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Lavoro stagionale, opportunità o sfruttamento?

La Repubblica degli Stagisti compie in questo mese di agosto un viaggio nell'universo del lavoro stagionale: articoli e storie che focalizzano questo particolare segmento del mercato del lavoro, con le sue luci e ombre.La stagione estiva è in pieno svolgimento e con essa i cosiddetti “lavoretti” estivi. Camerieri, baristi, bagnini e gelatai: queste alcune delle professioni più richieste, soprattutto nelle località turistiche costiere. Secondo un’elaborazione condotta da Repubblica degli Stagisti su dati Excelsior, questa estate i lavoratori stagionali impiegati nel settore turistico, con un contratto di lavoro stagionale, sono circa 40mila. Una stima che emerge considerando le assunzioni totali previste da parte delle imprese italiane per il terzo trimestre del 2019, quelle del settore turistico e l’incremento dei contratti a tempo determinato nel medesimo periodo. Il lavoro stagionale è utilizzato dalle imprese che, in vista dell’aumento dell’attività in particolari periodi dell’anno, decidono di assumere nuovo personale facendo ricorso a contratti stagionali. Così liceali, universitari e neo laureati, ma anche persone più avanti con gli anni, per guadagnare un po’ di soldi, si rimboccano le maniche e “vanno a fare la stagione”.Ma come sono disciplinate in Italia queste occupazioni? Cosa prevedono i contratti stagionali di lavoro? Sono una forma di sfruttamento o un’opportunità per i più giovani?Il lavoro stagionale «è un particolare tipo di occupazione a tempo determinato caratterizzata per la stagionalità delle prestazioni svolte», spiega alla Repubblica degli Stagisti Roberto Maurelli, 34 anni, avvocato specializzato in diritto del lavoro: per inquadrarlo bisogna fare riferimento a due testi normativi, il decreto presidenziale 1525/1963 e il decreto legislativo 81/2015.«Il decreto del 1963» prosegue Maurelli «elenca le attività stagionali e il decreto legislativo, in relazione a queste, prevede alcune peculiarità rispetto alla disciplina “generale” del contratto a tempo determinato» rendendo così il contratto di lavoro stagionale più elastico e con meno vincoli.«Queste peculiarità fanno sì che il contratto stagionale non sia sottoposto al limite di durata massima di 24 mesi» aggiunge Carla Capriotti, 54 anni, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Ascoli Piceno, provincia nota per il turismo estivo che, secondo i dati dell’Osservatorio Turismo della Regione Marche, nel quinquennio 2013-2017, ha registrato una media di 1.300.000 presenze turistiche solo nel trimestre giugno, luglio, agosto, nelle località balneari della provincia.«A questo contratto» prosegue Capriotti «non si applicano nemmeno le prescrizioni relative allo stop and go, ossia l'obbligo di rispettare, ai fini del rinnovo, gli intervalli di tempo minimo tra un contratto e un altro». Inoltre, aggiunge la consulente, «il contratto stagionale non prevede il regime delle causali». Questo significa che può essere rinnovato senza che siano giustificate determinate esigenze connesse all’attività.«Il contratto stagionale» chiarisce Carla Capriotti «è anche escluso dai limiti quantitativi del 20% rispetto alla forza lavoro impiegata con contratto a tempo indeterminato». Ciò implica che per le imprese non c’è un limite massimo di lavoratori stagionali assumibili. Questi, infine, hanno diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore per le stesse attività stagionali.Secondo Roberto Maurelli non si può parlare di lavoro sottopagato o sotto tutelato perché «il decreto legislativo del 2015» che si applica anche ai lavoratori stagionali «stabilisce che al lavoratore a tempo determinato spetti lo stesso trattamento economico e normativo applicato nell’impresa ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato». Dello stesso avviso è Carla Capriotti che, definendo il contratto stagionale «un buon contratto», evidenzia come questo possa essere «un’opportunità per i giovani che studiano e cercano di rendersi autonomi, ma anche per tutti quei lavoratori che non riescono a trovare una stabile occupazione».A tal proposito Roberto Maurelli ricorda che «la normativa riguarda persone di tutte le età, in quanto nessuna norma impone che il prestatore di attività stagionale debba essere “giovane”».«In ogni caso» aggiunge l’avvocato «la ratio della normativa del lavoro stagionale non è quella di offrire un’opportunità ai giovani, bensì quella di rendere più flessibile la disciplina del contratto a termine, laddove incompatibile con le caratteristiche delle attività stagionali». Infatti tale disciplina è stata concepita per favorire «alcune attività che altrimenti non potrebbero essere svolte e non i lavoratori» illustra Maurelli spiegando che «è comunque idonea a tutelarli».Non bisogna però limitarsi a quanto scritto nelle norme di riferimento. Secondo entrambi i professionisti ci sono delle considerazioni ulteriori da fare che evidenziano alcune criticità. «La verità è che per alcuni lavori stagionali, tipicamente quelli estivi di bagnino, cameriere o barista, i datori di lavoro non ricorrono a questa forma contrattuale, ma ne preferiscono altre, come i contratti a chiamata» sottolinea Maurelli «che consentono di impiegare il lavoratore non per l’intera “stagione”, ma solo per quei giorni in cui la prestazione viene ritenuta proficuamente utilizzabile, ad esempio quando è bel tempo o nei fine settimana». Si tratta di una scelta legittima «anche se, ovviamente, comporta una riduzione della retribuzione percepita dal dipendente».Il fenomeno che, invece, andrebbe contrastato è quello dell’utilizzo fraudolento di queste forme contrattuali, come ad esempio «le prestazioni occasionali che vengono rese oltre i limiti massimi consentiti e che, in realtà, mascherano rapporti continuativi» spiega Maurelli.Una pratica che nasconde illeciti e abusi, spesso subiti dai giovani disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di avere un’occupazione. Anche sulle attività stagionali, infatti, si abbatte la piaga del lavoro in nero, come testimoniato da alcuni giovani. «Dai 14 ai 19 anni ho lavorato come barista stagionale e sono sempre stato pagato in nero: mi facevano addirittura prendere da solo i soldi dalla cassa» racconta alla Repubblica degli Stagisti Emanuele, 22 anni: «Ero consapevole del comportamento scorretto dei miei titolari, ma non mi sono mai lamentato per paura di essere mandato via».Il problema, precisa l’avvocato, «non può essere risolto rimettendosi esclusivamente all’iniziativa del singolo di tutelare i suoi diritti in giudizio, ma potenziando le verifiche ispettive degli enti competenti e la conseguente attività repressiva degli illeciti». Dall’azione di controllo svolta nel 2018 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro risulta che il settore “attività dei servizi di alloggio e ristorazione” ha il più alto indice di dipendenti irregolari (15.621 accertati in 18.689 controlli). L’Ispettorato rileva anche che in questo settore, al secondo posto per le irregolarità nelle fattispecie contrattuali flessibili, nel 54% degli accertamenti sono stati trovati lavoratori in nero: oltre 10mila sono i dipendenti senza contratto. Considerando che nel campo in esame sono compresi alloggi, ristoranti, bar e gelaterie, ovvero i luoghi dove per i ragazzi è più facile trovare il “lavoretto” stagionale, non è difficile trarre le conclusioni.Per fortuna però, c’è chi come Gioia, diciannovenne neodiplomata all’istituto tecnico per il turismo, ha avuto la possibilità di lavorare in regola, con tutte le dovute garanzie e tutele. «Quest’anno sono stata assunta, con regolare contratto, come cameriera in un hotel» racconta la ragazza alla Repubblica degli Stagisti: «Sono entrata in contatto con i miei datori di lavoro tramite amici in comune. Per essere la mia prima esperienza come stagionale mi ritengo molto fortunata perché percepisco 900 euro lordi per lavorare 8 ore al giorno. Anzi, delle volte anche meno perché i miei titolari, se non c’è molto da fare, mi fanno andare via prima. Il contratto scadrà a fine mese, ma spero proprio che me lo rinnovino: è piacevole lavorare qui».

Campus Party, da oggi a Milano l'evento “in tenda” dedicato ai giovani appassionati di innovazione

