«In Svezia per lo Sve ho scoperto il mio spirito di adattamento: se ora non trovo lavoro in Italia, ripartirò senza paura»

Daniele Ferro

Daniele Ferro

Scritto il 02 Apr 2015 in Storie

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Antonella Fasana.

Ho 29 anni e sono di Rivarolo Canavese, in provincia di Torino. Dopo la maturità linguistica mi sono laureata nel 2009 in Scienze del Turismo e poi ho frequentato sempre all’università di Torino un master di primo livello in "Viaggi Mediterranei. Itinerari turistici, comunicazione e culture", che ho concluso nel 2010. Ho fatto la pendolare per tutto il percorso di studi e ho sempre lavorato. Già al liceo sono stata istruttrice di nuoto nella piscina del mio Comune e poi durante l’università ho cominciato a fare la babysitter, a dare ripetizioni di inglese e francese e a lavorare nei weekend come hostess per eventi e promoter nei centri commerciali.

A gennaio del 2010, approfittando del fatto che il master era quasi finito e non dovevo più andare a lezione, ho iniziato il Servizio civile nazionale all’Acli provinciale di Torino. Per un anno sono stata impegnata nel progetto "Fusi Orari 2, che coinvolgeva donne straniere immigrate, organizzando momenti di incontro e gite, offrendo supporto alla segreteria Acli per le pratiche burocratiche e la consulenza sul lavoro.

Il Servizio civile si è poi trasformato in una collaborazione part-time durata due anni, attraverso la stipula di tre contratti: fino a dicembre 2012 sono stata la segretaria del Centro turistico Acli di Torino. Non ho solo svolto mansioni di segreteria, ma ho organizzato e promosso attività turistiche, facendo anche da accompagnatrice durante le gite. Inoltre ho dato supporto linguistico e logistico per la dodicesima edizione dei Campionati mondiali Fska di karate, che nel 2011 sono stati organizzati a Torino dall’Unione sportiva Acli. Mi sono trovata molto bene, all’Acli c’è sempre stato un bel clima di collaborazione, peccato che per l’aggravarsi della crisi, nonostante all’inizio sembrava ci fossero prospettive, non sono potuta rimanere lì a lavorare. Nel frattempo ho comunque continuato a fare la babysitter, l’hostess e la promoter, e a dare ripetizioni.

Il Servizio volontario europeo l’ho scoperto per caso cercando su Internet progetti di mobilità internazionale, prima che mi scadesse il contratto con l’Acli. Non avevo mai sentito parlare dello Sve. Dopo avere letto che per partire era necessario trovare un’organizzazione di invio, mi sono informata sulle realtà locali scoprendo che il Comune di Torino, attraverso il suo Ufficio relazioni internazionali, era una sending organisation. Ho dunque partecipato ad un incontro informativo organizzato da loro, in cui tra l’altro hanno presentato gli enti con cui collaboravano.

Così a inizio 2013 ho cominciato a mandare molte candidature, una quarantina, finché a maggio sono stata contattata dal Comune di Kungälv, una cittadina svedese di quarantamila abitanti, a pochi chilometri a nord di Göteborg. Ho fatto un colloquio su Skype e dopo due mesi di attesa mi è stato comunicato di essere stata scelta. Prima della partenza, il primo ottobre, il Comune di Torino ha organizzato due incontri di formazione.

Antonella e la mentor AnnaliAll’aeroporto di Göteborg mi ha accolto Annali, la mentor con la quale avrei poi collaborato moltissimo [foto a sinistra]. Mi ha portato a cena e poi siamo andate a conoscere la padrona della casa in cui avrei alloggiato durante i nove mesi del progetto, in cui io sarei stata l’unica volontaria. La hosting organisation aveva affittato per me una stanza molto spaziosa all’interno di una bella villetta con giardino, a  due passi dai boschi (in Svezia se non si sta in centro è un po’ dappertutto così), raggiungibile in dieci minuti di bus dalla sede principale del mio servizio. Oltre alla stanza avevo il bagno privato. Gun, la padrona di casa con cui condividevo cucina e sala, era una vedova di 75 anni, giovanile e in gamba. Questa convivenza è stata molto positiva, ho avuto la mia indipendenza ma allo stesso tempo ho sempre potuto contare su Gun e posso dire ormai di avere una nonna adottiva laggiù.

Il mio progetto si chiamava "Young dimension on art & culture" e prevedeva l’organizzazione di attività ed eventi culturali per i giovani. Principalmente ho lavorato in un centro culturale di nome Mimers Hus, di proprietà del Comune, una struttura molto grande divisa in settori, che oltre ai vari uffici comprende il liceo del paese, la biblioteca, il teatro e la palestra. Durante la settimana ho lavorato però anche in altri centri giovanili e nelle scuole.

In sostanza ero l’assistente della mia mentor Annali, responsabile per il Comune del settore cultura per bambini e ragazzi. Abbiamo organizzato insieme attività nelle scuole di grado inferiore e superiore e nei centri giovanili - come laboratori manuali per i bambini, giochi, organizzazione di mostre, festival, concorsi, spettacoli e cineforum. In particolare io mi sono occupata di corsi di danza, perché quando ero piccola ho fatto per più di dieci anni danza classica e hip hop. Questo è uno dei motivi per cui ero stata selezionata, e come progetto personale ho proprio sviluppato workshop di danza nei centri giovanili, oltre a un corso di italiano per stranieri nella biblioteca comunale.

