Categoria: Approfondimenti

Dati Unioncamere 2010, per la prima volta in dieci anni diminuiscono (di pochissimo) gli stage. Ma è una buona notizia solo a metà

Da qualche anno il focus tirocini contenuto nel rapporto Excelsior di Unioncamere è uno dei pochi strumenti a disposizione per valutare se, e in che misura, gli stage nelle imprese private siano davvero un'anticamera del mondo del lavoro. E finora ha sottolineato che tra le due realtà una porta comunicante c'è, ma è a malapena socchiusa: uno spiraglio praticamente, con una media di un tirocinio su dieci che si trasforma in assunzione. Il nuovo documento per l'anno 2010, particolarmente atteso alla luce dei primi timidissimi segnali di ripresa, sarà pubblicato a breve - con un piccolo ritardo rispetto all'abituale tabella di marcia - e nel frattempo l'istituto ha divulgato una prima fotografia dei risultati ottenuti per quanto riguarda il tema degli stage.  C'è una novità e non è di poco conto: nel 2010 ci sono stati 11mila stagisti in meno nelle aziende. A fronte dei 321.850 percorsi attivati nel 2009, l'anno successivo sono partiti 310.820 mila stage; una piccola ma significativa inversione di marcia rispetto al costante e pronunciato aumento degli ultimi anni, che nel 2009 aveva fatto registrare 17mila unità in più rispetto al 2008 e un +41% in quattro anni nel numero di percorsi attivati. Il dato ancora più significativo però è un altro: la contrazione interessa in maniera quasi chirurgica un solo settore, quello dei servizi, e in particolare «proprio il comparto che storicamente è più disponibile ad aprire le porte dell'impresa a chi è alla prima esperienza: quello dei servizi di alloggio e ristorazione». Impiegati alla reception di alberghi e villaggi turistici, baristi, cuochi, camerieri, animatori: un piccolo esercito stagionale di giovani che nel 2009 rappresentava da solo un sesto dei tirocini totali attivati in Italia e che l'anno scorso si è ridotto proprio di 11mila unità. Per la prima volta quindi da quando è stato avviato il monitoraggio il 2010 ha segnato una battuta d'arresto nella crescita del numero degli stagisti, ma il cambiamento di rotta - tanto più se così circoscritto - va accolto con moderato entusiasmo: in tempi di depressione economica l'utlizzo massiccio di tirocinanti faceva facilmente ipotizzare che troppo spesso questi fossero usati come tampone gratuito o semigratuito per abbattere i costi del personale, ma con l'esasperazione della crisi e la perdita di ulteriori posti di lavoro - 33mila in meno solo nelle grandi imprese - si riducono anche le opportunità di accaparrarsi lavoro a buon mercato. Prova ne sia che a fronte di una diminuzione di circa il 3% degli stage attivati nel 2010, per lo stesso anno l'Istat ha registrato un aumento della disoccupazione giovanile del 2,4%. Un secondo importante risultato anticipato da Unioncamere riguarda le assunzioni dopo lo stage, che sono state 38mila. In termini percentuali, dunque, a trovare lavoro attraverso questo strumento sono stati il 12,2% del totale - 0,7 punti percentuali in più rispetto al 2009. Ma si tratta pur sempre di poco più di un giovane ogni dieci assunto, una quota ancora estremamente bassa [le aziende che sottoscrivono la Carta dei diritti dello stagista si impegnano invece ad assumere il 30% degli tirocinanti ospitati annualmente, ndr]. Il dato rappresenta una media, da leggere alla luce del fatto che «l'entità del fenomeno aumenta in maniera esponenziale al crescere della dimensione dell'azienda»: più grande è l'azienda, più ci sono possibilità che da stagisti si passi a dipendenti. E questa non è una novità, i ragazzi lo hanno capito e nel corso del 2010 sempre di più hanno bussato alle porte delle multinazionali.Le possibilità di assunzione, fa sapere Unioncamere, aumentano ulteriormente se si punta sulle imprese chimiche, farmaceutiche e petrolifere innanzitutto - dove però la percentuale di laureati o laureandi che si candida sale da un terzo della media generale a oltre la metà - e su quelle metalmeccaniche. Segue il settore del commercio al dettaglio e quello dei servizi di trasporto e logistica, dove ad essere assunto è uno stagista su quattro; bene anche l'ambito informatico e delle telecomunicazioni (qui rimane con un contratto il 20%). Se il manifatturiero risulta essere il comparto migliore su cui puntare, rimane però il fatto che proprio gli stagisti del nord est dell'Italia, dove hanno sede molte industrie del settore, se la passino peggio di tutti, dietro perfino ai colleghi stagisti delle aziende del Mezzogiorno. Bisognerà attendere i dettagli contenuti nel rapporto completo o nel focus "Formazione e tirocini" che l'istituto è solito pubblicare intorno alla fine dell'anno. Intanto, un ultimo dato: quasi due terzi degli stage presi in esame superano i due mesi - indicazione comunque poco dirimente: tra uno stage di tre mesi e uno di sei c'è differenza! - una durata che, si legge, «permette una approfondita conoscenza da parte sia del giovane che dell'impresa, aprendo così la strada a un possibile successivo rapporto di lavoro». Stando ai dati solo il 7% supera invece i sei mesi, percentuale che probabilmente in futuro si ridurrà in maniera notevole per effetto delle nuove disposizioni in materia di tirocini contenute nella manovra governativa, sempre che rimangano inalterate. Ma questo è ancora un altro capitolo. Annalisa Di Palo Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Corsa agli stage, la crisi mette un freno. Primi dati del nuovo Rapporto Excelsior: 322mila tirocinanti l'anno scorso nelle imprese private italiane- Indagine Excelsior, focus Tirocini / A sorpresa le regioni che assumono più stagisti sono Lazio, Basilicata e Campania- Calano gli stagisti nelle grandi imprese, crescono nelle piccole- Stagisti in hotel, bar e ristoranti: se 55mila all'anno vi sembran pochi

Elogio del vivere con poco: un altro libro di Simone Perotti spiega come il «downshifting» può combattere il consumismo

