Luisa Urbani
Scritto il 04 Gen 2023 in Notizie
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“Vorremmo prendere un giovane in stage, lo abbiamo selezionato, ha molto talento ma... È americano”. Oppure indiano. O congolese. Insomma, non è un cittadino europeo. E qui si apre una voragine che rischia di inghiottire azienda e giovane, facendo sfumare l'opportunità di formazione. Già infatti non è facilissimo orientarsi in Italia, per chi voglia accogliere uno stagista, nel labirinto delle 21 normative regionali in materia di tirocini extracurricolari.
Quando poi il candidato è straniero, le difficoltà aumentano; e di fronte a uno straniero residente al di fuori dell'Unione Europea, molti gettano la spugna perché la complessità delle procedure burocratiche e l'incertezza rispetto alle tempistiche diventa altissima.Come fare? Il ministero del Lavoro viene in aiuto del mondo aziendale e degli aspiranti stagisti stranieri con un vademecum per l’attivazione dei tirocini formativi rivolti ai cittadini stranieri residenti all’estero.
Il documento, prodotto della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione con il contributo di Anpal Servizi e consultabile nella sezione “Tirocini formativi” del portale istituzionale del Ministero del Lavoro, si propone di spiegare l’armonizzazione delle discipline territoriali in continuità con le “Linee guida in materia di tirocini per persone residenti all’estero” approvate nel 2014. Uno strumento informativo sul funzionamento e le potenzialità di questi che sono occasioni per realizzare un’esperienza professionalizzante a completamento di un percorso di formazione già avviato nel proprio Paese di origine e facilitare l'inserimento nel mondo del lavoro di tutti i cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione Europea e residenti in un Paese terzo.
Per lo straniero non comunitario già presente in Italia con un regolare permesso di soggiorno che abilita al lavoro valgono le stesse regole e condizioni previste per i tirocini formativi organizzati per gli italiani. Uno straniero non comunitario che invece si trova all'estero e che vuole attivare nelle aziende del nostro Paese un tirocinio deve, prima di tutto, rivolgersi alle Rappresentanze diplomatico-consolari italiane del Paese dove risiede per richiedere un visto di ingresso per motivi di studio/formazione, documento necessario per avviare la procedura che poi consentirà di svolgere il tirocinio. La procedura, che viene spiegata nel dettaglio sul vademecum e sul sito del Ministero, può richiedere fino a 90 giorni dalla data della richiesta del documento. Né il documento né il sito del ministero e dell’Inps indicano eventuali costi; sono però specificati i requisiti necessari per ottenere il visto. Tra questi c’è «la disponibilità dei mezzi di sussistenza» che deve essere comprovata «facendo riferimento al vitto, alloggio e all’indennità di partecipazione corrisposti al tirocinante».
Il tirocinio può essere attivato solo per determinati tipi di lavoro. Nel documento sono indicate le attività escluse che sono quelle per le quali non sia necessario un periodo formativo, le professionalità elementari caratterizzate da compiti generici e oppure le attività riconducibili alla sfera privata, come il lavoro domestico o quello della cura della persona svolto in un ambito familiare. Ogni tirocinio, come si legge nel vademecum, può avere una durata da un minimo di tre a un massimo di dodici mesi, comprese eventuali proroghe secondo quanto previsto dalla normativa regionale di riferimento. Una normativa piuttosto articolata. Alle regioni infatti spetta il compito di regolare tutto quello che riguarda la formazione professionale, in conformità con le Linee guida del 2014. L’ingresso in Italia dei soggetti coinvolti invece è disciplinato a livello nazionale dal Testo Unico dell’Immigrazione secondo cui un cittadino non appartenente all’Ue può entrare nel nostro Paese per fare un tirocinio extracurriculare “nei limiti del contingente triennale”. Limite che per il triennio 2020-2022 è stato di 7.500 unità in totale.
La procedura di ingresso coinvolge diverse amministrazioni, ognuna con competenze diverse. Regioni e Province Autonome stabiliscono l’attuazione e la gestione dei tirocini, avvalendosi della Piattaforma informatica prevista dalle Linee guida 2014, dove inseriscono i dati del tirocinante e del progetto, che sono necessari al successivo rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno. Il primo è concesso dal ministero degli Esteri, il secondo da quello dell’Interno. Il ministero del Lavoro invece monitora i dati relativi agli ingressi per tirocinio, ai fini della determinazione del contingente triennale.
