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Al via la nuova edizione della Dedagroup Digital Academy, opportunità per 30 aspiranti “professionisti digitali”

Sta per partire la quarta edizione della Dedagroup Digital Academy, progetto di Dedagroup, azienda dell’RdS network tra i principali attori dell’Information Technology “made in Italy”, per la formazione di giovani professionisti del mondo digitale. «L’Academy nasce per rafforzare la nostra strategia focalizzata allo sviluppo del capitale umano» spiega Valentina Gilli, direttrice Risorse Umane per Dedagroup «promuovendo attività a sostegno della crescita di nuove competenze e delle professionalità del futuro, con particolare attenzione ai temi dell’innovazione, e dell’inserimento in maniera continuativa di giovani talenti».Nel 2019 sono previste due edizioni: la prima si terrà il prossimo 13 maggio, la seconda in autunno. La selezione è rivolta a trenta giovani laureati e neo laureati al di sotto dei 28 anni, in possesso di una laurea del settore tecnico-scientifico ma anche umanistico e con una buona conoscenza della lingua inglese. Insomma, il gruppo si apre anche ai “letterati”. «Poiché il nuovo contesto digitale è sempre più permeato dalla contaminazione di competenze e di esperienze, abbiamo allargato la ricerca anche a giovani provenienti da corsi di laurea apparentemente lontani dal nostro settore come quelli in Beni Archivistici e Librari, Scienze internazionali, Architettura o Interfacce e Tecnologie della Comunicazione. La selezione prevede due fasi: un colloquio conoscitivo con l’HR business partner di riferimento per la futura divisione e un colloquio con i responsabili dell’area. Ma come si struttura l’Academy? «Consiste in un percorso di formazione full time e di training on the job, in cui i partecipanti possono conoscere da vicino la cultura e i valori di Dedagroup» spiega la direttrice HR «e sviluppare le professionalità proprie dell’era digitale richieste all’interno del Gruppo». Sei mesi durante i quali si alternano quindici giorni di attività in aula, presso l’headquarter dell’azienda a Trento, e per il restante periodo laboratori di pratica all’interno delle Business Unit e società del Gruppo. Quattro i moduli formativi proposti: digital economy, valore d’impresa (economics & performance), project management (gestione progetti, vendita a valore, metodologie agili) e people value (comunicazione in azienda, team work e problem solving, time management). Inoltre nell’edizione di quest’anno saranno introdotti nuovi temi quali l’ICT Literacy, per acquisire maggiore consapevolezza degli strumenti digitali nella ricerca delle informazioni; il Data Management, per approfondire l’importanza della corretta gestione del dato nell’economia digitale; e l’Intelligenza Artificiale, per far fronte a un aspetto sempre più determinante nei nuovi modelli di business.Cuore dell’offerta è il training on the job attraverso percorsi cross-industry, in cui i partecipanti sperimentano sul campo come nascono e si sviluppano le soluzioni software e i servizi made in Italy di Dedagroup. Inoltre i giovani hanno la possibilità di usufruire di percorsi di sviluppo già a disposizione dei collaboratori dell’azienda, come i Fit Talk, faccia a faccia interattivi con i grandi nomi delle trasformazione digitale; e i Tech Talk, webinar che promuovono la condivisione interna e la diffusione di tecnologie innovative. Nella maggior parte dei casi l’iter si conclude con opportunità concrete di inserimento in azienda. «Le prime tre edizioni, dal 2017 a oggi, hanno visto la partecipazione di 40 giovani e ben il 90 per cento di questi è stato assunto in Dedagroup» dice Gilli «il che conferma che la Dedagroup Digital Academy è uno strumento di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro molto efficace».«Oggi sono Business Analyst per la divisione internazionale del Gruppo» racconta Ilaria Vanoni, 24 anni, laureata in Economia aziendale, che ha partecipato alla seconda edizione dell’Academy «e mi occupo di identificare le esigenze dei clienti, attuali o potenziali, e di analizzare quale sia la soluzione migliore per soddisfarle». Vanoni è stata inserita con un contratto a tempo determinato. «La prassi aziendale è quella di assumere in apprendistato, ma nel mio caso è stata fatta un’eccezione volta ad agevolare le frequenti trasferte all’estero» spiega alla Repubblica degli Stagisti: «Proprio ora sto tornando dalle Hawaii, dove sono stata quasi tre settimane per aiutare tre organizzazioni a implementare dei cambiamenti nel loro software. Sono elettrizzata dopo questa prima trasferta e anche un po’ sotto pressione, perché ora conosco il cliente a livello personale, ma mi tranquillizza poter contare su colleghi competenti e disponibili».Perché l’Academy può essere la scelta giusta per il futuro di un giovane laureato? «La consiglio a chi vuole saperne di più dei temi caldi della tecnologia dell’informazione» afferma l’ex partecipante «con un occhio critico a quali sono i loro aspetti positivi e le chiavi di lettura per un’azienda che vi opera». Senza dimenticare lo sbocco occupazionale e la possibilità di crescere rapidamente che l’azienda offre. «Non avrei mai immaginato di poter avere tutta l’autonomia e la responsabilità che mi sono state affidate dopo soli sei mesi al mio primo impiego!».Per candidarsi a partecipare basta creare un account sul sito Dedagroup e compilare l’apposito form. Rossella Nocca

Decreto crescita, cambiano le regole degli incentivi per gli expat che rientrano in Italia: ora non serve la laurea

