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I “laureati-imprenditori” sono solo il 7 per cento del totale, ma le loro aziende sono le più vitali

La quota dei laureati che finora si è cimentata come imprenditrice è del solo 7,1 per cento per un totale di 205mila laureati. È quanto emerge da uno studio, il primo sull'argomento, presentato qualche settimana fa a Roma e realizzato da Almalaurea in collaborazione con Unioncamere. Obiettivo era indagare sull'imprenditorialità dei laureati italiani. E incrociando i dati relativi al tessuto imprenditoriale nostrano e quelli dei circa 2 milioni e 900mila laureati tra il 2004 e il 2018, le imprese fondate da laureati sono risultate essere 236mila, di cui la quasi totalità, il 96 per cento, microimprese con un fatturato inferiore ai due milioni di euro l'anno.  «Le imprese fondate da laureati rappresentano il 3,9 per cento del totale delle imprese presenti in Italia a settembre 2019» recita il comunicato. Se è vero quindi che, come sottolinea Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea, «è confortante sapere che i nostri laureati hanno un significativo spirito imprenditoriale», i laureati imprenditori sono mosche bianche rispetto alla platea complessiva. «Sembrerebbe quasi che la laurea disincentivi l'imprenditorialità» fa notare nel suo intervento Alberto De Toni, presidente della fondazione che riunisce i rettori italiani, la Crui.Succede «perché i laureati vogliono capitalizzare l'investimento: hanno fatto studi costosi e lunghi» e vorrebbero da subito trovare una sistemazione. «Chi non ha studiato rischia meno perché ha possibilità inferiori di trovare impieghi dequalificati». Non a caso i laureati fanno impresa più tardi (oltre la metà «ha conseguito il titolo negli ultimi dieci anni, il 41,5 per cento da più di dieci anni» evidenzia lo studio), «perché preferiscono entrare in grandi gruppi aziendali per perseguire opportunità di carriera». Una volta lì «si stabiliscono nei settori più tecnici, vedono poco il mercato e non si accorgono del gap tra domanda e offerta, che è quello che fa scaturire l'idea per un'impresa». Altra nota dolente, che ribadisce la staticità dell'ascensore sociale italiano, il dato sulle famiglie di origine dei laureati imprenditori. Rivela lo studio che «l’11,5 per cento ha un padre imprenditore», quando «la quota scende al 4,7 per cento nella popolazione generale dei laureati». C'è poi un 39 per cento con un padre libero professionista, mentre i genitori impiegati e operai rappresentano in questo gruppo di laureati rispettivamente il 21 e il 13 per cento, contro il 29 il 19 dei laureati in generale. «Anche in questo campo, come in quello dell'orientamento, il contesto socio-economico della famiglia esercita un ruolo decisivo» rimarca Dionigi.La buona notizia è però che le imprese fondate da lavoratori hanno il vento in poppa. Chi decide di fondare un'impresa, se ha la laurea, ha più successo e riesce a affermarsi nel lungo termine sul mercato. «Delle 9821 nate nel 2009» si legge nel comunicato, «dopo dieci anni è ancora attivo il 54,8 per cento, ovvero circa 5400 imprese». A livello complessivo nazionale va invece peggio, «perché delle 312mila attività lanciate nel 2009 ne resiste meno della metà, il 40,6 per cento». Ed è un peccato quindi, considerando i loro brillanti risultati, che i laurati imprenditori costituiscano una così ristretta cerchia. La prova del nove che le aziende dei laureati godano di maggiore salute la dà anche il loro tasso di crescita, ovvero «il rapporto tra il saldo fra iscrizioni e cessazioni, per ogni anno di osservazione, e lo stock delle imprese di laureati» specifica lo studio. Un dato anche questo positivo perché la percentuale di crescita delle aziende in mano a chi possiede studi accademici risulta in aumento negli ultimi dieci anni, «passando dal 2,2 per cento del 2009 al 3,7». A livello nazionale invece diminuisce dall’1,2 allo 0,5. «Le imprese create dai laureati sono più vitali» è il commento di Marina Timoteo, direttore del consorzio Almalaurea. E lo dimostra anche la particolarità che «assumano forme giuridiche più complesse». Il report illustra infatti anche come tra le imprese fondate da laureati «la percentuale di società di capitale è cresciuta del 65 per cento, il doppio rispetto al livello nazionale».In più, prosegue Timoteo, «queste imprese contribuiscono a creare opportunità di lavoro anche nelle aree del territorio italiano in difficoltà»: il numero maggiore di imprese a firma di un laureato si trova infatti al Sud (sono oltre quattro su dieci), mentre il 37 per cento è localizzato nel Nord e il 21 al Centro. Una ripartizione disomogenera rispetto al resto delle aziende nazionali, insediate al Settentrione per il 45 per cento. «Laurearsi in definitiva conviene» conclude Timoteo, «perché si hanno più chances di fare impresa e farla durare». L'auspicio di Dionigi è che «la cultura imprenditoriale sia incentivata attraverso attività di orientamento e promozione di competenze che ne facilitino la diffusione». E l'università, fa eco Tiziana Pascucci del comitato scientifico di Almalaurea, «ha un disperato bisogno di queste informazioni per regolare le proprie strategie e i fondi a disposizione se l'obiettivo che abbiamo è un mondo del lavoro più attivo». Niente di più necessario per la congiuntura economica attuale del Paese. Va detto però che «alcune tra le aziende più grandi al mondo sono state fondate da non laureati» rilancia Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. Quindi non solo in chi studia va riposta la speranza che sviluppi spirito imprenditoriale, ma anzi «la nostra esigenza è che tutto il sistema produttivo sia di successo perché ha un effetto moltiplicatore e fa sì che non si brucino risorse». Creare un'azienda «richiede elementi che non si esauriscono nelle conoscenza universitaria» ed è su questo che le Camere di commercio devono dare il proprio contributo ponendo le condizioni affinché nascano imprese, e durino nel tempo.Ilaria Mariotti  

Tirocini curricolari per studenti universitari, la Regione Campania li finanzia con un milione di euro