Ad essere coinvolte nel progetto, ovviamente, anche le strutture dove materialmente si svolge il tirocinio, che possono essere aziende, imprese e università sia pubbliche che private. “Soggetti ospitanti” che devono avere determinati requisiti: essere in regola con la normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e con le norme sul collocamento obbligatorio e non devono avere procedure di cassa integrazione straordinaria o in deroga in corso. Inoltre non si possono organizzare tirocini «per l’espletamento da parte del tirocinante di attività che rientrano tra quelle per cui l’azienda ha avviato, nella medesima unità operativa e nei 12 mesi precedenti, licenziamenti» oppure «in presenza di procedure concorsuali, salvo il caso in cui ci siano accordi con le organizzazioni sindacali che prevedono tale possibilità».
Per i tirocinanti non sono previsti determinati requisiti, ma sono stabiliti però dei limiti entro i quali devono svolgere il tirocinio. Nel dettaglio, il tirocinante non può «sostituire il personale in malattia, maternità o ferie» e non può «svolgere più di un tirocinio» nella stessa azienda. Ha diritto a una indennità di partecipazione, il cui minimo viene stabilito dalle normative regionali, e alla copertura delle spese di vitto e alloggio a carico del soggetto ospitante. Oltre a corrispondere l’indennità, quindi, il soggetto ospitante è tenuto non solo ad assicurarsi che i suoi stagisti extraUE abbiano un alloggio, ma anche a pagarglielo. Il permesso di soggiorno per motivi di studio / tirocinio inoltre consente al tirocinante extra Ue di svolgere, per il periodo di validità, qualsiasi attività lavorativa nel limite di 20 ore settimanali, in aggiunta al tirocinio.
Ma come si svolge nello specifico la procedura per l’attivazione del tirocinio? Si tratta di un procedimento abbastanza complesso. Dopo l’identificazione di tutti i soggetti coinvolti (promotore, ospitante e tirocinante), la documentazione viene inviata alla Regione di competenza che può approvare o rifiutare il progetto. Se il progetto viene approvato, il tirocinante riceve nel suo Paese tutti i documenti e, successivamente, compila e invia quelli necessari per la richiesta del visto.
Accettato il visto, il tirocinante entra in Italia e richiede il permesso di soggiorno, che è appunto un documento diverso e ulteriore che serve per poter fare il tirocinio nel nostro Paese. Quello che lo straniero ottiene al consolato italiano del suo Paese non è dunque il documento “definitivo” che gli permette di stare in Italia.
La persona straniera che ha ottenuto il rilascio del visto di ingresso ha l’obbligo, entro 8 giorni dal suo ingresso in Italia, di richiedere il permesso di soggiorno per motivi di tirocinio alla Questura della Provincia in cui si trova. Nello specifico deve compilare e inviare alla Questura territorialmente competente un apposito modulo, reperibile gratuitamente presso tutti gli uffici postali, i Comuni e i Patronati. Una volta ottenuto anche il permesso di soggiorno può iniziare il suo tirocinio. Questo significa che finché lo straniero non ha il permesso di soggiorno non può iniziare il tirocinio, e dunque non parte la “responsabilità” del suo soggetto ospitante rispetto all'indennità mensile e al vitto e alloggio.
Al termine del tirocinio, il cittadino extra Ue che sia in possesso di un permesso di soggiorno per studio / formazione ancora valido può richiederne la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. La conversione potrà avvenire nei limiti delle “quote” assegnate, di anno in anno, agli Ispettorati territoriali del lavoro dal cosiddetto “decreto flussi”, che definisce modalità e tempistiche.
E in effetti accade spesso: il maggiore utilizzo delle conversioni dei permessi di soggiorno per qualsiasi motivo si riscontra nelle conversioni dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione in permesso di soggiorno per lavoro subordinato: 26,7% nel 2021, secondo il report pubblicato sul sito del ministero del lavoro. Percentuale che conferma come il tirocinio in Italia di cittadini stranieri sia un meccanismo potenzialmente efficiente di incontro domanda-offerta e possa consentire, inoltre, di sperimentare la mobilità circolare dei lavoratori e lo scambio di competenze tecniche e professionali tra sistemi produttivi, a sostegno di processi di innovazione e di complementarità produttive. Ma la burocrazia rischia di strozzarlo.
Luisa Urbani
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