L’idea lanciata da Simone Perotti in Avanti tutta (Chiarelettere 2011, 14 euro) non sarà forse delle più nuove. Leggere questo pamphlet sull’abbandono dello status sociale e del consumismo a tutti i costi per dedicarsi alle proprie passioni è come un deja vu sul classico sogno di aprire un chiosco sulla spiaggia in Brasile. In barba a stipendio garantito, una posizione sociale stabile, una vita tutto sommato riuscita. Ma per Perotti [nella foto sotto], questo tipico stile di vita occidentale si riduce a un frustrante circolo vizioso fatto di produzione di denaro e consumo a oltranza. In Adesso Basta (uscito per Chiarelettere nel 2009), che è già all'undicesima ristampa e ha venduto oltre 50mila copie, aveva già raccontato l'inizio e il perchè della sua avventura anticonformista: lui, ex manager della comunicazione e oggi scrittore e marinaio, aveva detto addio ai lunedì mattina in ufficio, agli orari del tran tran quotidiano, alle vacanze programmate. E aveva adottato il downshifting, la cosiddetta "semplicità volontaria", filosofia nata nel mondo anglosassone a partire dagli anni Novanta che prevede una autoriduzione del salario a fronte di un minor impegno in ambito professionale, ottenendo dunque maggiore tempo per se stessi. L'autore assicura di poter vivere oggi con 700 euro al mese senza essere ricco di famiglia, né possedere una rendita, e senza attingere ai proventi del suo recente successo editoriale. Nato a Frascati 45 anni fa, ora abita in provincia di La Spezia e si mantiene con lavoretti saltuari, spesso di carattere manuale. Realizza e vende statue, pulisce barche, organizza corsi di vela e il gioco è fatto: ha riconquistato la gestione del suo tempo, non più schiavo di un modello di società che rifiuta. Più facile a dirsi che a farsi - si dirà - soprattutto per chi in downshifting, a 700 euro al mese, ci si trova per costrizione e non per scelta: disoccupati, giovani con lavori scarsamente retribuiti che per arrivare a questa cifra devono lavorare non stop tutta la settimana, pensionati, e la lista potrebbe proseguire. Il downshifting è infatti una pratica non per tutti, ma che può essere presa in considerazione da chi, raggiunto l’apice di una buona carriera, voglia optare per una vita fuori dalle logiche del consumismo. Perotti non descrive però questo percorso di vita come semplice o abbordabile da un giorno a un altro. Anzi. Si tratta di una condizione da studiare e pianificare minuziosamente prima di poterla mettere in pratica. E soprattutto necessita di un sostegno interiore: se non si hanno passioni forti o non si insegue nessun sogno, è meglio restare lontani dal downshifting perché la solitudine e la noia potrebbero sopraffare. Così come in caso di famiglia e figli: è più facile per un single staccare da tutto, è evidente, anche se nel blog dell’autore non mancano storie di coppie che hanno deciso di percorrere questa strada e che sopravvivono lavorando sei mesi l’uno e sei mesi l’altro, e dando da mangiare ai figli con i prodotti dell’orto in giardino. Ma ammonisce Perotti: «La vita nuova di un uomo o di una donna che oggi decidono di sottrarsi al meccanismo del capitale, del consumismo e dell’insensatezza per imboccare una via laterale è comunque complessa. Passa per la programmazione e anche per la sofferenza, e soprattutto non costituisce un punto di arrivo, semmai un nuovo inizio. Con parecchie cattive novità e qualche buona scoperta».Molto interessanti invece gli spunti a fine libro per cambiamenti anche piccoli ma rivoluzionari all’interno del sistema (perché non è che tutti debbano uscirne). Avendo lavorato molto nelle aziende Perotti fa una serie di esempi sui tantissimi sprechi che queste potrebbero evitare: da appartamenti di proprietà lasciati sfitti a note spese dei dirigenti da far accapponare la pelle, ad aerei affittati senza ragione e viaggi di lavoro completamente inutili. Questo convinto downshifter propone nuovi modelli di vita, dove non ci si agglomeri tutti in grandi città per immergersi nel traffico e pagare affitti altissimi, non esistano giorni di ferie prestabiliti in cui nessuno lavora mentre tanti disoccupati potrebbero essere impiegati e così via. Dove si ripensi – perché no - alla possibilità di lavorare da casa con riunioni settimanali in ufficio. Forse tutti ci guadagnerebbero.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento leggi anche: - Per risollevare l'economia bisogna ripartire dalle donne- Senza soldi non ci sono indipendenza, libertà, dignità per i giovani: guai a confondere il lavoro col volontariato  

Manovra, la riforma della normativa sugli stage getta gli enti promotori nel caos: e scatta l'anarchia interpretativa

Poche righe, ed è subito caos. L'articolo 11 della manovra di Ferragosto (il decreto legge 138/2011) ha creato uno stato di simil-anarchia tra gli enti promotori di stage. Il problema non sta tanto in quelle 138 parole sui "livelli di tutela essenziali per i tirocini", ma in ciò che resta inespresso. Come si definiscono, esattamente, i tirocini curriculari? Rientrano nella categoria anche gli stage organizzati da master o da percorsi formativi extrauniversitari? Cosa succede a chi aveva già in corso uno stage al momento dell'emanazione del decreto? E agli inoccupati e disoccupati? Tutte domande evidenziate dalla Repubblica degli Stagisti e a cui, per ora, non esiste risposta ufficiale. E così ogni ente promotore - università, agenzie per il lavoro, centri per l'impiego - si regola a modo proprio, restando nel frattempo affacciato alla finestra in attesa che arrivi qualche chiarimento dal Ministero, dalle Regioni o con la conversione in legge del decreto.Così, ad esempio, l'ufficio placement dell'università Luiss di Roma (contattato ogni anno da oltre 200 aziende in cerca di giovani tirocinanti) considera come stage curriculari «solo quelli che danno diritto a crediti formativi; tutti gli altri sono considerati di inserimento al lavoro. Non è chiaro se si possano includere anche i tirocini dei master, almeno quelli che fanno parte integrante del percorso formativo: serve una risposta del ministero», dice alla Repubblica degli Stagisti la responsabile Lia Di Giovanni [in alto a sinistra]. L'ufficio omologo della Liuc di Castellanza, che offre stage a ciascuno dei propri 2mila studenti, invece considera «curriculari tutti gli stage organizzati dall'ateneo, anche quelli che non concedono cfu e che rientrano nei master e nei corsi post-laurea». Non solo: secondo il responsabile dell'ufficio Luigi Rondanini [foto sotto a destra] «la finestra dei 12 mesi entro la quale si possono attivare stage non curriculari riparte anche quando si consegue un diploma di master, non solo di laurea. Un'interpretazione diversa sarebbe troppo restrittiva e lesiva degli interessi dei ragazzi; non crediamo rispetterebbe la ratio della legge». E ancora: Maria Minervini, responsabile area lavoro dell'Afol Milano Sud, ritiene curriculari «tutti gli stage inseriti in un percorso di formazione regolamentato», inclusi, quindi, master e scuole professionalizzanti. E per i ragazzi che avevano già attivato gli stage prima dell'entrata in vigore del decreto, o che si laureano proprio durante il percorso di tirocinio? L'interpretazione più comune è che la norma non sia retroattiva, ma entrambe le università preferiscono comunque limitare gli stage a 6 mesi senza prolungarli ulteriormente, anche se iniziati prima di agosto o prima del conseguimento della laurea; per la Luiss, la proroga è ammissibile solo se già concordata prima del decreto.Unanimità interpretativa, invece, sulla questione inoccupati e disoccupati, grandi esclusi dal mondo degli stage. Secondo il centro per l'impiego di Mestre chi rientra in questa categoria e ha conseguito il diploma o la laurea da più di 12 mesi (e non è disabile o altro soggetto svantaggiato) non può più partecipare a tirocini. «Questo comporta una riduzione drastica della nostra attività di attivazione stage», commentano dal Centro. Parere analogo da parte degli altri enti intervistati dalla Repubblica degli Stagisti, che concordano anche su un altro punto: le Regioni conservano la loro competenza a legiferare in maniera di tirocini, anche introducendo eccezioni alla legge nazionale. Anzi, la speranza degli interessati è che contribuiscano a chiarire i punti ancora oscuri nel decreto.C'è poi chi è ancora impegnato ad interpretare gli effetti della manovra con l'ausilio di legali e di esperti universitari: è il caso della Fondazione Istud - business school, i cui programmi di master dovrebbero ripartire tra fine settembre e metà novembre, con tirocini (circa 100 l'anno presso grandi aziende e multinazionali) attivati tra dicembre e gennaio. «In questo arco di tempo contiamo di interpretare meglio il decreto e capire come muoverci», afferma il responsabile comunicazione e marketing Andrea Guarini. Nel frattempo, l'articolo 11 della manovra ha anche una ricaduta concreta sui programmi ministeriali di tirocinio attivati attraverso le agenzie Italia Lavoro e Promuovi Italia e promossi con fondi europei, incluso il Lavoro e Sviluppo 4. «Abbiamo messo in standby il progetto già ad agosto; non abbiamo attivato tirocini dopo l'emanazione del decreto. Il riavvio era previsto a settembre, alla luce della riforma procederemo ad attivare tirocini solo per persone neolaureate e neodiplomate rispettando i limiti e i requisiti fissati dalla manovra», commentano da Italia Lavoro.E Antonino Bussandri [foto qui a fianco], direttore operativo per l'assistenza agli interventi di politica del lavoro e per l'occupazione di Promuovi Italia, afferma: «Il decreto dispone tassativamente i requisiti per l'attivazione dei tirocini. In questi giorni stiamo dando indicazioni ai nostri collaboratori per rispettare rigorosamente queste caratteristiche nella selezione dei nuovi tirocinanti dalle nostre banche dati. Questo però ridurrà al 20% l'impatto del programma Les 4».Una pluralità di voci, insomma, che riflette i tentativi di colmare i vuoti di una norma di fatto incompleta. L'unica speranza per uniformare le varie interpretazioni sta quindi in una nuova elaborazione dell'articolo 11 in fase di conversione di legge, anche perchè la manovra stessa è in costante cambiamento; e nessuno esclude che alla fine i nuovi "livelli di tutela" per l'attivazione di stage non vengano stralciati del tutto dalla formulazione finale. Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli StagistiE in particolare:- Anche gli stage finiscono nella manovra del Governo: da oggi solo per neodiplomati e neolaureati, e per un massimo di sei mesi- Nuove norme sui tirocini, per applicarle bisogna capirle: ecco i punti ancora oscuri- Manovra, Michele Tiraboschi: «I nuovi paletti per i tirocini potranno essere modificati dalle Regioni» E anche:- Urgono nuove regole per proteggere tirocinanti e praticanti: tante idee della Repubblica degli Stagisti nel disegno di legge di Cesare Damiano;- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso spese