Li chiamano «talenti», «cervelli in fuga». Ricercatori, medici, ingegneri, ma anche insegnanti, fotografi, designer e un sottobosco di lavoratori emigrati senza particolari qualifiche ma che, vivendo lontano da casa, hanno imparato a darsi da fare, senza piangersi addosso. E in qualche caso sono anche diventati imprenditori.Sono circa due milioni gli italiani che hanno lasciato il paese negli ultimi dieci anni. I dati tengono conto solo degli iscritti all'Aire, l'anagrafe per i residenti all'estero. Ma molti connazionali non sono mai usciti allo scoperto: oltre a motivazioni di ordine fiscale, ce ne sono altre, meno conosciute. Ad esempio, il tentativo di non perdere il diritto al medico di base. Perché la sanità in Italia spesso funziona, e all'estero è persino rimpianta.Il Parlamento ha cercato di affrontare il problema del «brain drain» a partire dal 2010. Risale a quell'anno l'approvazione di un testo bipartisan, la cosiddetta «legge Controesodo», che prometteva incentivi e sgravi fiscali a chi prenotava il biglietto di rientro per il Belpaese. Competenze sulla frontiera della conoscenza, network relazionali, lingue: riportare a casa chi ha trascorso un periodo fuori dai confini patrii è diventato, da allora, un punto qualificante dell'agenda di tutti i governi, da quello guidato da Silvio Berlusconi all'attuale esecutivo gialloverde, passando per Enrico Letta e, naturalmente, Matteo Renzi. Ma la partita per far rientrare i «cervelli in fuga» è più complessa di quanto si possa pensare. Il punto sono gli incentivi: cioè far pagare meno tasse a chi sceglie di tornare a vivere in Italia, permettendo quindi, a parità di stipendio, un “netto” più alto. Tradurre le buone intenzioni in politiche attive significa trovare una sintesi tra le aspirazioni di chi rientra - spesso lasciandosi alle spalle condizioni economicamente vantaggiose - e i principi costituzionali di progressività nella tassazione.Dopo il 2010, la legge Controesodo è stata riscritta nel 2015. Nei giorni scorsi un nuovo capitolo: il Governo Conte ha approvato in Consiglio dei ministri il cosiddetto decreto Crescita, che contiene un articolo sui cosiddetti lavoratori «impatriati». Tra le novità, la defiscalizzazione per le imprese e l'eliminazione della laurea come requisito. Il testo prevede, inoltre, una defiscalizzazione del reddito imponibile che torna al 70%  e un'estensione dei benefici in caso di figli o di acquisto di un immobile. «Si parla sempre di attrarre imprese le imprese straniere e trattenere quelle italiane, ma senza il capitale umano è tutto inutile». A parlare è Giulio Centemero [foto a sinistra], 39 anni, deputato della Lega, professione commercialista e un'esperienza di quasi otto anni all'estero tra Scozia e Belgio. « Il know-how di ragazzi che hanno visto il mondo e possono portare nel nostro territorio le esperienze vissute altrove è indispensabile per creare valore. Abbiamo provveduto a ritoccare gli incentivi al rialzo, sul modello portoghese e iberico. In Spagna, in particolare, le agevolazioni durano 10 anni» spiega, precisando di non aver mai usufruito in prima persona degli incentivi. Il decreto Crescita è stato approvato con la formula «salvo intese», che prevede eventuali modifiche da parte del Governo prima dell'invio alle Camere. C'è spazio, quindi, per l'attività di lobbying. Ad esempio, quella di «Gruppo Controesodo», community nata nel 2015 che raccoglie oltre diecimila expat rientrati in Italia. «Il testo va a rivedere l'impianto in maniera piuttosto sistematica, e non ho nessun problema a dire che il novanta per cento dei contenuti di questo articolo sono stati suggeriti da noi» rivela Michele Valentini, presidente dell'associazione. Trentanove anni e un lavoro nell'ambito di un grande gruppo bancario per cui si occupa di derivati, ha seguito passo per passo tutto l'iter: «Per questo dico che ci sono alcune distorsioni clamorose che abbiamo ovviamente già segnalato alla politica. Mi riferisco al fatto che la norma prevede che le nuove agevolazioni si applichino solo ai contribuenti che rientreranno a partire dal 2020».Non è la prima volta che Controesodo suggerisce modifiche a un testo di legge. Un'attività di pressione costante sul Palazzo, che spesso è sfociata in un accoglimento delle richieste. Tutto in nome della «retention», il tentativo di trattenere dentro i confini chi già una volta si è chiuso la porta alle spalle. Un tentativo, spiegano, che passa necessariamente dagli sgravi fiscali: perché niente pare trattenere in Italia gli expat meglio degli incentivi. Il rovescio della medaglia? Una volta esauriti, molti, moltissimi fanno nuovamente le valigie. E vanno a cercare guadagni maggiori all'estero.Antonio Piemontese

A Palermo oltre cento expat riuniti dal Cgie, obiettivo: creare una rete di giovani italiani nel mondo

Parte oggi a Palermo un grande evento dedicato ai giovani italiani nel mondo. Quattro giorni di seminari, dibattiti, discussioni e workshop per fare il punto su cosa vuol dire essere italiani e vivere in un altro Paese. Centoquindici giovani tra i 18 e i 35 anni sono appena sbarcati nel capoluogo siciliano dai quattro angoli del globo - dall’Argentina al Guatemala, dal Canada a Israele, dalla Svizzera all’Australia… - su invito del Cgie, il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, un organismo di consulenza del Governo e del Parlamento sui grandi temi che interessano le comunità all’estero creato negli anni Novanta per promuovere la partecipazione attiva alla vita politica del paese da parte delle collettività italiane nel mondo.Dieci anni dopo la Conferenza Mondiale dei Giovani, che il Cgie organizzò nel dicembre del 2008 portando a Roma quattrocento delegati da tutto il mondo, sembra finalmente arrivato di nuovo il momento di dare voce e spazio agli expat italiani. Ideatrice e anima dell’evento è Maria Chiara Prodi, classe 1978, bolognese d’origine e parigina d’adozione. Laureata in , co-fondatrice di ExBo - il network dei bolognesi all’estero - Maria Chiara Prodi vive in Francia da quindici anni; è coordinatrice artistica de l’Opéra Comique e presidente della commissione “Nuove migrazioni e generazioni nuove” del Cgie.La finalità del Seminario è ambiziosa: creare una rete di giovani italiani nel mondo che non esaurisca la sua energia nei quattro giorni di Palermo, ma che anzi prenda il via e prosegua nei prossimi mesi elaborando riflessioni e proposte e sopratutto coniugando le due anime, spesso percepite come contrapposte, degli italiani all’estero. E cioè da una parte le seconde o terze generazioni, vale a dire i figli e i nipoti di italiani emigrati all’estero molti decenni fa, e dunque “identità ibride”; e dall’altra parte la nuova emigrazione, i sempre più numerosi giovani nati e cresciuti in Italia che a un certo punto han deciso di fare le valige e costruire la propria vita altrove - in cerca di migliori opportunità. In particolare, i centoquindici partecipanti sono equamente divisi tra un 60% di seconde e terze generazioni e un 40% di rappresentanti della nuova emigrazione.Molte sono le reti già esistenti: spesso gli expat si federano a seconda della Regione italiana di provenienza (Bellunesi nel mondo, Trentini nel mondo…), oppure creano momenti di incontro e supporto reciproco nelle città dove si sono trasferiti e dove non conta più dove si viveva prima di partire dall’Italia, conta solo il fatto di essere italiani all’estero. Ora si tratta di sistematizzare questo attivismo spontaneo e rendere questi giovani «protagonisti del futuro del nostro paese» spiegano dalla Commissione Nuove Generazioni del Cgie «e  farli diventare attivatori, nei loro territori di provenienza, di coinvolgimento giovanile e informazione a tutta la comunità».L’evento di Palermo è strutturato in due giorni focalizzati sulle “tecniche partecipative”, un giorno dedicato alla formazione (con particolare attenzione alle reti di ricercatori italiani nel mondo, ai temi del lavoro e della mobilità, alle nuove esperienze e opportunità legate alle famiglie expat, e ai meccanismi di rappresentanza degli italiani all’estero) e l’ultimo giorno, venerdì 19, per parlare alle istituzioni. Gli oltre cento partecipanti sono stati selezionati dai Comitati degli Italiani all’Estero e dalle nove Consulte regionali per l’emigrazione aderenti all’iniziativa - quelle di Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Liguria, Marche, Molise, Trentino Alto Adige e Umbria - “con l’intento di mobilitare tutte le comunità d’italiani all’estero e rafforzare le reti istituzionali di rappresentanza di base”.Si parte dunque oggi al Teatro Massimo, con la presenza del segretario generale del Cgie Michele Schiavone e del sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo; subito dopo pranzo la prima sessione di lavori, intitolata eloquentemente “Essere italiani all’estero. Una mappa giocosa dell’essere italiani fuori dall’Italia”, per far emergere e analizzare le caratteristiche che l’emigrazione italiana ha assunto nei differenti Paesi d’adozione. E poiché non di solo pane vive l’uomo i ragazzi in serata avranno anche l’opportunità di assistere alla prova generale dell’opera “Idomeneo, re di Creta” di Mozart e incontrare il giovane direttore d’orchestra Daniel Cohen.Per mercoledì 17 il programma prevede presso il Real Teatro Santa Cecilia una giornata di lavoro con la metodologia Open Space, in cui i partecipanti discuteranno sul senso di fare rete e di come dare valore a questa esperienza; in serata, sulla base dei risultati dei lavori, verrà definita una lista di iniziative da portare avanti.Giovedì 18, mattina dedicata ad atelier tematici: tra questi anche il workshop “Trovare lavoro in Italia, partire per l’estero: kit di sopravvivenza”, presso la Sala della Biblioteca comunale di Palermo, cui parteciperà la giornalista Eleonora Voltolina, presidente dell’associazione Italents e fondatrice della testata online Repubblicadeglistagisti.it, insieme a Silvana D’Intino, fondatrice di ITAUFamily. Tra gli altri seminari vale la pena segnalare che, in anteprima, verrà presentato il rapporto “Famiglie transnazionali dell’Italia che emigra. Costi e opportunità è la prima indagine sull’impatto economico della mobilità giovanile sulle famiglie italiane”, a cura di AltreItalie e Makran-mammedicervellinfuga.com e in particolare degli autori Maddalena Tirabassi, Brunella Rallo, Alvise Del Pra’ e Valeria Bonatti.Nel pomeriggio ci si sposta a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, per un incontro nella Sala Piersanti Matterella con il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè e con l’assessore regionale all’Istruzione Roberto Lagalla. Altri due momenti dedicati all’approfondimento saranno il panel “I giovani al cuore dell’emigrazione italiana: ricerche e dati” tenuto da Delfina Licata, coordinatrice del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, e Paolo Balduzzi, docente di economia dell’università Cattolica e segretario generale di ITalents; e il panel “Il soft power italiano: cos’è e cosa c’entrano i giovani italiani nel mondo” con il direttore dell’Agenzia Nazionale Giovani Domenico De Maio e Letizia Airos Soria, direttrice responsabile del Network Editoriale i-italy.org negli USA.La sessione conclusiva, venerdì 19, avrà luogo all’università di Palermo. I giovani saranno accolti dal rettore Fabrizio Micari, dal sindaco Leoloca Orlando, dal presidente della regione Nello Musumeci e da Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato. Per Maria Chiara Prodi sarà il momento di fare una sintesi dei lavori e aprire il confronto con le istituzioni a partire dai documenti finali del Seminario, presentati dai delegati, prima delle conclusioni del segretario generale del Cgie, Michele Schiavone. Con l’auspicio che Palermo non sia che l’inizio di un lungo percorso per rivitalizzare la preziosa rete delle centinaia di migliaia di giovani italiani all’estero.

