Sono più di tre milioni e mezzo gli italiani iscritti oggi alla Gestione separata dell’Inps. Ogni anno versano otto miliardi di euro di contributi, ma ricevono appena 300 milioni sotto forma di prestazioni previdenziali, secondo stime del partito dei Radicali italiani. Il gap è dovuto in parte alla bassa età media dei lavoratori precari e dei liberi professionisti iscritti all’Inps: circa 40 anni, con un’enorme platea di giovani ancora in attesa di un contratto a tempo indeterminato. Insomma, i precari giunti in età da pensione sono ancora pochi. Ma c’è una parte di quegli otto miliardi di euro, difficilmente quantificabile, che resta nelle casse dell’Inps senza tornare direttamente nelle tasche di chi l’ha versata. Sono i cosiddetti “contributi silenti”: i contributi versati dai lavoratori autonomi, precari o parasubordinati ma che non sono sufficienti ai fini della maturazione di una pensione minima. Che fine fanno? Sono di fatto “fondi perduti” usati dall’Inps per pagare le pensioni a chi ne ha maturato pieno diritto. Non vengono restituiti a chi li versa né sotto forma di prestazione previdenziale, né tantomeno come rimborso in un’unica soluzione.
Il problema riguarda più spesso i giovani precari, che difficilmente riescono a cumulare 35 anni di anzianità in un mercato del lavoro che avanza a singhiozzo, iscritti alle gestioni separate dell’Inps o delle casse previdenziali degli ordini professionali. Anche ricongiungere i contributi versati a casse diverse è tutt’altro che semplice: dal primo luglio 2010, infatti, la riunificazione è a titolo oneroso per tutti i lavoratori, mentre la totalizzazione (che permette di tenere conto della somma dei contributi ai fini della maturazione della pensione minima, senza però far confluire la posizione accumulata presso un unico gestore), pur essendo gratuita, prevede un’anzianità contributiva par ad almeno tre anni presso ciascuna cassa.
Nel corso degli ultimi anni, da più parti sono state avanzate proposte di legge per rimediare a quella che è stata definita a buon diritto come una vera e propria emergenza sociale. L'altroieri i Radicali italiani hanno indetto e realizzato la seconda “giornata nazionale” dedicata al tema dei contributi silenti. La prima giornata si era tenuta a maggio, con manifestazioni dinanzi a 50 sedi dell’Inps presso altrettanti capoluoghi di provincia. L’obiettivo del partito è portare l’argomento all’ordine del giorno, suscitare un dibattito politico e chiedere la calendarizzazione e discussione entro fine anno di una proposta di legge avanzata già nel 2008 per iniziativa dei deputati Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Coscioni, Farina Mecacci e Zamparutti.
«Ci rivolgiamo a una platea composta da milioni di contribuenti potenzialmente interessati», afferma Michele De Lucia, tesoriere dei Radicali e tra gli organizzatori della giornata nazionale. «La nostra proposta è semplice: permettere a tutti il trasferimento dei contributi nella cassa in cui se ne hanno di più, e calcolarli tutti ai fini della pensione senza perdere un solo euro. In alternativa, se questa riforma non dovesse passare, chiediamo che al raggiungimento dell’età della pensione obbligatoria i contributi silenti vengano restituiti interamente con rivalutazione del capitale versato». Gli stessi Radicali hanno cercato di ottenere dal governo e dall’Inps informazioni sulle dimensioni del fenomeno, scontrandosi però, a detta di De Lucia, contro un vero e proprio muro di gomma: «I deputati Radicali hanno presentato due interrogazioni e decine di solleciti al governo per acquisire dall’Inps stime più precise circa l’ammontare dei contributi silenti, senza però ottenere alcuna risposta. Anche il sistema di casse previdenziali separate, più di 40 in Italia che non comunicano tra loro, sembra essere pensato apposta per creare una giungla in cui sia facile perdere di vista i contributi silenti, o troppo oneroso cercare di recuperarli».
Tra le altre proposte di legge una, bipartisan, è stata presentata da Maria Luisa Gnecchi del Pd e da Giuliano Cazzola del Pdl. Prevede che gli anni di contributi presso le diverse gestioni vengano automaticamente sommati tra loro, e che ogni gestore provveda ad erogare una parte della pensione proporzionale ai versamenti ricevuti. «È un’ottima proposta per la quale noi radicali voteremmo anche domattina», commenta De Lucia
Tra le più recenti ci sono anche la proposta di Damiano-Lulli, integrata nel disegno per promuovere l’imprenditorialità giovanile: in questo caso viene affrontata la questione totalizzazioni, con un abbattimento della soglia minima per poterne usufruire - dal tetto attuale dei tre anni ad appena un giorno di contributi versati. Nel disegno di legge 1540 del 2009, invece, il senatore Ichino prevedeva numerosi interventi: primo fra tutti, «un’armonizzazione delle aliquote, così da garantire l’equiparazione del carico previdenziale degli iscritti alla Gestione separata rispetto ai contributi versati dalle altre categorie di lavoro autonomo tenute all’iscrizione all’Inps (artigiani e commercianti)». Ma osservava anche che per «evitare una dispersione di contributi» non era sbagliato mantenere per la totalizzazione «un periodo minimo di contribuzione», permettendo però la «possibilità di trasferire verso altre gestioni i contributi versati alla Gestione separata, senza che sia necessaria una durata minima del periodo di contribuzione». Concludendo infine: «È necessario che i versamenti effettuati anteriormente all’adesione alla Gestione separata concorrano a determinare non solo l’ammontare pro rata della pensione con il metodo retributivo – come già attualmente previsto -, ma anche l’anzianità contributiva necessaria ai fini del raggiungimento dei 35 anni di contribuzione».
Il problema e le potenziali soluzioni, insomma, sono già stati individuati da tempo. Sinora nulla è stato fatto per garantire l’equità del sistema previdenziale per lavoratori autonomi, precari e parasubordinati. Il moltiplicarsi delle iniziative potrebbe portare lo stato di emergenza all’attenzione pubblica, ma resta il dubbio che il tempismo non sia dei migliori e che l’applicazione di una pur urgente riforma si farà attendere ancora mesi, se non anni. Con la scusa che oggi i tagli alla spesa pubblica e le manovre finanziarie debbano avere la precedenza rispetto alla realizzazione di una previdenza equa per tutti.
di Andrea Curiat
Per saperne di più, leggi anche:
- Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso;
- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta;
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