Un finanziamento per tirocini curricolari di orientamento alle professioni destinato ai giovani dai 18 ai 35 anni iscritti a un corso universitario, anche master e dottorati, presso le università campane: è la notizia contenuta nell’avviso pubblico destinato agli atenei regionali e pubblicato ai primi di dicembre sul Bollettino ufficiale della Regione Campania. Un’iniziativa importante perché i tirocini in questione, al contrario dei più fortunati extracurricolari, non sono stati interessati dalle novità normative degli ultimi sei anni. Il che significa, tra le altre cose, che non hanno ancora nessuna tutela sul fronte indennità. Proprio per questo motivo a fine settembre 2018, Massimo Ungaro, ex PD ora passato nelle file di Italia Viva, aveva presentato alla Camera una proposta di legge, scritta insieme alla Repubblica degli Stagisti, per aggiornare il quadro normativo degli stage curricolari. Nel testo si propone di rendere obbligatoria un’indennità mensile minima garantita di 350 euro al mese per tutti i tirocini sopra le 160 ore, cioè un mese.E l’avviso della Regione Campania non solo parla di rimborso spese per i tirocini curricolari, ma prevede anche una somma doppia rispetto alla minima indicata nella proposta di legge. Il finanziamento è di 1 milione 100mila euro, per attuare l’obiettivo tematico 10 che mira a rafforzare la parità di accesso all’apprendimento permanente per tutte le fasce di età. In pratica, attraverso questo avviso, le università con gli ordini professionali e le associazioni di professionisti, potranno prevedere progetti di orientamento alle professioni e il finanziamento di tirocini curricolari, appunto, fino a sei mesi con un rimborso spese mensile di 700 euro.L’avviso è alla sua seconda edizione: il primo era stato pubblicato nel 2017. «Al momento i risultati della prima edizione non sono ancora completi», spiega alla Repubblica degli Stagisti Chiara Marciani, assessora alla formazione. Questo anche perché «dei sette progetti finanziati non tutti si sono conclusi. E per ogni progetto cambia il numero di partecipanti visto che hanno previsto modalità diverse a seconda dei profili e delle peculiarità. Si va, ad esempio, dai trenta stagisti dell’Università Vanvitelli che aveva un progetto multisettoriale, dall’architetto all’ostetrica, ai centodieci di ingegneria della Federico II». Il budget per il bando precedente era un po' più alto, un milione e mezzo di euro –, in grado di coprire le indennità per 500 tirocini semestrali.Grazie al progetto, quindi, gli studenti hanno la possibilità di avvicinarsi al settore delle libere professioni, capire praticamente in che cosa consistono e ricevere anche un buon rimborso spese. «Molto spesso i giovani iscritti ad alcune facoltà non hanno le idee chiare sulla loro professione futura», spiega Marciani. Da questo presupposto è partito il primo avviso del 2017.A cui, due anni e mezzo dopo, è seguito questo. «In questo modo possono entrare nel vivo di un percorso lavorativo e capire se corrisponde o meno alle loro aspettative». L’esempio pratico che fa l’assessore è quello di alcuni studenti di ingegneria che dopo questa “prova” di libera professione hanno realizzato di voler puntare più su un lavoro all’interno di un’impresa. E poi, aggiunge, «Le imprese sono già oggetto di parternariati con varie università, mentre le professioni non sempre sono oggetto di tali accordi e possibilità».Ora, quindi, l’avviso è aperto per le università e gli ordini e associazioni professionali che entro le ore 12 del 16 gennaio 2020 possono presentare tutta la documentazione. A quel punto i progetti saranno esaminati e una volta stabiliti i vincitori del bando e sottoscritto l’atto di concessione con i progetti vincitori, gli atenei pubblicheranno gli avvisi per la selezione dei tirocinanti. I tempi, assicura l’assessora, dovrebbero essere abbastanza ristretti, visto che dalla pubblicazione della graduatoria passeranno circa tre mesi prima della diffusione degli avvisi. Che saranno diretti, quindi, a studenti non occupati, tra i 18 e i 35 anni, delle università che aderiscono al parternariato che siano residenti in Campania e che non abbiano in corso un rapporto di lavoro di alcun tipo con il soggetto ospitante né rapporti di parentela fino al terzo grado con persone dell’organo di governo del soggetto ospitante né abbiano già partecipato come destinatari ad altre iniziative di tirocinio curriculare o orientamento finanziate con fondi comunitari.Ognuna delle proposte progettuali dovrà prevedere esplicitamente l’indennità di partecipazione per il tirocinante per un importo totale di 4mila 200 euro. Cifra che, in caso di soggetti disabili, sale a un massimo di 8mila 400 euro, visto che lo stage, in questo caso, durerà un anno. L’importo massimo previsto per progetto, invece, è pari a 110mila euro, con un numero minimo di partecipanti pari a 15. Lo stage durerà massimo sei mesi con una prima fase di orientamento e una seconda, dai quattro ai cinque mesi, presso il soggetto ospitante per un monte ore totale che non potrà essere inferiore alle 450 ore.Rispetto all’avviso del 2017 ci sono stati dei miglioramenti: in quel caso, infatti, le risorse erano sì maggiori con un importo massimo finanziabile per progetto di 200mila euro. Ma ogni proposta progettuale prevedeva un coinvolgimento minimo di 30 tirocinanti per un rimborso lordo mensile che si fermava a 500 euro.I progetti di tirocinio sono, quindi, presentati dalle università e dagli ordini o associazioni professionali, grazie a questi partenariati sono selezionate le aziende o gli studi ospitanti e una volta pubblicati gli avvisi per i tirocini dai signoli atenei gli stagisti riceveranno il rimborso spese alla fine di ogni mese direttamente dalle università che ricevono le risorse dalla Regione Campania. «Non dovrebbero esserci lunghe attese visto che le singole università ricevono l’anticipo proprio per questo», spiega l’assessore. Il bando, infatti, prevede che gli atenei abbiano un anticipo pari al settanta per cento dell’importo ammesso a finanziamento una volta inviata la comunicazione di avvio dell’attività e il restante trenta per cento a conclusione del progetto, sulla base dell’effettiva realizzazione dell’intervento proposto. Somme comunque subordinate all’esito positivo dei controlli da parte degli uffici competenti.Se il soggetto beneficiario è l’università in partenariato con gli ordini professionali, il soggetto ospitante sono invece i professionisti, in forma singola o associata, gli ordini professionali, i collegi, le imprese o altri soggetti privati che siano in regola con la normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, non abbiano in corso procedure di cassa integrazione straordinaria, utilizzino il tirocinante esclusivamente per gli obiettivi formativi del tirocinio e non per sostituire contratti a termine, sostituzioni maternità o ferie.Obiettivo del progetto è completare la formazione universitaria dei giovani con percorsi formativi-professionali di alta qualità per mettere in pratica uno dei pilastri della strategia Europa 2020 per una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva.Normalmente i tirocini curricolari attivati dalle università campane non prevedono delle indennità, anche se può capitare - spiegano ad esempio dall’ufficio placement del Suor Orsola Benincasa - che «qualche struttura preveda un rimborso spese». Ultima in ordine di tempo è stata l’Agenzia Regionale Universiadi che per la manifestazione che si è svolta nei primi quindici giorni di luglio «prevedeva un rimborso forfettario tra i 500 e i 700 euro», applicato agli studenti di vari atenei campani. Ora, quindi, è tempo per le università di inviare le proposte progettuali all’indirizzo pec indicato all’interno del bando. Ai giovani non resta che aspettare la pubblicazione dei successivi avvisi di stage. Nel frattempo il lavoro dell’assessorato alla formazione della regione Campania continua con la pubblicazione dei nuovi avvisi Garanzia giovani destinati alla formazione.   Marianna Lepore

Perché i giovani italiani non studiano informatica? Oggi i risultati dell'indagine RdS-Spindox

Perché i giovani italiani, e soprattutto le giovani, non studiano materie informatiche, quando invece il mercato del lavoro cerca in continuazione candidati con competenze informatiche, e si dimostra disponibile a “premiarle” con percorsi di assunzione più veloci, condizioni contrattuali migliori rispetto alla media, e salari più alti? Cosa frena gli studenti delle scuole medie e delle superiori dallo scegliere percorsi formativi che mettano al centro i linguaggi informatici, il coding, l'analisi dei dati, la gestione di database, la creazione di app?La Repubblica degli Stagisti ha scelto di indagare questo problema che tiene ogni anno migliaia di giovani “lontani” da percorsi professionali che potrebbero essere soddisfacenti e stimolanti. Per farlo si è alleata con uno dei membri del suo network di aziende virtuose, la società di consulenza informatica Spindox, e ha chiamato in causa la realtà forse più autorevole in Italia nel campo dell'indagine statistica sui giovani, e cioè l'Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo. Il risultato è stato una ricerca che Ipsos ha svolto su un campione rappresentantivo di ben 2mila persone tra i 20 e i 34 anni, che hanno risposto a una serie di domande per approfondire come lo studio e la percezione delle professioni informatiche vengono percepite dai giovani italiani.I risultati completi della ricerca vengono presentati oggi per la prima volta a Milano – l'appuntamento è alle 11 alla Sala Conferenze del Museo del Novecento – dai tre promotori e realizzatori della ricerca (Eleonora Voltolina per la Repubblica degli Stagisti, Paolo Costa per Spindox, Alessandro Rosina per l'Istituto Toniolo), con un saluto istituzionale dell'assessora comunale all'Innovazione Digitale Roberta Cocco, da sempre molto attenta a questi temi. A moderare la presentazione Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera e grande esperto di lavoro. A fine novembre, in occasione del festeggiamento per il decennale della Repubblica degli Stagisti, erano stati diffusi i primissimi dati emersi dalla ricerca: alcuni highlight che avevano già focalizzato i due principali risultati dell'approfondimento. Il primo: troppe donne restano lontane da queste materie perché persiste tutt'oggi un enorme stereotipo di genere che disegna lo studio dell'informatica, così come le professioni ICT, come “roba da maschi”. Il secondo risultato è che una percentuale altissima del campione intervistato – oltre un terzo! – dichiara che, se al momento di scegliere la scuola superiore o l'università avesse conosciuto il ventaglio di sbocchi lavorativi offerti dalle competenze informatiche, avrebbe considerato con molta più attenzione la possibilità di scegliere un percorso formativo che mettesse al centro queste materie.Oggi la ricerca viene raccontata nella sua interezza e messa a disposizione della collettività: perchè molto si può fare, a livello di policy pubbliche e private, per raddrizzare la rotta e ridurre nei prossimi anni il mismatch tra domanda e offerta di lavoro in questo campo. Impegnandosi per abbattere lo stereotipo di genere che tiene lontane le ragazze dall'informatica, e portando i professionisti di questo settore nelle scuole, facendo orientamento, raccontando ai giovani (e sopratutto ai giovanissimi) quali buone opportunità di lavoro e di carriera le competenze informatiche siano in grado di offrire.