L'Agenzia Giovani presenta le opportunità per il 2019: fondi da Ue e governo per gli under 35

Giovani viziati, scansafatiche. La verità è invece che i ragazzi hanno spesso idee da mettere in pratica, ma a mancare sono i mezzi. Quest'anno la Legge di bilancio ha aumentato i fondi da distribuire per le loro iniziative: «venti milioni in più, che stiamo cercando di incrementare» ha fatto sapere Vincenzo Spadafora, sottosegretario con delega ai giovani, all'evento di presentazione dei nuovi bandi europei gestiti dall'Agenzia nazionale giovani, a fine marzo, nei teatri di Cinecittà a Roma. Una vera e propria festa, con atmosfera da discoteca, spettacoli circensi e band sul palcoscenico, in diretta anche sui social con l'hashtag #oggiprotagonisti. Presenti Domenico De Maio, direttore Ang, il vicepremier e ministro del lavoro Luigi Di Maio e Spadafora, che ai seicento ragazzi provenienti da tutta Italia hanno illustrato i dettagli delle nuove opportunità per il 2019 promosse dal Dipartimento per le politiche giovanili.  Lo hanno fatto da una consolle radio, aiutati dalle speaker della nuova emittente Ang radio partita proprio per l'occasione - «avevamo un ufficio dismesso con un'attrezzatura radiofonica e l'abbiamo fatta ripartire», ha raccontato De Maio. «Sono due i progetti europei a cui partecipare» ha spiegato il direttore Ang. Il primo è Erasmus+, programma europeo che fa da contenitore sia al più famoso Erasmus, sia a un altro troncone «che si differenzia per il fatto che è rivolto ai soggetti più svantaggiati, quindi a chi non frequenta l'università». A questi ultimi bandi, che sono quelli gestiti per l'Italia da Ang, possono partecipare i gruppi costituiti in associazioni «che svolgono attività di qualunque tipo, come per esempio la riqualificazione urbana». In ballo ci sono per il 2019 12 milioni di fondi, che Ang deve distribuire tra le diverse iniziative. La bellezza di questo progetto sta nel fatto che «le esperienze in questo modo si fanno in mobilità, viaggiando, ed è così che si acquisiscono nuove competenze e ci si ricalibra ripartendo da un nuovo obiettivo» ha commentato De Maio. La seconda tranche di fondi europei confluisce invece nel Corpo europeo di solidarietà. «La caratteristica di questo bando è che possono partecipare anche gruppi informali di giovani, senza l'intermediazione di un'associazione». E di nuovo a essere ammesse sono attività di ogni genere, «dal digitale, ai laboratori artistici, alle radio» specifica De Maio. Si possono avere «fino a 10mila euro a progetto», un piccolo budget «che però può servire a portare avanti idee per esempio sul proprio territorio». L'Agenzia giovani dà anche una mano a chi non conosce le tecniche di progettazione, o non ha le competenze per redigere un business plan: «Ci sono dei coach a disposizione, con un calendario per prendere appuntamento, perché scopo della nostra organizzazione è proprio dare concretezza ai programmi europei, avvicinandoli ai potenziali beneficiari». Renderli insomma comprensibili e aiutare i giovani a usufruirne, un passaggio non scontato e soprattutto auspicabile, considerato come ogni anno vadano disperse grandissime quote di risorse europee perché sconosciute o – appunto – perché non si sa come richiederle. «Le prossime scadenze sono il 30 aprile e il primo ottobre». Ci si registra «come si farebbe per un social network, si invia il progetto e nel giro di tre o quattro mesi si riceve una risposta». E, assicura De Maio, «non servono raccomandazioni». Nella stessa direzione va anche il bando Fermenti indetto dal Dipartimento per le politiche giovanili, in cui sono confluiti 16 milioni del nuovo tesoretto della manovra a favore dei giovani. Possono partecipare sia gruppi informali che associazioni, unico limite è l'età 18-35 anni. Per ogni progetto «ci sono fino a 450mila euro disponibili» spiega Spadafora, che saranno erogati dal Dipartimento. L'idea «è mettere in piede dei nuovi cantieri, che noi andremo a seguire per 18 mesi, con la possibilità di aggiungere altri bonus e scongiurare i rischi corsi nel passato: quelli di progetti iniziati ma poi andati a morire». Il periodo per fare domanda è di 60 giorni, e anche per questo bando è possibile chiedere il supporto di esperti per la stesura del progetto. Uno dei problemi è far conoscere ai giovani le opportunità che le istituzioni lanciano. Per fare qualche passo in avanti per Fermenti – ad esempio – si è organizzato un tour con un pulmino che andrà in giro per l'Italia a promuovere il bando. E ancora, all'evento hanno presenziato alcuni tra gli influencer più seguiti dai ragazzi – Angelica Massera, Goldengianpy, Leonardo De Carli – che hanno postato sui propri profili l'evento e rilanciato la notizia dei bandi. Ang da parte sua «porterà nelle scuole la testimonianza di persone che hanno usufruito dei bandi e hanno avuto esperienze all'estero, per raccontarle agli studenti così come fanno altre agenzie europee, per esempio in Germania» ha chiarito De Maio. Le novità – e le speranze – per i giovani per quest'anno sono anche altre come assicurato dal vicepremier pentastellato: «Stiamo lavorando al salario minimo orario, che all'estero hanno ovunque, perché il problema dei ragazzi di oggi è che accettano tutto, anche senza guadagnare, pur di lavorare». Con il salario minimo «si dice che lavori se hai un salario minimo, altrimenti è sfruttamento». Ad aprile poi «apriremo un fondo di un miliardo per finanziare idee innovative, non solo digitali» è la promessa. Un po' sulla scia «di Spotify e Tesla, che sono nate con fondi pubblici, e noi ci vogliamo mettere in pari». Questa è una generazione descritta «con il cliché dello smartphone in mano» ha aggiunto il vicepremier, «ma da quel telefono possono nascere invenzioni incredibili che sono quelle che ci stanno cambiando la vita». I giovani vanno allora assecondati per far sì che trovino una strada, «e mai chiusi in un recinto come se fossero una riserva indiana». Sono loro «a dover essere protagonisti di ogni realtà» è l’auspicio di Di Maio. Ilaria Mariotti 