Controesodo, istruzioni per l'uso: le FAQ utili ai giovani fuggiti all'estero che desiderano tornare in Italia approfittando della legge sugli incentivi fiscali

La legge 238/2010, ribattezzata «Controesodo», è stata pensata per riportare in Italia i giovani laureati fuggiti negli anni scorsi all'estero. Promossa inizialmente da due deputati del Partito democratico, Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca, e dall’associazione TrecentoSessanta, ha trovato strada facendo sostenitori anche nella maggioranza. Ha avuto un iter di poco meno di due anni - dal gennaio 2009, data in cui è stata presentata alla Camera la proposta di legge, al 30 dicembre 2010 quando la legge è stata finalmente promulgata - cui poi è seguito un ulteriore momento di stallo, per i primi sei mesi del 2011, in attesa dei decreti attuativi (che finalmente sono arrivati a giugno).È strutturata in modo da rendere fiscalmente vantaggioso per i "cervelli in fuga" il ritorno in patria. Ecco tutto quello che c'è da sapere.C'è un limite di età per partecipare? Sì. Possono fare domanda solo coloro che sono nati a partire dal 1° gennaio 1969. Quindi sostanzialmente il progetto è dedicato a tutti coloro che hanno a oggi meno di 42 anni.Controesodo è aperto a tutti gli "italians"? No, solamente ai laureati (chi, essendolo, è andato all’estero a lavorare o specializzarsi e chi, invece, si è laureato fuori dall’Italia). Va bene però qualsiasi tipo di laurea, quindi anche triennale o "breve". Inoltre, i requisiti devono essere posseduti al 20 gennaio 2009. Quindi di fatto Controesodo si rivolge a tutti coloro che sono fuggiti all'estero prima del 2007.Serve dimostrare di essere stati iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero? La legge richiede la sola dimostrazione di aver avuto domicilio all'estero per oltre due anni. Il decreto attuativo, però, sembra dire esattamente il contrario. Sul punto è stata presentata un’interrogazione parlamentare e si è in attesa di chiarimenti ufficiali. La cittadinanza italiana è un requisito indispensabile? No. Oltre ai cittadini italiani possono fare domanda anche i cittadini degli altri 26 Paesi dell'Unione Europea, a patto che prima del 20 gennaio 2009 abbiano risieduto continuativamente per almeno due anni in Italia.Possono fare domanda anche i dipendenti di enti pubblici? Se si tratta di enti pubblici stranieri, la risposta è certamente sì. Se invece di enti pubblici italiani, non possono fruire dell’incentivo coloro che – in funzione di questo rapporto – hanno lavorato all’estero. Per esempio, non può usufruire di Controesodo il funzionario di un consolato o di una rappresentanza regionale in distaccamento presso una sede estera.A quanto ammonta lo sgravio fiscale? Gli uomini che rientreranno utilizzando Controesodo risparmieranno il 70% sulle tasse; le donne addirittura l'80%.Come verrà calcolato? Tecnicamente si tratta di un abbattimento del reddito imponibile ai fini dell'Irpef. Esempio: una RAL (retribuzione annua lorda) di 50mila euro, equivale più o meno a uno stipendio netto mensile di poco più di 2.400 euro (al netto di contributi previdenziali e imposte sul reddito). Il lavoratore a fine anno paga l'Irpef sui circa 45mila euro che sono il suo "reddito imponibile", andando a tirar fuori circa 14mila euro di tasse. Con Controesodo il suo reddito imponibile precipiterebbe a circa 9.000 nel caso delle donne e a 13.500 euro nel caso degli uomini, limitando quindi le tasse a un importo di 2-3mila euro [calcolo indicativo a mero titolo esemplificativo]È una misura pensata solo per i lavoratori dipendenti? No, anche per i lavoratori autonomi e per gli imprenditori.Per quanti anni durerà la condizione di favore? Per tre anni, fino al 31 dicembre 2013.Sarà cumulabile con altre agevolazioni? No con tutte. In particolare è espressamente indicato che non è cumulabile con gli aiuti a favore del rientro di docenti e ricercatori scientifici residenti all’estero (decreto legge 185/2008, art. 17) e con il credito di imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate del territorio nazionale (legge 296/2006 art. 1, commi da 271 a 279).Per godere di questo trattamento bisognerà iscriversi a qualche lista? No, basterà specificare al momento della dichiarazione dei redditi 2011 di rientrare in questa fascia.C'è l'obbligo di spostare ufficialmente la propria residenza in Italia per godere dei vantaggi di Controesodo? La legge stabilisce che i beneficiari trasferiscano domicilio e residenza in Italia entro tre mesi dall'assunzione o dall'avvio dell'attività.C'è l'obbligo a restare obbligatoriamente per un certo periodo in Italia, per il fatto di avere usufruito del vantaggio fiscale derivante da Controesodo?Sì, almeno cinque anni da quando si è goduta l'agevolazione fiscale. Questo paletto è stato posto per scoraggiare dall'utilizzare questa legge per tornare solo per un breve periodo, usufruire del vantaggio e poi ripartire immediatamente.Cosa succede se si usa per uno o più anni Controesodo e poi si decide di ritrasferirsi all'estero prima che siano trascorsi i cinque anni? Succede che l'Agenzia delle entrate fa i suoi calcoli e rimette in conto la quota di tasse non pagate più interessi e sanzioni.A quanto ammontano questi interessi e sanzioni? L’importo delle sanzioni e degli interessi varia considerevolmente in funzione della rapidità del pagamento una volta ricevuto l’atto di recupero del beneficio. Si va da pochi punti percentuali ad un valore addirittura superiore al beneficio fruito. C'è un tetto retributivo? Sì: il beneficio non può superare i 200mila euro nei tre anni; quindi, indicativamente, il reddito annuo agevolabile non può superare i 230mila euro l’anno per gli uomini e i 200mila euro l’anno per le donne (con un risparmio annuo di circa 65mila euro all'anno). Una volta superata questa soglia, la tassazione verrà applicata in maniera standard per l’eccedenza.Anche le imprese che assumono i "rimpatriati" avranno vantaggi? No. In una prima stesura della legge erano previsti sgravi fiscali anche per le imprese, ma nel testo finale approvato dal Parlamento a dicembre 2010 questa parte non compare.[FAQ redatte con la gentile collaborazione di Amedeo Sacrestano, commercialista e consulente tecnico giuridico di Controesodo]Per saperne di più su questo argomento:- Al via Controesodo, lo scudo fiscale per il rientro dei talenti in Italia. La legge spiegata da uno degli ideatori