Campus Party è un evento dedicato ai giovani e alla tecnologia. Esiste da più di vent’anni (dalla prima edizione, a Malaga nel 1997, deriva anche il nomignolo utilizzato per definire i partecipanti: “campuseros”, alla spagnola), ha toccato Brasile, Colombia, El Salvador, Messico, Ecuador, Cile, Stati Uniti, Germania e dal 2017 ha anche una tappa italiana. L’edizione 2019 comincia proprio oggi, mercoledì 24 luglio, a Milano, con Sir Tim Berners-Lee – nientepopodimeno che l’inventore del World Wide Web – come Keynote speaker; la particolarità dell’evento è che è organizzato come un campeggio, con tende pronte a ospitare migliaia di giovani e un programma densissimo di speaker e attività “H24”. Allestito quest’anno nei padiglioni di Fiera Milano Rho, il Campus Party 2019 mette in campo un palinsesto multidisciplinare che si dipana su tre aree. C’è l’Arena, il “cuore dell’evento”, con i sei palchi, due workshop e tre BarCamp dai quali parlano i relatori, più un coworking. C’è l’area Experience, dove si possono toccare robot, droni, esempi di realtà virtuale e aumentata, simulatori, e cimentare anche nel gaming. E infine l’area Village, cioè il campeggio vero e proprio. Il costo del pacchetto è di 150 euro per quattro notti in tenda singola e l’accesso a tutte le attività; fino a qualche giorno fa c’erano online offerte che riducevano il prezzo a 30 euro, ma ora sembra siano sold out.Fra i partner di Campus Party c’è illimity, la nuova banca fondata l’anno scorso da Corrado Passera, entrata proprio in questi giorni a far parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. E Passera è infatti tra i main speaker insieme, tra gli altri, al fondatore di Emergency Gino Strada, ad Aimee van Wynsberghe, co-founder e co-director della Foundation for Responsible Robotics, al medico e divulgatore scientifico Roberto Burioni, e alla giovanissima Valeria Cagnina, prodigio della robotica, fondatrice e mentor di OfpassiON. L'intervento di Passera è previsto per domani, giovedì 25, alle cinque del pomeriggio. «Campus Party, come illimity, guarda “oltre” il presente» dice Carlo Panella, grande esperto di digital transformation, già direttore generale di WeBank e oggi a capo della divisione Banca Diretta e Digital Operations di illimity con il ruolo di Chief Digital Operations Officer: «Mette al centro l’innovazione, la passione per la tecnologia e riconosce l’importanza delle competenze delle persone. Questi valori guidano lo sviluppo della nostra start up bancaria, nata proprio per innovare il modo di fare banca coniugando competenze, tecnologia e algoritmi. Il Campus è il terreno fisico in cui questa sintonia si realizza: potremo incontrare nuovi talenti, i futuri illimiters». In programma c’è anche “OltreHACK”, un hackathon che si terrà da giovedì 25 a venerdì 26 rivolto a developers, designer, esperti di marketing e comunicazione, in cui i partecipanti potranno provare in anteprima l’App di illimity per accedere ai servizi della nuova banca retail che sarà lanciata sul mercato a settembre: «Li sfideremo a individuare nuove soluzioni di interazione tra banca e cliente.  Sono certo che durante gli incontri e le iniziative previste emergeranno nuovi importanti spunti e stimoli per il futuro sia per i campuseros che per lo sviluppo di illimity».    Panella interverrà sabato 27 luglio alle 11:30, nell’ambito dello stage UTOPIA, con un panel dal titolo "Digital, Design e Customer Experience: gli ingredienti per co-creare al meglio insieme ai clienti”: «Nel nuovo paradigma tecnologico i clienti sono sempre più digital, interconnessi e in cerca della migliore customer experience. Racconterò come, per costruire modelli di relazione digitale eccellenti, non sia più sufficiente mettersi nei panni dei clienti, ma occorra co-creare con loro soluzioni intelligenti e fatte su misura» anticipa il manager: «È stato questo l’approccio che illimity ha avuto nella costruzione della sua banca diretta, dedicata al retail: una banca in tasca, completamente digitale, che abbiamo voluto costruire con una community di 40mila persone e integrata con diverse soluzioni innovative e plug and play. La community, Vai oltre la forma, è nata a fine dicembre 2018 con l’obiettivo di immaginare la banca ideale del futuro. Nel concetto di Utopia ritroviamo questa aspirazione verso un modello ideale, capace di andare oltre la tradizionale interazione tra banca e cliente. Un modello ideale che, diversamente dal modello utopico, diventerà realtà a settembre».Illimity gestirà inoltre un workshop dedicato a storytelling e creatività «in cui designer, video maker e creativi si metteranno alla prova» spiega Panella «per immaginare una campagna, un video, un Key Visual per interagire con il grande pubblico dei millenials e della generazione Z». Ai migliori potrebbe anche essere proposto uno stage (le condizioni economiche sono molto buone: 700 euro di indennità mensile per tutti, senza distinzione tra curricolari ed extracurricolari, più notebook aziendale e buoni pasto), in aggiunta «alle diverse selezioni che abbiamo aperto al campus».Altra azienda dell’RdS network che parteciperà a Campus Party è Bip, con un intervento di Alberto Maestri, Chief Content Officer di OpenKnowledge, previsto per giovedì 25 luglio alle 11:30 nel Barcamp 2 (“Giochi da prendere sul serio. Gamification, storytelling e marketing”) e uno dell'Innovation Director di Ars et Inventio Alessandro Giaume in programma sabato 27 Luglio, sempre alle alle 11:30 e sempre nel Barcamp 2, intitolato “AI Expert - Architetti del futuro”, che è anche il titolo dell’ultimo libro scritto da Giaume a quattro mani con Stefano Gatti.«Il Gruppo Bip è una delle realtà organizzative oggi più dinamiche, in Italia e in Europa: impossibile dunque mancare a eventi di rilievo e prestigio come il Campus Party» dice Maestri:  «L'innovazione e l'approccio ecosistemico sono parte del nostro dna, pensare al domani insieme ad altre migliaia di persone è qualcosa che ci piace molto fare. Soprattutto se queste persone sono giovani brillanti e di volontà che spendono ore, e notti!, a seguire convegni, workshop e altri eventi per orientarsi ed essere stimolati». Sui giovani Bip fa  un investimento enorme, accogliendone ogni anno in media 130-150  in stage e assumendone poi oltre il 90%.«Se c'è una cosa che accomuna qualsiasi persona del Gruppo Bip è proprio l’innovazione e la creatività» riflette Maestri, commentando due delle parole chiave di Campus Party 2019: «Il pensiero costante verso il nuovo, il non ancora formalizzato o “pacchettizzato” sono la benzina per fare la differenza e posizionarci non più come consulenti, ma come partner del cambiamento di qualsiasi organizzazione. Siamo organizzati a ecosistema, con diverse sedi in Italia e all'estero, e facciamo della commistione di competenze la variabile competitiva fondamentale: in uno stesso team è consueto avere al tavolo un esperto di strategia aziendale, un analista di big data, un designer e un semiologo. Suona molto come “c'erano un italiano, un tedesco e un francese”, vero? Ed è proprio questa diversità quello che ci caratterizza e da cui nasce la magia. Perché innovazione e creatività devono scaricare a terra, altrimenti rimangono un gesto estetico». Il suo intervento, giovedì 25, insieme a Joseph Sassoon sarà incentrato sull'esplosione del fenomeno della gamification, «o più correttamente, dei giochi e delle pratiche ludiche applicati a contesti non ludici». Sassoon, fondatore dell’istituto di ricerca Alphabet, docente del Master in Storytelling all'università di Pavia, dal 2012 è anche Content Advisor di OpenKnowledge: «Siamo ormai un duo molto ben rodato» assicura Maestri: «Abbiamo diviso tanti palchi e tantissime riflessioni, scritto due libri e collaborato su molti progetti di storytelling, content marketing, brand game e comunicazione digitale in OpenKnowledge e Bip. Non vorrei dirlo per scaramanzia, ma il divertimento e l'apprendimento sono assicurati!».  L’intervento di Giaume insieme a Stefano Gatti sarà invece l’occasione per parlare di algorithm economy: «Si tratta di figure professionali, un esempio su tutte quella del Data Engineer, che negli ultimi due anni hanno complementato quella del Data Scientist, di fatto caratterizzando maggiormente quest’ultima per la sua componente di ricerca e di approccio al metodo scientifico» spiega Giaume: «È la ricerca di un continuo bilanciamento tra efficienza ed efficacia, la prima necessaria per affrontare scale up di successo mantenendo sostenibilità e robustezza del business case, la seconda alla ricerca di spinte che generino nuove stream di revenue, se non nuovi modelli di business».Un’altra voce di rilievo che interverrà al Campus Party è quella di Francesca Ulivi, che sarà il 26 luglio alle 10:30 al Barcamp 2 con il panel “Attivismo digitale: combattere l’odio sui social network dal divano di casa”. L’intervento si focalizzerà su #iosonoqui, un network internazionale di attivisti digitali contro l’hate speech e le fake news di cui Ulivi è amministratrice per l’Italia, dove il gruppo esiste da un paio d’anni. «Siamo circa 200mila in tutto il mondo. L’idea alla base è molto semplice: un gruppo di persone che si attiva coeso in alcuni post, soprattutto di media mainstream con molto traffico, per bloccare l’hate speech o la diffusione di fake news e che, utilizzando l’algoritmo di Facebook e il “counter speech”, sovverte la preponderanza dell’odio». La disinformazione e la pressione sulla “pancia” delle persone vanno arginate, anche se il lavoro è lungo e tortuoso: «Per modificare il mood del discorso sui social c’è bisogno della partecipazione di molte persone». Francesca Ulivi è una giornalista e per molti anni ha diretto MtvNews, poi divenuto Viacom, ma un anno fa ha dato le dimissioni per dedicarsi a ciò che la appassiona e “ridare un po’ indietro”. Oggi si definisce un’attivista a tempo pieno per i diritti dei malati e pro scienza e fa parte del team che promuove il “Patto Trasversale per la Scienza”, un movimento di scienziati, divulgatori scientifici e persone comuni che fa lobbying sulla politica a favore della scienza e del metodo scientifico: «Mi dedico non solo all’attivismo sui social, ma anche nella vita reale per i malati, la comunicazione e la raccolta fondi per la ricerca di una cura del diabete di tipo 1, che è la malattia che ho da quasi dieci anni ed è una delle più misconosciute e confuse. Il “Patto Trasversale per la Scienza” rappresenta la parte più alta di questa mia advocacy». L’obiettivo è fare la guerra ai «falsi guaritori che fanno leva sulle debolezze e sul dolore delle persone per vendere facili cure che non curano nulla», e l’unico modo per vincerla è «garantire ai cittadini di essere informati, curati e governati sulla base delle evidenze scientifiche e non delle bufale».Anche Ulivi ha qualcosa da dire su innovazione e creatività: «Sono i due elementi che assieme alla diversità mandano avanti il mondo, e hanno un elemento in comune: la mancanza di paura. Per far progredire la nostra società è necessario liberarla prima di tutto dall’odio e dalla paura. Altrimenti possiamo solo rimanere dove siamo – o tornare indietro».  Ma il claim di questa edizione del Campus Party mette un’altra parola accanto a “innovatori” e “creativi” – c'è il concetto di “rivoluzionari”. «Io credo nelle rivoluzioni dall’interno, quelle che cambiano le cose utilizzando le regole del gioco» commenta Ulivi: «Le più grandi innovazioni sono quelle che riescono a vedere e portare alla luce quello che tutti hanno visto o a creare valore semplicemente partendo da un punto di vista diverso rispetto ad una strada già tracciata». Da sapere che quest’anno, grazie a una partnership con la Crui (la Conferenza dei Rettori delle Università italiane) e con vari atenei, gli studenti che parteciperanno ai percorsi di formazione denominati “Campus Party Masterclass” che si svolgeranno durante l’evento potranno ottenere una certificazione digitale riconosciuta a livello europeo; e su richiesta, la certificazione potrà essere convertita in cfu, i crediti formativi universitari.