Radio Popolare racconta il mondo del lavoro: dopo tre anni di “Pionieri”, in partenza a maggio un nuovo format

Esistono modi alternativi di guadagnarsi da vivere, con mestieri che non possono essere catalogati sotto nessuna voce alle professioni tradizionali. Ne ha parlato per tre stagioni, da settembre 2015 fino a giugno del 2018 la trasmissione di Radio Popolare Pionieri, andata poi incontro a uno stop «nonostante i buoni ascolti». La sospensione «era nell'aria da un po'» riferisce il conduttore, l'autore milanese Gianpiero Kesten [nella foto]. L'idea del programma era nata «perché volevamo parlare del mondo dei giovani, e si concretizzò un giorno a pranzo con il sociologo Stefano Laffi che aveva scritto un libro che si intitolava proprio “Pionieri”». L'argomento all'epoca non era così inflazionato: «siamo stati lungimiranti a aprire questa finestra perché era una realtà, quella dei lavori non tradizionali, diventata sempre più evidente. Solo che poi se ne è cominciato a parlare un po' ovunque sui media, e il rischio era perdere di originalità».Così, finito il primo ciclo da circa 300 puntante, a maggio si riapriranno i battenti sotto una veste (e un nome) nuovi: «Si parlerà ancora di lavoro, ma partendo da quei luoghi di Milano e dintorni, come per esempio le fabbriche dismesse, che hanno cambiato destinazione d'uso» anticipa Kesten, «portando con sé una trasformazione dei mestieri che si svolgevano al loro interno». Un punto di vista diverso che però sarà «un pretesto per raccontare ancora una volta il mondo del lavoro che cambia». L'appuntamento non sarà più lo stesso: a differenza di Pionieri, che occupava il palinsesto quattro giorni a settimana, il nuovo programma condotto da Kesten andrà in onda solo il sabato, alle 11.30. Di tutto questo mondo alternativo fatto di occupazioni impensate generate per lo più dalla crisi economica «le vecchie generazioni non sanno pressoché nulla, abituate come sono a dei percorsi lineari: studio una tal cosa, per poi essere assunto con tutte le garanzie del caso» riflette il conduttore. Esplorare questo universo significa quindi «mettere in contatto i giovani con altri giovani, far da altoparlante alle loro idee, senza mettersi nei panni degli esperti di qualcosa». Ma alla fine serve «anche a rassicurare per gli ascoltatori più 'maturi', i genitori o familiari di questi giovani, che scoprono così che c'è una via d'uscita per i loro ragazzi senza un'occupazione». Con Pionieri l'aggancio con il pubblico più adulto aveva funzionato. Il riscontro non emergeva tanto dai dati di ascolto, «molto aleatori e imprecisi, neppure li so» dice Kesten, quanto dalle reazioni sui social o dagli sms. E poi «dall'attenzione della stampa, e dagli eventi che Radio Popolare organizzava, in cui mi capitava di incontrare dei genitori che ascoltavano la trasmissione».Pionieri aveva anche un orario strategico, quello del 'drive time', ogni giorno dalle 17 alle 18, ottenuto proprio grazie al buon andamento del programma. Per un'ora si parlava prima della storia di qualche ascoltatore 'pioniere', per poi passare alla seconda fase in cui si discuteva con un collega della radio esperto di filosofia. Solo nell'ultimo periodo «avevamo inserito un consulente che rispondesse alle domande degli ascoltatori». Un filo diretto con gli ascoltatori quindi, senza filtri. Da cui è uscito di tutto: «Dalla storia di chi ha scoperto di avere un cane cacciatore di tartufi e ha fatto della vendita di questi prodotti un business, a chi ha aperto una start up come per esempio l'open source per libri universitari, una sorta di Wikipedia mirata sui testi accademici».E ancora chi «ha venduto tutto per riaprire la fonderia del nonno, o una start up del bergamasco, Loda Orobica, partita con tre persone e oggi diventata una delle aziende più importanti per l'archiviazione digitale». Sono finiti su Pionieri anche diversi membri di Ashoka, la rete di imprenditori per l'innovazione sociale, come la direttrice della RdS Eleonora Voltolina, nominata Ashoka Fellow nel 2018. Negli ultimi anni poi, «ci siamo occupati anche dei meno giovani, dei cinquantenni rimasti senza lavoro che con i propri risparmi hanno ricominciato magari aprendo un locale». Tutte persone insomma che si sono inventate un lavoro, «non un hobby ma qualcosa con cui campano» sottolinea.A scovare le vicende ci pensava lo stesso Kesten, almeno all'inizio: «Poi, quando la trasmissione ha cominciato a farsi conoscere, sono cominciate ad arrivare le segnalazioni». E veniva tutto confezionato e messo in onda dallo stesso conduttore, «come nella migliore tradizione della radio in cui una sola persona fa tutto, dalla regia al resto». Con contenuti dal linguaggio «il più chiaro possibile e lontano da tecnicismi, proprio per evitare di fare i grandi che parlano ai giovani creando un certo distacco».C'è bisogno di parlare di lavoro, oggi più che mai: «Perché è diventato tutto difficilissimo: non ci sono più diritti, le regole si sono polverizzate tra partite Iva, precari e assunti veri e propri» ragiona l'autore. E il tema è sempre più scomodo perché «chi ne parla non è chi sta bene, ma in linea di massima chi il lavoro non ce l'ha e si trova in difficoltà, e chi dovrebbe risolvere i problemi». L'importante però per chi è fuori dal circuito, suggerisce, «è non perdere di vista i propri obiettivi, e non preoccuparsi se ogni tanto bisogna cambiare strada perché non c'è niente di umiliante nel non fare quello che si era previsto, non è una colpa». Sono questi i consigli ai giovani per farsi largo in questo mercato del lavoro, a parte «riascoltarsi tutti podcast di Pionieri» scherza. E poi sintonizzarsi ancora su Radio Popolare a partire da maggio per il prossimo appuntamento dedicato ai lavori di oggi.  Ilaria Mariotti