Nuove norme sui tirocini, per applicarle bisogna capirle: ecco i punti ancora oscuri

L'articolo 11 della manovra finanziaria di Ferragosto, il decreto legge 138/2011, determina  tra le altre cose  nuovi «Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini».  Riducendone drasticamente la durata massima: «i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese». E riservando questo strumento a chi sta compiendo o ha appena completato un percorso formativo: «Possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio». Le nuove disposizioni, già in vigore dal 14 agosto grazie all'immediata efficacia dello strumento del decreto legge, sono quindi già operative e impediranno fino a metà ottobre di attivare stage più lunghi di sei mesi, e di attivarli in favore di persone che abbiano già conseguito l'ultimo titolo di studio da oltre un anno. Entro il 14 ottobre il contenuto dell'articolo 11, come tutta la manovra, dovrà poi passare per il Parlamento ed essere trasformato in legge. Come, si vedrà. Intanto stagisti e soggetti promotori, università e centri per l'impiego in primis, brancolano nel buio. Ecco i punti oscuri individuati dalla Repubblica degli Stagisti: speriamo che il ministero del Lavoro intervenga quanto prima a dissiparli.1) come si definisce il tirocinio curricolare? In particolare:a) si tratta di tirocini attivati esclusivamente nell'ambito di corsi di laurea universitari, o si definiscono in questo modo anche quelli inseriti in altri percorsi formativi, per esempio nell'ambito di scuole secondarie, scuole professionali, corsi di specializzazione, master universitari e non universitari, dottorati? b) durante l'università si definisce "curricolare" qualsiasi tirocinio svolto da uno studente e attivato prima della laurea, o solamente quei tirocini che danno diritto a cfu (crediti formativi universitari)? c) può definirsi "curricolare" un tirocinio svolto senza l'obiettivo di ottenere cfu, ma con l'obiettivo di scrivere la tesi di laurea?2) in caso si possano definire curriculari anche gli stage inseriti in corsi, master etc: qualsiasi percorso formativo è da considerarsi valido? Anche un percorso che preveda pochi giorni o addirittura poche ore di formazione in aula? Anche un percorso extrauniversitario?3) il decreto legge ha validità urbi et orbi o solo per una determinata fascia anagrafica, in particolare quella dei giovani? Cioè possono ad oggi essere attivati stage per persone al di fuori delle categorie esplicitamente elencate nel decreto (disabili, invalidi fisici-psichici-sensoriali, soggetti in  trattamento  psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, condannati ammessi a misure alternative di  detenzione, neodiplomati e neolaureati)? In particolare, possono continuare ad essere attivati stage in favore di persone inoccupate e disoccupate, così come prassi comune specialmente da parte dei centri per l'impiego?4) In caso possano essere al momento attivati stage anche per persone disoccupate e inoccupate, come mai questa categoria non è citata nel testo del decreto? Quale elemento fa sì che una categoria non citata tra i beneficiari in realtà sia prevista?5) il dispositivo si applica integralmente anche agli enti pubblici?6) Possono ad oggi essere attivati tirocini per persone che stanno frequentando corsi, master, scuole di specializzazione, dottorati e altri percorsi formativi? Vi sono differenze di applicazione in caso questi corsi-master etc siano universitari oppure extra-universitari?7) In caso vi sia differenza tra corsi-master universitari e non, come mai questa differenziazione non è specificata nel testo del decreto? Quale elemento fa sì che una differenziazione non esplicitata nel testo in realtà sia prevista?8) In caso l'attivazione di tirocini curriculari sia da intendersi come consentita solo nell'ambito di corsi di laurea universitari e non nell’ambito di percorsi formativi post-laurea, cosa succede per quei percorsi, come per esempio le scuole di giornalismo, che prevedono obbligatoriamente lo svolgimento di uno o più stage nell’ambito degli anni anni di corso? 9) il dispositivo parla di persone "neodiplomate" e "neolaureate", nei primi 12 mesi dal conseguimento rispettivamente del diploma e della laurea. Come vanno considerate le persone che hanno svolto nel recente passato percorsi formativi successivi - come per esempio master, corsi professionalizzanti, scuole di specializzazione, dottorati? Al termine di uno di questi percorsi formativi "riparte" la finestra dei 12 mesi oppure no?10) in caso la risposta alla precedente domanda fosse affermativa: qualsiasi percorso formativo è da considerarsi valido? Anche un percorso che preveda pochi giorni o addirittura poche ore di formazione? Anche un percorso extrauniversitario?11) cosa succede in caso una persona si laurei durante il percorso di stage?[fattispecie: un laurendo ha attivato a fine agosto uno stage di 12 mesi e si laurea a settembre: potrà svolgere tutti gli ulteriori 11 mesi di stage previsti inizialmente, concludendo cioè a fine agosto 2012, o in quanto laureato potrà svolgere solamente altri 6 mesi di stage?]12) cosa succede per stage extracurriculari già attivati nei mesi precedenti l'entrata in vigore del decreto legge, con un accordo sulla modalità 6+6? [In particolare due fattispecie:a) un neodiplomato o neolaureato che abbia attivato a marzo 2011 un tirocinio 6+6, allo scadere dei primi 6 mesi alla fine di agosto potrà vedere attivata la proroga di altri 6 mesi?b) e per una persona diplomata o laureata da oltre 12 mesi che si trovi nella stessa situazione?]13) in caso il decreto abbia validità urbi et orbi, e vieti di attivare stage in favore di inoccupati o disoccupati che si siano diplomati o laureati da oltre 12 mesi, che fine fanno i programmi ministeriali e regionali attivi in questo momento che prevedono il finanziamento e l'attivazione di stage per questi soggetti? Sono da considerarsi sospesi? Annullati? In caso contrario, su quali basi possono continuare ad essere attivati da questi soggetti, nell’ambito di questi programmi, tirocini non più conformi alla normativa vigente?14)  come si pone questo decreto legge nei confronti delle Regioni che hanno emanato negli anni scorsi normative ad hoc sugli stage? Qual è la gerarchia delle fonti? Una Regione potrebbe in questo momento emanare una legge regionale palesemente in contrasto con uno dei limiti espressi nel decreto legge? Per esempio prevedendo che gli stage possano essere attivati nei primi 24 o 36 mesi dal diploma o dalla laurea, in luogo dei 12 mesi previsti dal decreto legge? Se sì, perchè?Per saperne di più su questo argomento:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli StagistiE in particolare:- Anche gli stage finiscono nella manovra del Governo: da oggi solo per neodiplomati e neolaureati, e per un massimo di sei mesi- Manovra, Michele Tiraboschi: «I nuovi paletti per i tirocini potranno essere modificati dalle Regioni»- «Allarme, con meno tirocini i giovani restano disoccupati, sarà un dramma per l'occupazione». Ma non è vero: ecco perchè