Combattere gli stereotipi di genere, Girls@Bosch porta la robotica alle bimbe delle elementari

Le ragazze non fanno le programmatrici. Non fanno le meccaniche, non fanno le informatiche, non fanno le ingegnere. O meglio: fanno questi mestieri, ma poco – molto di meno, in percentuale, rispetto ai coetanei maschi. Perché la cultura in cui crescono scoraggia le donne dallo studiare materie scientifiche. Eppure sono proprio queste competenze ad essere oggi le più richieste dal mondo del lavoro, e in prospettiva lo saranno sempre di più. Quindi bisogna trovare un modo per ribaltare la cultura che oggi è dominante, convincendo le ragazze a non aver paura di queste materie.Ma quando, di preciso, è opportuno cominciare queste “opere di convincimento”? «A gennaio le famiglie degli studenti che frequentano la terza media devono scegliere le scuole superiori a cui iscrivere i figli. Dunque ogni anno a fine ottobre noi apriamo le nostre scuole e facciamo orientamento: parliamo con le famiglie e coi ragazzi» racconta Anna Borando, dirigente scolastica dell’Istituto di istruzione secondaria superiore Galilei-Luxemburg di Milano: «Nelle famiglie e nelle stesse ragazzine già in seconda e terza media c’è uno stereotipo forte, per cui quando proponiamo il nostro corso di meccanica alle ragazze loro dicono “No, noi vogliamo fare scienze sociali, vogliamo fare il liceo linguistico”. Nemmeno lo scientifico prendono in considerazione! Hanno veramente un’idea forte del fatto che ci siano alcuni percorsi per ragazzi e alcuni per ragazze, e scelgono il percorso per le ragazze. Quindi abbiamo detto: partiamo prima. Se alle medie è troppo tardi, forse è meglio anticipare alla scuola primaria».E dunque l’idea è prendere un gruppo di bambine di dieci anni, all’ultimo anno di elementari, e coinvolgerle in un progetto laboratoriale, affinché con le loro mani possano costruire qualcosa, dare vita a un progetto scientifico-tecnologico.Ma le scuole non possono fare tutto da sole. Hanno bisogno del supporto di aziende disponibili a lavorare con loro su progetti che avvicinino le bambine all’applicazione concreta di ciò che si studia in classe. Aziende che possibilmente già siano sensibili al tema dell’importanza di incentivare le donne a scegliere percorsi di studio Stem, cioè incentrati sulla scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica.Un’azienda che risponde a questo identikit è Bosch, che già da anni porta avanti il progetto women@bosch per aumentare la presenza di professioniste e manager donne all‘interno dell’azienda, con l’obiettivo di avvicinare le laureande in ingegneria al mondo Bosch, metterle in contatto diretto con professioniste e donne manager del gruppo Bosch e in generale favorire il passaggio dall‘università al mondo del lavoro, aiutando le ragazze a maturare una maggiore consapevolezza sulle chance future. Quest’anno il passo in più si chiama Girls@Bosch: un laboratorio di robotica progettato e organizzato da Bosch TEC per bambine di quinta elementare, con l’obiettivo di stimolare la diffusione della cultura Stem e contribuire all’eliminazione degli stereotipi e pregiudizi di genere, attraverso un percorso che alimenti nelle bambine la passione per le materie scientifiche. Le partecipanti sono dodici bambine di quinta elementare e diciotto studenti di quarta superiore di un istituto tecnico ad indirizzo meccanico, che è proprio – appunto – il Galilei-Luxemburg guidato da Borando. Naturalmente sono coinvolti anche i docenti delle classi coinvolte, e Bosch fornisce personale qualificato in grado di offrire un percorso di formazione tecnico/didattico specifico.Il progetto, alla sua prima edizione, si dipana in otto giornate suddivise in sedici moduli formativi. Alle bambine viene innanzitutto spiegato cos’è un robot, e poi vengono coinvolte in un gioco robot-programmatore, anche con il supporto di Lego, disegni, fino ad arrivare ai rudimenti della programmazione con Scratch. Ma quale sarà il risultato finale di questo laboratorio, cosa creeranno le bambine?«Questo è l’anno leonardiano, quindi in tutte le scuole si sta celebrando questo genio italiano, e quindi abbiamo l’obiettivo di “robotizzare” un’opera di Leonardo» spiega Sabrina Castellan, direttrice Training Recruiting and Development di Bosch [nell'immagine]: «Con questo laboratorio andiamo in un certo senso ad aggiungere con la robotica quel pezzettino che all’epoca mancava a Leonardo. Attraverso la programmazione faremo muovere l’Ermellino della Dama con l’ermellino!» L’opera è stata scelta sopratutto perché gli organizzatori pensavano che un piccolo animale potesse essere attraente per le bambine. «Mentre le ragazzine della scuola media hanno già un’idea molto stereotipata, le bambine di scuola primaria hanno un’apertura mentale sicuramente più ampia» riflette ancora Borando: «Questo progetto ha la finalità di insegnare loro che possono fare quello che vogliono. Sono coinvolti anche una ventina di studenti della classe quarta del corso di meccanica e meccatronica del nostro istituto tecnico professionale, e due di loro sono ragazze!»  il che si traduce in un role model per le bambine, «una testimonianza autentica da parte di queste studentesse per le nostre piccole studentesse di meccanica».Già dall’estate Bosch è stata impegnata nel progetto con la fase di formazione dei giovani “tutor”. Poi con l’inizio dell’anno scolastico sono cominciati i laboratori con le bambine, che provengono da tre plessi diversi (quattro partecipanti per ogni plesso) di uno stesso istituto comprensivo. Da notare che uno dei tre plessi è il famoso “Paravia”, una scuola molto difficile del territorio milanese, con un’utenza quasi esclusivamente straniera e molti problemi legati all’integrazione di bambini e famiglie. Le dodici bimbe hanno «lavorato nel nostro laboratorio di Meccanica insieme ai ragazzi. I ragazzi sono tutor delle bambine, si sono divisi in gruppi quindi ogni bambina ha come riferimento uno o due studenti, e hanno iniziato a lavorare sul coding, per programmare a livello informatico già realizzando delle storie animate alcune di altissimo profilo, ambientate a New York, a Milano, nel futuro, quindi hanno una fantasia straordinaria, e hanno imparato a usare il programma Scratch. Si sono integrate bene nel contesto, lavorano tanto».«I ragazzi si sono messi alla prova, hanno studiato insieme a noi il programma, e quello che ci ha colpito è stato l’entusiasmo che abbiamo visto nei genitori, nelle bambine – di sicuro frutto di chi ci crede e mette tanta passione nella propria attività» dice ancora Sabrina Castellan di Bosch: «Abbiamo ricevuto già richieste di replicare questo progetto in altre scuole, in altre città dove Bosch è presente, e il nostro obiettivo è che diventi un progetto italiano. Il Miur ci ha patrocinato questa iniziativa: è una goccia nell’oceano del discorso della diversity, però di sicuro è un punto di inizio e un contributo concreto».La presentazione finale del progetto, intitolata “Stop agli stereotipi”, avrà luogo a Milano domani, giovedì 5 dicembre, a partire dalle 17:30 presso l’Auditorium Robert Bosch, in via Marco Antonio Colonna 35. Per partecipare all’evento ci si può iscrivere direttamente dal sito di Bosch. 