“Perché l'Italia torni un paese per giovani, i giovani stessi devono scendere in campo in prima persona”

Che l'Italia non sia più un paese per giovani lo si dice già da tempo: giusto giusto dieci anni fa, nel 2009, la frase divenne il titolo di un saggio fulminante dell'allora quarantenne Alessandro Rosina, docente di demografia e acuto osservatore della condizione giovanile in Italia. Un decennio è passato – eppure la situazione non è migliorata. «Oggi non ci sono più le condizioni per un giovane di crescere e affermarsi» dice Luca Pietro Ungaro: «Si scappa all’estero perché non ci si sente valorizzati». Ungaro non parla per sentito dire: ha ventisei anni e da un paio d'anni vive a Parigi dove, dopo una laurea in economia alla Cattolica di Milano e un mba che lo ha portato anche in California e in Ghana per un po', oggi fa il consulente. Insomma un giovane “ingrato” fuggito all'estero in cerca di fortuna? Non proprio. Ungaro – fratello del deputato Massimo, eletto l'anno scorso alla Camera nella circoscrizione Estero – è anche appassionatamente convinto che i giovani debbano lavorare in prima persona per la rinascita dell'Italia per rendere il nostro Paese di nuovo “un Paese per giovani” appunto. Da tre anni fa parte della Global Shapers Community, iniziativa del World Economic Forum che mira a creare un network di giovani “che sono eccezionali per potenziale, risultati ottenuti e intenzione di dare un contributo alla propria comunità”. E nel 2015 ha fondato Culturit, una organizzazione non profit che ha già una decina di sedi sparse per l'Italia e si prefigge di formare studenti universitari di tutte le facoltà attraverso progetti focalizzati sulla valorizzazione e lo sviluppo dei beni culturali italiani, intesi in senso largo. Insomma uno convinto che con la cultura... si mangi.La più recente creatura di Ungaro è Energia Giovani, un progetto – che probabilmente prenderà la forma di associazione non profit nei prossimi mesi – che vuole affrontare il tema dell'equità intergenerazionale.Sabato 30 marzo a Milano è in programma “Culturit University”, il raduno nazionale di tutte le locali italiane di Culturit: questa è la sesta edizione dell'evento, e quest'anno il tema principale sarà proprio la (non) rappresentanza e la (non) centralità degli under 30 – o forse addirittura under 40... – in Italia. “Non è un paese per giovani: le sfide delle nuove generazioni” è il titolo che gli organizzatori hanno scelto per la giornata. L'evento (questa la pagina su FB) prenderà avvio alle 14 con la messa in scena dello spettacolo teatrale “Aiuto, mi laureo!” di Francesca Isola, con musiche di Angelo Simonini; a seguire la tavola rotonda “Investire sui giovani: a che punto siamo”, con Alessandro Rosina (proprio lui) e il giornalista Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta. L'intervento conclusivo sarà di Eleonora Voltolina, fondatrice della Repubblica degli Stagisti e Ashoka Fellow, che insieme a Leonardo Stiz – ventiseienne veneto, laureato in Legge alla Bocconi, oggi stagista presso la Commissione europea, e cofounder insieme a Ungaro di Energia Giovani – discuterà delle migliori “Idee per un'Italia a misura di giovani”. Alla “Culturit University” collaborano associazioni come Aiesec Milano, Enactus Milano, European Generation, Fai Giovani Milano, JECatt, Poliferie e Tortuga. «Dalla politica tendiamo ad allontanarci sempre di più» dice Stiz: «Il divario tra giovani e politica cresce e il dialogo tra queste due realtà si annulla. Ci perdono i giovani, perché la politica non fa più niente per loro, e ci perde il Paese, perché i giovani si disinteressano». Bisogna invertire la rotta, e in fretta.«Sta a noi disegnare la società del futuro: ora tocca a noi» conclude Ungaro: «Se non ne siamo convinti noi per primi, nessuno ci darà spazio. Dobbiamo far capire alla società che non siamo degli antagonisti ma che vogliamo prendere in mano il nostro futuro di lavoro e di vita, lavorando e innovando. Questa è la missione di Energia Giovani». Giovani all'ascolto, se queste parole risuonano nella vostra mente, se vi ispirano, potete trasformare la vostra energia in qualcosa di concreto. Magari iscrivervi a CulturIt. O a un sindacato. O a un partito. O a un'associazione di azione giovanile.

Niente più stage gratis al Parlamento europeo: la vittoria dell'eurodeputato Benifei

Mai più stage a titolo gratuito all'Europarlamento. Il traguardo arriva dopo tre anni di battaglia – sotto il nome di #Fairinternships per stage più equi – a suon di «manifestazioni, incontri, flash mob, questionari anonimi» racconta Brando Benifei, eurodeputato Pd e copresidente dell'Intergruppo giovani. Al suo fianco David Sassoli, vicepresidente dell'Europarlamento: l'occasione è una conferenza stampa organizzata ieri apposta per annunciare «la fine della pratica vergognosa dell'uso di stagisti senza rimborso spese». Uno stop che riguarda quel «far west» – così lo definisce Benifei – di stage che si svolgono presso gli uffici degli europarlamentari, finora rimasti sostanzialmente senza regolamentazione. La nuova normativa entrerà in vigore a partire dal primo luglio, quindi con la prossima legislatura: scongiurato per fortuna il timore «di non riuscire a rientrare nei tempi della fine del mandato», con il rischio di lasciare a metà il lavoro fatto finora. Le regole che saranno introdotte in estate e che il Bureau ha approvato lo scorso 25 marzo rompono in maniera netta con il passato. Innanzitutto sul piano dell'indennità da corrispondere ai tirocinanti: si passa infatti da nessun tetto minimo a un range di rimborso spese – obbligatorio – dagli 800 ai 1313 euro mensili come soglia massima. Una fascia non casuale «ma allineata alle regole sugli stage in vigore in Belgio, e rispetto alle quali finora il Parlamento si poneva in una situazione di ambiguità dal punto di vista legale». O per non parlare proprio di palese illegalità: secondo i dati emersi dal questionario somministrato dall''Intergruppo nel 2017 a 233 stagisti, ben un quarto risultava pagato meno di 600 euro al mese, mentre l’8% non percepiva alcun rimborso. Il tutto a fronte di un 40% impegnato per oltre 40 ore a settimana, con un 15% che andava oltre le 45. Uno «scandalo» secondo Sassoli, da correggere anche perché «il Parlamento europeo come istituzione deve dare l'esempio e mettere in pratica per primo ciò che chiede agli altri di fare». E siccome gli europarlamentari possono inserire stagisti anche negli uffici dei propri paesi di provenienza – quindi non solo in Belgio – il provvedimento chiede di applicare anche nei diversi Paesi membri la legge nazionale valida per gli stage. La seconda misura riguarda poi la durata: si passa da un massimo di 18 mesi alla metà, ovvero nove mesi. Con una durata che può andare da sei settimane a cinque mesi prorogabili appunto fino a nove. Si pone l'obbligo dell'assicurazione sanitaria (è attualmente sufficiente la sola autocertificazione), e si fissano altri due paletti: ogni europarlamentare non potrà avvalersi di più di tre stagisti contemporaneamente né ripetere lo stage con chi lo abbia già fatto. Si apre anche una finestra specifica per le cosiddette 'visite di studio', una nuova categoria che introduce il regolamento appena approvato rivolta «ai ragazzi che stanno per terminare le scuole superiori o che frequentano l'università e che vogliono svolgere una piccola esperienza presso l'Europarlamento» sottolinea Benifei. Proprio per evitare che vi sia una sovrapposizione con gli stage «abbiamo stabilito che il massimo possibile di durata di queste esperienze sia pari al minimo dello stage, ovvero sei settimane». Ogni europarlamentare può usufruire al massimo di due visite di studio per legislatura, e può – in questo caso liberamente – decidere di erogare un piccolo forfait «che non potrà comunque superare il massimo previsto per una mensilità di stage». La nuova regolamentazione, è bene specificarlo, non avrà alcun effetto sui tirocini Schuman, quel programma di tirocini che si ripeto ogni anno al Parlamento Ue, garantiti da regole e tutele ben precise, e che ogni anno accolgono nelle varie aree dell'istituzione circa 900 persone. «Questi prevedono già programmi formativi e compensi adeguati» chiarisce Benifei. L'urgenza era insomma intervenire sulle altre categorie di stage «rispetto alle quali il Parlamento era inadempiente». Adesso invece ci sarà un allineamento a questi tirocini ufficiali «perché in base ai nuovi contratti attivati da luglio gli stagisti risulteranno a tutti gli effetti dei dipendenti del Parlamento, come vale per gli Schuman, adeguandosi poi al trattamento per gli stagisti previsto dall'ordinamento belga». L'obiettivo è andare anche oltre. Spiega Benifei che il fine politico ultimo «è quello di mettere a bando i tirocini senza rimborso spese in tutta Europa, e più in generale accrescerne la qualità». Anche se inseriti «nell'ambito di un percorso formativo, il lavoro e l'impegno vanno pagati», fa eco Sassoli. Il primo passo sarà la riforma del «Quadro di qualità europeo per i tirocini e per gli apprendistati», una raccomandazione del Consiglio adottata nel 2014 che definisce standard minimi che i Paesi Ue si sono impegnati a rispettare. Resta il nodo dei controlli e delle sanzioni. «Come si può evitare che la nuova normativa non sia aggirata?» chiede un giornalista al termine della conferenza stampa. «Il tutto si svolgerà dentro la cornice dei controlli ordinari realizzati dal Parlamento europeo e con responsabilità diretta dell'istituzione» rassicura Sassoli. Ma per averne la certezza la normativa andrebbe forse implementata anche su quel fronte.Ilaria Mariotti   