Premi di laurea, oltre 60mila euro in palio: tutte le scadenze da qui all'autunno

Questi mesi si presentano ricchi di opportunità per chi intende far concorrere la propria tesi a uno dei tanti premi di laurea attivi. Iniziamo da quelli con scadenza più imminente.Scade martedì 31 luglio il termine per provare ad aggiudicarsi uno dei due premi (del valore di 1000 e 500 euro ciascuno) per tesi discusse tra il primo giugno 2018 e il 31 luglio 2019 dedicate alle crociere, messi in palio da Italian Cruise Day. Per partecipare è sufficiente compilare il form online allegando indice, bibliografia e breve abstract della tesi.Mercoledì 7 agosto è l’ultimo giorno utile per concorrere al premio intitolato a Valeria Solesin, la studentessa morta a Parigi durante l’attentato al Bataclan del novembre 2015, dal titolo “Il talento femminile come fattore determinante per lo sviluppo dell’economia, dell’etica e della meritocrazia nel nostro Paese”. Quest’anno verranno assegnati premi per un valore complessivo di 30.400 euro, suddivisi tra dodici premi. Il premio è aperto a studentesse e studenti che hanno conseguito la laurea magistrale tra il primo gennaio 2017 e il 31 luglio 2019 in una delle seguenti discipline: Economia, Sociologia, Giurisprudenza, Scienze Politiche, Psicologia, Scienze della Formazione, Ingegneria, Statistica e Demografia.  Per partecipare è necessario compilare la domanda scaricabile al seguente link.“Valutare premia” è il nome della prima edizione del premio bandito dal Consiglio regionale della Lombardia, rivolto a laureati di età inferiore a 36 anni in possesso di laurea magistrale con voto non inferiore a 100/110 o dottorato con tesi finalizzata all’analisi e alla valutazione di politiche pubbliche regolate o finanziate dalla regione Lombardia. I premi in palio sono sei, tre per le tesi magistrali (di 1500, 1000 e 750 euro ciascuno) e tre per quelle di dottorato (di 2500, 2000 e 1500 euro ciascuno). Anche qui l'ultimo giorno utile per fare domanda è il 7 agosto. La domanda va presentata secondo lo schema allegato al bando all’indirizzo del Consiglio regionale della Lombardia (Ufficio Studi, Analisi Leggi e Politiche regionali - via F. Filzi, 22 - 20124 Milano).Qualche settimana in più, la scadenza è sabato 31 agosto, per concorrere al premio dedicato a Fabio Favaretto, alpinista, storico e scrittore, che vuole valorizzare le tesi di laurea riguardanti le tematiche dell’uso e della tutela del territorio montano alpino o appenninico. Possono partecipare i neolaureati, ricercatori e dottorandi che hanno discusso la propria tesi tra il primo gennaio 2017 e il 31 luglio 2019. In palio due premi del valore di 1500 e 1000 euro. Il modulo di candidatura è disponibile sulla pagina dedicata al premio.Sempre il 31 agosto è la data di scadenza fissata per la partecipazione al premio “Dai valore al merito” per tesi dedicate al tema del contrasto alla violenza sulle donne discusse presso una delle università dell’Emilia-Romagna tra il primo aprile 2018 e il 31 marzo 2019. Sono tre i premi in palio, dell’importo rispettivamente di mille, 700 e 500 euro. La domanda va presentata via mail entro la data indicata all’indirizzo daivalorealmerito [chiocciola] perledonneimola.it.Ha come tema la proprietà industriale il premio bandito dallo studio Torta, studio specializzato in proprietà intellettuale, del valore di 3mila euro per testi di laurea o di dottorato sul tema discusse tra il primo ottobre 2018 e il 30 settembre 2019. Tra i temi oggetto di tesi, l'evoluzione del diritto industriale e del sistema di tutela della Proprietà Industriale nei secoli in Italia e nel mondo, i casi di successo delle imprese che hanno basato la loro fortuna su brevetti, modelli o marchi, l'evoluzione nel corso degli anni di prodotti brevettati e/o divenuti famosi con uno specifico marchio, lo sfruttamento economico delle invenzioni dei ricercatori universitari. L’ultimo giorno utile per presentare domanda è il prossimo lunedì 30 settembre. La documentazione indicata nel bando va spedita via mail entro la data indicata all’indirizzo premio [chiocciola] studiotorta.it.Martedì 15 ottobre è la scadenza per la partecipazione al premio di laurea Gino Pestelli [nella foto qui accanto, la premiazione con i vincitori dell'edizione 2018] dedicato a tesi di laurea triennali o magistrali dedicate alla storia e alla cultura del giornalismo in Italia e nel resto del mondo. Il premio, del valore di 2mila euro, sarà attribuito all’elaborato ritenuto più meritevole da un punto di vista scientifico e innovativo sotto il profilo metodologico. Le candidature sono aperte a laureati di età inferiore ai quarant'anni, che hanno conseguito il titolo tra il primo ottobre 2018 e il 30 settembre 2019. Chi intende partecipare dovrà spedire l’elaborato alla segreteria del Centro Studi Pestelli (corso Stati Uniti 27, 10128 Torino) entro il 15 ottobre 2019, inserendolo in una busta chiusa, in cui dovrà essere chiaramente indicata la dicitura “Premio di laurea Gino Pestelli – V Edizione 2019”.Stessa data per il premio di laurea bandito dalla fondazione Cogeme, incentrato sul tema dell’economia circolare e rivolto a laureandi e laureati che abbiano depositato la propria tesi entro il 30 settembre 2019. Il premio è articolato in tre sezioni: acqua, energia, e poi “carta della Terra” e cultura ed economia circolare. Ai vincitori delle prime due sezioni verrà corrisposta una somma in denaro pari a 1.500 euro tramite assegno circolare o in alternativa offerto un tirocinio extracurriculare con un compenso di almeno 500 euro mensili, della durata di 6 mesi. Per quanto riguarda la terza sezione, il premio consiste in un viaggio-studio da concordare con Fondazione Cogeme Onlus. Le domande vanno presentate scaricando l’apposita domanda dal sito.Martedì 15 ottobre è anche la deadline per il premio intitolato al giuslavorista Marco Biagi, assassinato a Bologna nel marzo del 2002. Il premio, del valore di 6500 euro, è rivolto a laureati di età inferiore a 35 anni che abbiano discusso una tesi di laurea sui seguenti temi: innovazione sociale e lavoro, innovazione sociale e periferie, innovazione sociale e inclusione. La domanda di partecipazione dovrà essere intestata alla Direzione Economia Urbana e Lavoro del Comune di Milano in una delle modalità indicate nel bando.Giovedì 31 ottobre è invece la scadenza fissata per candidarsi al premio bandito da AiFOS sui temi salute e sicurezza sul lavoro e sostenibilità ambientale, economica e sociale, per tesi di laurea discusse tra il primo novembre 2018 e il 31 ottobre 2019. Saranno selezionate otto tesi i cui vincitori avranno diritto a un riconoscimento economico di 500 euro, alla pubblicazione della tesi sui siti di Fondazione AiFOS, a un attestato di partecipazione al concorso e all’abbonamento online per un anno alla rivista AiFOS “I Quaderni della Sicurezza”. La candidatura va inviata online dalla pagina dedicata sul sito AiFOS.Il 31 ottobre è anche l’ultimo giorno utile per provare ad aggiudicarsi il premio, bandito dall’Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford, di 500 euro per la migliore tesi di laurea sui diritti delle persone e delle famiglie LGBTI (acronimo che sta per persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Intersessuali). I candidati devono avere discusso le tesi che sottoporranno tra il primo gennaio 2016 e il 31 ottobre 2019. Si tratta della prima edizione del premio, nato per rendere omaggio alla figura del giurista e accademico Stefano Rodotà, scomparso nel giugno del 2017.Chiara Del Priore

Tirocini, la Regione Abruzzo fa un passo in più contro truffe e violazioni. Una decina le aziende interdette quest'anno

