario, nel 2018 in prima linea sono passate le aziende attive nel settore industrial-produttivo e nel turismo.Lo spaccato dei profili racconta che oltre un tirocinio su sette, tra quelli promossi dalla Fondazione, riguarda la mansione di commesso: sono stati quasi 4.200 gli stage per profili di “commessi delle vendite al minuto”. In seconda posizione, molto distanziati, i profili di “addetti a funzioni di segreteria” (poco meno di 2mila attivazioni) e a seguire i poco più di mille tirocini per profili di “baristi e professioni assimilate”.Un’altra interessante rilevazione focalizzata dai consulenti del lavoro – peraltro non una novità – è che la formazione tecnica offerta dagli ITS è quella che offre le migliori prospettive di impiego a breve termine. Secondo le statistiche, il tasso di allievi che trovano un’occupazione nei primi sei mesi dal diploma oscilla tra l’85 e l’89%. La Fondazione Lavoro sostiene, quindi, il tirocinio come strumento tra i più validi nell'ambito delle politiche attive volte a colmare i "fallimenti" del mercato del lavoro; quelle situazioni, cioè, in cui domanda e offerta non si incontrano in maniera spontanea. La responsabilità di completare la formazione passa dalla collettività alla singola azienda, determinando uno sgravio per il sistema dell'istruzione - che difficilmente riesce a restare sulla frontiera dell'innovazione tecnica e manageriale - e un vantaggio per il giovane, che riceve competenze aggiornate. Ma ci guadagna anche l'impresa, che trasmette valori e metodi di lavoro a soggetti perlopiù freschi di studi, e quindi potenzialmente più ricettivi. La filosofia della formazione interna ha preso piede da anni nel mondo delle corporations anglosassoni, dove "graduate programs" pluriennali propongono agli aspiranti dirigenti una crescita graduale e "dal basso". Ispirandosi forse all'ambito sportivo, dove c'è una lunga tradizione in questo senso, di cui Barcellona con la sua "cantera" e l'Ajax sono gli esempi più noti.