Oltre cento tirocini negli uffici giudiziari, in Sardegna un nuovo percorso senza sbocchi professionali

È tra le regioni in cui il tasso di disoccupazione è tra i più alti: quasi il quarantasette per cento per i giovani tra i 15 e i 24 anni e ben oltre il ventisette nella fascia immediatamente seguente, tra i 25 e i 34. Per risolvere il problema la Sardegna punta ancora una volta sui tirocini. Nessuna certezza di un inserimento finale, ovviamente: un semplice tampone della situazione. La Regione ha pubblicato ai primi di febbraio un avviso pubblico per tirocini negli uffici giudicanti del distretto della corte di appello di Cagliari. Gli stage in questione sono «destinati a giovani laureati in materie giuridiche ed economiche». Nello specifico a 103 disoccupati tra i 18 e i 35 anni che per sei mesi lavoreranno 30 ore alla settimana con un rimborso mensile di 450 euro. Per i primi 48 posti, quelli per la città di Cagliari, la scadenza era il 4 marzo. Diverse invece le scadenze per le altre sedi: per i 23 posti a Sassari, sempre accorpando tribunale, giudice di pace, tribunale per i minorenni,ufficio di sorveglianza e sede distaccata della corte di appello, si può fare domanda fino al 24 marzo. Stessa scadenza per gli otto tirocini di Tempio Pausania e La Maddalena. Mentre per i complessivi 24 posti di Lanusei, Oristano e Nuoro le domande vanno consegnate dal 24 marzo fino al 14 aprile. Complessivamente, quindi, ci sono ancora a disposizione 55 stage. L’avviso è finanziato dall’Agenzia sarda per le politiche attive del lavoro (Aspal) con 540mila euro a valere sulla missione 15, programma 2, del bilancio di previsione pluriennale 2019-2021,  approvato a fine febbraio.Gli aspiranti tirocinanti, come espressamente indicato nel bando, devono alla data di presentazione della domanda essere domiciliati in Sardegna ed essere disoccupati ai sensi del decreto legislativo 150 del 2015. Quest’ultimo requisito deve essere posseduto nel momento di presentazione della domanda e mantenuto per tutta la durata del tirocinio, così come la Regione Sardegna ha precisato. Gli aspiranti stagisti non devono poi essere beneficiari di altro intervento di politica del lavoro o essere iscritti all’albo degli avvocati, nemmeno nel registro dei praticanti. Per partecipare bisogna presentare entro i termini previsti la domanda presente sul sito completa di documento e curriculum vitae. A questo punto l’Aspal attribuirà un punteggio alle candidature pervenute che sarà completato da un colloquio motivazionale.Nel bando alla voce “caratteristiche dei tirocini” si precisa che gli stage hanno una durata di sei mesi «eventualmente prorogabile di ulteriori sei». Insomma, con tutta probabilità dureranno complessivamente un anno. Il punto nodale, però, è che questo tipo di stage difficilmente porterà a un inserimento finale. Uno dei principali problemi dei tirocini negli uffici giudiziari, che da sempre la Repubblica degli Stagisti sottolinea, è che l’assunzione post stage non è nemmeno ipotizzabile. E purtroppo questi percorsi formativi non forniscono competenze poi spendibili sul mercato del lavoro, specialmente nel settore privato. Ed è qui che si concentrano tutte le contraddizioni di iniziative di questo tipo. Uno stage serve principalmente a far capire a un giovane che cosa significa il mondo del lavoro, come ci si comporta, quali regole seguire. Ma al giorno d’oggi è soprattutto un primo passo per entrare e cercare di rimanere nel mercato del lavoro. Offire uno stage in un campo come quello della giustizia, dove si entra solo tramite concorsi pubblici, e farlo proprio in un ambito dove da anni – come ampiamente documentato dalla Repubblica degli Stagisti – si susseguono tirocini di tutti i tipi (da quelli in Garanzia giovani a quelli con progetti provinciali, dai bandi alle dirette dipendenze del ministero della giustizia a quelli su sola base regionale) che non hanno mai portato ad un’assunzione finale, non è certamente un buon biglietto da visita. E non lo è nemmeno includere dei disoccupati laureati ultratrentenni in un percorso senza sbocchi.Nel testo dell’avviso, è vero, viene precisato che «il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro, ma è un’esperienza pratica» che consentirebbe, quindi, il contatto diretto dello stagista con l’organizzazione e l’opportunità «di acquisire competenze e conoscenze specifiche, tecniche relazionali e trasversali che possono agevolare e supportare le scelte professionali oltre che favorire il suo ingresso o reingresso nel mercato del lavoro».Ma proprio nelle competenze e conoscenze specifiche che c’è un’incongruità. La stessa che ha riguardato i tirocinanti della giustizia che all’incirca dal 2010 affollano gli uffici giudiziari di tutta Italia, portando risultati apprezzati da tanti Presidenti di Corti di appello. Una platea larghissima che coinvolge cassintegrati, anche over 50, neo laureati in giurisprudenza, trentenni disoccupati: tutti destinatari di progetti in cui hanno acquisito e sviluppato competenze e conoscenze specifiche che non hanno portato a nulla. Oggi, per esempio, quanti erano stati inclusi nel cosiddetto ufficio per il processo hanno terminato a dicembre il percorso e a tutt’oggi non si sa quale sarà la loro sorte. Mentre gli esclusi da questo percorso, che in alcune regioni erano stati inclusi in progetti locali, si trovano tutti in fasi diverse. Tre esempi su tutti: chi ha da poco ripreso con l’ennesima proroga, come Lazio e Calabria, chi non è mai stato rinnovato come l’Abruzzo. Il tirocinio avrebbe dovuto migliorare l'occupabilità di questi disoccupati, proprio come in questo nuovo caso sardo. Ora sottolineare le differenze è d’obbligo: qui c’è un’età limite, seppure alta, l’obbligo di una laurea in settori precisi come giurisprudenza o economia. Ma l’iter del percorso non sembra molto distante da quello che ha illuso per anni tanti altri. E a tutti i disoccupati sardi che nonostante tutto presenteranno domanda di partecipazione, se non altro attirati dal rimborso spese, val la pena ricordare che tra sei mesi, un anno al massimo, dovranno ancora una volta ricominciare tutto da capo. Con un bagaglio di nuove competenze difficilmente spendibile in altri settori. Marianna Lepore   Foto in alto: Firma dell'accordo di collaborazione tra Regione e Corte d'appello di Cagliari, da sinistra Gemma Cucca, presidente della Corte di appello di Cagliari, Francesco Pigliaru, presidente Regione Sardegna, Virginia Mura, assessore al lavoro.