A quasi un anno e mezzo dall’entrata in vigore della normativa regionale in materia di tirocini extracurriculari, in recepimento delle linee guida nazionali, lo scorso 6 maggio la regione Abruzzo ha emanato una direttiva per l’attivazione e la verifica in itinere dei tirocini stessi, che va ad affiancare la delibera della Giunta regionale del febbraio 2018. All’epoca dell’approvazione della normativa i sindacalisti, da noi interpellati, avevano espresso la preoccupazione che le premesse di raccomandazione riguardo la vigilanza sulla genuinità dei percorsi formativi al fine di scongiurare le distorsioni come il lavoro subordinato fittizio restassero disattese. Ebbene, dopo circa un anno il Dipartimento sviluppo economico, politiche del lavoro, istruzione, ricerca e università ha deciso di intervenire per integrare tale normativa con la “Direttiva per l’attivazione e verifica in itinere tirocini extracurriculari Regione Abruzzo”.  «Lo scopo» si legge nel testo «è quello di descrivere le principali ed uniformi modalità operative nella fase di attivazione, di gestione e di verifica in itinere dei tirocini extracurriculari, al fine di consentirne il regolare, efficace ed uniforme svolgimento sull’intero territorio regionale, anche al variare delle persone coinvolte». «Alla luce delle criticità espresse da soggetti promotori e Ispettorato del lavoro» spiega infatti Claudio Sciorilli Borrelli, funzionario regionale responsabile della normativa «abbiamo ritenuto opportuna una integrazione delle linee guida redatte in conformità con quelle nazionali per assicurare che il tirocinio extracurriculare sia un’esperienza genuina e non diventi un rapporto di lavoro mascherato». Un ruolo centrale viene attribuito alle figura del tutor del soggetto ospitante e del tutor del soggetto promotore del tirocinio, di cui vengono chiarite responsabilità e funzioni. Il primo, colui che affianca il tirocinante in azienda, «deve avere le esperienze e le competenze professionali adeguate e coerenti con il Piano formativo individuale (Pfi), mentre il secondo deve essere «in grado di definire un’attività periodica di verifica e controllo in itinere dell’esperienza formativa, di predisporre un sistema di rilevazione e raccolta informazioni che consenta di definire e confermare la valenza formativa del tirocinio e la congruità del periodo formativo rispetto agli obiettivi».Affinché i tutor assolvano i loro compiti al meglio, la Regione ha fissato dei limiti numerici di gestione dei tirocinanti. In particolare, il tutor del soggetto ospitante può accompagnare fino a un massimo di tre tirocinanti contemporaneamente, mentre il tutor del soggetto promotore ne può accompagnare fino a venti in contemporanea. Le prime verifiche sono fissate nella fase iniziale. Infatti, per poter valutare, alla fine dell’esperienza di tirocinio, se il tirocinante ha acquisito le nuove competenze, viene operata una valutazione iniziale sulle medesime competenze – di norma entro la prima decade dalla data di avvio del tirocinio – alla luce del Piano formativo individuale.Quindi si passa alla verifica in itinere, almeno con cadenza bimestrale, che può essere condotta con varie modalità, a scelta del tutor promotore: visita in loco presso l’azienda, colloquio di persona o telefonico con il tirocinante e/o il tutor aziendale, call conference, email o altro. La verifica prevede anche la predisposizione di due documenti: un questionario da somministrare al tirocinante con cadenza almeno bimestrale e una scheda di verifica intermedia da parte del tutor aziendale, sempre ogni due mesi. Le finalità della verifica in itinere sono: accertarsi che l’attività formativa si sta svolgendo realmente secondo il progetto formativo, verificare la regolare corresponsione dell’indennità di partecipazione, accertarsi dell’impegno del tirocinante e del tutor aziendale e dell’avanzamento del progetto formativo, individuare eventuali problemi e criticità che impediscano il normale svolgimento del tirocinio, attivarsi per dare risposte efficaci e suggerire correttivi e infine segnalare ai competenti organi le eventuali irregolarità riscontrate. Tra gli effetti della verifica, c'è anche quello di scongiurare le proroghe fittizie, concesse anche laddove gli obiettivi del progetto formativo sono già stati raggiunti. In questo caso viene fatta una netta distinzione tra la proroga e il rinnovo del tirocinio, che può invece prevedere nuovi apprendimenti anche in diverse aree professionali. Certo c’è ancora tanta strada da fare affinché il meccanismo funzioni a pieno. «Stiamo cercando di mettere tutto a sistema, dando procedure chiare e uniformi sul territorio. Ma la guerra ai tirocini non genuini richiede grandi risorse umane, per questo stiamo tentando di reperire i fondi per mettere su una struttura ispettiva che sia deputata all’attività sanzionatoria e a breve vogliamo fare un protocollo con l’Ispettorato del lavoro». Ispettorato del lavoro che intanto, per il 2019, ha confermato la presenza dei tirocini tra i principali ambiti di intervento dell'attività di vigilanza annuale. In attesa del coordinamento nazionale da parte dell'Ispettorato auspicato dalla Regione, l'attività di controllo ha mosso i primi passi, e nell'ultimo anno circa una decina di aziende sono state interdette dall’attivazione di tirocini per un periodo fra i dodici mesi e i due anni, a seguito del riscontro di irregolarità. Tra queste ultime, il mancato pagamento dell'indennità, l'assenza della figura del tutor e lo svolgimento di un'attività necessaria all'organizzazione aziendale, che riqualifica l'esperienza da tirocinio a rapporto di lavoro effettivo. «Per il momento non posso entrare nel merito delle aziende interdette, ma tra le nostre prossime proposte ci sarà quella di compilare una blacklist delle aziende e dei soggetti promotori "da evitare" e, allo stesso tempo, un rating delle aziende e dei soggetti virtuosi. Non vogliamo che la convenzione di tirocinio resti una mera formalità burocratica e che il tirocinante sia abbandonato a se stesso» conclude Sciorilli Borrelli «ma vogliamo che abbia una guida continua di riferimento e che il suo sia un effettivo percorso formativo». Si attendono ora gli sviluppi per capire se la Regione Abruzzo, dove nel 2018 sono stati attivati 6.559 tirocini extracurriculari, sarà messa in condizione di salvaguardare la genuinità di tali esperienze, e se altre regioni prenderanno la medesima iniziativa.  Rossella Nocca

L'informatica nelle scuole serve: “Non è vero che i nativi digitali conoscano così bene la tecnologia”

«Qualunque attività intraprendano in futuro, i ragazzi non potranno mai fare a meno del computer». Da questo assunto parte “Programma il futuro”: Maria Assunta Palermo, direttrice generale del ministero dell'Istruzione, ha presentato nei giorni scorsi gli esiti della quinta edizione del progetto che ha l'obiettivo di portare l'informatica nelle scuole, rivolgendosi a studenti di tutte le età dagli istituti primari fino alle superiori. Finora un successo: lo scorso anno a iscriversi è stato l'ottanta per cento degli istituti scolastici italiani con 38 milioni di ore di programmazione svolte nelle aule, con una media di 15 ore per studente; oltre 53mila gli insegnanti e studenti coinvolti.L'idea è nata nel 2014 su iniziativa del ministero, con la collaborazione del Cini, il Consorzio interuniversitario nazionale per l’informatica. E a finanziarla sono solo fondi di partner privati, tra cui Eni a capofila, e poi altri come Tim e Seeweb. Lo scopo «non è quello di far diventare tutti dei programmatori informatici» precisa il sito dove il progetto viene spiegato in dettaglio «ma diffondere conoscenze scientifiche di base per la comprensione della società moderna». Perché «capire i princìpi alla base del funzionamento dei sistemi e della tecnologia informatica è altrettanto importante che capire come funzionano l'elettricità o la cellula».La partecipazione è gratuita e aperta non solo alle scuole bensì potenzialmente a utenti di qualunque tipo. Basta iscriversi alla piattaforma e cominciare a usufruire del materiale didattico a disposizione. Due le modalità per aderire, una di base e una avanzata. La prima, “L'Ora del Codice”, consiste «nel far svolgere agli studenti un'ora di avviamento al pensiero computazionale» spiega il sito, ovvero quel tipo di ragionamento che «aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, qualità importanti per tutti i futuri cittadini». E lo si fa attraverso la programmazione, il cosiddetto coding, in un contesto di gioco.La modalità più avanzata prevede invece percorsi più articolati strutturati in funzione del livello di età e di esperienza dello studente. Esiste anche un corso preparatorio per l'università, 'Princìpi dell’Informatica' riservato ai ragazzi più grandi. E le lezioni «possono essere fruite sia in modo tecnologico, per le strutture dotate di computer e connessione a Internet, sia con lezioni tradizionali per quelle ancora non supportate tecnologicamente». Per gli insegnanti che partecipano come volontari ci sarà la piattaforma a fare da guida ai vari percorsi. «Quando si dice che tutti noi siamo in grado di utilizzare un device, e in particolare i giovani, in verità si sminuisce l'importanza della cultura informatica» afferma all'evento Anna Brancaccio, dirigente del Miur. Perché la verità è che «si crede erroneamente che i nativi digitali conoscano la tecnologia, quando invece la sanno per lo più usare in modo materiale», senza sapere cosa ci sia dietro. Quello che devono imparare è che «lo strumento non fa nulla che non sia l'uomo a far fare, che dietro l'oggetto c'è sempre un discorso progettuale, l'elaborazione di un'idea e un problema da risolvere». Sono macchine «a cui si danno istruzioni, e se queste sono sbagliate impediscono alle stesse di fare qualsiasi cosa» le fa eco Enrico Nardelli [nella foto], coordinatore del progetto e professore di Informatica all'università Tor Vergata. I computer insomma «fanno automaticamente delle attività al posto degli uomini ma senza potersi avvalere della nostra intelligenza» è la conclusione del docente.Scoprire cosa si nasconde dietro questi sistemi può fare inoltre da argine anche «alle situazioni patologiche che si sviluppano per l'uso non corretto di tali dispositivi, da utilizzatori passivi», sottolinea ancora Palermo. Conoscere le “diavolerie informatiche” e gli algoritmi dietro gli smartphone per proteggersi quindi dai rischi a cui ci si espone sul web come danni alla privacy, ciberbullismo, molestie in rete. E proprio per contrastare questi fenomeni, sempre nell'ambito di “Programma il futuro” è stata stilata la guida “Comunicare in rete in modo sicuro”, presentata all'evento come la prima di una serie rivolta alle scuole secondarie di primo grado.Il progetto bandisce ogni anno anche un concorso. Quello di quest’anno, intitolato “Programma una Storia” chiedeva ai ragazzi di creare un elaborato riferito a un'opera letteraria liberamente scelta e «con una modalità narrativa compatibile con lo specifico strumento previsto per il proprio ordine e grado di scuola, per esempio un’animazione, un quiz o un gioco». All'evento sono state premiate le tredici scuole vincitrici, soprattutto classi primarie. Segno di un progetto che attrae anche i piccolissimi e che «piace a tutti gli studenti» segnala Nardelli. Il cui auspicio è che l'informatica entri in pianta stabile nelle scuole: «Basterebbe anche solo un'ora a settimana». Ilaria Mariotti 