"Jilted generation", futuro svendesi: un libro inglese spiega come i baby boomers hanno mandato in bancarotta i propri figli

Nel 1994 The Prodigy le avevano dedicato un intero album, una presa di posizione tanto musicale quanto politica. Oggi dopo più di quindici anni la jilted generation, quella dei piantati in asso, degli abbandonati dalla società che conta, torna a fare bella mostra di sè su un'altra copertina, di un libro questa volta. «Jilted generation: how britain has bankrupted its youth», (Icon Books, 223 pagine, per il momento disponibile solo in inglese) è stato pubblicato lo scorso settembre a firma di Ed Howker e Shiv Malik [a fianco ad una presentazione londinese del volume, rispettivamente a destra e sinistra]. I due hanno in comune età - 29 anni - e professione - giornalisti - ma soprattutto una convinzione: la Gran Bretagna ha mandato in rovina i suoi giovani, le responsabilità sono sue e le gatte da pelare nostre. Altro che  british style. Della jilted generation tanto per cominciare si può fare un identikit abbastanza preciso: in Gran Bretagna sono 13 milioni, hanno tra i 18 e i 32 anni e sono i figli dei baby boomers, dei nati nel decennio dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando «le ostetriche facevano fatica a stare al passo». I baby boomers sono tanti, oggi hanno tra i 55 e i 65 anni, occupano poltrone importanti o stanno andando in pensione, stanno invecchiando. E, secondo il punto di vista degli autori, dopo aver «sbafato» e rubato dal futuro dei propri figli per oltre un ventennio, contribuendo ad accumulare un debito pubblico di 890 miliardi, continuano a fare il bello e il cattivo tempo in politica ed economia.L'attacco è frontale e si sviluppa su quattro direttrici: «quattro fondamenti della vita di una persona, a prescindere dalla generazione di appartenenza: casa, lavoro, politica ed eredità», intesa come benessere individuale e collettivo che si passa oltre. Tra dati e interpretazioni c'è da perdersi, ma ecco alcuni highlights. Partendo dall'inizio, dal primo passo verso la maturità: una casa propria. Non considerando l'inflazione, un'abitazione che nel 1949 costava 2mila sterline nel 1960 era salita a 2.500; oggi ne servono 230mila. Nel 1990 la fascia 25-34 anni possedeva una casa di proprietà nel 43% dei casi; oggi sono il 27%. Un giovane su tre è a casa con i genitori perché non può permettersi un affitto - non ce l'ha fatta nemmeno il parlamentare John Prescott, intervistato dagli autori. In fatto di lavoro si sfonda una porta aperta: il 68% riceve sussidi per la disoccupazione, la percentuale più alta dal dopoguerra (e a conti fatti intascano di più che se non trovassero lavoro); chi ha una carriera avviata oggi guadagna il 35% in più di chi sta iniziando (quarant'anni fa la differenza era solo del 4%); quasi un quarto dei chi ha una laurea "debole" anni dopo è ancora in stage, a zero sterline. E a proposito di stage gratuiti: «Non verrà mai fatto niente per questa vergogna, perché i ragazzi sono così disperati da accettare tutto e perché il governo continuerà ad sostenerli per accorciare l'infinita lista dei disoccupati», nonostante poi non si tratti formalmente di lavoro. La verità di Malik e Howker è che chi è venuto prima della generazione degli abbandonati «ha dimenticato che esisteva un dopo e ha svenduto il nostro futuro in nome del profitto del momento. Sono stati soldi facili, dal momento che quanti oggi ne pagano i costi non erano lì per difendersi.  Bene, adesso ci siamo». E come difendersi, esattamente? Gli autori non lo dicono. È un libro che analizza - in dettaglio - e per farlo necessariamente "smonta" un problema, lasciandone poi i pezzi sul tavolo, per così dire. C'è da sperare che a Jilted generation segua una pars construens con lo stesso carattere. Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - I giovani secondo Pier Luigi Celli? Una «generazione tradita». Di cui continuano a parlare soprattutto i vecchi- Giovani disillusi e conservatori: da un sondaggio di Termometro politico emerge il ritratto di una generazione terrorizzata dal futuro- Giovani, riprendiamoci la scena: «Non siamo figli controfigure». La 27enne Benedetta Cosmi lancia la sfida in un libro