Bando per 7mila volontari nell’Esercito italiano, la prima scadenza è per 1.750 posti

La Repubblica degli Stagisti continua ad approfondire il tema dei concorsi pubblici per entrare a far parte delle Forze armate italiane. Il prossimo in scadenza è il bando per 7mila volontari in ferma prefissata (VFP 1) nell’Esercito italiano, concorso suddiviso in quattro blocchi di incorporamento con scadenze differenziate: la prima è mercoledì 18 dicembre. La selezione rientra tra le 12mila nuove assunzioni e concorsi che riguardano Guardia di Finanza, Polizia, Polizia Penitenziaria, Carabinieri e Vigili del Fuoco e che consentiranno nei prossimi mesi un ringiovanimento della forza lavoro. Al bando possono partecipare i nati dal 18 dicembre 1994 al 18 dicembre 2001, quindi chi ha tra i 18 e i 25 anni. È necessario, poi, avere la cittadinanza italiana e aver conseguito il diploma di istruzione secondaria di primo grado, l’ex scuola media inferiore. Nel caso di titolo conseguito all’estero è necessario essere in possesso dell’equipollenza.Il volontario in ferma prefissata è un militare che presta servizio per un anno nell'Esercito, nella Marina o nell'Aeronautica ed è una figura introdotta con la legge 226 del 2004, che ha stabilito la sospensione del servizio di leva. Questo reclutamento, quindi, consente il primo passo verso una carriera militare.Il primo dei quattro blocchi di incorporamento è per 1.750 posti, con incorporazione prevista nel mese di giugno 2020. Per gli altri blocchi le scadenze saranno dal 24 febbraio al 24 marzo 2020, dal 19 maggio al 17 giugno 2020 e dal 2 settembre al 1° ottobre 2020. I 1.750 posti saranno così suddivisi: 1.655 per incarico o specializzazione assegnato dalla forza armata, 20 per elettricista infrastrutturale, 20 per idraulico infrastrutturale, 20 per muratore, 10 per fabbro, 20 per falegname, 3 per meccanico di mezzi e piattaforme, 2 per operatore equestre.Requisito per accedere, dunque, è il diploma di scuola media inferiore, ma chi ha il diploma di maturità o una laurea non è escluso dalla selezione. Anzi, avrà diritto a dei punteggi aggiuntivi in fase di valutazione dei titoli di merito, come specificato nell’allegato A del bando. Il diploma di istruzione secondaria di secondo grado dà, infatti, diritto dai cinque agli otto punti in più, a seconda della votazione riportata. Se, invece, si è in possesso di una laurea triennale i punti aggiuntivi – non cumulabili con quelli della maturità – sono dieci, che salgono a dodici se la laurea in possesso è magistrale o specialistica.Il concorso è molto ambito, quindi la competizione è piuttosto alta: basti pensare che dal 2015 a oggi per i cinque bandi annuali, suddivisi in quattro blocchi di immissione (dal prossimo anno diventeranno tre) che ricercavano complessivamente oltre 45mila 600 volontari, la media annua di domande è stata di 60mila, di cui poco più del 16 per cento di donne, dato al momento in crescita. Il che significa che per oltre 45mila posti sono arrivate circa 300mila domande. Ma perché un giovane dovrebbe decidere di fare il volontario in ferma prefissata nell’Esercito? «Perché è il primo passo per costruirti un futuro solido» risponde il sito: «Perché avrai un’indipendenza economica immediata, perché vivrai un’esperienza formativa fuori dal comune che ti consentirà di essere pronto ad affrontare sia la carriera militare che una professione civile». Un aspetto non di poco conto, infatti, è proprio la retribuzione: i volontari ricevono circa 1.050 euro al mese a partire dal primo giorno di ferma, con una maggiorazione di 50 euro mensili per i VFP1 che sceglieranno di prestare servizio nei reparti alpini e sono previsti i contributi previdenziali validi a fini pensionistici. Al termine della ferma di un anno, poi, i volontari possono concorrere per l’immissione nella ferma quadriennale VFP4 delle Forze Armate, di cui come VFP1 sono unici destinatari, o nelle carriere iniziali delle forze di polizia. E se dovessero risultare idonei ma non vincitori di concorso per VFP4 potranno essere ammessi a domanda e nel limite dei posti disponibili a due successivi periodi di rafferma della durata di un anno ciascuno. Ai volontari in ferma prefissata che lasciano la Forza Armata senza demerito, poi, sono riservati il 30 per cento di posti nelle assunzioni delle Pubbliche amministrazioni, il venti per cento nei concorsi per l’accesso alle carriere iniziali dei corpi di polizia municipale e provinciale e il cinquanta per cento dei posti messi a concorso per l’immissione nei ruoli civili del personale non dirigente della Difesa.  Per partecipare al concorso è necessario andare sul sito del ministero della Difesa nella pagina Concorsi on-line, ma prima bisognerà dotarsi delle credenziali Spid, il sistema pubblico di identità digitale, o di una smart card. L’opzione più semplice è richiedere le credenziali Spid che consentono l’accesso a tutti i servizi online della Pubblica amministrazione attraverso il sito attivato dall’Agenzia per l’Italia digitale. A questo punto ci si registra sul portale fornendo i propri dati e si riceve una userid e password per accedere al proprio profilo sul sito. Una volta effettuato l’accesso si può procedere alla compilazione della domanda, ricordandosi di allegare in formato pdf tutta la documentazione attestante il possesso dei titoli di merito dichiarati. Fatto l’invio, si riceverà un messaggio di posta elettronica dell’avvenuta acquisizione che dovrà essere esibito ed eventualmente consegnato durante la prima prova. Le domande già inoltrate potranno essere aggiornate, integrate e modificate entro la scadenza del termine di presentazione.A questo punto comincerà la valutazione dei titoli di merito per l’elaborazione delle graduatorie di selezione, fase che andrà avanti fino al 7 febbraio 2020 e porterà alla formazione di una graduatoria generale e di sette distinti elenchi per ciascuna tipologia di posto. Il 10 febbraio sul sito Concorsi.difesa.it sarà pubblicato l’elenco dei convocati alle selezioni per lo svolgimento delle prove di efficienza fisica, indicate nel bando. Proprio per questa fase può essere utile dare un’occhiata al vademecum per la preparazione fisica e ai parametri per i test. Le prove di efficienza fisica cominceranno il 24 febbraio e i candidati ammessi dovranno presentarsi con un certificato medico attestante l’idoneità all’attività sportiva agonistica per l’atletica leggera e, se di genere femminile, con originale o copia conforme del referto del test di gravidanza con esito negativo eseguito non più di cinque giorni prima della convocazione. Questo perché lo stato di gravidanza costituisce temporaneo impedimento all’accertamento dell’idoneità al servizio militare. Superati gli accertamenti psicofisici e attitudinali, verranno stilate e pubblicate il 28 maggio 2020 otto distinte graduatorie per ognuno dei profili ricercati. A questo punto i candidati ammessi alla ferma prefissata di un anno saranno convocati a partire dall’8 giugno 2020 presso i reggimenti indicati dallo Stato maggiore dell’Esercito, dove saranno sottoposti a visita medica per controllare il mantenimento dei requisiti di idoneità richiesti. In fase di “incorporazione” dovranno anche presentare il proprio Iban di conto corrente per l’accredito dello stipendio. Per chi non dovesse superare la selezione, è ammessa la possibilità di ripresentare domanda per i blocchi successivi. Perché arruolarsi, dunque? Per il più evidente vantaggio economico nel breve termine – l’indipendenza economica – e per ottenere punteggi aggiuntivi per i concorsi in polizia, carabinieri, guardia di finanza. Oggi, poi, il ministero prevede un nuovo progetto “Sbocchi occupazionali”, rivolto anche ai VFP1 congedati senza demerito con misure d’intervento sui singoli soggetti e incontro tra domanda e offerta di lavoro. Se, quindi, il mondo militare non sarà più tra gli obiettivi di vita, si sarà aiutati a trovare un successivo inserimento lavorativo. Non resta, quindi, che armarsi di Spid e procedere alla compilazione della domanda.Marianna LeporeFoto a sinistra: da sito esercito.difesa.it

Dieci anni di Repubblica degli Stagisti: i risultati, le alleanze, le sfide per il futuro