Diritto al voto dei fuorisede, presentata proposta di legge per votare nella città in cui si vive

Una proposta di legge per consentire ai fuorisede in caso di elezioni di votare senza essere costretti a rientrare nel luogo di residenza. L'iniziativa è stata presentata nei giorni scorsi alla Camera dalla deputata Pd Marianna Madia, prima firmataria della norma promossa insieme a Tom Osborn, segretario dei Giovani democratici del secondo municipio, l'europarlamentare dem Massimo Ungaro e la collega Giuditta Pini. L'obiettivo è quello di scardinare una contraddizione esistente dal 2015 quando, con l'entrata in vigore della legge elettorale Italicum, venne introdotta la possibilità di votare per gli italiani che si trovano temporaneamente all'estero - da un periodo di almeno tre mesi - per motivi di studio, lavoro o per curarsi. Con il risultato di creare un paradosso, sottolinea Madia, «perché se si va a fare l'Erasmus il diritto di voto è garantito grazie al voto per corrispondenza, e così è anche se ci si muove per motivi di lavoro o di cura». Al contrario «se ci si sposta in Italia, dalla Sicilia a Milano per esempio, non si può esercitare il diritto» spiega, se non rientrando a casa e facendosi carico delle spese per il viaggio. «Noi studenti e lavoratori fuorisede ci troviamo a spostare il centro della nostra vita e della nostra attività lontano da casa, in una città diversa da quella in cui siamo nati e cresciuti» si legge nella petizione lanciata su Change.org con l’hashtag #votodovevivo. «Siamo cittadini italiani come tutti gli altri, abbiamo gli stessi diritti e dobbiamo poterli esercitare allo stesso modo» è la rivendicazione. E il problema non è solo economico, i costi per la trasferta appunto, ma c'è di più: «Che succede se non è possibile spostarsi nei giorni della votazione perché, ad esempio, si ha un esame a breve o non ci si può assentare dal lavoro in quei giorni?». In quel caso l'eventualità più probabile è che ci sia una rinuncia al voto. Per evitare tali condizionamenti all'esercizio di un libero diritto un modo ci sarebbe, conferma Madia: «Si tratta dello Spid, il sistema per l'autenticazione digitale introdotto nella scorsa legislatura». Ci si presenta alle Poste, si consegnano i propri documenti e l'identità digitale si attiva. Attraverso questo metodo «per le consultazioni referendarie, per le quali non è prevista una circoscrizione o un collegio, per votare si potrà presentare una domanda in via telematica tramite Spid, allegando un contratto di lavoro o la documentazione dell’iscrizione all’università o un certificato medico» prosegue la deputata. Tutto ciò che attesti in sostanza le ragioni del cambio di domicilio. Nel caso di elezioni politiche o delle europee invece, l'ipotesi è quella di ampliare il meccanismo valido per gli italiani all'estero, «quindi il voto per corrispondenza senza spostarsi» chiarisce la deputata. E quel voto andrà poi conteggiato nella circoscrizione elettorale di residenza. Nella proposta di legge c'è anche una delega al Governo per avviare una sperimentazione per il voto elettronico, che in futuro potrà andare a sostituire quello per corrispondenza. Da quando esiste la possibilità di votare dall'estero, riflette Ungaro, «a ogni tornata si registrano decine di migliaia di votanti in più, ed è da considerarsi un successo». Quella della residenza «è una frontiera irrazionale che va contro la mobilità dei diritti che noi sosteniamo» osserva. Con dei limiti, naturalmente, perché «l'esercizio del voto per i fuorisede potrà esercitarsi solo per ragioni di studio, lavoro e cura». Ancora nulla da fare invece «per il voto in vacanza, quello ad agosto» scherza Ungaro. Anche nelle scorse legislature si era tentato di far passare la proposta, «con una pattuglia di giovani democratici tentammo di inserire il principio del voto per i lavoratori fuori sede ma non riuscimmo a ottenere un consenso largo nel partito» ricorda Pini. I Cinque stelle «ci avevano accusato di non trovare la soluzione per fare questa legge, ma adesso che il modo c'è speriamo in una convergenza, e che non ci siano più scuse a cui appigliarsi». Questa battaglia «non è né di sinistra né di destra ma per i diritti, tanto che ad appoggiarci ci sono moltissime associazioni universitarie tra cui Sapienza in movimento e Volt (movimento progressista europeo, ndr)» fa sapere Osborn. «Da settembre il comitato dei Giovani democratici del secondo municipio organizzerà iniziative in tutto il territorio per diffondere la conoscenza della proposta». Mentre nel frattempo la raccolta firme è già partita con l'obiettivo di calendarizzare il prima possibile la discussione sulla proposta di legge, al momento già depositata in Aula. «Se tutti gli studenti fuorisede potessero votare in egual misura la rappresentatività cambierebbe» ragiona Pini, «per città come Modena – da dove provengo – ma anche per Roma». Ilaria Mariotti   

Il caso degli “scontrinisti” che lavorano quasi gratis in musei e biblioteche: due anni dopo non è cambiato nulla