L’esperienza più emozionante è però nata per caso. Un’amica di Gun, la padrona di casa, mi ha chiesto se volessi visitare un liceo pubblico in cui studiano ragazzi affetti da disturbi mentali e fisici più o meno gravi. Così è stato organizzato un incontro, in cui mi sono state rivolte un sacco di domande sull’Italia, e poi sono stata invitata alla recita scolastica, a feste, alla cerimonia del giorno del diploma. Ed io ho offerto un paio di lezioni di hip hop durante le ore di educazione fisica, oltre ad un aiuto per preparare attività come gli spettacoli teatrali.

A Kungälv ero l’unica volontaria ma ho avuto modo di conoscere molti altri colleghi durante i training  comuni che i volontari devono frequentare nel Paese in cui si trovano durante lo Sve, all’inizio dell’esperienza e poi a metà del percorso. A Göteborg mi sono ritrovata con ragazzi proveniente da molti Paesi, come Portogallo, Spagna, Georgia, Francia e Romania. Insomma non mi sono sentita sola, anzi a Kungälv ho vissuto in un contesto molto stimolante grazie all’alto numero di giovani coinvolti nel mio progetto. E poi con la mia organizzazione ci sono sempre stati molto dialogo e collaborazione, e mi è sempre stata data carta bianca sulle attività a cui volevo partecipare. Grazie alla cordialità intorno a me, mi hanno fatto sentire parte di un team.

Certo all’inizio non è stato proprio facile, innanzitutto con la lingua, perché lo svedese è difficile e nonostante abbia trascorso là nove mesi sono riuscita ad assorbire solo una conoscenza di base. Ma per fortuna in Svezia l’inglese è sfruttabile praticamente con tutti. Così dopo un po’ non ho avuto difficoltà a stringere amicizie. Sono anche riuscita a gestire l’alto costo della vita svedese con il pocket money di 120 euro e i 300 euro per le spese alimentari. I miei risparmi personali li ho usati solo per i viaggi: ho visitato gran parte della Svezia e anche un po’ di Danimarca e Norvegia.

L
o Sve per me non è stata solo una grande esperienza di vita che mi ha reso più indipendente, ma ha rappresentato anche una crescita professionale, perché ho lavorato in squadra, con obiettivi comuni da rispettare e un alto grado di versatilità da garantire. Inoltre ho migliorato nettamente l’espressione orale della lingua inglese e ho molta più fiducia nelle mie capacità, perché per me l’organizzazione di laboratori con i giovani hanno rappresentato una piccola sfida. Ho raccontato mese dopo mese la mia esperienza su Il Giro del Mondo in 80 Giovani, un blog del Comune di Torino che raccoglie varie testimonianze di ragazzi all’estero.

Consiglio assolutamente di vivere l’esperienza dello Sve: serve a crescere a livello personale ma anche ad aumentare il proprio bagaglio professionale, oltre che quello culturale. Per questo credo che per scegliere lo Sve non si debba fossilizzarsi sul paese ospitante, ma piuttosto valutare la qualità del progetto e la serietà dell’organizzazione ospitante. È importante capire cosa l’organizzazione si aspetta da noi e quello che noi vogliamo ottenere dallo Sve. E se qualcosa non funziona bisogna dirlo, per valorizzare al meglio questa esperienza. Io ad esempio non mi trovavo molto bene in un centro giovanile e parlando con la mia mentor ho cambiato le attività, passando a lavorare da un gruppo misto di ragazzi dai 16 anni in su, ad uno di ragazze dai 12 ai 15 anni in condizioni di disagio. Certo io sono stato fortunata, la mia mentor era sempre presente. Parlando con altri volontari, invece, mi sono resa conto che ci sono organizzazioni ben meno serie.

Dopo lo Sve sono tornata a vivere a Rivarolo con i miei genitori. Poco dopo il rientro, lo scorso settembre, sono ripartita, andando in Croazia come group leader per uno scambio giovanile su stili di vita, sport ed alimentazione. Poi ho ricominciato i miei lavoretti per essere economicamente indipendente, e nel frattempo ho iniziato a mandare decine e decine di curriculum. Vorrei lavorare nel settore turistico, per tour operator che si occupano in particolare di turismo sostenibile. Ho fatto recentemente qualche colloquio e spero di avere notizie positive: durante i colloqui ho notato molto interesse per lo Sve, di cui i selezionatori non sapevano nulla, e spero che questo rappresenti una possibilità in più per essere assunta.

Mi do ancora qualche mese di tempo, e se in Italia non trovo nulla, cercherò lavoro all’estero. Ancora non so dove, ma non ho paura, deciderò al momento opportuno. In Svezia ho capito che non avrei problemi a vivere fuori dall’Italia per lungo tempo: grazie allo Sve ho scoperto di essere una persona che si adatta facilmente. Considerato ciò che questo progetto ha rappresentato per me, spero che dello Sve si parli sempre più spesso, a partire dalle scuole, per dare l’opportunità a quanti più giovani possibile di vivere un’esperienza unica.

Testo raccolto da Daniele Ferro
@danieleferro
 

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