Italia addio non tornerò, il docufilm sugli expat che lasciano l'Italia senza rimpianti

Meritocrazia: a rischio di scivolare nella retorica è questa la parola che ricorre nelle trenta interviste a expat di tutto il mondo contenute nel docufilm 'Italia Addio, non tornerò', curato dalla giornalista Barbara Pavarotti [nella foto a destra], classe 1956, ex vicecaporedattrice del Tg5. A finanziare il lavoro, presentato alla Camera dei deputati a febbraio, è stata la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, che si occupa di promuovere la conoscenza dell'emigrazione dall'800 a oggi. «All'inizio, da 'perfetta' giornalista tuttologa, non ne sapevo nulla» racconta Pavarotti alla Repubblica degli Stagisti. «Poi, quando ho cominciato a 'scalettare' le interviste, mi sono appassionata, mi sono resa conto che la questione expat era fondamentale». Chi appare nelle interviste è stato scelto attraverso un appello lanciato sulla settantina di gruppi di Facebook di Italiani nel mondo. «La Fondazione non voleva le eccellenze italiane di cui parlano tutti» evidenzia la giornalista «ma un ventaglio il più ampio possibile, di mestieri, titolo di studio, competenze». Il coro nei cinquanta minuti di documentario è unanime: all'estero il merito conta, in Italia molto meno. Ed è così che questi figli di nessuno, senza santi in paradiso, hanno costruito il loro futuro fuggendo da un'Italia che li ha respinti, non ha dato loro speranze di futuro, possibilità di trovare un posto e costruirsi una vita. E in questi altri Paesi che li hanno accolti vogliono restare, per tornare in patria al massimo per le vacanze, da turisti.«Mi sono state date delle opportunità: lavori bene? Allora mi fido di te»: la fa breve Stefano Nicoli di Lucca, classe 1980, dal 2005 a Barcellona raggiunta subito dopo la laurea in Scienze della comunicazione. Oggi è un affermato professionista dell'audiovisivo. «Negli ultimi dieci anni mi sono creato uno spazio, e non penso di tornare indietro» dice, riferendosi a un possibile rientro in Italia. Sara Lucchetti [nella foto a sinistra] invece di anni ne ha trenta, è di Roma, ed era il 2011 quando ha deciso di trasferirsi in Australia, a Melbourne, dopo la triennale in Mediazione culturale. Figlia di una cuoca e con un padre con problemi di salute, racconta del desiderio di «crearmi delle opportunità, che non avevo in Italia». Con la famiglia in difficoltà economiche, l'unico sbocco erano le pulizie o la ristorazione. «Sono partita come bartender, e oggi sono manager di un ristorante italiano».La storia si ripete anche per gli altri. Marco Tommaselli, perito informatico di Firenze, a Los Angeles è oggi un direttore della fotografia. «Non conoscevo nessuno e volevo lavorare nel cinema» ammette. «Ci ho messo tre anni a arrivare dove volevo, e ho la sensazione che in Italia ne avrei impiegati quindici, perché qui è diversa la mentalità: le persone ti insegnano e hanno piacere che tu vada avanti nel tuo percorso». In Italia è «l'opposto, non si pensa che sia necessario un ricambio generazionale». Per questo «non credo che riuscirei a riadattarmi al sistema italiano delle raccomandazioni» sottolinea Valeria Milani, medico 45enne, a Monaco dove inizialmente si è trasferita per motivi personali, e oggi si sente «un ibrido perfettamente integrato».Alessandra Altamura, del 1978, di Milano e figlia di un medico di base e di una maestra di asilo, laureata in Ingegneria: oggi è anche lei a Monaco, dove «il mio curriculum e la mia forza di volontà sono stati abbondantemente premiati». In Italia era tutto più difficile perché «avevo anche una bambina piccola». Qui «ho trovato meno pregiudizi sulla maternità». Quarantuno anni anche per Fillippo Baglini [nella foto sotto], giornalista di Pietrasanta, in provincia di Lucca, che nel 2006 è approdato a Londra  «per realizzare un sogno: quello di creare una web radio». Filippo aveva già un lavoro a differenza di altri 'cervelli in fuga', ma nella capitale inglese è riuscito a a dare vita alla sua idea, fondando la London One Radio. Certo, non tutto è rose e fiori: «Non è semplice, ci sono difficoltà come la lingua o anche riuscire a tenere in piedi un'azienda, che qui si apre con un solo pound» precisa Baglini, e non sempre si arriva dove si vuole. A dispetto del titolo del documentario, in realtà qualcuno che vuole tornare c'è. Milena Guerra, 29enne di Napoli, figlia di una sarta e di un autista, in Italia non riusciva a trovare lavoro ed è arrivata due anni fa a Los Angeles con in tasca una laurea in Lingue. Ma non è riuscita purtroppo ad andare oltre la fase di ragazza alla pari: non proprio «il lavoro dei sogni». E adesso – confessa – «sento il bisogno di rientrare».Il danno economico prodotto dai giovani italiani che vanno all'estero senza mai fare rientro ammonterebbe a 14 miliardi di euro all'anno secondo stime di Confindustria – un punto di Pil – sottolinea il documentario, calcolando le spese di formazione di questi stessi ragazzi di cui si fa carico lo Stato. Una formazione che non ha portato occupazione e che ha fatto sì che oggi si sia tornati a una emigrazione ai livelli del Dopoguerra. «In Italia il lavoro è concepito come un diritto dinastico» è il commento della regista al termine della proiezione: «Puoi aver anche scritto un capolavoro, ma nessuna casa editrice ti si filerà mai» esemplifica, per restare nell'ambito editoriale. Qui da noi «un Zuckerberg non sarebbe mai nato, perché quando vai a chiedere lavoro rappresenti un fastidio» prosegue. E i curriculum spediti «non vengono quasi mai visti e per lo più cestinati».Emigrare all'estero non deve essere «una scelta obbligata» dichiara a margine dell'evento il deputato Pd Massimo Ungaro, 30 anni e un passato da expat a Londra, «perché partire può essere un fatto positivo, ma moltissimi sentono che non hanno un'alternativa». E al momento un modo per spingerli a rientrare esisterebbe pure: «La legge sugli sgravi fiscali Controesodo», fa sapere. Una norma che consente a chi rientra di usufruire per i primi anni di un sostanzioso sconto sulle tasse da lavoro.Per chi volesse vederlo, il docufilm sarà presentato il 22 marzo a Milano, a Palazzo Reale. Poi a Salerno, a Pisa, al Luccafilm Festival, a Genova, al convegno Diaspore. All'estero è già stato anche a Madrid, all'Ambasciata, mentre in autunno di quest'anno sarà proiettato a Melbourne. Ma «il sogno è che qualche televisione lo trasmetta integralmente», confessa la curatrice, «perché lì c'è una sintesi dei temi più importanti finora emersi nel dibattito sugli expat, e più se ne parla più c'è speranza, forse, che le cose cambino». Ilaria Mariotti