Era maggio del 2017 quando scoppiò il caso “scontrinisti”. Ventidue pseudo volontari impiegati a tutti gli effetti nella Biblioteca nazionale di Roma, dopo anni di servizio senza contratto né stipendio, rimborsati a fronte di scontrini racimolati un po' ovunque, decisero che la misura era colma. Ma quella protesta non portò a nulla: i volontari furono mandati a casa, e mai reintegrati. Ci fu anche un'ispezione avviata dal ministero dei Beni culturali, e gli atti finirono in procura. L'esito però, incredibilmente, non si conosce: «Sono passati due anni, era un altro governo, difficile ricostruire la vicenda», si difende debolmente l'ufficio stampa chiamato in causa per dare alla Repubblica degli Stagisti un aggiornamento sull'accaduto. Si scoprì in quel frangente che erano centinaia, forse migliaia gli “scontrinisti” in tutta Italia, sparsi tra musei, biblioteche e altri spazi di arte e cultura. Che fine hanno fatto? Qualcosa è stato fatto per fermare quegli abusi e ribadire i principi fondamentali del diritto del lavoro?Il comparto dei Beni culturali in Italia, paese in cui la cultura secondo i dati muove 250 miliardi di euro ogni anno, invece di reclutare professionisti del settore e pagarli a dovere ha continuato a attingere a piene mani dal terzo settore (nel solo 2015 sarebbero 800mila i volontari utilizzati).Il fulcro principale del problema, però, è che ben vengano i volontari – se sono davvero volontari. Se vogliono prestare la loro opera per beneficienza, per volontariato appunto: per regalare un po' del proprio tempo a una attività che ha bisogno di supporto. Non va bene, invece, quando le persone coinvolte vorrebbero in realtà lavorare: hanno cioè il bisogno e il desiderio di svolgere una attività lavorativa, e da essa trarre di che mantenersi – uno stipendio, i contributi previdenziali. Se il concetto di volontariato viene distorto, e si reclutano aspiranti lavoratori inventandosi anche un meccanismo di “retribuzione-non-retribuzione” come quello del rimborso delle spese a fronte di scontrini presentati, allora c'è qualcosa che chiaramente non va. Perché si tratta di una gigantesca ipocrisia per poter disporre di lavoratori inquadrandoli fantasiosamente come volontari. Senza bisogno di specificare che, per giunta, si viene a creare una situazione di “dumping”: ovviamente, potendo disporre di personale a costo zero o quasi, queste strutture sono disincentivate dal fare vere assunzioni e pagare regolari stipendi a regolari dipendenti.L'ultimo capitolo risale a qualche settimana fa. Per la mostra 'Eva vs Eva. La duplice valenza del femminile nell'immaginario occidentale', aperta a Tivoli a Villa d’Este e al Santuario di Ercole Vincitore dal 10 maggio scorso, a prestare servizio saranno ancora dei 'volontari'. Al bando uscito a fine aprile, che così recitava: «Avviso pubblico riservato ad enti del terzo settore per supporto all'accoglienza e attività informativa al visitatori», aveva risposto solo Avaca, una associazione presieduta da Gaetano Rastelli, [nella foto sotto], che era stato anche implicato nella precedente vicenda 'scontrinisti'. A denunciare l'accaduto è la FP Cgil del Lazio: «Per la specificità dei siti, patrimonio Unesco, la vigilanza e la tutela richiedono personale specializzato e formato» scrivono sul sito. «All'emergenza di personale e all'ondata di pensionamenti non si può far fronte, ancora una volta, ricorrendo allo sfruttamento del volontariato utilizzato a tutti gli effetti come lavoro subordinato».Ma Rastelli al telefono con la Repubblica degli Stagisti si giustifica: «È tutto pienamente legale, è una guerra che hanno innescato contro di me perché faccio parte di un'altra sigla sindacale». Sulla vicenda Villa d'Este conferma: «Mi sono presentato solo io al bando, e ho vinto». La giustificazione di Rastelli è che tutto si svolga nel perimetro della legge, come effettivamente è. La prova è all'articolo 17 del decreto 117 del 2017, dove si legge che gli enti del terzo settore, e Avaca lo è, «possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività». E poi, a detta di Rastelli, ci sarebbero «ben tre sentenze del giudice del lavoro» a dargli ragione. E ancora, il passaggio fondamentale su cui si basa tutto il sistema: «Al volontario possono essere rimborsate dall'ente tramite il quale svolge l'attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate». Chi si presenta per queste attività può ricevere quindi una ricompensa economica – in realtà al volontario andrebbero rimborsate le spese sostenute, mentre gli scontrinisti presentano spesso scontrini non loro e per giunta il loro compenso è fisso, sempre uguale ogni mese; si tratta insomma di un escamotage, ma sembra che tutti su questo punto preferiscano sorvolare – e tale ricompensa economica, seppur modesta, a qualcuno fa comodo. È comunque meglio di niente, insomma? «A questi ragazzi vanno dei rimborsi a seconda delle presenze» spiega Rastelli. Per venti giorni si mettono insieme magari 4-500 euro». Che poi non solo di ragazzi non si tratta, ammette, «ma anche di quarantenni», oltre a «diplomati e laureati che aiutiamo a non starsene a casa con le mani in mano». Avaca e associazioni simili farebbero insomma del bene a suo dire: «Aiutiamo i giovani senza lavoro, e la Cgil mi attacca perché vorrebbe mettere dei pensionati al posto dei giovani a fare i volontari».Non dello stesso parere il comitato 'Mi riconosci? Sono un professionista dei Beni culturali', collettivo che difende i diritti del comparto e che ha di recente lanciato un questionario per mappare il settore. «Sono due le categorie di chi accetta di andare a fare il volontario, spiega alla RdS la portavoce Daniela Pietrangelo: «Da una parte c'è del personale qualificato che pur di fare qualcosa e non restare disoccupato lo fa per arricchire il curriculum e avere un'esperienza in più». Che poi è quello che succede anche con i volontari del Servizio civile, ragiona Pietrangelo. E oggi, rivela, «sono proprio loro ad aver preso il posto degli scontrinisti alla Biblioteca nazionale di Roma». Poi ci sono «pensionati benestanti» li definisce lei, «gente non qualificata che può permettersi di passare ore e ore svolgendo un'attività senza retribuzione».A rimetterci è chi vorrebbe fare della cultura una professione. «Dopo una laurea in Beni Culturali, e dopo aver cambiato quattro cooperative di gestione musei, essere pagata pochissimo e con ritardi sovrumani, mi sono stancata e ho dovuto mettere la laurea in un cassetto» si sfoga Yle Sart in un commento sulla pagina Facebook del collettivo. E ancora, scrive Giuseppina Licordari: «È una vergogna perché è lo Stato a legalizzare il lavoro sottopagato. Io sono una vecchia archeologa collaboratrice del Mibact, che dal 1983 al 1998 ha lavorato per due lire. Non è cambiato nulla».«Ci sono i bandi» replica Rastelli, «partecipassero». Peccato però che chi accetta di lavorare gratis o per pochi spicci come pseudo volontario ottiene per di più un titolo preferenziale rispetto a chi non lo fa e che resta doppiamente beffato perché rischia di vedersi sorpassato in graduatoria. Ne è convinto un altro utente, Simone Fenzi, che commenta: «Chi si è laureato di recente e ha fatto tirocini vari o il Servizio civile non ha problemi. Io ho fatto varie campagne di scavo quando facevo l'università, dove curavamo tutto, dallo scavo alla documentazione, ma non ho niente per dimostrarlo».Il comitato 'Mi riconosci?' ha anche lanciato una proposta di legge per tentare di limitare l'uso del volontariato nella cultura circoscrivendolo a mansioni che non riguardino «la conservazione, la promozione, la valorizzazione, la catalogazione, lo studio e l’inventariazione». Nel frattempo però i bandi di questo tipo sono diventati la norma, e basta scorrere la pagina Facebook del comitato per farsene un'idea. Uno dei più clamorosi quello per bibliotecari alla Biblioteca Angelica a Roma. Le mansioni, di archiviazione e digitalizzazione, dovevano anche qui essere affidate a volontari ingaggiati da enti del terzo settore e rimborsati 25 euro al giorno. Del resto, si legge nello stesso bando, «c'è carenza di impiegati». Perciò si recluta personale volontario. Da qualche giorno il bando risulta revocato, segno forse che le proteste a qualcosa sono servite. Ilaria Mariotti 

Come cambia il mondo della consulenza, ora si apre ai laureati in materie umanistiche

Un corso accelerato di economia, finanza e organizzazione pensato per giovani che hanno un background di studi umanistico ma sognano la consulenza – un ambito professionale in netta crescita, che anno dopo anno offre sempre più opportunità di stage e lavoro e condizioni contrattuali e retributive molto migliori della media. Ma queste opportunità sono spesso riservate a chi ha lauree di tipo scientifico – Ingegneria in testa, ma anche Matematica, Statistica, Informatica... – le cosiddette “Stem” o tutt'al più, nell'alveo delle lauree umanistiche, quella più “di confine” e cioè Economia.Bip, la più importante società di consulenza a matrice italiana – uno sviluppo impetuoso nell'ultimo decennio che l'ha portata ad avere oggi oltre 2.400 dipendenti, di cui più di 2mila in Italia, e sedi in Inghilterra, Spagna, Turchia, Brasile, Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Emirati Arabi, Cile e Colombia – ha aperto le candidature per la seconda edizione del progetto BipBootcamp, un “programma intensivo di Business & Management Induction” con quindici posti a disposizione. Ad oggi sono già arrivate circa 150 application, ma c'è ancora tempo – fino a venerdì 2 agosto – per candidarsi.I selezionati cominceranno il percorso formativo il 13 settembre a Milano: cinque settimane (una in più rispetto alla prima edizione) di corso intensivo al Politecnico di Milano – il Bootcamp è infatti realizzato in collaborazione con il MIP, che mette a disposizione spazi e docenti – cui fa seguito uno stage formativo in Bip e poi nella stragrande maggioranza dei casi l'assunzione in azienda.«Ci rivolgiamo principalmente a giovani che a diciott'anni si sono innamorati di un percorso di studi senza avere un'idea chiara di quello che era il mondo del lavoro e poi, una volta laureati, si sono resi conto che i posti di lavoro “tradizionali” a cui quelle competenze davano accesso non soddisfacevano le loro ambizioni, e inoltre erano sempre meno numerosi» spiega Carlo Capé, AD di Bip: «Vogliamo intercettare coloro che hanno voglia di cambiare percorso professionale». Per la prima edizione del BipBootCamp, l'anno scorso, l'ufficio HR di Bip ha ricevuto complessivamente 175 candidature.Portare in un'azienda che finora ha assunto quasi esclusivamente economisti e ingegneri una pattuglia di letterati e scienziati politici è un azzardo, ma «noi avevamo bisogno di persone un po' diverse dal solito, e loro avevano di un percorso professionale diverso dallo standard», dice ancora Capé: «una magica combinazione di obiettivi e intenti».Il mondo della consulenza è del resto in un momento di profonda trasformazione: «Si sta evolvendo da un atteggiamento puramente tecnico a un atteggiamento più di visione» spiega Capé: «Nei progetti che in Bip seguiamo per i nostri clienti tutti gli elementi della consulenza passano da essere di breve termine e di tipo tecnico a essere di più di lungo termine, di prospettiva. Per fare un esempio: un tempo facevamo il ridisegno dei processi, la riduzione dei costi, cavalli di battaglia “storici” della consulenza. Ci siamo accorti adesso che questi sono fatti tecnici: migliorano sulla carta, e magari anche nella realtà, le performance dell'azienda, ma non è detto che lascino soddisfatti i dipendenti dell'azienda, che sono quelli che lavorano sui processi, e nemmeno che accontentino pienamente il cliente. Bisogna dunque cominciare a lavorare su aspetti relazionali, psicologici, esperienziali dal punto di vista dei progetti».Sta cambiando insomma la relazione dei consulenti con i propri clienti: «Non è più: ho vinto un progetto, lavoro col cliente per i prossimi tre, sei mesi» dice Capé: «Ora quando si vince un progetto si entra in relazione con un cliente con l'obiettivo di stabilire una partnership che duri anni, per aiutarlo a cambiare l'azienda, a farla diventare più sostenibile. E qui ci vuole una forma mentis non puramente tecnica, ma molto più visionaria. Per tutto questo i classici ingegneri – come il sottoscritto! – sono utilissimi, ma sono altrettanto utili persone che abbiano una preparazione più umanistica, più ampia». Ecco spiegato perché adesso più di prima un laureato in filosofia, o in lingue o in legge può trovare spazio in una società di consulenza manageriale.Certo, però, non bisogna negare che alcune competenze chi ha fatto percorsi umanistici non le può avere: il “gap tecnico” è un tema rilevante. «Di solito non c'è un gap bensì proprio uno zero assoluto», scherza Capé, «nel senso che gli esami di economia non vengono fatti di solito al di fuori delle facoltà economiche».Secondo l'AD di Bip il mestiere del consulente vede prevalere tre ingredienti, il primo: «intelligenza e buonsenso, cioè essere capaci in modo innato ad aiutare a risolvere situazioni: qui si tratta di una predisposizione naturale, abbastanza indipendente dalla preparazione accademica, e se vogliamo anzi facoltà di tipo umanistico-sociologico possono aiutare in questo senso». Il secondo ingrediente è «la capacità empatica e maieutica: andiamo ad affrontare clienti che ci chiedono aiuto, magari con soluzioni in qualche modo preconfezionate e già usate da altre parti, ma con la capacità di mettere il cliente in grado di tirare fuori la soluzione, senza che gliela imponiamo noi: e questa è una capacità ancora una volta di tipo psicologico e personale che prescinde dal corso di laurea».E poi c'è, innegabilmente, la formazione tecnica, che è quella in cui si concentra il famoso gap. Ma la formazione tecnica, assicura Capé, «serve... ma fino a un certo punto. Le cose studiate all'università sono utili, ma non capiterà mai un cliente che ci chieda una cosa esattamente così come l'abbiamo studiata sui libri. C'è dunque un lavoro di studio continuo sui meccanismi produttivi delle attività di ciascun cliente, ogni consulente deve essere capace di focalizzare come funziona ogni azienda: se ho un cliente che produce sci, o che vende energia, dovrò studiare nello specifico come funzionano quei mercati”. Dunque sì, i laureati umanistici del BipBootCamp rispetto a questo terzo ingrediente partono con un gap: ma niente che non si possa colmare.Nessun grande cambiamento nella seconda edizione del BipBootCamp rispetto alla prima – il tetto massimo di partecipanti che verranno ammessi è fissato anche quest'anno a 15 persone, e il costo è rimasto invariato, 1500 euro + Iva. Unica differenza, l'allungamento del periodo in aula da quattro a cinque settimane. «Dal punto di vista dei contenuti siamo stati molto soddisfatti» conferma Capé: «L'unica cosa su cui abbiamo voluto apportare un miglioramento è la “compattezza” del programma, forse eccessiva nella prima edizione. Perché uno può anche avere una super concentrazione però... il cervello umano ha una determinata capacità di ricezione. Il progresso sarà quindi, anche per le prossime edizioni, non tanto sui contenuti quanto sulla diluizione maggiore: vogliamo permettere alle persone di fare le cose con un po' più di calma, avere più tempo per lasciar “maturare” le nuove competenze. Non abbiamo troppa fretta: non ci corre dietro nessuno».

