Chiara Del Priore
Scritto il 06 Dic 2022 in Notizie
cooperazione internazionale jpo programme nazioni unite
«La UN fellowship offerta dal governo italiano mi ha dato la possibilità di entrare nel mondo lavorativo delle Nazioni Unite. Dopo un'esperienza a Beirut, presso il Resident Coordinator Office delle Nazioni Unite, ho lavorato come esperta in trasformazione digitale per UNDP. il JPO mi ha dato la possibilità di continuare il lavoro nelle Nazioni Unite con una maggiore stabilità contrattuale». A parlare è Roberta Maio, 32 anni e una laurea in Scienze internazionali e diplomatiche all’università di Bologna.
Il suo JPO è ancora in corso a Nairobi, Kenya, dove lavora presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani (UN-Habitat): «Mi occupo di trasformazione digitale e tecnologie applicate alle città per migliorare la vita dei cittadini nel mondo e rappresento l’Agenzia in vari forum internazionali in cui si discute di temi quali diritti digitali, digital divide, accesso alle tecnologie, legislazione e altro». L'interesse di Roberta Maio verso il mondo della cooperazione internazionale era cominciato presto, già durante l’università, e si era concretizzato in varie esperienze all’estero: a Vilnius, Lituania, in Erasmus; poi e a Melbourne, Australia; e ancora un Erasmus Plus a Bruxelles e un’esperienza nel settore privato con PwC sempre in ambito europeo.
Chi intende fare un'esperienza simile alla sua ha tempo fino al prossimo 15 dicembre per inviare la candidatura e provare a entrare nel programma JPO, Giovani Funzionari delle Organizzazioni Internazionali, che consente appunto a giovani italiani di effettuare un’esperienza formativa e professionale nelle organizzazioni internazionali per un periodo di due anni. Il programma è promosso dalla Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo e curato dal dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UN/DESA); l’application va inoltrata esclusivamente online attraverso il sito www.undesa.it. Non è ancora certo il numero di posizioni aperte, ma probabilmente saranno circa 40 i posti disponibili, in analogia con gli anni precedenti, con retribuzione corrispondente al livello P2 dei funzionari delle Nazioni Unite, pari a 60mila dollari annui, circa 63mila euro, ai quali va aggiunto un adeguamento che varia da Paese a Paese a seconda del costo della vita locale. Il contratto comprende, oltre al salario, l'assicurazione medica, i contributi pensionistici e altre indennità.
Chi presenterà domanda dovrà competere con un numero molto ampio di candidati, almeno stando ai dati delle edizioni precedenti: per quella 2021/2022 sono state 1.843 le domande complessive, di cui il 67% di donne e il 33% di uomini, per un’età media di 28 anni e mezzo. La componente femminile appare quindi storicamente in netto vantaggio numerico rispetto a quella maschile.
Requisiti necessari sono: data di nascita non precedente al 1 gennaio 1992 (1 gennaio 1991 per i laureati in medicina, 1 gennaio 1989 per i laureati in medicina che abbiano conseguito un diploma di specializzazione in area sanitaria); nazionalità italiana; ottima conoscenza della lingua inglese e italiana; laurea specialistica/magistrale o magistrale a ciclo unico, laurea triennale accompagnata da un master universitario.
Conoscenza di altre lingue ufficiali delle Nazioni Unite o lingue parlate nei Paesi in via di sviluppo, possesso di ulteriori titoli accademici o corsi di formazione rilevanti, un’esperienza professionale, della durata di almeno due anni e possesso di alcune capacità e competenze quali orientamento al cliente, lavoro di squadra, comunicazione, responsabilità, pianificazione e organizzazione del lavoro sono caratteristiche che vengono tenute in considerazione nel valutare le candidature.
Per fornire informazioni utili all’invio della candidatura gli organizzatori hanno programmato webinar dedicati, per i quali è necessaria la registrazione sul sito www.undesa.it. Il prossimo è in programma il 9 dicembre alle ore 17. I candidati prescelti dovranno poi seguire un corso obbligatorio promosso dalle Nazioni Unite incentrato su tematiche inerenti il lavoro che andranno a svolgere nelle organizzazioni internazionali.
Che consigli darebbe Roberta Maio a chi vuole tentare questa strada? «Sicuramente il Programme predilige professionisti con almeno 3-5 anni di esperienza professionale a livello internazionale. Negli ultimi anni l'Onu sta cercando di attirare sempre più professionisti provenienti dal settore privato, insieme ai percorsi più direttamente associati ad una carriera internazionale quali istituzioni europee, Ong, think tank etc. La conoscenza avanzata delle lingue straniere è un prerequisito fondamentale e più sono le lingue conosciute, a livello minimo B2, maggiori sono le chances di essere selezionato. Un vantaggio per me è sicuramente stato quello della conoscenza del sistema ONU, che avevo acquisito tramite l'esperienza quale consulente in PwC per le Nazioni Unite e grazie alle esperienze professionali dirette nell'ONU, associata ad una conoscenza tecnica e settoriale nei temi digitali maturata sia all'interno delle UN che nel settore privato che era richiesta per la mia posizione. Avere avuto già un'esperienza lavorativa in ambito Nazioni Unite è senz'altro un requisito preferenziale. Alcune buone opportunità da considerare sono la UN Fellowship, l'UNV e le consulenze».
E dopo il programma JPO cosa può stagliarsi all'orizzonte? «Sicuramente ambisco a continuare il mio lavoro come international civil servant nell'ambito del digitale e dell'innovazione, che sono da sempre i temi di cui mi occupo e che più mi appassionano» risponde Roberta Maio: «Al momento sono felice di lavorare nei Paesi a basso reddito e in via di sviluppo perché sono quelli in cui l'impatto ambientale causato dal riscaldamento globale, il digital divide e la necessità di progresso sono maggiori. In futuro vorrei contribuire all'integrazione di gruppi specifici spesso marginalizzati quali i rifugiati o le persone internamente disperse. Tramite le tecnologie digitali questi gruppi possono essere aiutati ad accedere ai servizi di base come sanità, igiene e educazione, digitali e offline; possono integrarsi nella comunità e comunicare con le autorità».
Chiara Del Priore
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