Sono passati dieci anni da quel 2009 in cui andammo online con questo nostro nome bizzarro, “Repubblica degli Stagisti”, una versione riveduta e corretta della formulazione delle prime parole dell'articolo 1 della Costituzione. La prima testata giornalistica online interamente dedicata all’occupazione giovanile e al mondo dello stage, impegnata in prima linea per difendere i diritti degli stagisti, cambiare le regole del gioco – a cominciare dalle normative – per garantire ai giovani delle migliori condizioni in ingresso, e incentivare le imprese a offrire delle buone condizioni ai giovani.In occasione del nostro decennale abbiamo voluto realizzare un video che ripercorresse, in meno di un minuto e mezzo, i risultati raggiunti in questi primi dieci anni: lo si può vedere qui. Abbiamo celebrato nei giorni scorsi questo  decennale a Milano con una serata speciale  al teatro Filodrammatici, grazie al sostegno di due aziende – Spindox e Danone Company – che fanno parte del nostro RdS network, il circuito di aziende virtuose che si impegnano a garantire ai giovani trasparenza e buone condizioni di stage. All'evento hanno partecipato molti di coloro che hanno fatto in questi primi dieci anni un pezzetto di strada con noi, portando avanti una battaglia, un progetto, dando voce alle nostre istanze. Tra gli ospiti anche l'assessora al Lavoro del Comune di Milano, Cristina Tajani, con cui nel 2012 e quest'anno abbiamo collaborato alla “mappatura” degli stage attivati dai soggetti promotori del territorio di Milano, portando alla luce una enorme mole di dati utilissimi per capire il fenomeno; e la parlamentare Lia Quartapelle, che ha ripercorso le tappe che hanno migliorato il programma di tirocini all'estero presso ambasciate e consolati (oggi denominato "Maeci-Crui"), introducendo finalmente una indennità che prima non c'èra; e la sindacalista Marta Pepe, che ha raccontato il progetto di videopillole informative "StaGeneration" scaturito dalla collaborazione con la Cisl Lombardia.Durante la serata, presentata dal giornalista Luigi Casillo di Sky Tg 24, abbiamo premiato le quattro aziende che ci sostengono fin dal primo giorno, e che festeggiano quindi i dieci anni di adesione al network: aderirono quando ancora la Repubblica degli Stagisti era solo un'idea, e ci hanno sostenuto anno dopo anno. Sono Everis, Ferrero, Sic servizi integrati e consulenze e il gruppo Nestlé Italia.Nel corso dell'evento Alessandro Rosina, direttore del centro di ricerca LSA (Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali) dell'università Cattolica, ha anche presentato in anteprima i dati di una ricerca pensata da RdS insieme a Spindox e commissionata, proprio in occasione del decennale, all’Istituto Toniolo. L'indagine, svolta da Ipsos su un campione rappresentativo di 20-34enni, ha indagato il tema del mismatch tra domanda e offerta di lavoro in particolare cercando di scoprire perché i giovani studino così poco informatica, malgrado le competenze informatiche siano così richieste dal mercato del lavoro. I dati completi della ricerca saranno presentati prima di Natale.E così i primi dieci sono passati. Cominciano adesso i prossimi dieci: che saranno, ci scommettiamo, pieni di battaglie, proposte, idee e progetti. Con un unico obiettivo: migliorare la vita dei giovani italiani che si affacciano al mondo del lavoro.

JPO Programme, 40 posti per giovani italiani nella cooperazione internazionale: lo stipendio è più di 40mila euro all'anno

Ritorna anche quest’anno il programma Giovani Funzionari delle Organizzazioni Internazionali, noto anche come programma JPO, promosso dalla Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo e curato dal dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UN/DESA).  Il JPO offre a giovani italiani l’opportunità di svolgere un’esperienza formativa e professionale nelle organizzazioni internazionali per un periodo di due anni, consentendo a chi è interessato alla carriera internazionale di compiere esperienze utili per un eventuale lavoro futuro nelle stesse organizzazioni o in ambito internazionale. Termine ultimo per fare domanda il 10 dicembre 2019, esclusivamente online attraverso il sito www.undesa.it. Si parla mediamente di 40 posti disponibili, in analogia con gli anni precedenti, con retribuzione corrispondente al livello P2 dei funzionari delle Nazioni Unite, pari a 47mila dollari annui, circa 42mila euro, ai quali va aggiunto al quale deve essere aggiunto un adeguamento che varia da paese a paese a seconda del costo della vita locale. Il contratto comprende, oltre al salario, l'assicurazione medica, i contributi pensionistici e altre indennità. Requisiti necessari per l’invio della candidatura sono: data di nascita non precedente al 1 gennaio 1989 (1 gennaio 1988 per i laureati in medicina; 1 gennaio 1986 per i laureati in medicina che abbiano conseguito un diploma di specializzazione in area sanitaria); nazionalità italiana; ottima conoscenza della lingua inglese e italiana; laurea specialistica/magistrale o magistrale a ciclo unico, laurea triennale accompagnata da un master universitario. Gli organizzatori del programma fanno sapere che verranno prese in considerazione in fase di valutazione prevalentemente la conoscenza di altre lingue ufficiali delle Nazioni Unite o lingue parlate nei paesi in via di sviluppo, il possesso di ulteriori titoli accademici o corsi di formazione rilevanti, un’esperienza professionale, della durata di almeno un anno e il possesso di alcune capacità e competenze quali orientamento al cliente, lavoro di squadra, comunicazione, responsabilità, pianificazione e organizzazione del lavoro. Ma cosa consiglia e come considera questa esperienza chi l’ha vissuta o la vive sul campo? Lucia Vinti, 28enne di Perugia, ha una laurea in Economia e Gestione delle Imprese all'università Roma Tre e parecchi tirocini alle spalle. Da Roma, dopo un’esperienza nella consulenza, ha poi conosciuto il mondo delle istituzioni europee: prima un tirocinio nell’ufficio del vicedirettore generale della Commisione Europea e poi un altro, di 12 mesi, a Francoforte alla Banca Centrale Europea – che poi si è trasformato in un contratto di lavoro. A ottobre del 2018 la decisione di lasciare la Bce e partecipare al programma JPO: «Al Segretariato Onu il dipartimento di Management copre le stesse funzioni, ma su scala più larga – e con l'aggiunta della componente politico diplomatica, che è quella su cui sono più impegnata nella mia posizione attuale. Il Programma JPO permette a giovani laureati di entrare come funzionario nelle organizzazioni internazionali, con un contratto di lavoro di due o tre anni. Anche se il contratto non garantisce di per sè l’assunzione a pieno titolo alla fine del terzo anno, sicuramente ne aumenta esponenzialmente le possibilità». La prospettiva di un contratto di piu di 12 mesi e la possibilità di assunzione post-programma sono state per Lucia Vinti motivazioni forti abbastanza a convincerla ad inviare la domanda: «L'opportunità di lavorare in un Paese lontano e mettermi alla prova in un ambiente di lavoro del tutto nuovo a quello a cui ero stata abituata fino a quel momento è stata solo la ciliegina sulla torta. Al momento dell'invio della domanda non si può sapere per quale posizione, quale organizzazione o per quale duty station il tuo profilo verrà associato. Anche se in fase di candidatura non è possibilie indicare nessuna meta preferita, io speravo New York...» . E così è stato: «Alla fine sono stata selezionata per una posizione proprio a New York, al Segretariato delle Nazioni Unite. Lavoro nell'ufficio del sotto-segretario generale per il Management, a capo dei dipartimenti di Finanza e budget, risorse umane e sistemi informativi dell'Onu. Oltre a seguire qualche programma specifico relativo alle politiche del dipartimento di Management, come per esempio l'avanzamento dei programmi per l'eliminazione di molestie sessuali nel luogo di lavoro, o il Climate Action Plan per il Segretariato