Le migliori policy per i giovani: premiate le dieci aziende eccellenti del 2018

Una volta all’anno la Repubblica degli Stagisti premia le aziende che si sono distinte per un particolare dettaglio della propria policy verso i giovani. I primi “AwaRdS” (gioco di parole tra “award”, che in inglese vuol dire “premio”, e RdS che è l'acronimo del nome di questa testata) sono stati conferiti nel 2014 e da allora molte aziende si sono succedute nel riceverli. I premi vengono assegnati dopo aver valutato i dati relativi all’anno precedente, dato che un punto fondamentale dell’attività della Repubblica degli Stagisti è proprio quello di coinvolgere le aziende del suo network in una “operazione trasparenza”, chiedendo loro di fornire anno per anno informazioni dettagliate sul numero di tirocinanti accolti, il numero di stage trasformati in contratti di lavoro, i dettagli sulle tipologie di inquadramento utilizzate, le assunzioni di under 30 effettuate senza passare attraverso lo stage, le condizioni economiche offerte – non solo l’entità dell’indennità mensile ma anche eventuali altri benefit come i buoni pasto, le agevolazioni per l’alloggio, il rimborso dei mezzi pubblici o altro – e poi anche informazioni su altre attività che coinvolgono i giovani, come la disponibilità ad ospitare studenti in alternanza scuola lavoro o la presenza di programmi particolari per i giovani, tipo “graduate program”. Dieci sono quest’anno le aziende hanno vinto gli “AwaRdS” 2019; i premi sono stati consegnati nel corso di “Best Stage”, l'evento annuale che la Repubblica degli Stagisti organizza per fare il punto sul tema dell'occupazione giovanile in Italia.Ecco l’elenco completo dei vincitori, con le motivazioni.Awards speciale “Welfare per gli stagisti”.Vince: DanoneMotivazione:
proprio nel corso dell'evento “Best Stage 2019” Sonia Malaspina, direttrice HR Sud Est Europa di Danone, ha raccontato la decisione presa da Danone a partire da giugno 2019: l’estensione del welfare aziendale – frutto della contrattazione di secondo livello e che ad oggi è pari a un importo annuale di 2mila euro – a chi fa un'esperienza di stage all’interno dell’azienda, in un'ottica di responsabilità sociale di impresa e di inclusione.[nella foto, Malaspina è con Eleonora Voltolina e Gennaro De Falco, il sindacalista della Fai Cisl che ha sottoscritto la modifica del contratto integrativo per includere gli stagisti nel piano di welfare aziendale]AwaRDS per il “miglior rimborso spese”.
Vincono: Everis e FerreroMotivazione:Everis offre un rimborso spese mensile di 1000 euro al mese per tutti + buoni pasto da 5,29 euro e notebook aziendale.Ferrero offre un rimborso spese mensile di 1000 euro per tutti + mensa + laptop, sportello commissioni e spaccio aziendale. AwaRDS per il “miglior tasso di assunzione post stage”.
Vincono: Everis, Spindox, MedtronicMotivazione: Tutte queste aziende hanno assunto oltre il 90% degli stagisti ospitati nel 2018, facendo loro un contratto di almeno 12 mesiIn particolare:Everis → 177 stage, di cui 6 curriculari, attivati nel 2018 su 873 dipendenti,Spindox → 27 stage, di cui 8 curriculari, attivati nel 2018 su 650 dipendentiMedtronic → 39 stage attivati nel 2018 su 887 dipendentiMenzione speciale a Bip, che ha raggiunto proprio esattamente il 90% di assunzioni sui 271 stage attivati nel 2018; e anche a Fonderie di Montorso, JSB e Sic, che hanno superato il 90% ma su numeri di stage troppo ridotti per poter dare accesso all'AwaRdS.AwaRDS per la “miglior performance di assunzioni dirette di giovani” 
Vincitori: SDG e BIP Motivazione: In particolare:SDG nel 2018 ha assunto senza passare attraverso lo stage 56 under 30, su un organico di 220 dipendentiBIP nel 2018 ha assunto senza passare attraverso lo stage 279 under 30, su un organico di 1.774 dipendentiAwaRDS Super-speciale piccola impresaVincitore: Nike GroupMotivazione: la performance 2018 di Nike è straordinaria: offre agli stagisti un rimborso spese mensile di 1000 euro al mese; ha contrattualizzato oltre il 90% degli stagisti (14 stage, di cui 3 curriculari, attivati nel 2018 su 51 dipendenti), e anche ha assunto senza passare attraverso lo stage 8 under 30.[nella foto, il momento in cui Eleonora Voltolina ha consegnato l'AwaRdS a Giulia Costanzo e Andrea Bottini, rispettivamente HR specialist e Digital Content specialist di Nike Group]AwaRDS Speciale Lavoro Agile
Vincitori: Nestlé e Danone Company Motivazione: le aziende dell'RdS network che hanno aderito lo scorso maggio alla Settimana del lavoro agile indetta dal Comune di Milano. Questo AwaRdS è infatti stato ideato grazie alla collaborazione tra la Repubblica degli Stagisti e il Comune di Milano.AwaRDS Speciale Women in Stem
Vincitore: EYMotivazione: a cavallo tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 la percentuale di giovani donne assunte di EY è passata dal 30 al 45%, sopratutto grazie all'iniziativa “Women of EY” avviata nell'autunno 2018 per aumentare gli inserimenti al femminile. Il progetto consiste in due appuntamenti mensili con assessment di gruppo riservati a ragazze; non semplicemente un momento di selezione, bensì anche di confronto e di condivisione, con incontri con manager donne che si raccontano alle candidate per sfatare i “falsi miti” che spesso allontanano le donne dal settore della consulenza.Naturalmente le aziende vincitrici possono cambiare cambiano di anno in anno; alcune riescono a ottenere lo stesso premio per più anni consecutivi, ma l’idea di fondo è che gli AwaRdS siano ogni anno contendibili da tutte le aziende che fanno parte dell'RdS network: il discrimine è esclusivamente la performance dell’anno prima e il confronto con le “colleghe” aziende virtuose.Oltre a quelle che hanno vinto uno o più Awards, è importante segnalare anche quelle che si sono aggiudicate il “Bollino OK Stage”, il primo e forse più famoso marchio della Repubblica degli stagisti, cioè il bollino di qualità che “certifica” il rispetto totale dei principi della Carta dei diritti dello stagista, compreso quello dell’obiettivo di trasformare almeno il 30% degli stage in contratti di lavoro. Delle 34 aziende che ad oggi fanno parte del network della Repubblica degli stagisti – in realtà le aziende sono più di ottanta, perché alcune di esse sono dei gruppi formati da più aziende – nel 2019 ben 27 hanno ottenuto il Bollino OK Stage, sempre per le performance 2018: Aon, Arval, Bip, Cefriel, Danone, Everis, EY, JSB, HBG, Ial Lombardia, Infocert, Ferrero, Fonderie di Montorso, Mars, Marsh, Medtronic, Mercer, Meta System, Nestlé, Noovle, Nike, Prometeia, Gruppo Sapio, SDG, SIC, Spindox e Tetra Pak.