Io voto fuori sede: quando la partecipazione politica passa per la Rete

Votare, oltre che un dovere civico, è un diritto. Evidentemente, però, non per tutti. Se si è uno degli oltre 286mila studenti fuori sede, cioè oltre un quinto del totale degli universitari italiani secondo i dati dello stesso ministero, si va incontro a qualche oggettiva difficoltà. Stesso problema anche per chi è lontano dal proprio luogo di residenza per lavoro: sommando le due categorie si arriva a un totale di 800mila persone.Nel 2008 un gruppo di amici siciliani «emigrati» a Torino per motivi di studio (nella foto a destra, con Ficarra e Picone durante una manifestazione) si trova a fare i conti con il disagio di tornare a casa in vista delle elezioni politiche: prendere un treno espresso da Torino a Palermo vuol dire fare complessivamente oltre 40 ore di viaggio per un week-end. Spendendo anche molto: il  60% di sconto previsto per i treni regionali e il 70 per tutte le altre tipologie si applica infatti solo alla tariffa intera e risulta poco conveniente, mentre le agevolazioni sui voli sono applicate in maniera forfettaria dalle compagnie aeree. Per non parlare del fatto che la maggior parte delle volte si va alle urne in piena sessione d’esame e perdere tre giorni di studio è difficile.Prima di loro, nessuno si era mai posto il problema: le uniche «eccezioni» previste dal nostro ordinamento riguardano militari, detenuti e degenti ospedalieri. Da qui l’idea di una petizione online per chiedere al Parlamento di trovare delle soluzioni in modo da garantire l’«effettiva partecipazione all’organizzazione politica del Paese», così come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione.Dal 7 aprile 2008 l’appello è in Rete e non lascia indifferenti né gli studenti né la classe politica. Il web inizia a mobilitarsi - a oggi i firmatari sono oltre 9700 - e dal Palazzo arrivano segnali di interesse. Sia il capo dello Stato Giorgio Napolitano che il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondono alle lettere dei fuori sede e in tre anni vengono formulate quattro proposte di legge, riguardanti gli universitari fuori sede.La prima, presentata dal senatore Stefano Ceccanti (Pd) nell'aprile 2009, sottoscritta da 22 parlamentari e attualmente in corso d’esame in commissione Affari Costituzionali, prevede il voto per corrispondenza per gli studenti iscritti in un ateneo di una regione italiana non confinante con quella in cui esercitano il diritto al voto, ricalcando una procedura già attuata in nazioni come Spagna e Stati Uniti. «La proposta nasce da un'esigenza diffusa, che ho deciso di trasformare in progetto.  Bisogna riscontrare, però, che l'iniziativa  - l'unica in Senato al momento - ha suscitato interesse soprattutto esterno. I lavori della Commissione sono stati condizionati dallo stallo politico sulla riforma elettorale, dovuto alla volontà della maggioranza di non toccare la legge vigente», commenta Ceccanti. Poco più di un mese dopo, il 25 maggio, la deputata del PdL Annagrazia Calabria chiede ulteriori facilitazioni per i viaggi degli studenti che vanno a votare: uno sconto pari al 70% del biglietto per tutti i tipi di treno e la riduzione del 50 per i viaggi aerei e marittimi. Qualche giorno prima, il 18, la democratica Federica Mogherini Rebesani rilancia l’idea del voto per corrispondenza. Entrambe le proposte sono in prima lettura alla Camera. «Mi ha sempre colpito in positivo come ci siano migliaia di giovani che rivendicano con orgoglio il loro diritto a poter esercitare la responsabilità elettorale», spiega la deputata. «E’ importante che questa mobilitazione popolare degli studenti prosegua anche nei prossimi mesi, tanto più in vista della conclusione della legislatura, del dibattito che si sta aprendo sulla riforma della legge elettorale, elle elezioni politiche che, al più tardi, si celebreranno nella primavera del 2013, tra meno di 2 anni». L’ultimo provvedimento ha come principale promotore l’onorevole dell’Udc Roberto Occhiuto: presentata il 5 maggio scorso alla Camera ma non ancora discussa, la proposta di legge batte nuovamente sul voto per corrispondenza. «L’interesse per la questione è nato un paio di mesi prima del referendum. Il voto ai cittadini in mobilità è un tema di interesse generale e mi auguro che, in sede di discussione, si arrivi all’elaborazione di una proposta comune. La politica fino a qualche anno fa è stata poco reattiva nei confronti di questo problema, che invece la Rete ha contribuito a far conoscere», afferma Occhiuto. Al momento, però, nessuna di queste soluzioni è stata adottata.All’estero, invece, il problema è già risolto da tempo. Si va dal voto per procura francese, basato sul principio della delega, a quello in un seggio diverso dal luogo di residenza, applicato in Paesi Bassi, Austria, Polonia e Slovacchia, fino al voto per corrispondenza spagnolo e americano e a quello anticipato sul modello scandinavo: in Finlandia e Danimarca chi è impossibilitato ad andare al seggio il giorno delle elezioni può infatti esprimere la propria preferenza seguendo precise modalità, prima dell’election day. Sarebbe proprio l’advanced voting il modello attuabile più facilmente nel nostro Paese, da realizzare attraverso seggi speciali istituiti in un giorno prestabilito prima del voto. L’elettore avrebbe modo di esprimere la propria preferenza, che verrebbe poi scrutinata insieme alle altre. La battaglia dei fuori sede non si è ancora conclusa: resta sul tavolo un provvedimento definitivo, che magari includa anche altre categorie, che non possono andare al seggio, come i tanti lavoratori lontani dalla propria città di residenza. Però sono già stati messi a segno punti importanti: sul fronte legislativo, lo scorso 18 maggio, in occasione delle  amministrative, è stato discusso e approvato il decreto legge che ha permesso a 80mila fuori sede di votare per le elezioni, attraverso la delega a rappresentanti di lista. Un altro grande successo arriva dal web: il boom di contatti in Rete per l’iniziativa Io voto fuori sede dimostra che il dibattito politico e civile non può più fare a meno di Internet, uno strumento ormai sempre più potente per farsi sentire senza intermediari. Chiara Del Priore Per saperne di più su quest'argomento, leggi anche:- Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge»- E se il voto di un ventenne contasse triplo?- Elezioni alle porte: se tutti votassimo un candidato giovane, entrerebbe un po' d'aria fresca nei consigli regionali

Tirocini nei tribunali, per aumentare l'indennità dei disoccupati in mobilità la Regione Abruzzo inventa il nuovo ibrido «lavoratore - stagista»