Onu, mi occupo di preparare note e documenti informativi per gli incontri del Sotto-Segretario Generale con Diplomatici o alti funzionari ONU. Mi sono trasferita da sola, a 27 anni, a New York. Qualche giorno di adattamento e poi è stato amore folle per la città». Vinti oggi vive in un appartamento a Manhattan, «una soluzione comoda, da sola a 10 minuti a piedi dall'ufficio», il famoso "Palazzo di vetro" «e a 15 da Central Park. Altri colleghi hanno preferito vivere a Brooklyn, che significa tempi di trasporto più lunghi in cambio di una vita più a portata d'uomo. In entrambi i casi i prezzi degli affitti sono folli, e per questo noi JPO riceviamo una rental allowance dall'ONU che copre circa un terzo del costo dell'affitto. Con gli altri ragazzi del programma siamo un gruppo molto unito: ci siamo conosciuti prima di partire per New York durante un training di due settimane a Torino, allo UN Staff College. Ognuno di noi lavora in uffici diversi, ma dopo il lavoro e soprattutto nei weekend, ci troviamo per vivere a pieno la città. D'altra parte, cerco di capire le contraddizioni di questa straordinaria metropoli, i suoi punti di forza economici e gli effetti non lineari che producono, ma questa è un'altra storia». Lucia Vinti ha qualche consiglio per quanto riguarda il procedimento di selezione dei candidati: «I colloqui per le Nazioni Unite sono normalmente “Competency based”. Questo significa che più che la conoscenza di fatti o dati, che si suppone il candidato abbia acquisito con le esperienze di lavoro pregresse, l’interesse dei selezionatori risiede piuttosto sulle capacità e attitudine dei candidati» spiega: «Normalmente le competenze oggetto della selezione sono elencate nei “Terms of Reference” della posizione e descritte dettagliattamente nella sezione “Careers” sito delle Nazioni Unite. Io ho affrontato la selezione con massima serenità: consapevole che la probabilità di essere presa era bassa, ma comunque sicura delle mie capacità e del valore delle esperienze lavorative passate».I dati confermano la concorrenza agguerrita: lo scorso anno, edizione 2018/2019, sono pervenute 3.064 candidature valide di cui 2.845 da cittadini italiani e 219 da cittadini provenienti da paesi in via di sviluppo e prioritari per la cooperazione italiana. «l livello della selezione è molto alto, inutile presentarsi per quello che non si è» conferma Vinti: «Dall'altra parte del tavolo ci sono selezionatori che sanno esattamente quello che cercano nel candidato ideale e spesso la differenza tra la persona scelta e il primo dei non selezionati è minima. Il mio consiglio per chi intende partecipare al programma è di costruire un curriculum più ricco possibile, lanciarsi in nuove esperienze e affrontare la selezione con la certezza del proprio valore». E dopo il JPO? «Mi piacerebbe rimanere nel sistema delle Nazioni Unite» confida Lucia Vinti: «magari lasciare New York e provare qualcosa di nuovo. Ginevra? Bangkok? Nairobi? Vedremo!» Dagli Stati Uniti al Kenya con Stefano Consiglio, 31 anni, una laurea magistrale in giurisprudenza e un master in diritto internazionale e tutela dei diritti umani. «Ho avuto l’onore e l’onere di essere il primo JPO dell’International Development Law Organization, IDLO. Essere il primo JPO di un’organizzazione mette una certa pressione, in quanto la tua performance fungerà da riferimento per tutti i successivi JPO. Questo primato, tuttavia, mi ha permesso di espandere gradatamente le mie funzioni, non limitandomi ai termini del contratto».Consiglio ha iniziato a lavorare per l’IDLO in Kenya a gennaio di quest'anno,  contribuendo al rafforzamento dello stato di diritto tramite progetti mirati ad avanzare l’accesso alla giustizia, la tutela dei diritti delle donne, la protezione delle risorse naturali e la facilitazione dei processi di giustizia tradizionale: «Questo lavoro ha rappresentato per me l’occasione perfetta per coniugare la mia formazione giuridica con la grande passione per lo sviluppo e l’esperienza sul campo che ho maturato lavorando per l’IFAD in Africa orientale. Il mio compito come JPO è quello di contribuire sia alla fase di ideazione e sviluppo dei progetti sia alla loro messa in opera. Svolgevo compiti molto simili quando lavoravo per l’IFAD; tuttavia, il particolare mandato dell’IDLO, l’unica organizzazione internazionale interamente dedicata a promuovere lo stato di diritto, ha trasformato radicalmente il mio lavoro». Dopo nove mesi di attività come project management per l’ufficio dell’IDLO in Kenya, il “portfolio” di Stefano Consiglio si è espanso  a tutto il continente africano: «Attualmente supporto gli uffici locali dell’IDLO in Kenya, Uganda, Liberia, Somalia e Mali». Per lui «il programma JPO rappresenta un’opportunità unica per radicare la propria presenza all’interno di un’organizzazione internazionale. Diventare staff non è una cosa semplice; i giovani che hanno una passione per lo sviluppo devono spesso affrontare lunghi periodi di precarietà, con contratti da sei o al massimo undici mesi. Questi contratti non solo rendono difficile la progettazione a medio-lungo termine, ma hanno anche un impatto negativo sulla creazione di quel senso di apparenza che tutti cerchiamo nell’ambiente di lavoro. Il programma JPO fornisce a tutti i candidati un contratto stabile di due anni, con rinnovo basato sul rendimento dopo il primo anno». Un altro aspetto positivo che Consiglio individua nel programma JPO è la particolare attenzione dedicata alla formazione: «Ci viene continuamente ripetuto che “non si dovrebbe mai smettere di studiare”, tuttavia sono poche le organizzazioni che investono significative risorse nella formazione del proprio personale. Il programma JPO mette a disposizione di ciascun partecipante un budget di 3mila dollari annui da spendere in formazione!». Senza dimenticare l'importanza del networking: «Diventare JPO significa anche entrare in una cerchia ristretta di persone che, tramite il superamento di un difficile processo di selezione, hanno dimostrato la propria preparazione e competenza. Questo gruppo di persone rappresenta un network particolarmente utile, sia per confrontarsi in itinere, sia da alimentare una volta che il programma JPO sarà giunto al termine». Anche per questo, il programma JPO è estremamente competitivo: ogni anno migliaia di persone inviano la candidatura e solamente poche decine vengono selezionate. Come fare allora per riuscire ad aggiudicarsi uno dei posti disponibili? «Per questo prima di fare l’application è importante aver lavorato nel settore di riferimento, preferibilmente tramite esperienze sul campo» risponde Stefano Consiglio: «Ricordo di aver effettuato il colloquio per la posizione da JPO mentre ero in missione in Ruanda. Questo ha rappresentato un grande vantaggio, in quanto ho potuto rispondere alle domande della commissione usando esempi specifici di attività svolte pochi giorni prima, mentre monitoravo l’andamento di un progetto finanziato dall’IFAD. Questo non vuol dire che non mi fossi preparato per il colloquio; tuttavia una preparazione solamente teorica non è sufficiente per passare il processo di selezione». Qualche consiglio? «Per la preparazione al colloquio ho trovato particolarmente utile scrivere una lista di potenziali domande, seguendo lo schema del colloquio basato sulla competenza, competency-based interview. Per ciascuna domanda ho fornito una breve descrizione del contesto, un’analisi dettagliata dell’azione da me intrapresa, un riepilogo dei risultati ottenuti e di ciò che ho imparato. Un altro elemento fondamentale in qualunque processo di selezione è l’entusiasmo. Tutti noi lavoriamo per avere una fonte di reddito, perché il lavoro è lo sbocco naturale del processo di formazione. Riflettere sui motivi che ci hanno spinto a intraprendere una carriera nello sviluppo, quale contributo vogliamo portare alla società, sono elementi chiave per trasmettere tutto il proprio entusiasmo durante il processo di selezione». Chiara Del Priore