Compensi, probabilità di assunzione, policy: una grande ricerca fa luce su come funzionano gli stage – anche i curricolari!

Il tirocinio è lo strumento in assoluto più utilizzato, negli ultimi anni, come politica attiva del lavoro. Ma come viene utilizzato? Quali sono le procedure, le policy, le condizioni offerte gli stagisti, i risultati occupazionali? Il Comune di Milano ha deciso di dedicare un approfondimento a questo tema e l’ha affidato a Eleonora Voltolina, la giornalista fondatrice della testata giornalistica online Repubblica degli Stagisti. Il risultato è una mappatura che è arrivata a coinvolgere quarantadue soggetti promotori attivi sul territorio di Milano, e a censire complessivamente 73mila tirocini, tutti attivati nel corso del 2017 da università, agenzie per il lavoro, associazioni, fondazioni, consorzi. I risultati sono stati presentati oggi a Milano nel corso di “Best Stage”, l'evento annuale della Repubblica degli Stagisti dedicato all'occupazione giovanile. 

“Il Comune torna a porre l'attenzione sull'accesso al lavoro per i giovani e sullo strumento dello stage” ha detto Cristina Tajani, assessora al Lavoro. E Milano si conferma effettivamente capitale degli stagisti: con 11mila tirocini extracurricolari avvenuti sul territorio del Comune e oltre oltre 5.600 nell’area della Città metropolitana, il totale è quasi 17mila tirocini extracurricolari che hanno avuto luogo nel 2017 a Milano e che la mappatura è riuscita a tracciare.
 A questi vanno sommati i 10mila curricolari attivati sempre nel 2017 a Milano città e i 4mila curricolari della Città metropolitana, per un totale di 14mila. 17mila più 14mila significa un piccolo esercito di 31mila persone che nel 2017 hanno fatto uno stage a Milano. E attenzione, si tratta di un numero per difetto, perché la mappatura ha raccolto i dati di molti soggetti promotori, ma non di tutti! Dunque questo numero è, per così dire,  “prudenziale”. Tra i risultati più importanti, il focus su quelli curriculari, per i quali non esiste nessuna rilevazione sistematica ufficiale e che quindi rimangono sempre nell’ombra. Questa mappatura ha permesso invece di censire oltre 22mila tirocini di questo tipo avviati nel 2017: in particolare 21mila sono quelli attivati dalle università ubicate sul territorio di Milano (tutte tranne la Bicocca hanno partecipato alla mappatura).

Lo spaccato sui tirocini curriculari permette di capire meglio come le università e gli altri enti formativi gestiscano questi percorsi “on the job” per i propri studenti. In oltre il 70% dei casi gli stagisti curricolari hanno meno di 25 anni. Dei 22mila mappati, oltre 7.500 erano studenti di triennale, quasi 12mila studenti di specialistica, e poco più di 2mila allievi di master o dottorati.

Poiché i tirocini curricolari si  svolgono durante periodo di studi, spesso potrebbe essere utile avere una formula “part-time” che consentisse al giovane di non dover interrompere completamente l'attività di studio. Purtroppo la modalità part-time non è ancora così diffusa: ha riguardato solo il 15% circa degli stage curricolari mappati.

C’è poi l’importante tema della sostenibilità economica. Fermo restando che per i curricolari non vige l’obbligo di erogare una indennità mensile, come invece accade per gli extracurricolari, quanto spesso gli stagisti curricolari ricevono una indennità mensile? 
Il 38% dei partecipanti alla mappatura purtroppo non monitora questo aspetto: questi soggetti promotori non hanno dunque idea se i loro tirocinanti curricolari ricevano o no un compenso.
 Stando alle risposte di chi monitora, purtroppo i tirocini curricolari sono ancora il più delle volte gratuiti (nel 90% dei casi in Statale, nel 100% in Formaprof e Cnos). Altro aspetto, la probabilità di assunzione post stage. Premesso che i curricolari non hanno come principale obiettivo quello dell’inserimento lavorativo, non bisogna però dimenticare che vengono abitualmente inquadrati come “curricolari” anche un gran numero di stage finalizzati alla redazione della tesi di laurea (i cosiddetti “stage per tesi”): e quando un tirocinio curricolare viene effettuato da un laureando la prospettiva di assunzione post stage acquisisce una certa rilevanza.

 Ciononostante, solamente il 30% dei soggetti promotori monitora la percentuale degli stage curricolari che si trasformano in contratto di lavoro: e tra questi nessuna delle istituzioni universitarie milanesi.

Il focus sulla extracurriculari, invece, permette di tracciare quei tirocini che vengono svolti dopo aver completato gli studi: dalla mappatura emerge che quasi un quarto degli stage extracurricolari viene effettuato da persone che hanno smesso di studiare da oltre tre anni. 
Qui giocoforza gli stagisti sono più “vecchi”: hanno nel 13% dei casi meno di vent'anni; c'è poi un 37% di giovani tra i venti e i venticinque anni, un 35% tra i ventisei e i trentacinque anni, e un 15% di over 35.

In media i gli stage extracurricolari durano di più rispetto ai curricolari. La durata più frequente – 42% del totale – è quella dei classici sei mesi, ma poi c'è una percentuale molto significativa di stage tra i sei e gli undici mesi (12%) e ancor più significativa di stage di un anno (21%). Ai soggetti promotori che hanno partecipato alla rilevazione è stato anche chiesto di dare un voto ai soggetti che materialmente ospitano gli stagisti. Il risultato? Le piccole aziende non sembrano molto ferrate su cosa sia una stage - prendono quattro e mezzo su questo punto - ma fanno un po’ meglio sul fronte dell’attenzione dedicata ai tirocinanti, arrivando a un 6,4. Gli enti pubblici, sia centrali sia locali, prendono voti molto bassi (sei risicato) per quanto riguarda l’attenzione verso lo stagista, ma vanno meglio quando ad essere valutata è consapevolezza su cosa sia uno stage. 

In entrambe le valutazioni, il punteggio più alto viene ottenuto dalle grandi imprese: sembra quindi che in questo tipo di realtà lo stage venga utilizzato meglio, con più cognizione di causa e cura verso la qualità formativa dei percorsi offerti ai tirocinanti. Ma mancano alcune informazioni importanti: sono davvero pochi i soggetti promotori che monitorano l'entità delle indennità ricevute dai propri stagisti, e l'esito occupazionale degli stage – sia nella modalità dell'assunzione diretta da parte dell'azienda che ha ospitato il tirocinante, sia nella circostanza indiretta e cioè quando una persona che ha appena terminato un tirocinio viene assunta da un'altra parte, presumibilmente per le competenze apprese proprio durante il periodo di stage. Come ha ricordato anche Maurizio Del Conte – giuslavorista e già presidente dell'Anpal – durante la presentazione dei risultati, incrociando le informazioni delle Cob (le comunicazioni obbligatorie) con il codice fiscale delle persone che hanno fatto un tirocinio il risultato occupazionale si potrebbe tracciare senza troppe difficoltà. Perché, allora, lo si fa così poco? 
A proposito invece di indennità mensile: l’introduzione di questo obbligo, avvenuta a partire dal 2012-2013, era stata a lungo osteggiata: i detrattori sostenevano che avrebbe finito per far ridurre il numero di opportunità di stage a disposizione dei giovani. Ma oltre ai dati diffusi ogni anno dal Ministero del Lavoro ora vi sono anche le voci dirette dei soggetti promotori: oltre il 90% di quelli che hanno partecipato alla mappatura ha confermato di non aver rilevato una diminuzione del numero di opportunità di tirocinio extracurriculare: anzi, oltre un terzo ha risposto addirittura che, al contrario, il numero di tirocini extracurricolari attivati è aumentato dopo il 2013. Ma l'ammontare medio di queste indennità di stage non è alto. Il 41% dei tirocini extracurricolari mappati prevedeva una indennità inferiore a 500 euro al mese: e se è vero che per la normativa regionale lombarda fino a pochi mesi fa indennità inferiori a 500 euro non erano tecnicamente “illegali”, ciò non toglie che siano molto basse e non mettano gli stagisti in grado di mantenersi autonomamente in città care come Milano. Risulta poi un 37% di stage la cui indennità è collocata tra i 500 e i 750 euro al mese, e solamente un 22% che prevede un rimborso spese superiore ai 750 euro. 

Questo ovviamente è un problema, sopratutto se lo si mette in relazione al dato sui tirocinanti “fuori sede”, pari in generale al 27%, che devono affrontare oltre a tutto il resto anche il costo di un alloggio in affitto. Questa mappatura rappresenta un aggiornamento e ampliamento di una prima mappatura che era stata  realizzata alla fine del 2011 sempre per l’assessorato al Lavoro del Comune di Milano e sempre dalla Repubblica degli Stagisti.
 La mappatura 2019 ha coinvolto quarantadue soggetti promotori, quando la mappatura del 2012 ne aveva coinvolti solamente undici; ed è più che triplicato il numero degli stage che la mappatura 2019 è riuscita a “censire” rispetto alla precedente – se nel 2012 i dati raccolti erano riferiti complessivamente a circa 23.600 stage realizzati nel 2010, questa è riuscita a raccogliere informazioni su 73mila stage attivati nel 2017.Il testo integrale con i risultati della mappatura è scaricabile in pdf qui