Nuovi particolari sul caso dei tirocini nei tribunali dell’Abruzzo. Dal bando del  «Progetto sperimentale Percorsi integrati per l’utilizzo di lavoratori in mobilità presso gli uffici giudicanti del distretto della Corte d’Appello di L'Aquila», parte del piano operativo 2009-2011 per il programma regionale del Fondo sociale europeo, si apprende che i quasi duecento lavoratori in mobilità che stanno per essere reclutati per i posti vacanti nelle sezioni della Corte d’Appello dell’Aquila verranno inseriti in un percorso che risulta "doppio". Composto cioè da 16 ore settimanali di tirocinio più 20 ore di svolgimento di attività socialmente utili. Dunque un tempo pieno per un totale di 36 ore, mescolate in una forma mista di tirocinio e lavoro. La Repubblica degli Stagisti ha contattato più volte l’assessorato al Lavoro della Regione Abruzzo, e in particolare il dirigente responsabile del bando Giuseppe Sciullo, per avere delucidazioni su questa inedita forma di inserimento, a metà tra la formazione e il lavoro. Ma la risposta non è mai arrivata. Dal bando intanto si evince che i 191 prescelti percepiranno anche un emolumento sdoppiato: 500 euro mensili di «indennità di partecipazione ai servizi formativi», che andranno a sommarsi all'indennità standard della mobilità (intorno agli 800 euro al mese). Trasformando i selezionati, anche dal punto di vista fiscale, in uno strano ibrido di lavoratori-stagisti. Pur non essendo le Province l'interlocutore principale, in quanto il bando è emanato dalla Regione (cui le candidatura vanno inviate per raccomandata entro il 1° di agosto), in mancanza di risposte da chi di dovere la Repubblica degli Stagisti si è rivolta al settore Politiche del lavoro e formazione professionale della Provincia dell'Aquila, per chiedere qualche chiarimento. «I centri per l'impiego provinciali, come previsto dal Protocollo d'intesa, rispetto a questo bando danno assistenza: controlliamo che i lavoratori siano iscritti nelle liste di mobilità, li aiutiamo a fare la domanda» spiega il dirigente Tiziano Amorosi. Un ruolo di supporto insomma: ma l'iniziativa è utile? «Certamente permette che queste persone per 12 mesi abbiano un'ulteriore integrazione al reddito, entrino in un ufficio pubblico, acquisiscano ulteriori esperienze e capacità, e che siano insomma occupate, anzichè restare a casa o lavorare in nero», riflette: «Ricordiamoci che qui si parla di lavoratori che in mobilità percepiscono circa l'80% della loro paga base, ma senza contare straordinari o altro; che quindi si sono visti diminuire il reddito mensile magari di 500, 600 euro, spesso avendo anche una famiglia da mandare avanti. Insomma, ben vengano le iniziative che attraverso procedure trasparenti riescono a utilizzare fondi pubblici per venire incontro a lavoratori svantaggiati». Anzi secondo Amorosi andrebbero allargate a tutti gli enti pubblici, dato che alcuni sono sotto organico e c'è il blocco delle assunzioni e del turn-over. «In mobilità si va di solito quando un'azienda chiude e opera licenziamenti collettivi: difficile riconvertirsi a quaranta, cinquant'anni» conclude «Il tirocinio non per forza dev'essere utilizzato solamente per i giovani come primo ingresso nel mondo del lavoro».Però, come già la Repubblica degli Stagisti aveva evidenziato, un altro e ancor più evidente problema di questo progetto è la durata fuori norma dei tirocini: 12 mesi anzichè i 6 previsti come massimo dal dm 142/1998 per la categoria dei disoccupati. Un anno intero di "percorso formativo" perfino per l'apprendimento di mestieri semplici come quello dell'autista o dell'ausiliario, per i quali - come per gli altri profili - il bando prevede 16 ore  di formazione settimanali, vale a dire oltre 750 ore nell'arco dei dodici mesi. Obiettivo: fare un po' di lavoro d'ufficio («la movimentazione di fascicoli, oggetti e documenti, la fotocopiatura e la fascicolazione») e qualche volta rispondere al telefono: «In tale ambito rientra anche la gestione di centralini telefonici e, in generale, compiti di ricevimento del pubblico, nonché la preparazione della corrispondenza». A cui si aggiunge, per gli autisti, il compito di  imparare a «condurre autoveicoli di Stato e assicurarne le operazioni di semplice manutenzione». Tutte mansioni da svolgere per il 60% del tempo con la casacca di "lavoratore socialmente utile", e per il 40% con la casacca di "stagista". Ma allora come verranno considerate queste persone, lavoratori o tirocinanti?È accettabile che proprio un ente pubblico promuova un progetto di tale confusione, investendoci oltre un milione di euro? Scorrendo il curriculum di Paolo Gatti [nella foto], avvocato 33enne eletto in Regione a fine 2008 con oltre 10mila preferenze e voluto come assessore al Lavoro dal governatore PdL Giovanni Chiodi, non appaiono in effetti significative esperienze nel settore del mercato del lavoro. In ogni caso, non è solo l’inesperienza a creare ibridi e forzature come il progetto dell’Abruzzo: l’utilizzo degli stagisti nei tribunali al posto di personale regolarmente assunto è ormai una realtà consolidata, come documentato di recente da questa testata. «Tutto questo ci dice come sono ridotte le condizioni della giustizia italiana, al di là delle leggi ad personam», commenta Antonio Crispi, segretario nazionale della Funzione Pubblica della Cgil, che glissa però quando gli si chiede conto delle criticità di questa forma di tirocinio abruzzese. «Con il blocco del turno over, si ricorre a questi mezzucci invece di affrontare il problema del lavoro», aggiunge parlando di come la mancanza di personale qualificato, sostituito da stagisti tuttofare ma evidentemente privi di specializzazione, stia distruggendo l’apparato della giustizia. Una seria riforma della giustizia, che non faccia affidamento su tirocinanti presi in prestito dalla mobilità, potrebbe contribuire al suo risanamento. E a dare opportunità di lavoro reali alle categorie più svantaggiate: tra cui i disoccupati abruzzesi.Eleonora Voltolinacon la collaborazione di Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento leggi anche: - Tribunali sotto organico, in Abruzzo 200 adulti in mobilità reclutati per un maxistage di un anno. Fuorilegge e senza sbocchi professionali- Tribunali al collasso, sempre più stagisti per coprire i buchi di organico E anche:- Superstage in Calabria, l'incredibile mossa della Regione: ancora una proroga. Così gli stage dureranno tre anni, anche se per legge il massimo sarebbe uno