L'Erasmus per giovani imprenditori compie dieci anni: a partire più di tutti sono (ancora una volta) gli italiani

Esiste un programma Erasmus parallelo, che non ha niente a che fare con quello tradizionale basato sullo scambio tra studenti di tutta Europa: si chiama 'Erasmus for young Entrepreneurs (Eye)' ed è rivolto a imprenditori nascenti che vogliano «imparare i segreti del mestiere da professionisti già affermati di piccole o medie imprese di un altro paese». Chi ospita si trova invece a «considerare la propria attività sotto nuovi punti di vista, a collaborare con partner stranieri e informarsi su nuovi mercati».Quest'anno si celebra il decennale del programma, segnando il primato della partecipazione degli italiani. Un record non nuovo per quanto riguarda i bandi internazionali, dove il nostro Paese si colloca quasi sempre ai primi posti per numero di candidature, complice la crisi economica. Finora «gli italiani che si sono registrati come 'new entrepreneurs' e partiti alla ricerca di opportunità all'estero dal 2009 a oggi sono stati oltre 2mila – su un totale di circa 10mila, di cui 3.500 solo negli ultimi tre anni» sottolinea Gonzalez Vera dell'Eurosportello Veneto,  una delle organizzazioni locali a cui rivolgersi per fare domanda. Dietro di noi ci sono gli spagnoli, con 1.800 partecipanti. E l'Italia è tra le prime anche come paese di destinazione per gli imprenditori esteri, collocandosi al terzo posto nelle scelte.Silvia Fiorio, avvocata 40enne di Verona, è stata tra le prime a partecipare, insieme al marito 38enne Marco Crema: «Era il 2010, una delle primissime edizioni, ne siamo venuti a conoscenza per sentito dire» racconta alla Repubblica degli Stagisti: «Mi ero laureata nel 2004 e quando sono partita ero una libera professionista, ma per le regole del programma ero considerata un'imprenditrice». La scelta cade su Bruxelles, «dove già avevo lavorato per qualche tempo». Tanto che lo studio che l'ha accolta lo ha trovato da sé: «Avevo già una mia rete di contatti, e sono finita in un ufficio che si occupava di fondi europei per l'ambiente». Marco, che nel frattempo aveva aperto uno studio per conto suo, è stato invece spedito a Madeira, «una piccola isola di pertinenza portoghese, nel mezzo dell'oceano, in uno studio internazionale».Quei mesi in Belgio e in Portogallo hanno dato i loro frutti, perché al rientro i due hanno aperto un'attività insieme, lo Studio legale Crema, che si occupa di diritto internazionale. Ed è spuntato anche qualche contatto in più: «Formammo un gruppo con altri professionisti per seguire un cliente specifico». Dell'esperienza Silvia ricorda anche le criticità: «Difficile che ti facessero lavorare sulle loro pratiche, e così è complicato creare qualcosa per il futuro se sei solo un libero professionista e non un'azienda strutturata». E poi all'epoca «il progetto era ancora in fase embrionale».Ostacoli che però scongiurano anche il rischio che il soggiorno nell'azienda estera si trasformi in una sorta di stage-sfruttamento: «Non entri nella vita della società e quella dei colleghi, sei parte dell'organico per un periodo di tempo portando lì le tue competenze, ma sei un visitatore esterno che sta a guardare». A differenziare il tutto da un tirocinio vero e proprio anche un altro dettaglio: il soggiorno di Silvia è stato spezzettato, perché la durata massima di sei mesi del progetto può essere spalmata nell'arco di un anno. Per gli spostamenti e le spese del soggiorno all'estero si è supportati a livello economico da un grant variabile a seconda dei Paesi di destinazione. Per chi viene in Italia la borsa ammonta ad esempio a 900 euro mensili.La particolarità del progetto è la sua bilateralità, perché si può sia partire alla volta di un'azienda estera sia accreditarsi come azienda ospitante. Nel primo caso ci si deve qualificare come nuovo imprenditore, quindi un soggetto che ha costuito un'impresa da meno di tre anni o «che ha un solido progetto imprenditoriale» da dimostrare nella candidatura presentando un business plan; nel secondo caso ci si presenta come imprenditore già titolare di una piccola impresa o membro di un consiglio di amministrazione.Azienda host è dal 2010 Audes Group di Alessandro Bozzoli, 42enne di Padova. Operativa nel settore dell’abbigliamento, ha finora ospitato sette nuovi imprenditori in Eye provenienti da Bulgaria, Lituania, Ungheria, Serbia, Belgio e Slovacchia, tutti tra i 20 e i 30 anni e selezionati in base a interessi affini al suo business. Chi ospita non gode di nessuna particolare agevolazione: «Ma trovo interessante ricevere giovani imprenditori provenienti da tutta Europa!» spiega Alessandro. Il motivo è duplice: per loro, che «possono vedere dal di dentro il meccanismo di funzionamento di un'azienda e hanno l'opportunità di imparare il mestiere».E per l'azienda, perché «avere una persona che proviene dall'estero è sempre un'occasione di scambio», anche «per il solo fatto che i miei 35 dipendenti abbiano la possibilità di parlare nel quotidiano un'altra lingua». Bozzoli ha al momento in sede una ragazza della Repubblica Ceca che vorebbe lanciare nel suo Paese una linea di costumi da bagno. «Viene coinvolta in progetti reali che potrebbero riguardare la sua azienda in futuro, come per esempio la campagna vendite». Beneficenza non è, specifica, «ma una forma di restituzione, perché a me da ragazzo sarebbe piaciuto avere questo tipo di opportunità».Scopo dell'operazione, spiega il bando per selezionare le organizzazioni intermediarie che gestiscono gli scambi, è infatti «rafforzare l'imprenditorialità, sviluppare una mentalità internazionale e la competitività delle pmi europee e favorire potenziali startup». Tanto che «la linea di finanziamento è diversa da quella di Erasmus+» fa sapere Gonzalez Vera. «I soldi provengono dagli investimenti per l'innovazione delle pmi», e rientrano nel mega fondo Horizon 2020 da 80 miliardi per il periodo 2014 – 2020, che riunisce tutti i finanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione. Per Eye 2019, sono stati stanziati per l'Italia 5 milioni e 581mila euro.Per partecipare a Eye non ci sono limiti di età, ma basta essere residente in uno dei Paesi aderenti al progetto (oltre a quelli Ue anche gli Stati Uniti e Singapore) e qualificarsi come 'new entrepreneur' oppure host. La selezione avverrà tramite «i centri di contatto locale» spiega il sito del programma, «soggetti selezionati dalla Commissione europea», ad esempio una Camera di commercio, «che valuteranno la candidatura e aiuteranno nella ricerca di un partner».Ilaria Mariotti

Tirocini in Lazio, va a regime la piattaforma digitale di monitoraggio: “una base informativa importante”

Dopo soli due anni la Regione Lazio ha aggiornato la normativa in materia di tirocini extracurriculari. La precedente risaliva all'agosto 2017: «La nuova delibera chiarisce alcuni argomenti già adottati» spiega Claudio Di Berardino, assessore regionale al lavoro e alla formazione «che tuttavia avevano mostrato alcune criticità attuative e interpretative da parte dei soggetti promotori e ospitanti». Il riferimento è alla delibera della Giunta regionale n° 576 approvata lo scorso 2 agosto. Tra le novità più rilevanti, la Regione Lazio ha aggiornato il sistema regionale per la gestione delle comunicazioni di tirocinio, con un applicativo informatico, denominato Tol – che sta per “Tirocini on line” – che favorisce l’iter amministravo per l’avvio di ogni tirocinio extra-curriculare. Ad esso accedono, tramite credenziali rilasciate dall’amministrazione, tutti i soggetti promotori previsti dalla disciplina regionale. Tali soggetti hanno infatti il compito di inserire e verificare tutti i dati del tirocinio: l’anagrafica del destinatario e le informazioni circa la sua condizione attuale sul mercato del lavoro; l’anagrafica  dell’azienda e dei tutor coinvolti; gli obiettivi formativi del tirocinio e le figure professionali di riferimento;  gli elementi organizzativi del tirocinio riguardanti la durata, la sede di svolgimento, l’indennità e le assicurazioni obbligatorie.«Il Tol è diventato un fondamentale strumento di monitoraggio statistico dei tirocini attivati sul territorio, consentendo all’amministrazione di disporre di una base informativa importante, utile per orientare gli interventi della Regione stessa nell’ambito delle politiche attive del lavoro» commenta Di Berardino: «Ad esempio per valutare l’andamento dei tirocini finanziati con il Fondo sociale europeo e con Garanzia Giovani nonché per pianificare ulteriori attività di rafforzamento».«Non possiamo che dare un giudizio positivo della normativa, in particolare riguardo l’applicativo informatico, che ci mette in condizione di avere il controllo in tempo reale sull’andamento dei tirocini» riflette Rosita Pelecca, membro della segreteria regionale Cisl con delega al mercato del lavoro: «dal numero di tirocini attivati e interrotti alla loro durata, dall’incidenza dei settori al numero di tirocini trasformati in rapporti di lavoro».E ancora, il testo rimarca che l’indennità è erogata in misura proporzionale all’effettiva partecipazione al tirocinio, su base mensile, qualora l’impegno in termini di orario previsto dal progetto formativo individuale sia inferiore, ma comunque uguale − ed è questa la novità del 2019 − o superiore al 50% rispetto a quello previsto per i lavoratori subordinati dal contratto collettivo di riferimento.Nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi, cioè in cassa integrazione guadagni oppure in mobilità, e comunque percettori di forme di sostegno al reddito, l’indennità di tirocinio è corrisposta fino a concorrenza con l’indennità minima di 800 euro per il periodo coincidente con quello di fruizione del sostegno. Ciò che nella precedente delibera era previsto come facoltà, con la nuova delibera del 2019 viene prescritto come obbligo.Tra le integrazioni vi è anche l’aggiunta, tra i potenziali destinatari dello strumento del tirocinio, dei soggetti minori che abbiano assolto all’obbligo di istruzione e siano iscritti al successivo anno del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione. In questi casi il periodo di formazione on the job ha una durata minima di un mese e una durata massima di tre mesi e può essere promosso solo da un centro per l’impiego. Viene poi puntualizzato che vi rientrano non solo coloro che svolgono attività scolastica ma anche i minorenni inseriti in percorsi di qualificazione professionale come i corsi triennali. La durata minima dei tirocini rivolti a studenti nella stagione estiva è passata da 14 giorni a un mese, mentre la durata massima resta di tre mesi. La Regione ha chiarito inoltre che tra i soggetti promotori figurano i soggetti autorizzati alla intermediazione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, purché abbiano una sede operativa presente sul territorio della Regione Lazio.La Regione Lazio al momento del più recente adeguamento alle linee guida nazionali è stata un esempio virtuoso, in quanto ha deciso di innalzare il rimborso minimo per il tirocinante dai 300 euro indicati dalla Conferenza Stato-Regioni a ben 800 euro. Un segnale importante che non sembra aver dissuaso molte aziende dall’idea di ospitare tirocinanti. Se, infatti, tra il 2016 e il 2017 il numero di tirocini extracurriculari era rimasto praticamente invariato (39.750 a fronte 39.715), nel 2018 ha registrato una variazione negativa, è vero, ma pari solamente al 12 per cento, scendendo a 34.876. Un dato non certo negativo, se si considera che la Regione Lazio ha adottato l'indennità minima più alta d'Italia!«La flessione è sicuramente dovuta al “deterrente” degli 800 euro» commenta Pelecca «per il quale ci siamo battuti e che oggi funge da scrematura a monte per chi vuole sfruttare il lavoro dei tirocinanti, affinché il tirocinio sia utilizzato solo al fine di un reale inserimento lavorativo della persona».Diversa invece la visione della Regione: l’assessore Di Berardino attribuisce la flessione non tanto alla indennità mensile obbligatoria troppo alta bensì a una combinazione di fattori, quali «l’esistenza di misure formative alternative al tirocinio come il contratto di apprendistato per il quale si osserva un continuo incremento negli ultimi anni; il divieto di reiterazione dei tirocini promossi nell’ambito del programma Garanzia Giovani o comunque presso la medesima azienda; il divieto di attivazione del tirocinio in favore di destinatari che hanno conseguito una qualifica professionale e/o iscritti a un albo professionale; e la crescente sensibilizzazione degli istituti di vigilanza del lavoro sul tema dei tirocini, che consente di evitare gli abusi e il rischio di sostituire opportunisticamente  con il tirocinio con i rapporti di lavoro». Si vedrà allora quando saranno disponibili i dati del 2019 se la tendenza sarà confermata o meno.Rossella Nocca