Regole sui tirocini, l'Umbria alza l'indennità minima e riduce la durata massima

A ormai quasi due anni dall’approvazione delle “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” l’Umbria ha emanato la sua nuova direttiva sul tema, che entrerà in vigore il prossimo 1° ottobre. Si posiziona quindi terzultima: ora restano solo Puglia e Molise a non essersi ancora messe in regola.Numerose le differenze della nuova normativa umbra rispetto alle indicazioni nazionali, a cominciare dalla durata massima del tirocinio, fissata a sei mesi per tutti (in particolare: i soggetti in stato o a rischio di disoccupazione, i lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito, i soggetti già occupati in cerca di altra occupazione e altri eventuali soggetti individuati dalla programmazione delle politiche nazionali e/o regionali per il lavoro). I dodici mesi – che le linee guida suggerivano di applicare come durata massima generale – in Umbria invece sono d'ora in avanti concessi solo in caso di tirocini per i soggetti disabili e svantaggiati. Infine, il periodo massimo di tirocinio si riduce a tre mesi per gli studenti che hanno assolto l’obbligo di istruzione limitatamente ai tirocini promossi dai servizi per l’impiego e svolti durante il periodo estivo. Quanto alla durata minima, è fissata a due mesi, che si riducono a uno per chi svolge il tirocinio presso soggetti ospitanti che operano stagionalmente e a quattordici giorni per gli studenti. Viene specificato inoltre che l’orario giornaliero non può superare le otto ore.Ma attenzione, perché nell’ambito di interventi di politiche attive viene prevista la possibilità di prolungare i tirocini extracurriculari da sei a dodici mesi e da dodici a ventiquattro per soggetti disabili e svantaggiati. Cioè tornando ai limiti massimi standard previsti dalle linee guida.In particolare, la Regione Umbria potrà finanziare quattro tipologie di misure: «interventi volti a incentivare le imprese che al termine del periodo di tirocinio extracurriculare assumeranno, con contratto a tempo indeterminato, i beneficiari neo-formati, in unità produttive presenti sul territorio umbro»; «misure volte a premiare e incentivare le imprese che al termine del periodo di tirocinio extracurriculare assumeranno, con almeno un contratto a tempo determinato, in unità produttive presenti sul territorio umbro, soggetti disabili e persone svantaggiate»; «programmi d’inserimento/ reinserimento volti a favorire, al termine del tirocinio extracurriculare, l’occupazione in Umbria di giovani e disoccupati di lunga durata»; e infine «azioni rivolte alla messa in trasparenza, validazione e certificazione delle competenze, nonché riconoscimento di crediti formativi, dei partecipanti ai tirocini extracurriculari». In caso di avvisi con questi requisiti, «la Regione può assumere a proprio carico in tutto o in parte l’indennità di partecipazione, sulla base delle previsioni dei singoli avvisi».Ma in base a quali criteri i tirocini rientrano o meno nelle "politiche attive del lavoro"? «Vi rientrano, e quindi hanno diritto all'estensione, tutti quei tirocini che sono esplicitamente finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro» risponde Carla Collesi dell'Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro: «Possono inoltre derogare alla durata stabilita i tirocini extracurriculari promossi dai servizi sociali e dai servizi sanitari dell'Umbria». Secondo la nuova normativa, intitolata “Disposizioni della Regione Umbria, relative all’attuazione e svolgimento dei tirocini extracurriculari”, l’indennità di partecipazione non deve essere inferiore a 450 euro lordi mensili, erogati per intero a fronte di una partecipazione minima documentata del 70 per cento su base mensile o altrimenti in maniera riproporzionata. Anche l’Umbria, quindi, ha deciso di aumentare la cifra rispetto ai 300 euro fissati sia nella precedente normativa regionale che nelle linee guida nazionali. Particolare di non poco conto, nella bozza visionata dieci mesi fa dalla Repubblica degli Stagisti l’indennità era inizialmente stata fissata a 400 euro, dunque evidentemente nel corso della discussione su questo provvedimento è stata fatta dalla Regione una riflessione sulla opportunità di alzare ulteriormente la soglia minima.Rispetto alla normativa precedente, la Regione pone inoltre maggiore attenzione sulle misure di vigilanza e controllo, istituendo «un elenco nel quale vengono inserite i soggetti per i quali è stato accertato un utilizzo del tirocinio non conforme alla normativa vigente»: una novità anche rispetto alla normativa nazionale. Riguardo la disciplina sanzionatoria, viene confermata per le violazioni non sanabili l’intimazione della cessazione del tirocinio per dodici mesi preceduta, per le violazioni sanabili, da un invito alla regolarizzazione. L’interdizione aumenterà rispettivamente a diciotto e ventiquattro mesi in caso di seconda e di terza o maggiore violazione nell’arco di ventiquattro mesi dalla prima interdizione. E la cumulabilità tra indennità di disoccupazione e rimborso spese? Qui l’Umbria si discosta dalle linee guida nazionali, ribadite nella circolare Inps 174, sulla totale compatibilità tra i due. La delibera regionale stabilisce infatti che «nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno al reddito in quanto fruitori di ammortizzatori sociali, l’indennità di tirocinio non viene corrisposta per il periodo coincidente con quello di fruizione dell’ammortizzatore». Il legislatore regionale aggiunge che «nell’ipotesi in cui l’importo percepito a titolo di ammortizzatore sia inferiore all’indennità minima da corrispondersi a titolo di tirocinio, il tirocinante ha diritto alla corresponsione della differenza, qualora essa risulti inferiore al sostegno al reddito percepito».Queste le principali variazioni rispetto alle indicazioni venute fuori nel 2017 dalla Conferenza fra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano. Intanto, nel periodo di transizione, secondo il Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2018, i tirocini extracurriculari in Umbria sono aumentati di quasi il 40%, passando da 4.090 a 5.720; per dare un'idea, in Umbria vivono circa 122mila persone tra i 15 e i 29 anni – la fascia di età in cui è più frequente fare stage. Resta ora da capire se la nuova normativa, più attenta alle esigenze dei tirocinanti ma anche più severa nel monitoraggio della qualità dei tirocini, cambierà questa tendenza.Rossella Nocca