Per risollevare l'economia bisogna ripartire dalle donne

Non tutto ciò che conta si può contare, e viceversa. Un gioco di parole con cui Albert Einstein, uno che di conti se ne intendeva, voleva sottolineare una verità un po' paradossale: il valore a volte non si può quantificare. Valore inteso come importanza, rilevanza, e non appunto come misura quantitativa. È l'assunto di base da cui partono l'economista Elena Sisti e la trentenne Beatrice Costa, ricercatrice sulle politiche di genere per Actionaid, per rispondere alla domanda "Quanto vale il lavoro delle donne?". Stando all'economia ufficiale - quella del Pil, delle statistiche, dei numeri - molto meno di quello maschile, ma l'economia reale racconta tutt'altra storia: le donne reggono il mondo, come recita il titolo del libro (Altraeconomia, 116 pagine, a fianco la copertina). Lavorano complessivamente più degli uomini, ma il loro lavoro fuori casa è svalutato - nonostante per accedervi abbiano fatto più fatica - e quello tra le pareti domestiche non riconosciuto. Per di più proprio in tempi di crisi - spesso derivanti da un'impostazione prettamente maschile dell'economia - sono le donne ad andarci di mezzo per prime, sobbarcandosi il surplus di fatica richiesto. Il volume vuole affermare il ruolo cruciale delle donne ma anche indicare che un altro modo è possibile. «Intuizioni femminili per cambiare l'economia», è appunto il sottotitolo, intuizioni che nascono da dodici conversazioni con altrettante esperte, donne tenaci e preparate ma per la maggior parte poco note - e quindi eccole: sono l'economista Ann Pettifor, la giornalista Monica D'Ascenzo, la sociologa Manuela Naldini, Francesca Bettio docente di politica economica e ideatrice del portale Ingenere, e ancora Paola Villa, Liana Ricci, Silbia Macchi, Stefania Scarpoini, fino all'editorialista di Io Donna del Corriere della Sera Marina Terragni e alla stessa Beatrice Costa. Il risultato è una panoramica "con gli occhiali rosa" che ripensa in termini economici i più diversi ambiti della vita: economia, ambiente, politica, comunicazione, sviluppo e sostenibilità.Innanzitutto va esplicitato che (diversamente da quanto ritengono organismi pure autorevoli come l'Ilo, l'International Labour Organization dell'Onu) una persona economicamente attiva non necessariamente è impegnata in un'attività economica retribuita, in un lavoro formale, contrattualizzato o meno. È una definizione che non può che stare stretta, alla donna come all'uomo. «Perché le cose cui viene attribuito un prezzo tramite lo scambio sul mercato devono avere un valore superiore a quelle che non hanno un prezzo, tanto più se tra queste ultime risultano esserci la cura dei figli e dei malati, la produzione di cibo , la manutenzione e la pulizia della casa?», si chiedono le curatrici del volume. Del resto economia, dal greco, vuol dire "legge della casa". Del lavoro di cura quotidiana delle donne non c'è però traccia nelle statistiche ufficiali; e non è questione da poco, perché «se non ci sono i dati, non ci sono i problemi, non ci saranno le politiche», affermano Sisti e Costa. Al di là del mancato riconoscimento, ci sono poi potenzialità messe a tacere. Capacità di mediazione, ricostruzione, lungimiranza, cura delle relazioni: sono alcune delle caratteristiche tipicamente femminili che, ricerche alla mano, costituirebbero una quanto mai necessaria iniezione benefica all'economia globale. Mencession, fusione inglese delle parole "uomini" e "recessione": questo è il termine con cui non a caso negli Stati Uniti hanno definito la recente crisi. «Sono in molti a credere che essa sia stata causata da una visione "al maschile" del mondo, che ha come caratteristiche una più alta propensione al rischio, una concentrazione maggiore sull'individuo rispetto alla comunità e una minore spinta a tenere conto del futuro nelle decisioni».Eppure le donne sul lavoro fanno ancora tanta manovalanza e pochissima dirigenza. In Italia nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa rappresentano un misero 2% - questo quando è stata da poco approvata la legge che prevede almeno di decuplicare la cifra: il 20% a partire dal 2012 - e il Gender Equity Index del Social Watch, indice di parità sessuale che tiene conto di istruzione, partecipazione economica e politica, ci classifica al 72esimo posto - subito dopo Paesi come Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica dominicana. A questo punto le tanto discusse quote rosa sembrano alle autrici «un male necessario, per un periodo di tempo transitorio, per poter cambiare la cultura del paese», abituando alla presenza delle donne sulle poltrone che contano. Presenza che aiuterebbe senz'altro a mettere in campo i cambiamenti. A sviluppare un sistema di welfare che supporti attivamente le famiglie, ad esempio, sia in termini monetari con assegni o detrazioni fiscali sia di servizi e qui si parla di asili nido aziendali, periodi di congedo per i padri, potenziamento statale dell'apparato di assistenza agli anziani (oggi più che altro «badantato» assistenzialistico). Ma la sfida vera è innanzitutto cambiare la cultura e la percezione del ruolo della donna nell’economia, e realizzare questo cambiamento senza cadere nel tranello della lotta tra sessi, come è avvenuto in passato con le teorie femministe. A essere ripensato deve essere innanzitutto il rapporto uomo-donna: non competizione, ma collaborazione, un equilibrio in cui le diversità vengano valorizzate in modo virtuoso per creare un benessere misurabile non solo in termini monetari.Annalisa Di Palo Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Le domande personali in sede di colloquio non sono lecite: lo dicono il Codice delle pari opportunità e la Costituzione  - Rita 101+, l'omaggio della Rete a Rita Levi Montalcini e alle ricercatrici italiane: la Repubblica degli Stagisti trasmette in diretta streaming l'evento- Umberto Veronesi: la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in realtà sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere

Giovani disillusi e conservatori: da un sondaggio di Termometro Politico emerge il ritratto di una generazione terrorizzata dal futuro

È un ritratto sfacciatamente, drammaticamente conservatore degli under 35 italiani quello che emerge dal sondaggio Lavoro, formazione, partecipazione. Cosa vogliono i giovani under 35?  presentato a Roma da Termometro Politico nel corso di Italia110, un evento ideato e realizzato da Marco Meloni del PD. E alla domanda contenuta nel titolo la risposta potrebbe essere questa: conservare lo stato attuale delle cose - rifiutando il ruolo proprio delle nuove generazioni, cambiare il mondo in vista del futuro. Devono mancare completamente delle prospettive di vita certe se è quasi l’80% degli intervistati a dichiarare di non essere disposto a tagliare le pensioni dei genitori per permettere a quelli della propria generazione di averne una anche solo “dignitosa” in futuro. Nessuno è portato a volere una condizione peggiore per la propria famiglia d’origine, è chiaro. Ma viene da pensare che dietro una percentuale così alta di contrari ci sia la paura di sovvertire lo stato delle cose, e ridurre quelle pensioni dalle quali troppo spesso – se ci si trova impantanati nella precarietà del lavoro - si è costretti a dipendere. Del resto i favorevoli alla stabilità sono quasi la totalità degli intervistati quando si chiede di scegliere tra un lavoro fisso ma con uno stipendio più basso e uno precario ma con stipendio più alto: l’87% è sicuro di volere il primo, a prescindere dal guadagno, perché è proprio la sicurezza del lavoro a premere. E se si parla di aiuti all’imprenditoria giovanile, solo il 12% (al Centro il 18%) crede nei contributi a fondo perduto. Tutti gli altri vorrebbero tasse più basse e meno burocrazia. Anche qui è come se si pensasse che non è bene confidare nell’iniziative e nelle idee di un giovane imprenditore: tutt’al più gli si può rendere la vita un po’ più semplice. E ancora, quasi la metà degli intervistati (siamo attorno al 45%) crede che le “conoscenze” siano il  miglior canale di ricerca di un lavoro, mentre solo uno su tre ritiene che stage ed esperienze professionali siano importanti per ottenere un buon impiego (percentuale che sale al 45% tra i lavoratori autonomi). E lo studio universitario? Ci crede solo il 23% (sono di più gli studenti: un terzo degli intervistati). Se poi si chiede di abolire gli ordini professionali, emblema delle corporazioni, si solleva quasi un muro di contrarietà: ben il 60% è per nulla o poco d’accordo.Si delinea così il quadro di una generazione conservatrice, che non mette in discussione la condizione sociale dei padri ed è alla ricerca di stabilità, che è liberale ma al contempo corporativa (difende gli ordini professionali), e disillusa, nella consapevolezza che le reti informali dei contatti ‘giusti’ sono più efficaci di stage ed esperienze di lavoro. E anche impaurita da un futuro che non riesce a prefigurarsi.Un’immagine che si riflette sulla propensione alla partecipazione in politica: solo un giovane su quattro ha pensato di cimentarsi in questa attività. Del resto i governanti raccolgono bassissimi livelli di fiducia (solo il 24% la ripone nei partiti). Interessante anche la tabella che descrive le opinioni dei giovani in quanto a cause di ingiustizia sociale: quasi la metà la imputa al fenomeno dell’evasione fiscale. Mentre solo il 32% lo attribuisce a uno squilibrio tra generazioni e uno su cinque al corporativismo. Ancora una volta sembra che gli under 35 la pensino come i loro padri, verso i quali rifiutano lo scontro. Che se non è necessario a ogni costo, è però un passaggio naturale nell’evoluzione della società.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Censis: in Italia i laureati lavorano meno dei diplomati. E i giovani non credono più nel «pezzo di carta»- Senza soldi non ci sono indipendenza, libertà, dignità per i giovani: guai a confondere il lavoro col volontariato