Fuck up nights, a Milano il format che ribalta gli stereotipi su successo e fallimento

Storie di successo da manuale? Già sentite. Capitani senza paura che conoscono tutte le risposte giuste? Niente di più noioso. Sono tornate a Milano le Fuck Up Nights, format messicano nato per smontare il mito che la strada verso il successo possa essere dritta e dare fiducia a tutti quelli che hanno un sogno – imprenditoriale, artistico, di qualsiasi tipo – nel cassetto ma sono frenati dalla paura di rischiare. Della serie: cosa succede se poi non ce la faccio? Se faccio una cazzata (“fuck up” in inglese vuol dire appunto questo), cosa penseranno di me? Diventerò un fallito? Ma quale fallito. Nessuno può essere talmente bravo e fortunato da schivare tutte le buche, gli incidenti di percorso. Non ha senso arrendersi alle prime difficoltà, né tantomeno bloccarsi ancor prima di partire Ne sa qualcosa Riccarda Zezza, che dalla sua esperienza di manager mobbizzata dopo la nascita della prima figlia e poi di nuovo dopo la nascita del secondo, secondo la triste convinzione che se una professionista diventa mamma d'un tratto tutte le sue competenze e la produttività scompariranno, ha tratto la voglia per diventare imprenditrice e fondare una startup. L’ha chiamata “Maternity as a master”: la maternità è un master. L’idea è semplice, racconta Zezza al Vodafone Theatre di Lorenteggio durante la tappa lombarda del tour – a ingresso gratuito! – che tocca tutte le principali città del globo. «Tutte le abilità necessarie per tirar su un pargolo valgono quanto un paio di semestri accademici». E possono tornare utili, anzi, utilissime in azienda. Il famoso multitasking, innanzitutto; ma anche la capacità di prendersi cura di un altro essere vivente interpretando le esternazioni preverbali, le crisi di pianto. La capacità di darsi delle priorità.  “Talenti” direbbe qualcuno – un'espressione forse abusata – che sembrano mancare a molte imprese, al punto che Zezza insegna alle neomamme come sfruttare questa sorta di anno sabbatico rappresentato dalla nascita di un figlio. Anche perché in Italia una donna su quattro non rientra al lavoro dopo il parto.Maam ha appena chiuso un aumento di capitale da un milione e mezzo di euro; dà lavoro a venti persone e guarda all’estero. Dove sta il fallimento, quindi? «All’inizio non sapevo certo come creare e gestire una startup” spiega la manager, che nel 2016 è stata nominata anche Ashoka Fellow per il valore del suo modello di imprenditoria sociale innovativa: «Ma si impara solo sbagliando. Errare significa andare in giro, ed è il metodo più efficace per apprendere». E lei ha imparato in fretta. Ad esempio, a guadagnare il controllo della società, per impegnarla in un progetto di crescita. O come scegliere il partner finanziario giusto. “Il problema degli errori è solo fare in modo che non siano irreversibili” chiosa, ripensando ai passi falsi compiuti. La storia di Andrea Visconti, secondo ospite della Fuck Up Night milanese, è molto diversa. Dopo aver fondato Sinba,  pionieristica startup dei pagamenti tramite cellulare presto inserita tra le più promettenti del mondo dell’innovazione europeo, e aver ricevuto recensioni ed elogi, dopo essere apparso in televisione e sui giornali, tutto sfuma sul più bello. Per spiegare l’accaduto al figlio di due anni lo startupper torinese si inventa una storia animata, e posta il video su internet.Risultato? Il filmato diventa virale e la vita riprende a scorrere, con nuove opportunità professionali nell’ambito dello storytelling. Perché il “physique du rôle” del narratore c’è. La resilienza anche. «Il fallimento è come la pioggia nel giorno del tuo matrimonio» racconta Visconti: «Il bel tempo è ciò che sogni, ma non sempre la vita va come immagini. Allora che si fa? Meglio ballare con tua moglie sotto la pioggia, perché quello resta il giorno più bello della tua vita» suggerisce, romantico. Poi torna serio: «Spesso gli esiti delle nostre azioni dipendono da fattori esterni, che sfuggono al nostro controllo. Se leghiamo al risultato non siamo sulla strada giusta. Falliscono i progetti, non le persone» ricorda alla platea. Anche Paolo Franceschini, professione comico, esperienze a Zelig e Colorado – un po’ l’Olimpo di quel genere che in inglese si chiama stand up comedy, e che da noi definiamo cabaret – racconta un percorso simile. Sempre in procinto di arrivare in cima... ma sempre all’ultima curva, la consacrazione sfugge di mano. Il classico milanese imbruttito direbbe che “non convertiva” abbastanza, nonostante avesse (perlomeno) la fortuna di mantenersi facendo il lavoro che amava. L’insoddisfazione è dietro l’angolo. Persino la promessa sposa cambia idea a un mese dal matrimonio. Quello è il momento della svolta. Una robusta dose di autocritica. E poi la bicicletta, per superare le rimuginazioni. E, pedalata dopo pedalata, Paolo, nato nella pianeggiante Ferrara, decide di scalare a trentacinque anni suonati alcuni dei passi più impegnativi del mondo proprio in sella alla sua due ruote.«Salite ce ne sono state tante, discese anche» confessa al pubblico, composto prevalentemente da giovani adulti. «Consigli? Innanzitutto, domandarsi se stiamo seguendo la nostra strada, o quella immaginata da qualcun altro. Io stavo facendo questo errore, e infatti non arrivano mai». Poi qualcosa è cambiato. «Da tempo portavo in giro i miei spettacoli durante i miei viaggi in bici. Un giorno decido di metterne in scena uno a quasi seimila metri sull’Himalaya. Ci penso, e mi viene in mente che potrei aver stabilito un piccolo record. Ma non ne sono sicuro. Così chiedo agli specialisti del settore».Oggi, cinque anni dopo, Franceschini può mostrare orgoglioso una targa col proprio nome di fianco allo stemma della Guinness: è suo il record dello “spettacolo comico più alto del mondo”, entrato a buon diritto nel famoso annuario. Ma, primati a parte, oggi è soprattutto diventato un uomo sereno, soddisfatto nel costruirsi giorno per giorno una carriera su misura, anche se al di fuori del circuito mainstream. Morale della favola? Semplice. «Chi prova molte volte rischia di cadere, è vero. Ma ha anche l'occasione di rialzarsi spesso».La prossima Fuck Up Night è prevista a Milano per lunedì 9 dicembre al Talent Garden Calabiana,  in via Arcivescovo Calabiana. I biglietti (gratuiti) si trovano come di consueto su Eventbrite.Antonio Piemontese